Aprile 24, 2025
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‘Come Cristo Comanda’ – Dalla commedia al dramma in

scena al Teatro Vittoria il tragico spettacolo della Croce.

Un capolavoro che ispira e commuove

“Come Cristo Comanda”, un capolavoro teatrale in scena fino alle 13

Aprile al teatro Vittoria di Roma, scritto e magistralmente

interpretato da Michele La Ginestra in coppia con un magnetico e

toccante Massimo Wertmüller che trasporta lo spettatore moderno

nella drammatica cornice del Vangelo di Luca, dove la croce non è

solo un simbolo ma un “palcoscenico eterno”, proprio come nella

narrazione evangelica, dove la folla diventa partecipe del “tragico

spettacolo” di Gesù crocifisso.

Un capolavoro teatrale dove si vivono emozioni intense che

travolgono, coinvolgono e accompagnano il pubblico (la folla,

“…tutti quelli che erano convenuti per assistere allo spettacolo…” –

Luca 23,48a) insieme agli attori, in un vero e proprio viaggio

spirituale che passa dal dubbio alla fede, invitando – senza imporre –

a riflettere sulla giustizia, sulla colpa collettiva e sulla possibilità di

redenzione, ognuno di noi testimone e protagonista oggi come

allora, di una meditazione senza tempo, capace di “contemplare” la

scena con interesse e turbamento.

Un atto unico con due soli protagonisti, Cassio e Stefano due

centurioni romani segnati dalla crocifissione e resurrezione di Cristo,

interpretati rispettivamente da Massimo Wertmüller e Michele La

Ginestra, uomo di grande cultura e profondità d’animo il primo, che

intraprende un intenso viaggio interiore che lo conduce a scoprire

un universo di amore e giustizia ispirato dalle parole e dalla figura di

Gesù, al contrario il tipico secondo soldato romano scanzonato,

ironico e opportunista in netto contrasto rispetto alla profondità

riflessiva di Cassio ma che nonostante l’apparente superficialità con

cui sembra affrontare la vita, svela tutta la personale e universale

fragilità dell’animo umano eternamente impegnato nell’intimo

realistico conflitto tra dubbi, inquietudini e contraddizioni.

Due attori, due “giganti”, che riescono incredibilmente attraverso

una straordinaria capacità recitativa ed interpretativa, tanto leggera

quanto intensa, tanto poetica, quanto emozionante, tanto ironica

quanto drammatico, a conquistare e sorprendere il pubblico per la

inattesa capacità di trasformare gradualmente la narrazione che

evolvere con ritmo e naturalezza in un crescendo emotivo, passando

dalla comicità “romanesca” che strappa sorrisi quando si dialoga su

argomenti comuni come il cibo, il lavoro e il rapporto con l’altro

sesso, al dramma intenso, profondo, struggente e ancor più

commovente della Passione di Cristo, regalando un’esperienza

teatrale completa e indimenticabile, capace di parlare al cuore e alla

mente.

L’uso sapiente della comicità iniziale, verace, colorita ma mai

volgare, permette agli spettatori di aprirsi emotivamente e

connettersi empaticamente con i personaggi, ritrovandosi immersi,

senza renderesene conto, in una riflessione su temi universali,

inclusivi ed eternamente attuali come la fede, la giustizia, il bene, la

la pace, l’uguaglianza, la spiritualità, permettendo perfino di stimolare

un confronto tra credenti e non credenti.

Stupisce e smarrisce l’essenzialità con cui l’autore, il regista (il

talentuoso Roberto Marafante) e gli artisti riescano a trasmettere

solo con la potenza dei testi e del dialogo e il misurato gioco di luci,

parole e silenzi, la solennità della sofferenza di Cristo in croce in

quell’immortale giorno del 33 dC, senza la necessità di aggiungere

ulteriori elementi scenici e attoriali che possono richiamare alla

mente il dramma struggente della Passione, la crudeltà e la cruenza

di tutti quei passaggi (dall’arresto di Gesù, .al processo davanti a

Pilato, dalle falsità delle accuse al tradizione di chi lo avrebbe

dovuto sostenere, dal martirio fisico e spirituale della flagellazione

alla spietata crocifissione, dallo straziante dolore di Maria

all’amorevole consolazione della Madre da parte del Figlio,

dall’atroce agonia del corpo alla disperata ricerca del Padre, dal

rassegnato abbandono alla morte, all’amorevole atto del perdono,

alla resurrezione).

Incanta e rapisce anche la voce angelica di Ilaria Nestovito, che

assumere un ruolo fondamentale nella narrazione, trasformando gli

eterei ingressi in scena nelle diverse vesti di vecchio, straniero e

angelo e le mistiche melodie dalla stessa intonate, in suoni soavi

che perseguitano Cassio nel sonno e nella veglia non come

elemento di disturbo ma come un richiamo divino, trascinando con

potenza il centurione romano inizialmente proposto di seguire

l’esecuzione di Cristo, verso un profondo viaggio di trasformazione

interiore e redenzione, portandolo a rinnegare il ruolo di soldato

indurito dalla violenza ea trasformarsi in un uomo profondamente

umano e illuminato dalla verità di Gesù, lacerato dal rimorso

avendone riconosciuta e compresa la divinità proprio nel momento

del trapasso, lui quasi cieco, miracolosamente guarito dallo stesso

sangue di Cristo schizzatogli negli occhi dalla ferita infertagli nel

costato con la sua stessa lancia, lui Cassio Longino, che insieme al

il compagno Stefano posti da Pilato a custodia del Sepolcro, avrebbe

addirittura assistito alla resurrezione del Nazareno.

“Come Cristo Comanda” non è solo un’opera teatrale, ma è quasi un

affresco, è come quell’affresco monumentale “La Crocifissione di

Gesù Cristo” di Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone,

realizzato tra il 1520 e il 1521 nella Cattedrale di Santa Maria

Assunta di Cremona, in cui la scena caratterizzata da un dinamico

scorcio prospettico e un cielo oscuro, rappresenta e racconta con

immagini di un’intensità potente e disarmante, tutto il dramma del

Calvario con Gesù in croce, la terra, squarciata dal sisma descritto

nel Vangelo di Matteo, un’umanità divisa in due, quella redenta

rappresentata dalla Vergine svenuta e dal buon ladrone e quella

dannata incarnata dal soldato che spezza le gambe al cattivo

ladrone. Una scena incredibilmente dominata dalla figura centrale

del centurione, proprio quel Cassio Longino che in sella al suo

cavallo, mostra un’espressione di pentimento sincero, la volontà di

convinta conversione che attraverso le memorabili frasi “Veramente

quest’uomo era il Figlio di Dio”, “Veramente quest’uomo era giusto”,

avrebbe segnato per l’umanità intera l’inizio di un profondo

cambiamento spirituale.

E come il Pordenone con la sua tecnica pittorica innovativa, così

anche Michele La Ginestra e Massimo Wertmüller con la loro

straordinaria arte recitativa capace di mescolare diversi registri

narrativi, riescono a creare un effetto turbinoso che lo coinvolge

spettatore, proiettandolo nel cuore della scena, virtualmente

affollata di personaggi estremamente vivi e autentici, dei quali si

riesce a cogliere e catturare ogni profondità emotiva come le

sfumature di ogni tormento interiore.

Ed è così che ci ritroviamo immersi nei suoni e nei colori di quella

folla variegata e senza confini temporali che si raccoglie sul Golgota

sotto la croce di Cristo; è così che riusciamo a scorgere i tanti volti

segnati dalla disperazione, deturpati dal peso del peccato, avvolti da

un’inconsapevole indifferenza; è così che riusciamo a cogliere lo

straziante e composto dolore di Maria che nel suo cuore immacolato,

accompagna il Figlio fino alla fine con un atto di partecipazione e

con l’accettazione fiduciosa della volontà di Dio. E’ così che

riusciamo a vedere Gesù in tutta la sua presenza tangibile fino al

momento della morte, con Cassio e Stefano che ricordano il suo

ultimo respiro, il suo sguardo che abbraccia il mondo e il modo in

cui la natura stessa sembra ribellarsi: il buio, il terremoto, il senso

di smarrimento che travolge chiunque si trovi lì.

L’intensità della poetica del testo di Michele La Ginestra e la bravura

dei protagonisti, è insomma un esempio straordinario di come il

il linguaggio teatrale e l’interpretazione artistica possono intrecciarsi,

amalgamarsi e perfino sostituirsi all’immagine, creando suggestioni

ed emozioni uniche e potenti. Un testo scritto di getto, come

sottolinea lo stesso autore, nello stile dell’amato Maestro Gigi Magni,

il cantore della Roma Papalina, cercando di utilizzare quel linguaggio

mordace e ironico tipico del grande regista, sempre valorizzato dal

dialetto e dalla cultura romana, per riuscire ad affrontare ed

attualizzare con leggerezza e incisività temi profondi e universali,

anche i più drammatici, combinando l’umorismo con la profondità

emotiva per fornire allo spettatore una chiave di lettura accessibile

ma al contemporaneo impegnativa e mai banale.

Colpisce in particolare la delicatezza dei dialoghi e la sobrietà

recitativa degli attori che riescono ad esprimere in maniera esplicita

ma mai macabra e angosciante, anche i momenti più tragici degli

eventi, probabilmente proprio per il grande rispetto per la solennità

del Cristo che sembra essere sempre presente in scena, in una

penombra illuminata da una luce quasi lunare, quasi a

materializzarne il corpo, dargli volume e lasciarlo librare oltre i

confini del palcoscenico.

L’ambientazione drammatica ei temi universali dello spettacolo

richiamano inoltre la spiritualità che caratterizza la celebrazione

della Pasqua (la passione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo),

rendendo “Come Cristo comanda” un’occasione più che perfetta per

essere visto proprio in concomitanza con l’attuale Tempo Pasquale

della Chiesa Cattolica.

Un’opportunità per concedersi e regalarsi un’esperienza teatrale

capace di emozionare, ispirare e invitare alla riflessione su temi che

toccano il cuore e arricchiscono la mente, stimolandoci ad un

esercizio spirituale che aiuti a superare i nostri conflitti interiori tra il

Dovere e la fede, tra il tormento del dubbio e la ricerca della

certezza.

Vale la pena riportare le parole di Papa Giovanni Paolo II in un

Angelus pre-Pasquale del 12 marzo 1989. Soffermandosi proprio sul

quinto mistero doloroso del santo rosario “Gesù muore in Croce” il

Santo Padre ricordava che “Il sacrificio di Cristo è il più alto modello

di ogni martirio. É la più sublime scuola d’amore: nel dolore, Gesù

cerca di scusare chi lo fa soffrire e ricambia il male con il bene.

Cristina Ciferri

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