La Pace deve essere una scelta di tutti.

Pace… parola che non genera ricchezza ad alcuni, ma a tutti.

“È più forte chi vede la situazione, pensa al suo popolo ed ha il coraggio di negoziare” questo ha dichiarato il Santo Padre parlando della guerra in terra di Ucraina.

A chi stava parlando Papa Francesco?

Difficilmente si può credere che stesse parlando esclusivamente a Zelensky.

Molto più probabilmente il Santo Padre ha ritenuto di rivolgersi a tutti i “grandi della terra”, ai leaders occidentali in primis.

Inconfutabile il fatto che Zelensky non esisterebbe nemmeno senza l’appoggio diretto, non solo attraverso la NATO, dell’amministrazione statunitense a guida Biden e dei suoi alleati nelle cancellerie europee.

Sono questi ad inviare in Ucraina armi e denaro.

Sembrerebbe non uomini in armi, fatto che, comunque, dobbiamo sperare con tutta la nostra forza visto il pericolo altissimo che questa eventualità causerebbe alla pace in tutta Europa, nel mondo intero.

Alta preoccupazione ha causato in chi crede che la pace sia l’unica opzione da perseguire il recente articolo, in prima pagina, del quotidiano La Verità che lasciava intravvedere anche azioni italiane in terra di Ucraina opache.

Zelensky è totalmente nelle mani di Biden e dei leaders europei a questi politicamente legati.

Corretta, almeno dal mio punto di vista, la posizione della Federazione Russa che dichiara come l’intervento del Santo Padre sia assai più diretto all’occidente che al presidente ucraino.

In fondo non è così assurdo l’assunto che la guerra in terra di Ucraina è stata voluta, ed è tuttora alimentata, da chi ha finanziato e facilitato la vittoria nelle presidenziali americane del 2020 di Biden, mai dimenticare che l’allora Presidente Trump non ha mai ammesso la sconfitta.

Il ragionamento alla televisione svizzera del Santo Padre non va interpretato, banalmente va ascoltato.

Parole chiare, parole forti, parole che i cattolici dovrebbero prendere per il loro portato.

I cattolici tutti, Biden e leader europei che si professano tali in tempo di Quaresima in primis.

Queste le Sue parole “E’più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare.

Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa.

Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare.

Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore.

Nella guerra in Ucraina, ce ne sono tanti.

La Turchia, si è offerta. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”.

Quante le suggestioni ai “potenti” in queste parole!

Parole valide per la guerra in terra di Ucraina, parole importanti per ogni conflitto oggi, e ieri, presente sulla terra.

“E’più forte chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare”, è più forte perché ha il coraggio di mettere il suo popolo davanti al suo ego dopo aver letto lo scenario in cui è chiamato a decidere sulle sorti della propria nazione.

Questo ha voluto consegnare ai grandi della terra, o presunti tali, il Santo Padre.

“Negoziare” è la parola chiave del ragionamento del Papa. Parola che definisce “coraggiosa”.

“Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali”, questo spera il Santo Padre, questo è quanto lo stesso chiede, auspica, che i leaders delle nazioni più potenti abbiano al centro della loro agenda.

“Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore”, andare oltre per costruire “pace”, questa la profonda suggestione del Santo Padre.

“Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”, mi chiedo chi, se vero statista ed in buona fede, può provare “vergogna” perché cerca di costruire “pace”.

Io provo vergogna per chi non prova vergogna a fomentare la guerra, magari per arricchirsi.

“Solo la forza della nostra protezione della vita, la nostra capacità di raggiungere i nostri obiettivi possono riportare la Russia a uno stato di sobrietà almeno parziale.

La follia russa deve perdere questa guerra.

Faremo di tutto per questo”, questa la risposta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a cui deve essere sommata la dichiarazione dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede che recita “Qualcuno parlò di negoziare con Hitler?”.

Evidentemente, forse, pensano ancora di poter “vincere il dragone”.

L’alternativa, sarebbe una drammatica alternativa dovesse essere presa in considerazione, è che qualcuno in Ucraina e nel gruppo degli alleati di Zelensky voglia ancora arricchirsi attraverso i soldi provenienti dall’occidente e, per questo, necessiti che una guerra persa da tempo continui.

Intanto a morire sono i figli del loro popolo, non i loro figli.

Drammatico in tal senso se qualcuno, mi sovviene alla mente nel seguire la domanda su Hitler dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, potesse avere l’idea di copiare i fatti di Danzica che fecero iniziare la Seconda Guerra Mondiale.

Al tempo il dittatore nazista vesti dei tedeschi da soldati polacchi per far uccidere dei soldati tedeschi, impensabile che qualcuno, con il solo fine di allargare il conflitto, possa essere così cinico da vestire da soldati russi chi russo non è per far uccidere, sto inventando per copiare la storia del ‘900, soldati polacchi.

Per fortuna questo non può che essere solamente un “incubo” ad alta voce.

Ignoto Uno




Riflessioni sulla pace e sulle elezioni future

 

Nello studiare lo scenario elettorale che si presenta davanti a noi cittadini del mondo molti gli appuntamenti che ci aspettano.

Certamente fondamentali per il futuro di tutti noi sia le presidenziali di novembre in Stati Uniti che quelle di marzo della Federazione Russa.

Altrettanto certamente, soprattutto noi europei, quelle di giugno che definiranno il nuovo Parlamento della UE27 e, conseguentemente, la presidenza della Commissione Europea.

Per quanto concerne le elezioni americane lo scenario sembrerebbe oramai definito.

Sembra, infatti, che a chiedere il voto saranno Biden e Trump.

I programmi su cui i due contendenti si confronteranno sono diversi e chiari.

Al contrario non posso che notare, con mestizia, come non sia possibile riscontrare altrettanta chiarezza e diversità nei programmi dei gruppi europei che, attraverso i partiti che li compongono nei diversi Stati, chiederanno di essere onorati di ricevere il voto degli elettori europei.

In attesa di veder emergere un reale, credibile ed affidabile leader europeo di cultura concretamente “sovranista” in grado di lavorare alla creazione di una vera e paritetica Federazione degli Stati dell’Unione Europea, in assenza della quale inizia ad essere fondato chiedersi a cosa serva la UE27, mi permetto di soffermarmi su alcune delle affermazioni della Presidente Von der Leyen nel suo discorso di candidatura a leader del PPE.

La presidente della Commissione Europea, nel discorso di candidatura al Congresso del PPE, ha dichiarato di credere “nella dignità di ogni essere umano” e, fedele a questo assunto, ha aggiunto che “la nostra Europa, pacifica e unita non è mai stata così minacciata dagli estremisti e dai populisti sia di estrema destra che di estrema sinistra” e, per questo, bontà sua, ha deciso di “presentarsi e combattere in questa elezione, essendo oggi più importante che mai”.

Premesso che non ho mai avuto modo di sentire nessuno, leader politico o meno che fosse, dichiarare che la “dignità umana” non sia centrale nel suo pensiero, ho qualche decisa difficoltà ad interpretare la Von der Leyen come una statista che abbia combattuto per far rispettare la dignità di tutti gli esseri umani in europa.

Difficile vedere una azione forte e certa della Presidente in ordine al grave fenomeno del traffico di esseri umani e della, contemporanea, tutela delle dignità culturali e delle tradizioni degli Stati europei.

Altrettanto difficile riconoscerle la difesa della tutela della dignità di coloro che nel periodo della pandemia Covid vivevano con preoccupazione l’obbligo vaccinale.

Preoccupazione che, peraltro, purtroppo,si deve iniziare a ritenere fondata aumentando, conseguentemente, il desiderio di chiarezza sulle scelte che la Commissione Europea impose a tutti gli Stati membri, in primis su quel contratto quadro secretato per l’acquisto delle dosi vaccinali con le case farmaceutiche.

L’unico commento che si può fare a tanta ipocrisia è notare quanto sia facile aprire bocca e dare fiato.

La stessa presidente si sente di dichiarare, essendo persona amante della pace, che “oggi gli amici di Putin stiano seminando odio”.

Come non notare come il “problema” della guerra sia completamente scaricato su scelte compiute da “altri”.

Nessuna capacità di autocritica su questi anni di suo governo della nostra Unione Europea, eppure cose che non vanno se ne possono evidenziare veramente molte soprattutto oggi che il Santo Padre implora Zelensky di “alzare bandiera bianca ed aprire un negoziato”.

Fatto che, mi permetto di credere, dovrebbe creare un forte imbarazzo ai leader politici che si professano cattolici, Biden ed amici di Biden in testa.

Preso atto di questa fondante ed assai condivisibile novità, mi permetto di confutare il pensiero della Von der Leyen partendo dal concetto di “pace”.

Da libero cittadino europeo, ed ancor più libero pensatore e cultore del pensiero di Giovan Battista Vico, esprimo la mia opinione in materia e, sperando sia ancora permesso senza finire “dossierato”, propongo delle suggestioni che, questo il mio auspicio, possano aiutare ad evitare che un conflitto, quello in terra di Ucraina, che doveva, e poteva, essere evitato o, almeno, risolto in poche settimane continui a causare morte o, addirittura, si ampli in terra d’Europa nelle prossime settimane.

Mi permetto, in primo luogo, di porre una domanda ai “potenti” ed ai “sapienti”: risponde al vero o è falso che la Gran Bretagna, molto probabilmente stimolata dall’amministrazione statunitense a guida Biden, hanno letteralmente impedito al Presidente ucraino Zelensky di firmare una tregua in Turchia dopo due settimane dall’inizio del conflitto?

Nel caso rispondesse al vero, come io credo, perché questa intromissione nelle scelte del popolo ucraino? Quali i “vantaggi” per gli ucraini?

In Ucraina il conflitto ha causato solo morte e povertà.

Gli studiosi di fatti bellici sono assai certi che il conflitto ucraino sia, oramai, destinato a vedere l’esercito della Federazione Russa vincitore, quale il cambio di passo finalizzato a far tornare gli europei tutti, ucraini inclusi, ad una vita con prospettive di pace e di ritrovato benessere propone la Presidente Von der Leyen e chi a lei si sente vicino?

Ancor più dopo gli auspici del Santo Padre il cambio di passo è urgente per acquisire una accettabile credibilità politica sul punto.

La “pace” non si “costruisce” partendo dal principio “io ho ragione, tu hai torto”, bensì si raggiunge attraverso il dialogo con il portatore di valori, idee, principi ed interessi diversi, finanche opposti.

“Esportare la democrazia” di Obamiana memoria, palesemente tanto amata dalla presidente e dai suoi affezionati, italiani inclusi, non è più una strada accettabile.

La guerra arricchisce pochi e uccide molti, la pace fra i popoli crea benessere e crescita.

Obama, ed il suo vassallo Biden, amici di questi inclusi, continuano a credere che la “democrazia” sia “esportabile” e, conseguentemente, perseguono politiche basate sul “dividi et impera” di romana memoria.

Chi, al contrario, crede che il Presidente Donald Trump non sia un “cattivone”, anzi sia un presidente che ha saputo “riportare pace” in molti degli scenari che vedevano in essere un conflitto al suo arrivo alla Casa Bianca nel 2016, oltre ad essere assai stanchi di veder morire tanta gente per far arricchire pochi, sarà felice di supportare chi nella nostra Europa, ed Italia, metta al centro la cultura della trattativa.

Una trattativa “dura”, basata sul rispetto dei nostri valori occidentali, quelli della famiglia e delle origini cristiane, quelli del rispetto delle tradizioni altrui perché si hanno chiare, in primis, le nostre, quella che sa che solo il dialogo permette di comprendersi.

Questo è il “sovranismo”.

Alleanze con i “simili”, rispetto di chi ci rispetta.

Come non sperare di poter veder prendere spazio dei leaders europei con questi principi?

Soprattutto se si è padri e madri del ceto medio.

Ignoto Uno




Tempi di guerra …

 

Due anni di guerra guerreggiata in Ucraina parte di un conflitto carsico, forse neanche tanto, fra Stati Uniti e Federazione Russa in terra di Ucraina iniziato almeno dal 2008, ma, molto più probabilmente, sin dai tempi di Bill Clinton presidente alla Casa Bianca.

Unico momento di “tregua” il quadriennato di Donald Trump.

 

Il 3 marzo la Nave Duilio, prima azione di guerra di una nave della Marina Militare Italiana dalla fine della Seconda Guerra mondiale, nello stretto di Bab el-Mandeb ha abbattuto un drone lanciato dagli Houti dallo Yemen.

 

La nuova, e drammatica, escalation in Medio Oriente che ha avuto inizio il 7 ottobre scorso con il massacro causato da Hamas nei territori israeliani e la necessaria ma violentissima reazione dell’esercito nella Striscia di Gaza.

 

I tantissimi focolai di guerra in Africa e in molti luoghi di confine come fra Pakistan ed India.

 

Questo, per brevi e non esaustivi cenni, lo scenario in cui noi tutti siamo chiamati a vivere ed educare i nostri figli.

 

Anni sempre più bui quelli che ci costringono a vivere attraverso le loro scelte i nostri governanti occidentali. Stati Uniti, Europa ed Italia inclusi.

 

Errori, io li reputo tali, già visti nel passato.

 

Errori che causarono, e causano, impoverimento e morte nel nostro occidente.

 

Per ora non si vede una grande reazione a livello del ceto medio, eppure la paura cresce.

 

Probabilmente è solo una questione di tempo, troppa la distanza fra le politiche, soprattutto in Europa, ed il pensiero di ampi strati sociali in ordine a tanti temi.

 

Guerre, politiche gender e green in primis. Politiche eccessivamente lontane dalle tradizioni e dalle necessità del nostro occidente.

 

I media, molti dei quali assai schierati con quello che oggi chiamano “globalismo”, si affannano a spostare il posizionamento culturale delle persone che li seguono ma, poi, basta un generale che scrive un libro e che parla alla loro pancia, perché le “origini” tornino a governare le loro opinioni.

 

La cosa assai interessante, direi anche divertente, è che più gli stessi media, e non solo, cercano di massacrarne l’immagine pubblica, più la figura dello stesso generale diviene “simbolo” per chi vuole vedere salvaguardate le proprie radici.

 

Origini, appunto.

 

Pensando a questa strana corsa alla guerra non può che venire alla memoria come il 15 novembre 1969, in occasione della Moratorium march on Washington scesero in piazza 500.000 persone.

 

Quel giorno nacque il Movimento Pacifista, il suo motto era “Give peace a chance”, date alla pace una possibilità.

 

Il governo degli Stati Uniti dovette prenderne atto.

 

Guerra che era iniziata il 1º novembre 1955 e terminò il 30 aprile 1975 con la caduta di Saigon, durò diciannove anni e sei mesi.

 

Cercare la “pace” non significa “subire il nemico”, significa “costruire un equilibrio con l’avversario attraverso la trattativa”.

 

Cercare la pace è un atteggiamento lungimirante, da statisti.

 

Furono statisti Franklin Delano Roosvelt e Iosif Stalin allorquando firmarono insieme l’Accordo di Yalta nel febbraio del 1945.

 

Qualcuno vuole vedere in quella scelta un accordo firmato fra due capi di Stato che avevano gli stessi valori?

 

Credo sia inconfutabile che in quella scelta di firmare quell’accordo non si possa che vedere la volontà di due avversari di trovare una forma di convivenza che potesse garantire a tutto l’occidente pace.

 

Cercare la pace significa non sentirsi al centro del mondo e unici portatori della “verità”.

 

È cercare la pace favorire movimenti rivoluzionari in nazioni confinanti con il “nemico”?

 

Certamente no! Sarebbe assai necessario esplicitarlo e, al fine di riportare stabilità ed armonia nel nostro occidente e nel mondo tutto, partire dal concetto che le cosiddette “zone di influenza” vadano facilitate.

 

Il cercare di fomentare forme rivoluzionarie, più o meno “non violente”, come accadde con i movimenti rivoluzionari in Ucraina dal 2008, oppure con le tristemente famose Primavere Arabe, per volere dell’allora presidente degli Stati Uniti Obama, già premio Nobel per la Pace, è parte fondante del caos in cui il mondo vive oggi.

 

Innegabile che durante la Guerra Fredda l’allora Unione Sovietica fece altrettanto.

 

In Italia dovemmo scoprire le liste Mitrokhin, gruppo che doveva facilitare l’avvicinamento al Patto di Varsavia del nostro Paese, gruppo ben noto al Partito Comunista Italiano del tempo, gruppo illegale, gruppo a cui si contrappose l’operazione della NATO nota come Stay Behind, in Italia divenuta famosa come Gladio.

 

Fu il Presidente democristiano Andreotti nel 1990 a renderla nota, fu il Presidente Emerito Francesco Cossiga a rendere esplicito che Stay Behind era una operazione coperta della NATO.

 

Di Gladio se ne sente parlare sempre tanto ancora oggi, sommessamente reputo in alcuni casi a sproposito, di Mitrokhin mai, mi chiedo il perché. Eppure i due dossiers andrebbero letti insieme.

 

Ancor più mi domando se oggi in Italia, ed in Europa, vi sia la presenza di una organizzazione antagonista all’atlantismo che abbia saputo pervadere la nostra società occidentale in tutti i suoi ambiti, anche, speriamo di no, istituzionali e partitici, una organizzazione che magari trovi stimoli ed alleanze più in estremo oriente che a Mosca.

 

Se dal 1964 iniziò a formarsi un movimento pacifista che seppe fermare la guerra del Vietnam e formare una cultura del rispetto delle diverse tradizioni e dei diversi popoli, se questa tradizione ha ancora seguaci nel mondo occidentale, se vi sono ancora persone che credono che la pace si costruisce con i tavoli di trattativa basati sul rispetto dell’avversario, se vi sono ancora persone che si rendono conto che la pace si basa su equilibri di forza, se vi sono ancora persone e leaders che la pensano così sarebbe stato assai saggio evitare sia la crisi ucraina che quella medio orientale.

 

Forse, però, magari agli stessi che in questi anni 2000 hanno tanto amato “esportare la democrazia” conveniva facilitare nuovi conflitti.

 

Come non comprendere che, in presenza di questi, qualcuno ci guadagna sempre.

 

Si chiama economia di guerra.

 

Si chiama, anche, arricchirsi sulla morte degli altri.

 

Ignoto Uno




Al via il 3X2 nel Grande Oriente d’Italia, la più affollata obbedienza massonica italiana (di Paolo Battaglia La Terra Borgese)

Al via il 3X2 nel Grande Oriente d’Italia, la più affollata obbedienza massonica italiana

di Paolo Battaglia La Terra Borgese

Tre liste ma solo una di due vincerà il confronto.

È quanto è lecito desumere dalle dòxa di Zetetica e Cavaliere Nero.

Si vota domenica 3 marzo.

 

A muoversi da fuori il GOI, in nome della torcia luminosa della civiltà e del progresso, è perfino Giuliano Di Bernardo, già Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani, che ha sponsorizzato – direttamente e indirettamente – la lista numero 1 anche durante un’intervista di Fedez, nel corso di una puntata del podcast Muschio Selvaggio.

 

Tre liste ma solo una di due vincerà il confronto. È quanto è lecito desumere dalle dòxa di Zetetica e Cavaliere Nero (forum digitali massonici riservati agli addetti ai lavori).

 

Quis similis tui in fortibus Domine?

 

La terza lista – secondo gli umori registrati in Zetetica e soprattutto in Cavaliere Nero – sarebbe in netta minoranza, e la seconda, quella sponsorizzata dall’attuale Gran Maestro, si dichiara (ovviamente) del proseguimento.

 

A chi mira al cambiamento, non resterebbe altro da fare che votare per la lista numero 1

 

Così – se le opinioni rispecchiano la realtà aritmetica esposta -, a chi mira al cambiamento, non resterebbe altro da fare che votare per la lista numero 1.

Ciò al fine di non disperdere i voti, che, senza volerlo, diversamente, se destinati alla lista numero 3, finirebbero col favorire, la lista del proseguimento poco cara ai cambiamentisti tutti.

Purtroppo, in termini di obiettivi numerici ne pagherebbe le conseguenze di risultato la terza lista, sol perché considerata in minoranza.

 

Per farla breve, secondo alcuni e per non essere di tedio ai lettori: da un anno a questa parte, la fulgida luce massonica si è dovuta confrontare adendo i metodi “profani”.

 

Ma è storia vecchia, come vecchio è il profilo delle campagne elettorali in seno al GOI, che in termini dialettici perfettamente combacia con i programmi elettorali cosiddetti profani.

 

E la salsa è sempre la stessa, quella che suga per concimare un elenco di azioni e di tematiche sempre ripetute ed uguali ad ogni consultazione elettorale.

 

Giacché da sempre è uguale il repertorio di novità (?) proposte dal candidato di turno: la sovranità della loggia, il tema delle cariche, l’indipendenza della giustizia massonica rispetto alla giunta di governo del GOI, l’organizzazione interna, le azioni nel mondo profano, i rapporti con lo Stato, la solidarietà interna ed esterna, l’ammontare dell’appannaggio da riconoscersi al G.M. e, da questi ultimi anni, la discussa Fondazione del GOI. 

 

La lista numero 1

 

Tuttavia, questa volta, udite e lette le sue promesse, se vincesse il candidato della lista numero 1, LEO TARONI, egli, mantenendo fede al suo programma elettorale, è certamente destinato a passare alla storia della massoneria italiana e non solo, per i radicali cambiamenti di cui sarà artefice, dando vita a nuove origini nel Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.




Ognuno per sé, Dio contro tutti, altro che Europa…

La tendenza delle nazioni a perseguire principalmente i propri interessi nazionali, anche quando si proclama l’obiettivo del bene comune, è un fenomeno complesso e radicato profondamente nella storia delle relazioni internazionali e la teoria realista delle relazioni internazionali, stigmatizza questo comportamento come intrinsecamente legato alla natura anarchica del sistema internazionale.

In assenza di un’autorità centrale che regoli le interazioni tra gli stati, questi ultimi agiscono in un contesto di auto-aiuto, dove la sicurezza e gli interessi nazionali diventano la massima priorità.

Il realismo sostiene che, anche nelle situazioni in cui viene invocato il bene comune, le nazioni tendono a valutare le proprie azioni principalmente in termini di potere e sicurezza, cercando di massimizzare la propria influenza e minimizzare le vulnerabilità.

D’altra parte, la teoria liberalista offre una visione leggermente diversa, enfatizzando il ruolo delle istituzioni internazionali, del commercio e della democrazia nel mitigare l’egoismo nazionale.

Secondo questa prospettiva, anche se le nazioni sono motivate dai propri interessi, la cooperazione internazionale e le reti di interdipendenza economica possono portare a risultati che beneficiano il bene comune.

Tuttavia, anche all’interno di questo quadro, le nazioni possono cercare di plasmare le regole e le istituzioni a proprio vantaggio, dimostrando come l’interesse nazionale e il bene comune possano essere difficili da conciliare.

La psicologia sociale offre ulteriori spiegazioni, suggerendo che la tendenza a favorire il proprio gruppo (in-group bias) può essere applicata anche al livello degli stati.

Questo bias porta le nazioni a privilegiare i propri cittadini e interessi sopra quelli degli altri, spesso giustificando tali azioni con la retorica del bene comune, anche quando le politiche adottate possono avere effetti negativi sul resto del mondo .

In ogni caso la storia diplomatica fornisce numerosi esempi di come le nazioni abbiano spesso invocato il concetto di bene comune per giustificare azioni che, in realtà, erano guidate da motivazioni egoistiche.

Questo non significa che il bene comune non possa mai essere un obiettivo sincero, ma piuttosto che la sua invocazione deve essere esaminata criticamente, tenendo conto dei contesti storici e geopolitici specifici.

Questo dovrebbe essere un dovere dei giornalisti, che sarebbero sempre tenuti a fare un’analisi critica delle dichiarazioni degli stati.

 

.

 

__________________________________________________________________________________________________

Così oggi ci racconta il nostro amico IGNOTO UNO:

 

Gli Stati Uniti a guida Biden assecondati dai leaders europei, Commissione in testa, assai poco attenti al futuro dei propri popoli e molto di più alle logiche di potere di certi ambienti finanziari, erano, almeno ufficialmente, certi di riuscire a far terminare l’autarchia di Vladimir Putin ed a ricondurre, attraverso la sostituzione di questi, la Federazione Russa all’interno del sistema dagli stessi creato per garantirsi il controllo dell’occidente tutto, in pochi mesi, attraverso la guerra in terra di Ucraina.

Operazione politica, a dire il vero, che prendeva inizio già nel 2014, Obama alla Casa Bianca, con la Rivoluzione Ucraina contro il presidente Victor Janukovyč.

Rivoluzione evidentemente “facilitata” da chi allora governava a Washington.

Victor Janukovyč, leader politico filo russo, che, nel 2010, aveva vinto le elezioni battendo Julia Tymosenko che, al contrario, teneva stretti legami con l’occidente.

Tymosenko era colei che, infatti, dichiarava già nel 2008 “la vittoria di Obama ci ispirerà, le capacità di Obama sono ciò di cui il mondo ha bisogno”.

Queste “capacità” il mondo le ha potute vivere sulla propria pelle.

Le tante, troppe, “rivoluzioni democratiche” e il trasbordante desiderio di “esportare la democrazia” dello stesso Obama hanno, oggi lo vediamo e subiamo assai bene, devastato molte regioni del mondo.

Tornando alla martoriata terra ucraina, non possiamo che, sconsolati noi che crediamo nella vita e nella pace, prendere atto che sono passati due anni dal giorno in cui iniziò la,così la hanno denominata al Cremlino, Operazione Speciale, era il 20 febbraio 2021, e i fatti dicono ben altro rispetto a quanto ci è stato raccontato in questi ventiquattro mesi.

Non fosse tragico sarebbe ilare il discorso alla Camera dei Deputati italiana dell’allora Premier Mario Draghi in cui narrava la “vittoria” dell’esercito ucraino sulle forze militari russe e la devastante crisi finanziaria ed industriale della stessa Federazione Russa.

Ovviamente i media nostrani si guardano bene dal riportare alla memoria degli italiani quelle che i fatti, oggi, non possono fare altro che definire quelle affermazioni, a dire il vero assai assertive, come “baggianate”, tantomeno intervistano il diretto interessato, sempre menzionato come “risorsa” per il futuro europeo, con il fine di chiedergli quali fossero le sue fonti per portarlo ad esprimersi pubblicamente in quel modo così fuorviante per le scelte del Parlamento italiano.

Migliaia di morti e feriti, l’Ucraina completamente distrutta, cinque regioni della stessa saldamente sotto il controllo delle truppe russe, esercito ucraino che deve coscrivere nuovi giovani militari, il Capo di Stato Maggiore ne chiede 500mila, e sta terminando sia le armi che le munizioni.

Questa la drammatica realtà.

Nessun leader politico occidentale parla più di tregua e, allo stesso tempo, chi non ha una propensione alla demagogia ed ha una reale competenza nella strategia militare ritiene oramai certa la vittoria russa.

Oltretutto, ben conscio che il detto “l’appetito vien mangiando” vale sempre, le forze militari russe sembrerebbero oramai pronte a prendere il controllo di tutta l’Ucraina e non solo delle regioni russofone che erano, due anni fa, il reale obiettivo di Putin.

Dazioni economiche a favore del governo ucraino, tredici pacchetti di sanzioni alla Federazione Russa hanno assai impoverito tutti gli Stati Europei e, questo vede chi ha avuto modo di viaggiare all’interno della Russia di oggi, non hanno annichilito ne il potere di Putin, ne il sistema socio economico russo.

Un esempio su tanti, l’Italia nel 2023 ha incrementato l’importazione di grano dalla Federazione Russa per più del 1.000%.

Questo è un fatto, un fatto che andrebbe ben tenuto in evidenza da chi, in democrazia si deve ritenere “pro tempore”, è chiamato a decidere per i popoli occidentali, europei in particolare, compresa la Premier Meloni oggi chiamata a presiedere il G7.

Il pensiero che le elezioni presidenziali statunitensi del prossimo novembre e quelle europee di giugno impediscano a chi governa di prendere atto che sia necessario cambiare strategia politica è assai forte in molti analisti politici.

Fosse vero questo, temo che nulla accadrà prima del gennaio 2025 e che la guerra in Ucraina continuerà a uccidere e distruggere lasciando al prossimo presidente statunitense, molto probabilmente Donald Trump, il compito di “sanare” questa “metastasi” causata da un pensiero politico ideologico e non pragmatico.

I mesi che ci separano da quel momento incrementeranno la distruzione non solo dell’Ucraina ma anche delle relazioni politiche fra Stati confinanti all’interno, in particolar modo, dell’area geografica europea.

Senza voler menzionare i danni ai sistemi socio economici degli Stati della UE27.

Impossibile non vedere una diretta correlazione fra le scelte politiche in ordine alla guerra in Ucraina degli Stati Europei ed il fatto, esempio simbolo, che la Germania è entrata in recessione.

Putin è un “autarca”? Certamente sì.

Una domanda, sommessa, però, mi sovviene nel pensare al concetto di “autarchia”.

Giorgia Meloni era già nel 2006 vicepresidente della Camera dei Deputati, Matteo Salvini europarlamentare dal 2004, Antonio Tajani europarlamentare dal 1994.

Tre esempi scelti perché al vertice della nostra amata Italia oggi, se vi diverte continuate voi, sia con altri esponenti di destra che di sinistra o del cosiddetto centro.

Una Italia ove i parlamentari sono “nominati” dai leaders dei rispettivi partiti.

Una Italia ove è impossibile a causa delle norme fatte ad arte partecipare alle elezioni con nuove formazioni politiche.

Una Italia ove i media portano alla ribalta, troppo spesso, esclusivamente una, come oggi si suol definire, “narrazione”, quella di chi attualmente comanda.

Non è “autarchia”, anche, questa?

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” si legge nel Libro.

Ognuno, se amante della libera democrazia, se amante del pensiero logico che prevede che chi vince le elezioni rimanga conseguente al programma che ha proposto in campagna elettorale nella propria azione di governo, sarà libero, se lo vorrà, di riflettere su questa suggestione.

In fondo gli immensi filosofi ateniesi insegnarono, a chi li ha approfonditi sul serio, che per poter affrontare “l’altro”, prima, bisogna “conoscere se stessi”.

Le nazioni possono affrontarsi, confrontarsi, trovare equilibri, esclusivamente se rispettano se stesse.

Le proprie tradizioni, le proprie origini, la propria cultura.

Putin, esattamente seguendo questa traccia, parla di “area russa”, Zelensky riporta le sue scelte alla sua lettura delle “origini dell’Ucraina”, Trump parla di “America first”, difficile vedere un leader europeo di questi tempi fare altrettanto.

L’Europa, ancor più la nostra amata Italia, è ora che ricordi dove trova le sue radici, magari mettendo queste in mani salde che sappiano rispettarle ….. non solo a parole.

Ignoto Uno

 

 

DOSSIER UKRAINA: TOP SECRET




Biden: Putin? un pazzo figlio di puttana…

Epiteti dei “potenti” o presunti tali, alla faccia della diplomazia!

Viene riportato dalla stampa che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, durante un evento elettorale a San Francisco, avrebbe dichiarato che “Dobbiamo occuparci di un pazzo figlio di puttana come Putin e preoccuparci della guerra nucleare, ma la vera minaccia esistenziale per l’umanità è il cambiamento climatico”.

Premesso che se il governatore della Regione Campania apostrofa con la parola “stronza” la Premier italiana i commenti sono al calor bianco e se il presidente degli Stati Uniti da del “figlio di puttana” al presidente russo non accade praticamente niente, questa volta, è da tempo che non succede, al netto dell’insulto assai gratuito alla signora Putin, fatto ancor più grave e politicamente sconveniente dell’epiteto contro la Premier italiana, Biden, suo malgrado, dice qualcosa di interessante.

Dice, infatti, che “la vera minaccia esistenziale per l’umanità è il cambiamento climatico” mentre si rischia la guerra nucleare, lasciando così intendere che i normali cittadini non hanno chiaro quali debbano essere le reali priorità del momento.

Di questo possiamo incolpare i media?

Certamente sì.

Questo accade quando gli interessi e la ideologia dominano sulla famosa “notizia”.

Biden dice, questo a me sembra, che il “cambiamento climatico” è un tema “secondario” di fronte al rischio imminente di catastrofe nucleare.

Dice che il mondo è sul limite di una guerra nucleare!

Il Presidente Biden afferma questo e, al posto di costruire un percorso di pace basato su un accordo di moratoria sulle armi nucleari, chiede al Congresso Statunitense ulteriori somme per armare l’Ucraina e stimola l’Unione Europea a fare altrettanto.

Difficile comprendere la sua logica.

Difficile soprattutto allorquando gli esperti militari non sono così convinti che la Russia stia perdendo la guerra.

Ne quella militare, ne quella socio economica.

I quotidiani italiani del 22 febbraio riportavano il paradosso delle enormi importazioni di grano che la nostra industria sta facendo dalla Russia, sopra il 1.000% in più degli anni precedenti.

Ci sarebbe da chiedersi come facciano i russi a “morire di fame” se possono incrementare le loro esportazioni di beni alimentari primari in questo misura.

Altro ilare tema è quello delle sanzioni.

Per comprendere quanto siano ridicole consiglio di passare un bel week end culturale a Mosca o a San Pietroburgo.

Troverete negozi pieni di merci occidentali.

Troverete gente che vive esattamente come prima della guerra in Ucraina e che si lamenta dell’inflazione esattamente come sono costretti a fare gli occidentali.

Troverete gente che ti chiede perché non si siedono tutti i potenti ad un tavolo per costruire una pace duratura esattamente come lo chiedo io e la maggioranza degli italiani.

Troverete gente che vorrebbe tornare a poter viaggiare a prezzi accessibili e senza dover fare il giro del mondo perché mancano le rotte, esattamente come facevano prima della guerra, esattamente come vorrebbero riprendere a poter fare gli occidentali tutti.

Statunitensi, europei e russi, quelli del cosiddetto ceto medio, si sono stancati di vivere male perché pochi potenti vogliono arricchirsi attraverso questa guerra.

Molti si chiedono se tutti quei soldi di cui si sente tanto parlare arrivano veramente in Ucraina o prendano altre direzioni, magari quelle dei paradisi fiscali e bancari.

Sarà, forse, per queste domande che quasi la metà degli italiani vorrebbe rivedere il Presidente Donald Trump alla Casa Bianca, quando c’era lui vivevamo tutti bene ed in pace.

Per fortuna, questo sembrerebbe proprio, sta tornando.

Sabato parlerà al CPAC in Virginia, qualcuno pensa che inizierà a dettare la linea, certamente lo ascolteranno molte delegazioni straniere, alcune capiranno che il mondo di oggi non prevede il tenere i piedi in tutte le staffe.

Ignoto Uno

 

 

da ettorelembonews




Strategie di Potere: Perché ai Dittatori Non Conviene Uccidere i Loro Oppositori

Ma siamo proprio sicuri che a Putin conveniva uccidere Alexei Navalny?

Un’attenta analisi ci porterebbe a pensare che fosse l’ultima cosa da fare, e in effetti noi al posto di Putin avremmo piuttosto fatto il contrario, ovvero avremmo tenuto in vita Alexei il più possibile, e comunque non siamo così sicuri che Putin non sia consapevole di queste tematiche.

Verrebbe da pensare che chi ci guadagna di più con la morte di Alexei non è Putin, ma i suoi oppositori, Zaleski compreso …

Nel complesso scacchiere della politica autoritaria, la gestione degli oppositori rappresenta un cruccio costante per ogni dittatore.

La tentazione di sopprimere fisicamente le voci dissenzienti per consolidare il proprio potere potrebbe sembrare, a prima vista, una soluzione efficace.

Tuttavia, un’analisi più approfondita delle dinamiche politiche, sociali e storiche rivela che questa pratica non solo è eticamente riprovevole, ma si rivela spesso controproducente per la stabilità e la legittimità del regime.

Esploriamo le ragioni per cui l’eliminazione fisica degli oppositori non solo è moralmente inaccettabile, ma rappresenta una strategia miope che può portare a conseguenze destabilizzanti per il dittatore stesso.

Le Conseguenze della Repressione Violenta

La storia è costellata di regimi che hanno cercato di cementare il proprio potere attraverso l’eliminazione fisica degli avversari politici.

Questi atti di violenza, tuttavia, tendono a generare un ciclo di ritorsione, alimentando ulteriormente la resistenza piuttosto che sopprimerla.

La repressione violenta può radicalizzare coloro che erano precedentemente neutrali, trasformando moderati in militanti e aumentando la base di sostegno all’opposizione.

La violenza genera violenza, creando un ambiente di instabilità cronica che può minare le fondamenta stesse del potere autoritario.

L’Effetto Martyrdom

Quando un dittatore sceglie di eliminare fisicamente i suoi oppositori, corre il rischio di trasformarli in martiri.

La morte di un oppositore politico può catalizzare il dissenso pubblico, trasformando una figura che poteva essere relativamente oscura o controversa in un simbolo potente di resistenza contro l’oppressione.

Questo fenomeno, noto come effetto martyrdom, può unificare e galvanizzare l’opposizione, rendendo la lotta contro il regime più determinata e coesa.

La Legittimità Internazionale e le Relazioni Estere

Nell’era della globalizzazione e dell’interconnessione, le azioni di un regime sono sottoposte all’esame critico della comunità internazionale.

L’uccisione degli oppositori politici può portare a condanne internazionali, sanzioni economiche e isolamento politico.

Queste conseguenze non solo possono danneggiare l’economia del paese, ma possono anche erodere la legittimità del regime agli occhi della comunità internazionale e, cosa altrettanto importante, tra la popolazione interna

Alternativi alla Repressione Fisica

Esistono strategie alternative attraverso le quali un dittatore può cercare di neutralizzare gli oppositori senza ricorrere alla violenza fisica.

La cooptazione, ad esempio, ovvero l’integrazione degli oppositori nel sistema politico attraverso concessioni o incarichi, può ridurre l’antagonismo mantenendo al contempo un’apparenza di pluralismo.

La censura e il controllo dei media, pur eticamente discutibili, possono essere strumenti meno destabilizzanti per limitare l’influenza degli oppositori.

Inoltre, l’investimento in programmi sociali e lo sviluppo economico possono migliorare la legittimità del regime riducendo le cause sottostanti del dissenso.

 

L’uccisione degli oppositori politici da parte di un dittatore, lungi dall’essere una via di fuga dalla sfida del dissenso, si rivela una strategia miope che può avere conseguenze profondamente destabilizzanti.

Le dinamiche storiche, insieme alle considerazioni etiche e pratiche, suggeriscono che la violenza repressiva non solo è moralmente indifendibile, ma può anche erodere la base di potere del dittatore nel lungo termine.

Nell’interesse della stabilità politica e del benessere sociale, è imperativo che i regimi autoritari




Alexei Navalny, Chi è?

La morte di Alexei Navalny, il principale oppositore di Vladimir Putin, ha scosso l’opinione pubblica internazionale ed è destinato a restare  di estrema attualità soprattutto dopo le dichiarate intenzioni della moglie Yulia di succedergli nella battaglia politica contro l’egemonia del dittatore russo.

Chi era Alexei Navalny?

La risposta a questa domanda è indispensabile per comprendere il futuro della Russia alle soglie delle elezioni presidenziali previste per il prossimo mese di marzo.

Figlio di un ufficiale dell’esercito Alexei Navalny, ricco di una laurea in legge e di doti di intraprendenza comunicativa, si è espresso non sempre in nodo trasparente nel mondo della imprenditoria e della politica mostrando in più occasioni una simpatia verso i movimenti nazionalisti russi.

Dopo il 2017 diventa il principale oppositore della leadership di Putin contro il quale concentra una battaglia politica declinata con le cifre della comunicazione social in un  Paese che non tollera le proteste in piazza.

Alla guida di un team di giornalisti e testate on line come la britannica Bellingcat, la russa The Insider e la CCN arriva a smascherare il patrimonio segreto di Putin ma soprattutto i piani del Cremlino per avvelenarlo attraverso la potente organizzazione, FSB, l’organo dei servizi segreti russi specializzato nell’utilizzo di armi chimici tra i quali il Novichok, l’arma chimica utilizzata nell’ attentato alla vita di Navalny nel 2020 e poi fallito per cause accidentali.

Indimenticabile l’intervista  fatta, sotto una falsa identità sul finire del 2020, ad uno dei killer del Team, FSB, inviato per ucciderlo.

All’altro capo di un telefono fisso vi è, invero, Konstantin Kudryavtsev,  l’esperto chimico del team di spie che ammette il tentativo di avvelenamento, le modalità utilizzate ed i motivi del fallimento della iniziativa.

L’omicidio di Stato, del resto, è un’attività routinaria per i servizi segreti russi.  

Basti ricordare i nomi delle vittime degli ultimi anni, quelle conosciute, almeno, da Litvinenko a Politkovskaja fino a Prigozhin ed all’aviere disertore in ucraina Kuzminov durante il conflitto in corso, finito a colpi di pistola in Spagna, dove si era rifugiato.

La morte di Alexei Navalny, tuttavia, può rappresentare l’innesco di in processo più profondo di quello che il dittatore russo può aver immaginato.

Navalny era un oppositore politico ma prima ancora un blogger, un Social Media Manager capace di mediatizzare con successo ogni inchiesta anche quelle che lo vedevano bersaglio di un complotto omicida trattato, al pari delle altre vicende, come una notizia attraverso la quale mettere in luce l’attività criminale di Putin ed il destino del popolo russo.

Un ossessione per la ricerca della verità che non si è fermata di fronte a nulla neanche  la morte preconizzata come un evento certo al punto di consegnare ai suoi sostenitori ed all’opinione pubblica internazionale un testamento politico diffuso tramite un video postumo.

Navalny è morto ma non le sue idee che continueranno ad avere una voce nelle parole di sua moglie Yulia intenzionata a continuare una lotta politica con le stesse modalità comunicative.

Le elezioni del prossimo marzo in Russia avranno un esito, forse, scontato ma la Storia insegna che le rivoluzioni, nel Paese degli Zar, sono veloci e definitive.

Navalny è morto ma ora il suo fantasma si sovrappone all’ombra del gerarca russo.

 




Italia – Romania: condivisione di intenti.

L’Ing. Angelo Sinisi – profondo conoscitore della reltà socio-economica della Romania e acuto osservatore delle vicende politiche in ambito comunitario, ci ha inviato una sua nota in merito all’incontro Intergovernativ o tra Italia e Romania.  

Chi scrive si scusa con l’Ing. Sinisi dal momento che – per un disguido tecnico dovuto all’accavallarsi di eventi significativi nello scacchiere internazionale – il suo interessantissimo intervento non è apparso ai Lettori di BETAPRESS.IT con l’usuale nostra tempestività.

La mattina del 15 febbraio, si è svolto il vertice intergovernativo tra Italia e Romania a Villa Pamphilj, dove il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha accolto il primo ministro romeno Marcel Ciolacu.

Questo è stato il terzo vertice tra i due paesi, evidenziando la continuità dei rapporti diplomatici.

Ciolacu ha portato con sé un mazzo di rose bianche per la premier italiana, aggiungendo un tocco di cortesia e gentilezza al momento dell’incontro.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, sempre nell’ambito del vertice intergovernativo, si è tenuto un Business Forum presso la Farnesina, che ha visto la partecipazione di circa 200 aziende provenienti da entrambi i paesi.

Le principali aziende italiane operanti in Romania sono state rappresentate da Confindustria Romania, guidata dal presidente dott. Giulio Bertola e dall’Ambasciatore d’Italia in Romania, S.E. Alfredo Durante Mangoni.

L’obiettivo del forum è stato quello di rafforzare ulteriormente i rapporti economici bilaterali, concentrandosi anche su settori innovativi e tecnologie emergenti, con un’attenzione particolare alla transizione ecologica e digitale.

Durante il vertice, Meloni e Ciolacu hanno sottoscritto un impegno reciproco: gli italiani condannati in via definitiva in Romania devono poter scontare la pena in Italia, e viceversa per i romeni nelle carceri italiane.

Questo accordo mira a garantire una maggiore equità nel trattamento dei detenuti e a rafforzare la cooperazione giudiziaria tra i due paesi. Oltre a ciò, sono state firmate sette intese tra Italia e Romania, che spaziano dalla difesa al turismo, passando per la cooperazione nel settore dell’energia nucleare, la cybersicurezza e la formazione dei funzionari pubblici.

Questi accordi evidenziano la vastità e la profondità dei rapporti bilaterali, toccando settori chiave per entrambe le nazioni.

È interessante notare che la delegazione rumena è stata ricevuta anche da Papa Francesco, evidenziando l’importanza dei legami culturali e religiosi tra i due paesi.

Inoltre, il primo ministro di Bucarest ha annunciato il coinvolgimento della Romania nel restauro della Colonna Traiana, un monumento di grande significato storico e culturale per entrambe le nazioni, simboleggiando la volontà di preservare e promuovere il patrimonio condiviso.




Congresso conservatore americano: forse occorre tornare a riveder le stelle.

Primo giorno di un CPAC storico, anche per la UE

Il CPAC è il congresso del mondo conservatore statunitense, ed è ritenuto riferimento per tutto il conservatorismo mondiale, oggi viene definito “sovranismo”.

Per questo vi partecipano delegazioni dei partiti sovranisti di ogni dove.

Oggi in Virginia, in Stati Uniti, prende inizio uno dei CPAC più importanti della storia repubblicana americana.

La causa si può trovare in tutto quanto è accaduto dalle elezioni presidenziali del 2020 ad oggi.

Periodo nel quale il tema dei brogli elettorali durante quelle elezioni non si è mai spento.

Tema sempre messo al centro dal Presidente Trump ed ostentatamente non affrontato dall’attuale inquilino della Casa Bianca e non solo.

Non solo in Stati Uniti.

Il 6 gennaio 2021, infatti, una enorme folla protestava davanti alla sede del Congresso, Capitol Hill, a Washington DC.

Una folla che riteneva che il risultato delle appena avvenute elezioni presidenziali fosse stato invertito attraverso brogli elettorali.

Un fatto storico da molti punti di vista che trovava origine da una inquietante sequenza di eventi.

Dalla, incredibile dichiarazione del candidato Biden alla chiusura dei seggi “oggi non sapremo chi avrà vinto le elezioni”, fatto mai avvenuto in Stati Uniti, a cui fece seguito un black out del sistema elettronico di calcolo per ben tre giorni, per terminare con una, per alcuni inquietante, ripresa del conteggio delle schede elettorali attraverso lo stesso sistema elettronico ed il rovesciamento dell’andamento dello scrutinio in molti Stati della federazione. Improvvisamente le schede erano tutte, il cento per cento, favorevoli a Biden.

Molti elettori statunitensi non credettero alla “casualità” e una parte di loro decise di protestare davanti a Capitol Hill.

Alcuni la invasero. Fatto storico perché mai era stata profanata la sacralità della sede del Congresso americano.

Storico perché, forse ancora di più, quella parte di corpo elettorale statunitense non credeva nella legalità delle elezioni presidenziali svolte nel precedente novembre.

Per la prima volta nella storia della democrazia americana, infatti, il popolo statunitense metteva in dubbio la legalità del voto in tutta la federazione, non in uno Stato come già accadde in Florida nel 2000.

Di tutto questo fu incolpato il Presidente Trump.

Purtroppo, da quel giorno ad oggi, nulla di serio è avvenuto per fare chiarezza su quella giornata e, fatto ancor più sconcertante, su quel voto.

Il “dubbio” nel popolo americano è nel frattempo accresciuto, in molti è divenuto “certezza”.

Questo proprio per la protervia del negare senza documentare la negazione. Doppia negazione, in politica come nella vita, cela sempre una “verità”.

Questo atteggiamento, diciamo così, alla “Marchese del Grillo” ha causato una unica certezza negli analisti e sondaggisti politici, quella che il Presidente Trump ha, tuttora, una gran parte dei cittadini statunitensi dalla sua parte ed è stabilmente avanti per distacco nel risultato elettorale del novembre 2024.

D’altronde l’uomo di Mar a Lago ha sin dal primo momento ritenuto di aver vinto con ampio margine anche quelle del 2020 tanto da aver lasciato al momento di abbandonare il famoso studio ovale uno scritto assai emblematico, quello che diceva a Biden “lo sai che hai perso”.

Certezza, condivisa con il suo popolo, che oggi esplicita dichiarando in ogni dove “vincerò per la terza volta”.

“Terza volta”, appunto, un modo neanche tanto subliminale per ricordare che l’elezione nel 2020 di Biden alla Casa Bianca non ha mai visto superati i dubbi dei primi giorni.

In ogni caso Biden e la sua parte le stanno provando tutte per impedire al leader indiscusso del Partito Repubblicano statunitense di correre alle elezioni del novembre 2024.

Forse sarebbe più corretto dire al leader del movimento sovranista nel mondo.

Un solo caso simile nella storia moderna del nostro occidente tutto, quella giudiziaria di Silvio Berlusconi.

C’è quasi da chiedersi se vi sia qualche “cattivo maestro” italiano a far da consulente a chi sta cercando di usare la magistratura come strumento politico anche in Stati Uniti.

In Stati Uniti, però, le radici democratiche e la fiducia nella necessità di scindere il ruolo politico da quello giudiziario sono molto più profonde.

Questo si comprende nel prendere atto dello scetticismo dei nove membri della Corte Suprema americana ad accogliere positivamente la sentenza della Corte del Colorado che dichiara ineleggibile il Presidente Trump proprio a causa delle vicende di Capitol Hill.

Due dei tre giudici nominati da Obama alla Alta Corte, Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson, hanno dichiarato, infatti, che “permettere ad uno stato di decidere chi può candidarsi per una carica nazionale è un pericoloso precedente da evitare”.

La giudice Kagan, in particolare, ha ampliato la propria preoccupazione al fatto che “consentendo al Colorado di rimuovere Trump dal ballottaggio si creerebbe un precedente pericoloso nel conferire ai singoli Stati un potere straordinario che permetterebbe ad un singolo Stato di influenzare le elezioni nazionali”.

La giudice Kagan ha continuato dichiarando che “pur continuando a ritenere che il Presidente Trump sia responsabile di quell’assalto alla sede del Congresso americano, la Costituzione non autorizza un singolo Stato ad escludere un candidato per la presidenza federale degli Stati Uniti” ed ancora “sarà compito del Parlamento, nel caso lo ritenesse, di attivare una procedura di impeachment nei confronti del neo eletto, se dovesse vincere le future elezioni presidenziali, Presidente Trump per quanto avvenne il 6 gennaio 2021”.

Lezione alta di cultura democratica!

A causa di questa molti iniziano ad essere assai convinti che fermare la corsa vincente del leader repubblicano sia, oramai, impossibile.

“La protesta del 6 gennaio a Capitol Hill fu pacifica e patriottica” ha detto l’inquilino di Mar a Lago dopo l’udienza della Corte Suprema che molto probabilmente produrrà la sentenza entro il Super Tuesday del 5 marzo.

Anche questo è un messaggio chiaro e forte.

Quel martedì 15 stati voteranno per le primarie e il mondo, non solo gli statunitensi, saprà chi correrà a novembre per i repubblicani e, a guardare i sondaggi, questi vincerà le presidenziali.

La Corte Suprema visse un momento in cui fu chiamata a decidere chi avrebbe governato gli Stati Uniti nel 2000 allorquando annullò il riconteggio dei voti in Florida determinando la vittoria di Bush contro Gore.

L’opinione pubblica, in quell’occasione, ritenne la decisione della Corte Suprema una sentenza politica, per cui lontana da quella terzietà che la Costituzione americana garantisce ai membri della Corte attraverso la nomina a vita.

Anche nel 2022 una sentenza dell’alta corte fu ritenuta politica allorquando essa rovesciò la sentenza Roe contro Wade in ordine al diritto costituzionale ad abortire.

In questa occasione, da quel che si apprende dai media, sembrerebbe veramente che la Alta Corte voglia tenere al centro il dettato costituzionale a prescindere dalle opinioni che i singoli membri hanno sia sulla vicenda di Capitol Hill sia sulla figura del Presidente Trump.

Dovesse confermassi questo noi cittadini occidentali tutti non potremmo che esserne lieti, una sentenza basata esclusivamente sul diritto e non sulla ideologia politica sarebbe una lezione per molti, anche magistrati, nel mondo.

Allo stesso tempo tutto questo sta aprendo degli scenari particolarmente interessanti sul fronte democratico americano.

Mentre fino a pochi giorni fa nei salotti dei bene informati si sentiva sempre più spesso parlare di Michelle Obama come candidata democratica alle presidenziali del 2024, gli stessi salotti oggi iniziano con forza a ritenere la candidatura della consorte dell’ex presidente degli Stati Uniti come improbabile.

La motivazione è chiara, il presidente Trump è ritenuto un avversario “non affrontabile” perché amato e “voluto” da una gran parte del popolo americano e la famiglia Obama non ama rischiare di perdere.

Anche da questo cambio di orientamento si può facilmente comprendere che la possibilità che il mondo tutto, la nostra Italia forse più di altri, dovrà confrontarsi nuovamente con il Presidente Trump è sempre più vicina.

Un uomo che in questi quattro anni ha dovuto lottare come una belva per difendersi da attacchi di ogni genere.

Un uomo che in questi quattro anni ha dovuto accettare di subire molte umiliazioni che reputa totalmente dovute a quei brogli che lui è certo ci siano stati.

Un uomo che in questi quattro anni ha dovuto vedere il suo popolo soffrire ed impoverirsi a causa di una leadership alla Casa Bianca che lui ritiene inetta.

Un uomo che in questi quattro anni ha dovuto vedere suoi amici e sostenitori subire processi, andare in carcere, essere ghettizzati, per il solo fatto di non averlo abbandonato e tradito dopo il 2020.

Un uomo che in questi quattro anni, proprio da tutta questa sofferenza, ha imparato molto e, lo si vede facilmente seguendolo, vuole tornare per mettere le cose a posto.

Tutte a posto, al loro posto.

Ovunque.

Ignoto Uno

 

Ettore Lembo News