‘Come Cristo Comanda’

‘Come Cristo Comanda’ – Dalla commedia al dramma in
scena al Teatro Vittoria il tragico spettacolo della Croce.
Un capolavoro che ispira e commuove
“Come Cristo Comanda”, un capolavoro teatrale in scena fino alle 13
Aprile al teatro Vittoria di Roma, scritto e magistralmente
interpretato da Michele La Ginestra in coppia con un magnetico e
toccante Massimo Wertmüller che trasporta lo spettatore moderno
nella drammatica cornice del Vangelo di Luca, dove la croce non è
solo un simbolo ma un “palcoscenico eterno”, proprio come nella
narrazione evangelica, dove la folla diventa partecipe del “tragico
spettacolo” di Gesù crocifisso.
Un capolavoro teatrale dove si vivono emozioni intense che
travolgono, coinvolgono e accompagnano il pubblico (la folla,
“…tutti quelli che erano convenuti per assistere allo spettacolo…” –
Luca 23,48a) insieme agli attori, in un vero e proprio viaggio
spirituale che passa dal dubbio alla fede, invitando – senza imporre –
a riflettere sulla giustizia, sulla colpa collettiva e sulla possibilità di
redenzione, ognuno di noi testimone e protagonista oggi come
allora, di una meditazione senza tempo, capace di “contemplare” la
scena con interesse e turbamento.
Un atto unico con due soli protagonisti, Cassio e Stefano due
centurioni romani segnati dalla crocifissione e resurrezione di Cristo,
interpretati rispettivamente da Massimo Wertmüller e Michele La
Ginestra, uomo di grande cultura e profondità d’animo il primo, che
intraprende un intenso viaggio interiore che lo conduce a scoprire
un universo di amore e giustizia ispirato dalle parole e dalla figura di
Gesù, al contrario il tipico secondo soldato romano scanzonato,
ironico e opportunista in netto contrasto rispetto alla profondità
riflessiva di Cassio ma che nonostante l’apparente superficialità con
cui sembra affrontare la vita, svela tutta la personale e universale
fragilità dell’animo umano eternamente impegnato nell’intimo
realistico conflitto tra dubbi, inquietudini e contraddizioni.
Due attori, due “giganti”, che riescono incredibilmente attraverso
una straordinaria capacità recitativa ed interpretativa, tanto leggera
quanto intensa, tanto poetica, quanto emozionante, tanto ironica
quanto drammatico, a conquistare e sorprendere il pubblico per la
inattesa capacità di trasformare gradualmente la narrazione che
evolvere con ritmo e naturalezza in un crescendo emotivo, passando
dalla comicità “romanesca” che strappa sorrisi quando si dialoga su
argomenti comuni come il cibo, il lavoro e il rapporto con l’altro
sesso, al dramma intenso, profondo, struggente e ancor più
commovente della Passione di Cristo, regalando un’esperienza
teatrale completa e indimenticabile, capace di parlare al cuore e alla
mente.
L’uso sapiente della comicità iniziale, verace, colorita ma mai
volgare, permette agli spettatori di aprirsi emotivamente e
connettersi empaticamente con i personaggi, ritrovandosi immersi,
senza renderesene conto, in una riflessione su temi universali,
inclusivi ed eternamente attuali come la fede, la giustizia, il bene, la
la pace, l’uguaglianza, la spiritualità, permettendo perfino di stimolare
un confronto tra credenti e non credenti.
Stupisce e smarrisce l’essenzialità con cui l’autore, il regista (il
talentuoso Roberto Marafante) e gli artisti riescano a trasmettere
solo con la potenza dei testi e del dialogo e il misurato gioco di luci,
parole e silenzi, la solennità della sofferenza di Cristo in croce in
quell’immortale giorno del 33 dC, senza la necessità di aggiungere
ulteriori elementi scenici e attoriali che possono richiamare alla
mente il dramma struggente della Passione, la crudeltà e la cruenza
di tutti quei passaggi (dall’arresto di Gesù, .al processo davanti a
Pilato, dalle falsità delle accuse al tradizione di chi lo avrebbe
dovuto sostenere, dal martirio fisico e spirituale della flagellazione
alla spietata crocifissione, dallo straziante dolore di Maria
all’amorevole consolazione della Madre da parte del Figlio,
dall’atroce agonia del corpo alla disperata ricerca del Padre, dal
rassegnato abbandono alla morte, all’amorevole atto del perdono,
alla resurrezione).
Incanta e rapisce anche la voce angelica di Ilaria Nestovito, che
assumere un ruolo fondamentale nella narrazione, trasformando gli
eterei ingressi in scena nelle diverse vesti di vecchio, straniero e
angelo e le mistiche melodie dalla stessa intonate, in suoni soavi
che perseguitano Cassio nel sonno e nella veglia non come
elemento di disturbo ma come un richiamo divino, trascinando con
potenza il centurione romano inizialmente proposto di seguire
l’esecuzione di Cristo, verso un profondo viaggio di trasformazione
interiore e redenzione, portandolo a rinnegare il ruolo di soldato
indurito dalla violenza ea trasformarsi in un uomo profondamente
umano e illuminato dalla verità di Gesù, lacerato dal rimorso
avendone riconosciuta e compresa la divinità proprio nel momento
del trapasso, lui quasi cieco, miracolosamente guarito dallo stesso
sangue di Cristo schizzatogli negli occhi dalla ferita infertagli nel
costato con la sua stessa lancia, lui Cassio Longino, che insieme al
il compagno Stefano posti da Pilato a custodia del Sepolcro, avrebbe
addirittura assistito alla resurrezione del Nazareno.
“Come Cristo Comanda” non è solo un’opera teatrale, ma è quasi un
affresco, è come quell’affresco monumentale “La Crocifissione di
Gesù Cristo” di Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone,
realizzato tra il 1520 e il 1521 nella Cattedrale di Santa Maria
Assunta di Cremona, in cui la scena caratterizzata da un dinamico
scorcio prospettico e un cielo oscuro, rappresenta e racconta con
immagini di un’intensità potente e disarmante, tutto il dramma del
Calvario con Gesù in croce, la terra, squarciata dal sisma descritto
nel Vangelo di Matteo, un’umanità divisa in due, quella redenta
rappresentata dalla Vergine svenuta e dal buon ladrone e quella
dannata incarnata dal soldato che spezza le gambe al cattivo
ladrone. Una scena incredibilmente dominata dalla figura centrale
del centurione, proprio quel Cassio Longino che in sella al suo
cavallo, mostra un’espressione di pentimento sincero, la volontà di
convinta conversione che attraverso le memorabili frasi “Veramente
quest’uomo era il Figlio di Dio”, “Veramente quest’uomo era giusto”,
avrebbe segnato per l’umanità intera l’inizio di un profondo
cambiamento spirituale.
E come il Pordenone con la sua tecnica pittorica innovativa, così
anche Michele La Ginestra e Massimo Wertmüller con la loro
straordinaria arte recitativa capace di mescolare diversi registri
narrativi, riescono a creare un effetto turbinoso che lo coinvolge
spettatore, proiettandolo nel cuore della scena, virtualmente
affollata di personaggi estremamente vivi e autentici, dei quali si
riesce a cogliere e catturare ogni profondità emotiva come le
sfumature di ogni tormento interiore.
Ed è così che ci ritroviamo immersi nei suoni e nei colori di quella
folla variegata e senza confini temporali che si raccoglie sul Golgota
sotto la croce di Cristo; è così che riusciamo a scorgere i tanti volti
segnati dalla disperazione, deturpati dal peso del peccato, avvolti da
un’inconsapevole indifferenza; è così che riusciamo a cogliere lo
straziante e composto dolore di Maria che nel suo cuore immacolato,
accompagna il Figlio fino alla fine con un atto di partecipazione e
con l’accettazione fiduciosa della volontà di Dio. E’ così che
riusciamo a vedere Gesù in tutta la sua presenza tangibile fino al
momento della morte, con Cassio e Stefano che ricordano il suo
ultimo respiro, il suo sguardo che abbraccia il mondo e il modo in
cui la natura stessa sembra ribellarsi: il buio, il terremoto, il senso
di smarrimento che travolge chiunque si trovi lì.
L’intensità della poetica del testo di Michele La Ginestra e la bravura
dei protagonisti, è insomma un esempio straordinario di come il
il linguaggio teatrale e l’interpretazione artistica possono intrecciarsi,
amalgamarsi e perfino sostituirsi all’immagine, creando suggestioni
ed emozioni uniche e potenti. Un testo scritto di getto, come
sottolinea lo stesso autore, nello stile dell’amato Maestro Gigi Magni,
il cantore della Roma Papalina, cercando di utilizzare quel linguaggio
mordace e ironico tipico del grande regista, sempre valorizzato dal
dialetto e dalla cultura romana, per riuscire ad affrontare ed
attualizzare con leggerezza e incisività temi profondi e universali,
anche i più drammatici, combinando l’umorismo con la profondità
emotiva per fornire allo spettatore una chiave di lettura accessibile
ma al contemporaneo impegnativa e mai banale.
Colpisce in particolare la delicatezza dei dialoghi e la sobrietà
recitativa degli attori che riescono ad esprimere in maniera esplicita
ma mai macabra e angosciante, anche i momenti più tragici degli
eventi, probabilmente proprio per il grande rispetto per la solennità
del Cristo che sembra essere sempre presente in scena, in una
penombra illuminata da una luce quasi lunare, quasi a
materializzarne il corpo, dargli volume e lasciarlo librare oltre i
confini del palcoscenico.
L’ambientazione drammatica ei temi universali dello spettacolo
richiamano inoltre la spiritualità che caratterizza la celebrazione
della Pasqua (la passione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo),
rendendo “Come Cristo comanda” un’occasione più che perfetta per
essere visto proprio in concomitanza con l’attuale Tempo Pasquale
della Chiesa Cattolica.
Un’opportunità per concedersi e regalarsi un’esperienza teatrale
capace di emozionare, ispirare e invitare alla riflessione su temi che
toccano il cuore e arricchiscono la mente, stimolandoci ad un
esercizio spirituale che aiuti a superare i nostri conflitti interiori tra il
Dovere e la fede, tra il tormento del dubbio e la ricerca della
certezza.
Vale la pena riportare le parole di Papa Giovanni Paolo II in un
Angelus pre-Pasquale del 12 marzo 1989. Soffermandosi proprio sul
quinto mistero doloroso del santo rosario “Gesù muore in Croce” il
Santo Padre ricordava che “Il sacrificio di Cristo è il più alto modello
di ogni martirio. É la più sublime scuola d’amore: nel dolore, Gesù
cerca di scusare chi lo fa soffrire e ricambia il male con il bene.
Cristina Ciferri
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