ANCODIS: i Vicepresidi lavorano, eccome!

Riceviamo e con piacere pubblichiamo un interessante sondaggio svolto da ANCODIS (l’associazione nazionale dei vicepresidi) riguardante il lavoro svolto dai Vicepresidi nelle scuole Italiane.

Per quanto ci riguarda, visto che conosciamo molto bene il mondo della scuola (Betapress per tramite della sua casa editrice collabora con molte scuole italiane su progetti di formazione, realizzazione collane editoriali, Privacy, etc.), non avevamo dubbi sulla quantità e qualità del lavoro svolto dalle figure della scuola, in particolare dai Vicepresidi, ma ben venga un sondaggio che definisca meglio gli impegni e le attività che questi professionisti fanno ogni giorno.

Unico punto che ci permettiamo di aggiungere, perché nel questionario non lo abbiamo ben identificato, è l’attività di mediazione con docenti, genitori, alunni, ATA, fornitori, che i Vicepresidi fanno giornalmente, togliendo spesso rogne al Dirigente senza nemmeno che lui lo sappia, sorbendosi ore di lamentele per ferie non ricevute, alunni rimandati, paghe basse, compensi in ritardo, materiale non idoneo, manca la carta, mancano le penne, lui pulisce meno di me, loro hanno un orario più bello, oggi piove e ieri c’era il sole…

Insomma il Vicepreside spesso è “l’angelo del focolare”, quella figura che a volte deve esistere anche solo per permettere agli altri di sfogarsi…

Ma ora lasciamo la parola agli amici di Ancodis:

ANCODIS: incarichi, mansioni, servizio e riconoscimento economico dei Collaboratori dei DS nell’anno scolastico 2017-2018.

 Nel corso dell’anno scolastico 2017-2018, ANCODIS ha proposto due questionari online con lo scopo – attraverso il primo – di rilevare incarichi e mansioni svolte dai Collaboratori su delega dei DS nelle loro I.S. e, con il secondo, di dare una concreta definizione del loro lavoro in relazione alla governance nella scuola di servizio, al tempo dedicato alla collaborazione ed, in ultimo, al riconoscimento economico assegnato in sede di contrattazione di istituto.

Il primo è stato proposto nella prima parte dell’anno scolastico e sono state monitorate in modo puntuale le principali azioni nelle quali i Collaboratori hanno dato un diretto contributo sia nella fase programmatica che in quella esecutiva (dalla redazione dei documenti strategici, alla organizzazione del servizio scolastico, alla sicurezza).

Una prima osservazione ha riguardato le Mansioni assunte nella redazione dei documenti e nel coordinamento organizzativo attraverso la partecipazione diretta alla stesura dei principali Documenti che ogni I.S. è impegnata a redigere e delle azioni necessarie alla pianificazione e svolgimento del servizio scolastico.

In particolare, il 65% ha dichiarato di aver avuto un ruolo nella progettazione ed organizzazione dei PON, il 78% nella redazione del RAV, il 67% nella elaborazione del PTOF ed il 73% nel Piano di miglioramento. Inoltre, il 44% dei Collaboratori ha assunto impegni nell’organizzazione delle prove INVALSI, il 65% nella redazione dell’Orario Scolastico, il 62% nella Formazione delle classi, il 68% nella progettazione ed esecuzione del Piano di formazione del personale ed, infine, il 72% nella redazione del Piano annuale delle attività.

Per quanto riguarda il monitoraggio del servizio prestato attraverso le Responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo degli OO.CC., i Collaboratori hanno assunto ruoli specifici attraverso la Redazione dei verbali, la funzione di Segretario, l’incarico di Coordinamento.

Il 78% ha dichiarato di essere stato impegnato nel coordinamento di commissioni interne alla propria I.S., il 58% è componente del Consiglio di Istituto; infine, l’89% è stato impegnato nella organizzazione e nella pianificazione delle sedute di Collegio.

Un’altra azione di intervento investigata ha riguardato il supporto alle attività amministrative con le Responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo accanto al personale ATA.

Gran parte dei Collaboratori sono stati impegnati nelle procedure di Iscrizione degli alunni (68%), nelle procedure di Adozione dei libri di testo (63%), il 72% ha dichiarato di essere stato impegnato in quelle relative agli Esami di Stato (1° e 2° grado), nelle procedure relative all’ASL (58%) ed, infine, nella redazione dei Bandi interni (51%).

Il tema della sicurezza a scuola e della tutela della salute ha interessato i Collaboratori nei seguenti ruoli: Incaricato SPP con il 23%, Responsabile gestione emergenze-Ordine di evacuazione con il 76% ed, infine, Responsabile gestione emergenze-Chiamate di soccorso con il 45% dei rispondenti.

In relazione, infine, alla Partecipazione a RETI di scopo e/o di ambito, nello Svolgimento di particolari incarichi organizzativi in reti di scuola di cui è componente l’istituzione scolastica il 58% dei rispondenti ha svolto Attività di coordinamento.

Il secondo questionario proposto al temine dell’anno scolastico 2017-2018 è stato invece finalizzato al rilevamento di tutti quei dati utili a definire le condizioni di lavoro del Collaboratore del DS in modo tale da poter determinare una “identità professionale” necessaria alla elaborazione di un percorso dialettico e contrattuale nei confronti delle altre categorie del mondo della scuola.

In premessa al questionario, al fine di dare una precisa indicazione delle caratteristiche della I.S. di servizio, è stato chiesto di dichiarare tre informazioni di carattere logistico e cioè numero di plessi, numero di comuni interessati e distanza dalla sede centrale.

E’ stato rilevato che il 26% ha lavorato in I.S. con un numero di plessi minore di 3, il 27% con un numero compreso tra 3 e 5 ed, infine, il 47% in una I.S. con un numero maggiore di 5 plessi.

Per quanto riguarda il numero di comuni interessati il 75% ha dichiarato di essere presente in un solo comune, il 13% su meno di 3 comuni, l’8% su un numero di comuni compresi tra 3 e 5 ed, infine, il 5% su un numero di comuni maggiore di 5.

Ai Collaboratori operanti in I.S. con plessi su più comuni, è stata chiesta la distanza dei plessi dalla sede centrale e l’80% ha risposto meno di 30 km, il 15% ha dichiarato una distanza massima tra 30 e 50 km ed il 5% una distanza superiore a 50 km.

Con la domanda Qual è stato il tuo ruolo, si è rilevato che il 72% ha svolto l’incarico di 1° Collaboratore, il 18% quello di 2° Collaboratore ed il 10% quello di Responsabile di Plesso con un’anzianità di servizio nell’incarico assunto minore di 3 anni per il 21%, tra 3 e 8 anni per il 47 %, tra 8 e 12 anni per il 19% ed, infine, oltre 12 anni per il 13% dei rispondenti.

Alla domanda Hai svolto la tua funzione in una I.S. con DS titolare o reggente, il 78% ha risposto di aver lavorato con un DS titolare mentre il 22% con DS reggente che è stato presente nella I.S. meno di 2 giorni a settimana per il 60% e tra 2 e 3 giorni per il 40%.

Inoltre, il 94% dichiara di aver lavorato in una I.S. con DSGA titolare, mentre il 6% con DSGA reggente presente a scuola meno di 2 giorni per il 47% e tra 2 e 3 giorni per il 53%.

Per quanto riguarda le condizioni di servizio, i Collaboratori hanno dichiarato che nello svolgimento dell’incarico il 17% è stato con esonero totale, il 35% con esonero parziale ed il 48% senza esonero.

Di norma, per lo svolgimento dell’incarico oltre le ore di servizio contrattuale – in orario antimeridiano – il 16% ha espletato meno di 10 ore settimanali, il 54% tra 10 e 20 ore ed il 30% oltre 20 ore alla settimana mentre – in orario pomeridiano – il 26% ha dichiarato di lavorare meno di 10 ore, il 44% tra le 10 e 20 ore settimanali ed il 30% di superare le 20 ore settimanali.

Infine, alla domanda Sulla base della vigente contrattazione di istituto, qual è stato il tuo riconoscimento economico annuale lordo, a fronte di un servizio reso come rilevato in precedenza, il 18% ha dichiarato di avere avuto riconosciuto meno di 1000 E/annue, il 51% riceverà tra 1000 e 2000 E, il 28% tra 2000 e 4000 E/annue ed appena il 3% ha superato il 4000 E.

Ovviamente i due questionari NON hanno la pretesa di avere i caratteri dell’indagine statistica né quella di descrivere scientificamente e con dati rigorosi il lavoro dei Collaboratori ma – dalla comparazione dei due questionari – si comprende bene una condizione di docenti che rappresentano una presenza numerosa e qualificata nel sistema scolastico italiano (pari ai quadri intermedi dei settori privati), svolgono incarichi e mansioni apicali, assumono responsabilità, coordinano attività strategiche, sono impegnati – oltre l’orario contrattuale – per diverse ore con un riconoscimento annuale lordo certamente non commisurabile alla qualità e quantità del servizio reso alla propria Istituzione Scolastica.

I Collaboratori dei DS – sulla base degli incarichi, delle mansioni svolte e dei tempi dedicati – meritano un’attenzione da parte dello Stato Italiano e delle OO.SS. poiché sono professionisti che hanno dato e continueranno a dare un importante contributo alla gestione ed organizzazione scolastica in termini di esperienza e di competenza acquisita in diversi anni di servizio, rappresentano spesso la memoria storica della loro I.S., rivendicano semplicemente il diritto ad avere riconosciuto questo importante ruolo nella carriera professionale, in un innovato CCNL che istituisca i quadri intermedi riconoscendone funzioni, mansioni, responsabilità e carichi di lavoro, in una visione moderna di sistema scolastico da tanti dichiarata ma ancora non posta in un tavolo di discussione che definisca modalità di accesso, permanenza, competenze e responsabilità.

Non vogliamo continuare ad essere i dimenticati dal MIUR e dalle OO.SS; non vogliamo continuare ad essere considerati i privilegiati del sistema scolastico italiano!

Vogliamo semplicemente esistere in un quadro normativo e contrattuale che riconosca l’importanza e la qualità del nostro lavoro; chiediamo con determinazione di entrare a pieno titolo nel sistema di valutazione di ciascuna scuola in considerazione del fatto che i risultati sono conseguiti anche per la presenza, l’impegno e la fatica dei Collaboratori dei DS; auspichiamo, infine, la meritata attenzione delle forze politiche e di quanti – Rappresentanti nelle Istituzioni provenienti dal mondo della scuola – sono a conoscenza del ruolo e dell’importanza del nostro lavoro nelle scuole italiane.

Signor Ministro, Signori Presidenti della VII Commissione di Camera e Senato,

siamo docenti che contribuiscono in modo significativo al raggiungimento degli obiettivi e delle finalità di ogni I.S. ed esercitiamo con alto senso di appartenenza e di responsabilità gli incarichi affidati dai DS con continuità per ogni anno scolastico!

E’ il momento per fare emergere questa iniquità nel sistema scolastico italiano!

Non è più il tempo del silenzio…..A ciascuno il suo!            

 

Prof. Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo




Fare squadra rende squadra!

Da sempre amo la Politica, quella con la P maiuscola, quella del confronto delle idee per trovare la soluzione migliore, quella dove la somma delle persone e dei contenuti, anche i più diversi, è molto di più della semplice somma aritmetica.

Allo stesso modo, non sono mai stato particolarmente interessato a tutto ciò che si ricomprende in urla, insulti, antagonismo, polemica e critiche fine a se stesse, volte a screditare o distruggere.

Non penso di avere titolo per criticare una persona, chi mi conosce sa che non si tratta di modestia o falsa modestia, mi permetto invece di criticare esclusivamente, talvolta anche in modo molto deciso, le azioni compiute.

Ho le mie idee, mi ritengo liberale e moderato; moderato, giusto per fare chiarezza, non significa “mollo”, ricordando una divertente quanto famosa conferenza stampa di un allenatore di calcio.

Quello che abbiamo letto, visto e sentito in questi giorni però non si può proprio leggere, vedere e sentire.

A Tarragona, in Spagna, si sono disputati i Giochi del Mediterraneo, in pratica una mini Olimpiade per i paesi che si affacciano sull’omonimo mare.

L’Italia, la rappresentativa Italiana, si è presentata con 502 atleti che si sono battuti in 31 discipline sportive e si è classificata al primo posto del medagliere con 56 medaglie d’oro e 156 totali.

Vi dirò di più, da quando esistono i Giochi del Mediterraneo, l’Italia è la nazione più vincente con ben 875 medaglie d’oro e più di 2.300 totali.

In questi giorni è apparsa da tutte le parti la foto delle ragazze che hanno vinto la 4x400mt di atletica e si è parlato del colore della loro pelle, con tanto di varie strumentalizzazioni e contro strumentalizzazioni, ma più che il colore della pelle, a mio modo di vedere, era opportuno guardare quello, azzurro Italia, della loro maglia; la stessa maglia che dovrebbero mettere tutti i politici perché chi fa politica rappresenta o si candida a rappresentare tutti noi, proprio come ogni volta che scende in campo la Nazionale.

Dallo Sport, la politica ha tanto, ma tanto, da imparare.

A cominciare dalla capacità di fare squadra; a Tarragona non pensiate che sia stata una gita, ci saranno stati sicuramente dei momenti di sconforto, delusione, difficoltà, fallimento e tensione ma io non ho visto atleti rilasciare dichiarazioni pubbliche incolpando, -magari anche a ragione- l’allenatore, l’organizzazione, gli arbitri o chicchessia.

Se è successo che abbiano esternato le loro motivazioni, l’avranno fatto ai diretti interessati.

Questo non perché non volessero vincere o mettersi al collo una medaglia in più, ci mancherebbe!

Un atleta compete sempre per vincere ma in questo caso c’era una vittoria che andava al di sopra di quella personale e hanno scelto, semplicemente, di contribuire al successo della rappresentativa.

Anche nel calcio, lo sport più conosciuto nella nostra penisola, dove tutti si sentono un po’ allenatori della nazionale, le critiche “pubbliche”, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono fatte dai diretti interessati ma, giustamente, dai commentatori.

Altro tema è quello dell’integrazione, sbandierato ovunque perché evidentemente fa ascolti e vendite, dove la politica preferisce la polemica alle soluzioni invece lo Sport l’ha già fatta e non con numeri e quote; le famose ragazze della 4×400 erano li, non per il colore della pelle o perché si sono integrate bene, ma perché scelte in base ad un criterio molto semplice: erano le più veloci per quella gara!

Cosi come chi ha fatto la staffette maschili o quelle nel nuoto, sono stati scelti sempre con lo stesso criterio. Magari qualcuno dei tanti esclusi, in cuor suo, si sentiva in grado di fare meglio, ma anche questo non l’ho letto sui giornali. Sono anche sicuro che se questo atleta avesse ragione lo leggeremo presto sui giornali, ma per i suoi successi.

Cari amici Politici, se mi permettete un consiglio, non fate i politicanti, quando c’è lo Sport, ascoltate, guardate e leggete, invece che rilasciare interviste o scrivere comunicati e post, prendete spunto e fate anche voi squadra, siate la nostra Rappresentativa Nazionale e, ve lo auguro di tutto cuore, fate come i ragazzi di Tarragona, andate a vincere le sfide che aspettano il nostro Paese, internamente, in Europa e nel Mondo!

 




Il mondo delle chat come espressione di vero dramma della solitudine

Chatto dunque sono…

Ho deciso di sperimentare, possibilmente senza giudicare, il mondo occulto e distorto dell’amore virtuale.

Ecco, ho già espresso un giudizio…

Il mio problema è che voglio capire bene il dramma vissuto da tanti che frequentano le chat, cioè che chiacchierano su Internet con persone che non conoscono personalmente e di cui non hanno neppure mai sentito il tono della voce.

Come mai quest’attività spesso crea una forte dipendenza?

Perché sull’altare di un amore virtuale, molti di noi, arrivano a compromettere quello reale? Forse perché il rapporto interpersonale che si instaura in una chat è potenzialmente perfetto, intoccato ed intoccabile, a causa del fatto che non risente delle limitazioni dovute alla conoscenza diretta (aspetto fisico, mimica, tono di voce, ecc.).

Il rapporto on-line permette una grande liberazione della fantasia, una diretta gratificazione dei propri desideri.

Chattando, si provano emozioni molto forti, perché si gioca a sperimentare (anzi, in un certo senso si vive veramente) un rapporto che è quello che avremmo sempre voluto avere, quello che ciascuno di noi ha dentro di sé, come modello ideale di rapporto.

Parlando nascosti dietro un nickname, stereotipati in un cocktail di misure fisiche ottimizzate e di interessi mentali sublimati, incasellati in un profilo di sé perfetto, ci si sente capiti, si possono condividere tante cose, si ritorna a quello stato di grazia di una “cotta” adolescenziale.

“L’amore al tempo del colera” dei nostri quattordici anni, era basato molto sulla fantasia, e non a caso, bastava una foto, una stimolazione minima, per far scattare dentro di noi quella complessa reazione psico-affettiva, che chiamavamo amore.

In effetti, prima scoperta, alcuni amano soprattutto chattare, mentre hanno resistenza ad incontrarsi, o anche solo a telefonarsi. Apparentemente questo è paradossale: se ci si piace tanto on-line, perché allora non incontrarsi, di persona? Ma questa resistenza non è contraddittoria, anzi, è razionalmente logica e psicologicamente umana.

Ed ha un nome: PAURA.

E’ la paura di conoscersi meglio, è la paura di barattare il sogno perfetto, con la realtà imperfetta, il virtuale con il reale.

Perché, più ci si conosce, più gli aspetti di realtà, necessariamente, tolgono spazio alla fantasia e limitano la possibilità di provare quei forti sentimenti che erano sbocciati dentro di noi. Infatti, quel complesso di stati affettivi, che in genere chiamiamo amore, si basa sempre su un grado di idealizzazione, di deformazione della persona amata, affinché essa rientri meglio nel modello che ci portiamo dentro. Questo è un meccanismo normale, utile al nostro adattamento e funzionamento sociale.

Dunque, ogni volta che ci innamoriamo, avviene una sorta di abbinamento tra un’immagine interna ed una esterna.

L’esterna deve, però, essere capace di evocare quella interna, perché, solo attraverso quest’evocazione, che produce il piacevole stato psico-affettivo e motivazionale, viviamo l’esperienza dell’innamoramento.

Ecco perché, così tanti, sono bisognosi di essere costantemente innamorati: per prolungare all’infinito questo stato di grazia.

Così, ho scoperto che ci sono persone che stanno benissimo solo in chat, individui che mi hanno raccontato che, mentre davanti ad uno schermo provavano un grande piacere ad aprirsi, una volta al telefono, con quella stessa persona con cui avevano chattato per giorni interi, non sapevano più cosa dire, si bloccavano, provavano imbarazzo, gelo, inibizione dei sentimenti.

Il motivo, con tutta probabilità, è che il tono della voce aumenta molto la conoscenza e quindi l’intimità, ed allora, subito, cresce la paura che quello che proviamo sia inappropriato. Il telefono è la prima “prova del nove”, il primo tentativo di tornare con i piedi per terra.

Ma è soprattutto quando ci si incontra “dal vivo”, che si è alla resa dei conti.

A quel punto, anche solo davanti un caffè, in un bar, si è maggiormente in contatto con una persona reale, e non più con quell’immagine precedentemente prodotta dalla nostra fantasia.

E, qui, viene il bello…

Amara scoperta, adesso, davanti a quella tazzina di caffè, quell’immagine non può più essere evocata con la stessa facilità.

Tutta la nostra psiche è in uno stato di allerta, adesso il nostro inconscio entra in collisione con il nostro conscio, ora bisogna “lavorarci sopra”, cioè fare un certo lavoro per adattare la nostra immagine interna alla nuova.

Prima conseguenza, la FUGA, il rinunciare alla fatica del confronto, perché, conoscersi per davvero, è faticoso.

Infatti, privata della dimensione ludica del virtuale, l’impegno di una conoscenza reale comporta dei rischi, non ultimo, quello di non riuscire più a provare le cose che provavamo prima.

Ma, questo, è il normale percorso dello sviluppo dei sentimenti: in certi casi, quando all’inizio non eravamo tanto innamorati, una conoscenza approfondita fa aumentare l’amore, mentre, se siamo già molto innamorati di una persona che conosciamo poco, può accadere che, con la conoscenza, il sentimento diminuisca o comunque si modifichi molto.

Dunque, è tutto così rischioso e deprimente in una chat? Tutti i rapporti basati prevalentemente sulla fantasia sono destinati a fallire una volta che ci si vede? Assolutamente no!!!

Possono essere delle opportunità, molto belle, per conoscere e esprimere delle emozioni che abbiamo dentro, pronte a sbocciare.

Forse, il chattare con un estraneo, è una specie di terapia domestica, di psicanalisi “fai da te”…  In una chat, si verifica un po’quello che gli addetti ai lavori chiamano transfert, cioè quell’insieme complesso e delicato di sentimenti che possono emergere nei confronti del terapeuta. Un paziente, in cura da uno psicologo, assume la consapevolezza di sé, scopre e conosce sentimenti, soprattutto come sono stati i suoi precedenti rapporti significativi (col padre, con la madre ecc.,.) di cui appunto il rapporto trans-ferale è una sorta di riedizione .

Non a caso, lo psicoanalista classico cerca di non farsi conoscere dal proprio paziente, di comportarsi in modo abbastanza anonimo, appunto per non distruggere questa potenzialità (ben sapendo che eliminare del tutto la propria influenza è impossibile).

Ed in genere, il paziente ha paura di conoscere meglio il proprio terapeuta, ad esempio, si trova a disagio se lo incontra per strada, appunto perché, inconsciamente, sa che quel suo rapporto trans-ferale è prezioso e vuole preservarlo. Il paziente difende quel rapporto perché sa che, quella relazione asettica, gli fornisce conoscenza ed esperienze importanti utili alla terapia di cui ha bisogno.

Certo, il paziente vorrebbe anche conoscere il proprio terapeuta (così come chi chatta vorrebbe conoscere la persona con cui chatta), ma questo desiderio è in conflitto con la paura di perdere quell’altra cosa, basata sulla fantasia, a cui tiene molto.

Io, in passato mi sono interessata alla psicoterapia reale, ora sono attirata da quella on line (cioè tramite Internet), e ho notato un curioso paradosso: molti psicoanalisti sono scettici verso questa nuova potenzialità di Internet, eppure non si rendono conto che la psicoterapia on line estremizza (direi quasi in modo caricaturale) proprio alcuni aspetti centrali dell’approccio psicoanalitico reale.

Infine, per chi è guarito da questa prima fase, si rimanda alla prossima puntata, ma ad onor del vero, non l’ho ancora verificata…

 

Antonella Ferrari




Le Chat: estensioni della fuga dal matrimonio…

Il tradimento virtuale, o l’amante del ventunesimo secolo…

Di recente, ho riso di gusto, quando ho visto un post su Facebook: sotto la foto del volto di un uomo pestato a sangue, si leggeva “Ecco cosa ti succederà quando tua moglie scoprirà la password del tuo cellulare”.

In effetti, penso che tra molti individui, forse più uomini che donne, ci sia l’abitudine al tradimento online, ritenendolo meno grave di quello reale, magari consumato, a pagamento, con una prostituta. Lungi da me stilare una classifica della gravità del tradimento, voglio solo suggerire un’interpretazione del tradimento virtuale. Forse, il tradire online sminuisce il tradimento in sé, lo semplifica, paradossalmente lo giustifica, come meccanismo di sopravvivenza della coppia.

Per gli appassionati delle chat d’incontri esiste, almeno all’inizio, anche la possibilità che questi amori intensi e basati sulla fantasia abbiano una funzione “difensiva”, di protezione del matrimonio già esistente.

Tutto questo rimanda all’istituzione del ruolo dell’AMANTE.

L’amante, è sempre esistito, in ogni epoca ed in ogni ambito sociale, sempre che l’unione istituzionale fosse improntata alla monogamia. L’amante era l’amore scelto dall’individuo, in opposizione a quello imposto dalla società.

Ma perché, anche oggi, che ci si sposa per amore, esiste ancora l’amante? Perché il tradimento è ancora tanto presente ed importante nella nostra società? Perché anche in un’epoca in cui non esiste più il matrimonio politico o l’unione familiare combinata, sono moltissime le persone che sentono il bisogno di tradire il proprio partner? Partner con cui liberamente hanno scelto di dividere la propria vita e di cui peraltro non riuscirebbero a fare a meno…

Bene, nella nostra epoca, il bisogno compulsivo di chattare con un estraneo, rimanda alla possibilità, sempre esistita, in tutte le epoche, di tradire il proprio partner.

Ecco perché, il CHATTARE può essere considerata una forma di tradimento, anche solo a livello di fantasia.

Gli amanti, istituzione che esiste dal tempo dei tempi, non possono essere eliminati facilmente.

Il loro amore si alimenta di segreto e di divieto. Il loro amore si rinforza sempre più, quanto più sono “amanti”, cioè clandestini.

Il loro amore tanto più esiste, quanto più resiste una coppia ufficiale dalla quale sono esclusi.

O viceversa, il loro amore resiste quanto più esiste il matrimonio o la convivenza di base.

Se la questione degli amanti consistesse solo nell’amare un’altra persona più del(la) partner, allora basterebbe separarsi e mettersi con l’amante, e questi problemi sarebbero subito risolti in tutto il mondo.

Ma perché, non a caso, ciò viene evitato quasi sempre? Naturalmente, a livello conscio, il valore della clandestinità e del divieto non viene ammesso, questa loro importanza non viene riconosciuta. Anzi, molti amanti soffrono e si lamentano della loro condizione…

Eppure, vi sono innumerevoli esempi che dimostrano che, la condizione dell’amante, è ricercata, appunto proprio perché è clandestina, irregolare, che, è da questa condizione di non ufficialità, che trae la sua linfa vitale.

Se la coppia ufficiale si separa, non raramente anche gli amanti subito si separano, perché cessa improvvisamente l’amore.

Persino l’attrazione sessuale, che prima era così forte, a volte, sparisce del tutto. Oppure, se la coppia degli amanti diventa quella ufficiale, presto uno dei due sente uno strano desiderio, quello di innamorarsi di un’altra persona. Uno dei due si guarda attorno, prova varie simpatie, sente il bisogno di ricreare una situazione triangolare.

Dunque, un’interpretazione del tradimento online, potrebbe rimandare all’ipotesi che, in alcuni individui, ci sia una paura inconscia verso la condizione monogamica, ufficiale, “normale”, una paura che inevitabilmente porta alla frigidità e alla depressione.

Pensiamo a quelle tante coppie di coniugi che, totalmente ignari delle proprie dinamiche inconsce, razionalizzano la loro difficoltà a stare bene insieme dicendo che alla sera “si annoiano a guardare sempre la televisione”, oppure a quelli che dicono che “è la convivenza che toglie vitalità al matrimonio”. In realtà, è evidente che per tante coppie la convivenza non inibisce i sentimenti e il piacere di stare insieme, anzi!!!…

Il bisogno profondo di vivere qualcosa di bello con la propria fantasia, di “evadere”, di provare sentimenti intensi – bisogno perfettamente legittimo – potrebbe insomma essere concepito non “in positivo”, ma “in negativo”, cioè come il tentativo disperato di provare determinati sentimenti, dato che il soggetto non riesce a provarli nel modo “normale”, perché ne ha paura.

L’unica possibilità per lui è appunto di viverli in una situazione non vera, parziale, non ufficiale, in cui si sente meno responsabile di quello che fa, forse meno “in colpa”.

Dunque, di fronte ad un tradimento virtuale, proviamo a pensare che chi gode tanto di questi bei rapporti di fantasia non è più virile o interiormente più ricco, non ha una vita affettiva più intensa, ma è semplicemente un impotente, una persona che ha paura della intimità affettiva e sessuale, forse anche della amicizia vera.

Non lo dico io, l’ha detto Freud!!! Egli infatti definiva “impotenza psichica” quella di cui sono affette le persone incapaci di provare simultaneamente amore e attrazione sessuale verso la stessa persona: molti uomini, ma anche donne, fanno fatica a gestire questi due sentimenti simultaneamente, ad attivare questi due “sistemi motivazionali” (attaccamento e sessualità) nei confronti della stessa persona.

Preferiscono scindere, cioè amare sentimentalmente una persona idealizzandola, ma senza sessualità, e provare desiderio verso un’altra persona, non amata, vista solo come oggetto sessuale o di divertimento, ad esempio una conoscente occasionale o una prostituta.

Dunque, di fronte ad un tradimento virtuale, scelto o subito, prima di dare in escandescenze per essere stati scoperti o, ancor più, per averlo scoperto, proviamo a porci due domande…Ma, davvero è tutta colpa di internet? O, magari, di Freud!?!…

 

Antonella Ferrari




Il dilemma: lo Stato in reggenza!

Balletti, schiamazzi, frizzi e lazzi…

questo è ormai il nostro paese, è così resterà per i prossimi decenni, stretto dalla morsa del bisogno di fare riforme urgenti e dall’impegno di mantenere una folla di persone, italiane e non.

Il governo ancora non si forma, forse ci sarà un contratto di governo alla tedesca, gli italiani hanno votato ma probabilmente, come sempre, non fregherà niente  a nessuno del parere di questi quattro pezzenti di italiani che ormai non contano più nulla per nessuno, nemmeno per quelli a cui danno il voto!

D’altronde quando mai hanno contato? non è che adesso sia meglio di prima o viceversa.

Ma basterebbe guardare cosa succede nei vari mondi dello stato, dalla scuola fino ai carabinieri.

Ormai nella scuola si va a reggenze ed accorpamenti: 9000 scuole di cui circa 800 in reggenza, ovvero con un dirigente che in parte cura la sua scuola e in parte quella vicina senza dirigente; in questo modo il servizio sarà certamente “perfetto”.

Ma in ogni caso mentre prima avevamo un dirigente ogni scuola adesso ne abbiamo uno ogni sette, certo le scuole sono state accorpate e dove prima c’erano sette scuole con sette dirigenti oggi ci sono sempre sette scuole ma il dirigente è rimasto uno solo, e così vale anche per i DSGA (i segretari delle scuole) ma anche per i collaboratori del dirigente ( i vecchi vicepresidi).

Negli anni la scuola è stata massacrata silenziosamente sull’altare della mancanza degli alunni e della riduzione dei costi.

Premesso che lo Stato che non investe nella scuola e nel suo personale è uno stato che non conosce se stesso, specialmente i suoi doveri verso i cittadini, ma pare assurdo che non solo siano state messe insieme scuole con orientamenti differenti (un dirigente può dover gestire licei, agrari, elementari, medie, scuole professionali) ma si costringa il dirigente a lavorare due giorni la settimana in una scuola media ed elementare con 1000 alunni e tre giorni in una scuola superiore con altri 1000 alunni suddivisi in scientifico, classico, agrario, artistico, etc.

Già è bello se il dirigente si ricorda in che scuola deve entrare la mattina, per fortuna che il vicepreside lo chiama per ricordarglielo.

Inevitabilmente il carico di lavoro diviene altissimo, difficile da sostenere, tutto a discapito della qualità che dovrebbe essere garantita alle famiglie.

Certo abbiamo risparmiato tanti soldi, ma tanti! e dove caspita sono finiti visto che il debito pubblico aumenta comunque ed i servizi erogati dallo stato fanno sempre più schifo?

Eppure proprio oggi ci è stato detto che siamo usciti dalla crisi peccato che Il nostro è il terzo debito pubblico più alto del mondo: se raffrontato alla ricchezza nazionale siamo arrivati al 131,5%.

In lieve calo rispetto al 2016, ma solo perché non sono ancora stati contabilizzati gli aiuti destinati al salvataggio delle banche venete.

Davanti a noi, tra i Paesi più grandi, ci sono solo il Giappone, con un rapporto debito/Pil pari al 239,2 per cento, e la disastrata Grecia al 181,3%.

Riusciamo a dirci fesserie senza nemmeno provare un poco di vergogna.

Eppure siamo convinti che possa esistere il reddito di cittadinanza, gli 80 euro, il bonus docenti, il bonus maggiorenni e altre amenità del genere senza che nessuno li paghi, tanto l’importante è l’adesso, l’oggi, del futuro del paese sembra davvero che non freghi più niente a nessuno!

Betapress è ancora una redazione convinta che ci si potrà salvare solo guardando al futuro, anche se oggi gli Italiani non hanno più nemmeno le “pezze al culo”!!! Persino le case, vero bene italiano, ormai non valgono più nulla, e l’unico mattone che resta ormai agli Italiani è quello da tirare nei vetri dei palazzi dei politici romani.

Ci consola come sempre vedere che qualcuno cerca di reagire, ed appena vediamo qualche reazione su argomenti importanti siamo i primi a porli all’attenzione di tutti.

Ecco infatti il pensiero degli amici di Ancodis sulle reggenze scolastiche, bravi ex Vicepresidi, anche voi credete ancora in questo paese … 

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COMUNICATO STAMPA del 27 aprile 2018

ANCODIS: riconoscimento giuridico e caos reggenze.

Nel prossimo anno scolastico si ripeterà la stessa musica……stonata!

 

 

Un anno scolastico volge al termine ed ANCODIS vuol porre l’attenzione al prossimo con una amara constatazione: ancora un anno sprecato per la scuola italiana in relazione al grave problema delle scuole affidate a reggenza!

Esattamente un anno fa ponevamo il tema delle reggenze ed – oggi – corre l’obbligo di riproporlo alle Istituzioni (MIUR), agli operatori scolastici, ai genitori.

Cosa è successo in questo anno scolastico di nuovo? NULLA!

Assolutamente nessun passo avanti concreto se non l’indizione del corso-concorso tanto atteso dal 2011 ma ancora alla fase del bando. Anzi è notizia di questi giorni, che la prova preselettiva si svolgerà il 23 luglio 2018 (in piena estate e dopo la conclusione degli Esami di Stato), con buona pace dei candidati – stanchi fisicamente e psicologicamente – che tanta fiducia hanno riposto nel concorso!

Le Istituzioni scolastiche restano – per la quotidiana e complessa gestione – nell’incertezza dei tempi senza un DS titolare in grado di essere guida sicura in un mare sempre più tempestoso.

Il messaggio che arriva dal MIUR è semplicemente questo: continuate ad andare avanti con un DS reggente che sarà senz’altro in grado di sostenere gli impegni e le responsabilità di un’altra I.S. oltre a quella già affidata (chi ci crede? amara constatazione…).

 

Fino all’a.s. 2006-2007, se una I.S. rimaneva senza DS, si poteva nominare un preside incaricato che – a pieno titolo – ne assumeva una titolarità annuale; con il decreto legge n. 7/2005 convertito dalla legge n. 43/2005  Art. 1-sexies è stato abolito l’incarico di presidenza (ancora oggi però utilizzato!) ed un accordo politico tra governo e OO.SS. Area dirigenziale (art. 19 comma 1 lettera b CCNL AREA V), ha contrattualizzato l’istituto della reggenza che invece era stato pensato per la sostituzione di DS assenti per brevi periodi e non certamente per un intero a.s./diversi anni scolastici (amara constatazione…).

Deve essere chiaro a tutti che questa operazione aveva un solo scopo: consentire allo Stato – con il consenso dei sindacati firmatari – un notevole risparmio a danno di una proficua ed adeguata gestione di una scuola.

La ragione economica e la ragione di Stato hanno prevalso sull’interesse del personale scolastico, degli alunni e delle famiglie ad avere un Dirigente scolastico a tempo pieno; uno Stato che dichiara di avere tra le sue priorità la SCUOLA pubblica, laica e moderna e che, invece, mette in crisi la sua governance creando tensioni e criticità sia nella scuola di titolarità che in quella affidata a reggenza!  Ipocrisia di Stato si potrebbe definire!

 

Proviamo, dunque, a fare il punto sulla situazione:

  • le scuole affidate a reggenza (sottodimensionate e normodimensionate) in questo a.s. sono ben 748 (fonte ANP). In queste condizioni, la metà delle scuole italiane ha avuto un dirigente scolastico responsabile di almeno due scuole (con quanti plessi? In quanti comuni?);
  • in considerazione dei prossimi pensionamenti/aspettative/altri incarichi (utilizzati all’estero, distaccati al MIUR o negli URS con incarichi temporanei di dirigente tecnico o amministrativo, con esonero parlamentare, amministrativo o sindacale) la previsione è che per il prossimo a.s. le scuole senza DS arriveranno a circa 2500 (fonte UDIR);
  • per rappresentare in modo sicuramente parziale il fenomeno si riportano i dati relativi al numero delle reggenze in alcune regioni nell’a.s. 2017-2018 (fonte ANCODIS):

Piemonte 167

Lombardia 242

Friuli Venezia Giulia 61

Emilia Romagna 173

Lazio 147

Campania 59

Calabria 80

Sardegna 59

Sicilia 116

Di fronte a questo quadro certamente non edificante per il MIUR e per l’intero sistema scolastico italiano, non sono previste operazioni di immissione in ruolo con relativa assegnazione di sede prima del 31/08/2018 a seguito del mancato espletamento delle procedure concorsuali (che riteniamo non saranno concluse entro l’A.S. 2019-2020).

Pertanto, non resta che aspettare l’annuale e tanto attesa Circolare (agostana) per il conferimento degli incarichi di reggenza per l’A.S. 2018-2019 su tutti i posti rimasti disponibili dopo le operazioni di mobilità e sui posti relativi a scuole sottodimensionate ai sensi dell’art. 19 comma 5 della Legge 111/2011 (comma modificato dall’art. 4, comma 69, legge n. 183 del 2011, poi dall’art. 12, comma 1, legge n. 128 del 2013) che proverà ancora per un altro anno scolastico a mettere in tante I.S. una toppa inadeguata ad un buco gigantesco.

E si aprirà l’ennesima discussione da parte dei sindacati ed associazioni di categoria sulla grave situazione senza che NESSUNO tra il MIUR e le OO.SS. faccia un pubblico mea culpa sulle ragioni che hanno portato a questa insostenibile e disastrata condizione della scuola italiana.

 

I Collaboratori dei DS – che vivono quotidianamente la faticosa gestione delle scuole con DS titolare ed in reggenza – denunciano questa condizione divenuta ormai non più sostenibile né accettabile per un paese moderno che guarda all’Europa ma che mette in campo scelte politiche che lo allontanano dall’Europa!

ANCODIS vuole evidenziare che la condizione di criticità in cui versa la scuola italiana pubblica è anche dovuta a questa precarietà che ovviamente – in un sistema complesso e delicato – rende confusa la vision e debole la mission di ciascuna istituzione scolastica affidata a reggenza (possiamo immaginare tutto questo in una scuola NON statale?).

Non possiamo ignorarne le gravi conseguenze: demotivazioni nel personale, criticità nella gestione e nella organizzazione, insoddisfazione nei genitori cui viene meno il riferimento dirigenziale, indebolimento del profilo didattico ed educativo, perdita di identità nelle relazioni con le altre Istituzioni.

In questa triste ed amara realtà, a baluardo dell’identità costruita faticosamente anno per anno restano i docenti collaboratori del ds che assumono oneri e responsabilità nell’interesse della propria scuola senza alcun riconoscimento giuridico e con responsabilità certamente non indifferenti.

Occorre trovare delle soluzioni tempestive ed adeguate per dare risposte a quanti rivendicano il diritto ad avere una scuola guidata con competenza e professionalità in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali ancora in fase iniziale.

 

ANCODIS, dunque, propone al nuovo governo ed al futuro Ministro tre urgenti interventi legislativi attraverso un Decreto Legge:

 

  1. Riconoscimento giuridico dei Collaboratori dei DS e, tra di essi, di coloro che svolgono il ruolo di Primo collaboratore con funzioni vicarie (ex vicepreside). Lo sanno bene al MIUR che il “vicario” svolge di fatto, con l’istituto della delega, ruoli apicali in molti settori della vita scolastica, sostituendo il dirigente in caso di assenza (ferie in corso di anno ed estive) o impedimento. In queste circostanze, le scuole vengono affidate dai DS ai loro vicari che ne assumono la responsabilità in ordine a quanto programmato unitamente all’onere di gestire ogni circostanza NON prevista o ogni situazione emergenziale.

Per non dimenticare il problema relativo ai tanti DS prossimi al pensionamento (al 31/8/2018 circa 500) che per fruire delle ferie hanno già di fatto programmato lunghe assenze dal servizio affidando la scuola ai loro collaboratori.

Per queste ragioni – deve essere chiaro – il vicario spesso NON fruisce del proprio periodo di ferie.  Ed il MIUR e OO.SS. non lo vogliono ufficialmente riconoscere!

 

  1. Ripristinare in TUTTE le scuole l’esonero per il Collaboratore cui il DS affida compiti di sostituzione in caso di assenza o impedimento, indipendentemente dalla materia di insegnamento/ordine di scuola e dall’organico dell’autonomia. I Vicepresidi oggi sono spesso impegnati in attività di docenza: rivendicano, pertanto, la necessità del distaccamento per lavorare a tempo pieno nell’attività di collaborazione dei DS titolari e reggenti. Il DS delega loro compiti e funzioni che però non possono esercitare pienamente se impegnati anche in attività didattiche. In questo modo molti DS si trovano in condizione di non avere un Collaboratore a tempo pieno che possa svolgere la funzione conferita e devono fare a meno di un collaboratore che assuma a tempo pieno deleghe e carichi di lavoro.

 

  1. Assegnare l’incarico di presidenza al Collaboratore di cui al punto a (ai sensi dell’O.M. 39/2004), finalizzato alla gestione temporanea delle scuole in reggenza fino all’insediamento del DS titolare. Si tratta di docenti che negli anni hanno certamente dimostrato competenza e professionalità (basta chiedere ai loro DS!) e che chiedono semplicemente di essere valorizzati nella governance della loro scuola.

Su questo punto è il caso di ricordare che il Miur ha diramato in questi giorni la Direttiva n. 281/2018 relativa agli incarichi di presidenza nelle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado per l’anno scolastico 2018/2019 precisando che non sono più conferiti incarichi di presidenza, eccetto i casi di conferma degli incarichi già conferiti.

Riteniamo necessario su quest’ultimo aspetto pensare ad un provvedimento d’urgenza che non lasci le scuole affidate alle reggenze: piuttosto, è opportuno ripensare al provvedimento di incarico non affidandolo più a docenti senza esperienza gestionale ma esclusivamente ai Collaboratori purchè abbiano un’esperienza certificata di almeno 36 mesi di servizio.

Sarebbe un riconoscimento al Collaboratore vicario per una fase limitata e transitoria e si darebbe alle scuole la possibilità di avere una guida a partire dal primo giorno del prossimo anno scolastico: molti Collaboratori, infatti, ricoprono questo ruolo da diversi anni, sono la memoria storica di una I.S., hanno sviluppato adeguate professionalità e capacità di organizzazione e gestione nella collaborazione con i loro DS.

Sarebbe, inoltre, un modo per investire sulle risorse esistenti e garantire una guida efficace ad ogni istituzione scolastica che non è più possibile garantire con le reggenze!

Proponiamo anche di monitorare periodicamente il lavoro del Collaboratore incaricato e di valutarne il servizio al termine dell’a.s. per l’eventuale riconferma nell’incarico nell’anno successivo ove permanessero le condizioni di reggenza.

Per tale incarico l’Amministrazione deve prevedere soltanto il costo relativo all’indennità di posizione: si avrebbe un risparmio sul costo della reggenza ed un conseguente minore aggravio dal FIS della scuola ogni anno sempre più esiguo.

 

Sono soluzioni che riteniamo coerenti ad un bisogno di governance, che tiene conto dei necessari presupposti di conoscenza delle dinamiche interne specifiche di ogni i.s. e delle criticità superate e da affrontare, di una riconquistata credibilità ed affidabilità nei confronti di docenti e famiglie, di una riduzione di oneri di lavoro a carico di DS reggenti che – è risaputo a chi vive la scuola – fanno comunque grande affidamento nei loro Collaboratori.

Siamo pronti a discutere soluzioni concrete, sostenibili, capaci di dare risposte ad urgenti necessità e contemporaneamente vogliamo dire a tutti: NOI CI SIAMO!

Nel frattempo – preso atto che sulla base della Direttiva n. 281 del 2018 verranno conferiti incarichi di presidenza ad un numero molto residuale di docenti ed in considerazione dell’art. 4 comma 1 – inviteremo tutti i nostri iscritti ed i restanti collaboratori a presentare agli UU.SS.RR. apposita istanza per il conferimento dell’incarico, impugnando in ogni sede competente sia il testo della Direttiva sia i singoli provvedimenti di esclusione per disparità di trattamento e per contrarietà manifesta alle esigenze di buon andamento della Pubblica Amministrazione.

I Collaboratori sono pronti ad assumere impegni a favore delle loro I.S.: mettiamoli in condizione di farlo e di dimostrare la loro professionalità riconoscendo capacità ad assumere responsabilità e competenze conseguite.

 

 

Per ANCODIS NAZIONALE

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

 

 

 




Presidi e Vicepresidi: Tutti in “ferie” per protesta!!

Se non fosse tragico ci sarebbe da morir dal ridere, Presidi e Vicepresidi in ferie per protesta il 17 aprile.

Una volta, tanti anni fa, la modalità di protesta dei lavoratori contro le angherie del padrone era lo sciopero; si fermavano le fabbriche, si bloccava la produzione o i servizi, i datori di lavoro perdevano soldi (anche i lavoratori non avevano pagata la giornata), finché non si trovava una soluzione che potesse mediare le posizioni.

I sindacati nel passato hanno usato lo sciopero in modo incontrollato e spesso senza logica, i lavoratori hanno perso solo soldi per ottenere dei risultati che alla fine erano peggiorativi, risultato finale lo sciopero oggi ha ben poco valore.

La situazione è ancor più ridicola quando lo sciopero è dei lavoratori statali: infatti unico obiettivo è quello di creare disagio ai servizi offerti per il cittadino in modo da sensibilizzare l’opinione pubblica verso le richieste dei dipendenti pubblici.

Il problema dei dipendenti statali è che oggi più che mai siamo diventati una società di qualunquisti e nichilisti, non frega più niente a nessuno di quello che succede se non come argomento per innalzare lamentele colossali e poi rintanarsi nella propria “tana” sbuffando e dicendo che questo stato schifoso è destinato a schiantarsi.

Amaro e noia. La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo … e l’infinita vanità del tutto.

Povero Leopardi, nichilista per condizione, poveri noi, nichilisti per cittadinanza.

Ma in questo Stato di cittadini inermi e ormai alienati da promesse rutilanti e dichiarazioni altisonanti, ci sono ancora categorie di persone che, seppur nella loro fragile italianità, cercano di resistere al nichilismo dilagante. E PER FORTUNA.

Ormai noto che Betapress sia affezionato al mondo della scuola, così tanto bistrattato, ma così importante per una speranza di futuro, resta sempre il pensiero di come fare per gridare nelle menti sonnecchiose dei politici italiani che così non va, non funziona, il sistema non regge.

I Presidi ed i Vicepresidi delle scuole negli ultimi anni, visto il pericolo di deriva e di cervelli all’ammasso che si profila all’orizzonte, stanno cercando in tutti i modi di urlare il disagio della Scuola Italiana, la sofferenza di chi ancora crede nei giovani e nelle loro potenzialità per far smuovere le coscienze e per ritrovare un cammino che prenda la genialità italica dei giovani e la trasformi in valore per il paese.

A questo punto scatta la genialità: non scioperiamo, si dicono presidi e vicepresidi, ma prendiamo ferie, che comunque non riusciremmo a fare visto che siamo sempre a scuola, e cerchiamo di rimanere uniti perché il grido di uno solo è flebile lamento ma il grido di mille è tuono potente.

Nella sempiterna speranza che il giusto vinca ed il disonesto perda, vi lasciamo ora alle parole del comunicato di ANCODIS che ben raccontano uno stato di disagio che la politica dovrebbe osservare e che i cittadini dovrebbero capire, uscite tutti dalle vostre TANE e cercate di capire cosa succede…


Presidi in ferie il 17 aprile per protestare:

anche ANCODIS evidenzia il forte disagio dei Collaboratori dei DS.

 

L’Associazione Nazionale Collaboratori Dirigenti Scolastici (ANCODIS) prende atto della decisione dell’Associazione SOLO DIRIGENTI (https://www.tecnicadellascuola.it/dirigenti-scolastici-necessario-uscire-dal-silenzio).

e del sindacato UDIR (https://www.orizzontescuola.it/17-aprile-saro-ferie-udir-aderiamo-alla-protesta-le-condizioni-lavorative-dei-dirigenti-scolastici) di protestare con un giorno di ferie per martedi 17 aprile 2018.

Con questa iniziativa i DS intendono far rilevare all’opinione pubblica “il malcontento di una categoria negli ultimi anni vessata, incompresa e con carichi di responsabilità eccessivi rispetto a stipendi decisamente non in linea, per essere eufemistici, con il carico di lavoro e con il resto della Pubblica Amministrazione”.

I promotori ritengono, inoltre, di realizzare una “forma di protesta civile, significativa e rumorosa, che sarà occasione per riflettere collettivamente e per mettere in risalto la situazione dei dirigenti scolastici dimenticati”.

Ricordiamo che già il 25 maggio 2017, una protesta dalle forme variegate (sciopero per alcuni/assemblee e ferie per altri) fece emergere questo malcontento della categoria che ANCODIS sostenne ritenendo pienamente fondate le ragioni che avevano portato a tale decisione.

I Collaboratori dei DS, non potendo non riconoscere le ragioni della protesta, dichiararono la solidarietà ed il sostegno ai presidi.

Oggi – nel confermare coerentemente quelle posizioni – ANCODIS non può esimersi dal fare rilevare la condizione di disagio dei Collaboratori che non hanno alcun riconoscimento giuridico né economico nonostante in ogni I.S. si caratterizzino per l’alto senso del servizio (senza limiti di tempo e di carichi di lavoro), per l’impegno quotidiano nella gestione e nell’organizzazione della scuola, per il ruolo di primi interlocutori per docenti, genitori ed alunni, per la funzione di mediazione nella ricerca di prime soluzioni nelle conflittualità tra alunni, docenti e famiglie (non dimenticando le aggressioni anche a loro danno).

Ribadiamo con assoluta fermezza e determinazione che il nostro lavoro è in gran parte LAVORO DI QUALITA’ e di SERVIZIO ma senza alcun riconoscimento giuridico.

ANCODIS, dunque, evidenzia con forza all’opinione pubblica che le scuole vengono gestite anche con il lavoro dei Collaboratori (si pensi alle numerose scuole in reggenza, ai plessi distaccati, alle attività extradidattiche, ai progetti, alle quotidiane emergenze, alla gestione delle procedure degli esami nei diversi ordini, alle sostituzioni dei DS impegnati in Esame di Stato).

Ed i nostri DS – impegnati nel riconoscimento delle loro legittime rivendicazioni – conoscono bene la fatica e l’impegno di chi li collabora lealmente, professionalmente e con competenza rendendo più efficiente l’organizzazione e la gestione delle Istituzioni Scolastiche loro affidate.

Noi Collaboratori dei DS vogliamo, quindi, ribadire due proposte che riteniamo necessarie nella scuola moderna: il distaccamento dalle attività didattiche per un Collaboratore in tutte le scuole con il ripristino delle funzioni vicarie in caso di assenza del DS (ex vicepreside); il riconoscimento giuridico nel quadro di una moderna progressione di carriera che tenga conto dei ruoli che ciascun collaboratore – nelle specifiche funzioni – assolve.

Vogliamo ricordare quanto scritto nel nostro documento costitutivo: “Pensiamo di essere sulla strada giusta, consapevoli delle difficoltà, ma forti della certezza che siamo parte integrante a pieno titolo della comunità educante nelle nostre I.S. e protagonisti del buon funzionamento delle stesse. Desideriamo rivendicare il diritto all’esistenza riconosciuta per norma di legge, regolamentata nel prossimo CCNL, definita in una carriera di quadro intermedio – middle management – dichiarata necessaria da più parti ma nei fatti ancora oggi non incanalata in una discussione seria che guarda alla scuola del 2020”.

Chiediamo di aprire il dibattito ed il confronto su questi temi con i rappresentanti delle OO.SS., delle associazioni, delle Istituzioni, per affermare che nella scuola moderna è necessario un riconoscimento giuridico dei Collaboratori del DS che renda merito al servizio, alle esperienze ed alle competenze.

Pertanto, il 17 aprile i Collaboratori dei DS iscritti ad ANCODIS non saranno in servizio.

E’ il momento di dire che abbiamo il diritto di ESISTERE. Con buona pace di tutti!   

 

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

Renato Marino, Presidente ANCODIS Siracusa

Silvia Zuffanelli, Presidente ANCODIS Firenze

Cristina Picchi, Presidente ANCODIS Pisa

Mara Degiorgis, Presidente ANCODIS Cuneo

Antonella D’Agostino, Presidente ANCODIS Catania

Carla Federica Spoleti, Presidente ANCODIS Roma

 

 




Fascismo: fu vera gloria? ai posteri onesti l’ardua sentenza…

Mi scusi Egregio Signor Presidente, ma da Lei proprio non me lo aspettavo…

Esistono i fatti e le opinioni, ma non le invenzioni dei primi o la strumentalizzazione delle seconde, tanto più che siamo in piena campagna elettorale e Lei, Egregio Signor Presidente dovrebbe mantenersi super partes, in nome dell’imparzialità (ahahahah da morir dal ridere N.d.R.) del suo incarico presidenziale…

Durante le celebrazioni al Quirinale per la Giornata della memoria 2018, Ella sul ventennio Fascista ha affermato: “Sorprende sentir dire, ancora oggi, che il fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione”.

Caro Mattarella, Lei sostiene dunque che è un errore affermare che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma io non sono d’accordo, o meglio preferisco sbagliare che vaneggiare…

E voglio sbagliare, in nome della storia, andando a consultare i testi non solo scolastici, ma soprattutto riprendendo i fatti realmente accaduti, così come ha fatto l’illustre Alessandro prof. dott. Tamborini, da cui recupero informazioni significative, ricostruendo in modo impeccabile i fatti veri che oggi sono sparsi nei libri di storia ma mai messi in ordine perché non è interesse di una certa parte raccontare la verità.

Mi permetta anzitutto di proporLe, giusto per rispolverare la memoria Sua e dei nostri lettori, un parziale elenco delle opere fatte in un periodo in cui l’italia era considerata più di oggi.

Accerterà così che è stato fatto più in vent’anni di Fascismo che in settantanni di democrazia.

I meriti del fascismo non sono un’invenzione di qualche nostalgico, ma un dato ormai acquisito nella storiografia e nella coscienza comune, dopo lunghi decenni di rimozioni e demonizzazioni.

Prima di tutto, c’è una bella differenza tra regimi totalitari, come comunismo e nazismo, ed il regime autoritario, con il consenso del popolo, quale fu il Fascismo.

Inoltre, i milioni di esseri umani uccisi nel secolo scorso per mano del comunismo rappresentano lo stesso crimine contro l’umanità a pari merito dell’olocausto.

Sarebbe stato giusto, signor presidente, ricordare anche questo nella giornata della memoria, proprio per essere corretti ed imparziali così come il suo ruolo Le impone.

Basti pensare allo sterminio degli Armeni (1894 e 1915-16) ed a quello dei cinque milioni di contadini ucraini (1932-33) oppure ai quasi due milioni di morti in Cambogia (1975-79) per mano dei Khmer Rossi…

Ritornando al Ventennio, desidero ricordare che le Leggi razziali non erano nel Dna della dottrina fascista, come attesta il gran numero di ebrei che aderirono al fascismo fin dall’inizio.

L’ebraismo italiano era “profondamente integrato nella società plasmata dal regime fascista!” Gli ebrei fascisti non erano un corpo estraneo allo stato e i suoi più alti esponenti proclamavano “l’assoluta fedeltà degli israeliti al fascismo e al suo duce”.

Renzo De Felice, sul suo “Storia degli ebrei italiani”, scrive che gli ebrei furono fondatori, per esempio, dei fasci di combattimento di Milano, ebbero parte attiva nelle squadre di Italo Balbo e furono fra i protagonisti della “marcia su Roma”.

E’ noto che i provvedimenti a favore degli ebrei nel 1930, perfezionati nel 1931, risultarono tanto graditi alla comunità ebraica italiana che i rabbini innalzarono preghiere di ringraziamento nelle sinagoghe. E’ anche noto l’attacco lanciato dal Duce, contro le teorie nazionalsocialiste.

Riguardo alla natura del suo potere, il suo carattere dittatoriale è indubitabile ed è chiaro a partire dalla soppressione delle libertà nel 1925.

Il fascismo però non fu, nella fase del largo consenso (cioè almeno fino alla guerra di Etiopia e all’emanazione delle leggi razziali) un totalitarismo, come giustamente individuato da Hannah Arendt.

Ciò sia per motivi interni, avendo il fascismo nel suo seno anime diverse e differenti che trovavano nel Duce solo un’unità simbolica; sia per motivi esterni, cioè la forza temperante comunque esercitata dalla Chiesa Cattolica e dalla stessa Monarchia.

Quindi, lungi dal voler disconoscere la gravità di ciò che portò alle leggi razziali ed all’evento bellico, insisto nel riconoscere il valore di tutto ciò che di buono è stato all’epoca realizzato.

 Giusto per non dimenticare, le principali opere sociali e sanitarie realizzate durante il fascismo sono l’assicurazione sull’invalidità e vecchiaia, R.D. 30 dicembre 1923, n. 3184, quella contro la disoccupazione, R.D. 30 dicembre 1926 e l’assistenza ospedaliera ai poveri R.D. 30 dicembre 1923 n. 2841.

Con Mussolini nasce la tutela del lavoratore e la difesa dei diritti di donne e fanciulli R.D 26 aprile 1923 n. 653, l’Opera nazionale maternità ed infanzia (O.N.M.I.) R.D. 10 dicembre 1925 n. 2277, l’esenzione tributaria per le famiglie numerose R.D. 14 maggio 1928 n. 1312 e l’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, R.D. 13 maggio 1928 n. 928.

Nasce l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), R.D. 4 ottobre 1935 n. 182713 mentre l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (I.N.A.I.L.), è già in vita da più di due anni…R.D. 23 marzo 1933, n. 264.

La settimana lavorativa diventa di 40 ore, R.D. 29 maggio 1937 n.1768, e nasce il sindacalismo integrale con l’unione delle rappresentanze sindacali dei datori di lavoro (Confindustria e Confagricoltura); 1923.

Sempre sotto il fascismo, vengono istituiti gli Assegni familiari, R.D. 17 giugno 1937, n. 1048, nascono le Case Popolari e si attua la Riforma della scuola “Gentile” del maggio 1923 (l’ultima era del 1859)!!!

Fiorisce l’Opera Nazionale Dopolavoro (nel 1935  essa dispone di 771 cinema, 1227 teatri, 2066 filodrammatiche, 2130 orchestre, 3787 bande, 1032 associazioni professionali e culturali, 6427 biblioteche, 994 scuole corali, 11159 sezioni sportive, 4427 di sport agonistico.)

Ma forse è la lotta contro l’analfabetismo uno dei migliori interventi del Duce: eravamo tra i primi in Europa, per il numero di analfabeti, ma dal 1923 al 1936 siamo passati dai 3.981.000 a 5.187.000 alunni – studenti medi da 326.604 a 674.546 – universitari da 43.235 a 71.512.

Come se non bastasse, Mussolini fonda il doposcuola per il completamento degli alunni ed istituisce l’educazione fisica obbligatoria nelle scuole, inaugura la refezione scolastica ed innalza l’obbligo scolastico fino ai 14 anni, inventa le Scuole professionali e la Magistratura del Lavoro.

Se poi vogliamo ricordare le opere architettoniche e infrastrutture, basti pensare alle Bonifiche delle paludi Pontine, ma anche in Emilia, Sardegna, Bassa Padana, Coltano, Maremma Toscana, alla nascita dei Parchi nazionali del Gran Paradiso, dello Stelvio, dell’Abruzzo e del Circeo, al potenziamento delle Centrali Idroelettriche, all’elettrificazione delle linee Ferroviarie, agli Impianti di illuminazione elettrica nelle città ed alla fondazione di 16 nuove Province.

Con Mussolini si ha Viale della Conciliazione, lo Stadio dei Marmi ed il quartiere dell’EUR a Roma.

Il Duce fonda l’istituto delle ricerche, con a capo Marconi, inventore della radio e dei primi esperimenti del radar, non finiti a causa della sua morte.

Sempre nel ventennio fascista, si ha la costruzione di molte università tra cui la Città università di ROMA, l’inaugurazione della Stazione Centrale di Milano nel 1931 e della Stazione di Santa Maria Novella di Firenze, nonché la costruzione del palazzo della Farnesina di Roma, sede del Ministero degli Affari Esteri.

In ambito politico e diplomatico, Il governo fascista emana il codice penale (1930), il codice di procedura penale (1933, sostituito nel 1989), il codice di procedura civile (1940), il codice della navigazione (1940), il codice civile (1942) e numerose altre disposizioni vigenti ancora oggi (il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, il Codice della Strada, le disposizioni relative a: polizia urbana, rurale, annonaria, edilizia, sanitaria, veterinaria, mortuaria, tributaria, demaniale e metrica).

Ma giusto per non tediare il lettore con quest’overdose di riforme sociali e di conquiste civili, mi voglio soffermare su un particolare emblematico: la gestione della crisi economica conseguente al crollo della Borsa del 1929, in un periodo di crisi finanziaria mondiale.

Nel momento in cui Il mondo del capitalismo è nel caos, il Duce risponde con 37 miliardi di lavori pubblici e in 10 anni vengono costruite 11.000 nuove aule in 277 comuni, 6.000 case popolari che ospitano 215.000 persone, 3131 fabbricati economici popolari, 1.700 alloggi, 94 edifici pubblici, ricostruzione dei paesi terremotati, 6.400 case riparate, acquedotti, ospedali, 10 milioni di abitanti in 2493 comuni hanno avuto l’acqua assicurata, 4.500 km di sistemazione idrauliche e arginature, canale Navicelli; nel 1922 i bacini montani artificiali erano 54, nel 1932 erano arrivati a 184, aumentati 6 milioni e 663 mila k.w. e 17.000 km di linee elettriche; nel 1932 c’erano 2.048 km di ferrovie elettriche per un risparmio di 600.000 tonnellate di carbone; costruiti 6.000 km di strade statali, provinciali e comunali, 436 km di autostrade.

Le prime autostrade in Italia furono la Milano-Laghi e la Serravalle-Genova (al casello di Serravalle Scrivia si trova una scultura commemorativa con scritto ancora “Anno di inizio lavori 1930, ultimato lavori 1933”).

Infine, sempre nello stesso periodo si ha la Riforma bancaria: tra il 1936 e il 1938 la Banca d’Italia passò completamente in mano pubblica (non come oggi che è in mano delle banche che deve controllare N.d.R.) e il suo Governatore assunse il ruolo di Ispettore sull’esercizio del credito e la difesa del risparmio.

Fondazione di Cinecittà, primi esperimenti televisivi nel 1929, Istituzione della Mostra del Cinema di Venezia, prima manifestazione del genere al mondo, nata nel 1932, creazione dell’albo dei giornalisti, della guardia forestale, dell’archivio statale, anno 1928, nonché del Corpo dei Vigili del Fuoco, completano l’opera…

Allora, Egregio Signor Presidente, prima di parlare, non facciamo di tutta un’erba un fascio… per favore.

Antonella Ferrari

http://betapress.it/index.php/2017/12/25/litalia-e-lultradestra/

 




Figli verso il nulla…

Giù la maschera, diciamoci la verità, i nostri figli hanno sempre ragione, sempre che la cosa non riguardi noi stessi.

Solo in quest’ultimo caso siamo pronti a farli sentire inappropriati, stupidi, ingenui, in una parola: demotivati.

In un passaggio del suo libro, “Contro i Papà”, Antonio Polito sintetizza questo concetto: “Invece che fare i genitori, ci siamo trasformati a poco a poco nei sindacalisti della nostra prole, sempre pronti a batterci perché venga loro spianata la strada verso il nulla”.

I ragazzi di oggi allontanano sempre più il momento del distacco dalla famiglia.

Oramai essere trentenni e vivere con i genitori è la normalità.

Perché questo accade?

I motivi del tutto sociologici e relazionali sono innumerevoli ma proviamo rapidamente ad analizzare un aspetto determinante: il nostro rapporto (di genitori) con i loro problemi, nel lasso di tempo che intercorre tra la tenera età fino al salto nel buio rappresentato dall’ingresso da persone autosufficienti in società.

Cosa accade di prassi nella maggior parte delle famiglie moderne?

Qual è il meccanismo contorto e malato che rende bamboccioni i nostri figli?

È quel sottile accordo tra noi e loro che ci porta ad abbandonare ogni forma di coerenza e obiettività, sia che si tratti di un problema esterno alla famiglia (amici, fidanzati, insegnanti, scuola calcio, ecc) sia che questo sia interno (c’è da portare il cane a spasso, c’è da fare la spesa, da scuola devi portarmi solo bei voti).

Nel primo caso non lasciamo che  affrontino i problemi, lo facciamo noi per loro, pronti a regolare i conti con un adolescente piuttosto che con un insegnante, sol perché si tratta di nostro figlio e si sa: lui ha sempre ragione!

Quando siamo noi a chiedere loro qualcosa (dobbiamo pur dire che nostro figlio è il più bravo della scuola!) siamo pronti a caricarli di aspettative inaccettabili e di totale inadeguatezza.

Ai nostri occhi ci deludono e siamo pronti a rinfacciarglielo assieme a tutto quello che noi facciamo per loro: compreso il compito in classe d’italiano mandato tramite whatsapp!

Questi giovani, grazie a questo cortocircuito relazionale, vivono in un sistema di deregulation dove non ci sono certezze ma solo punti di vista strettamente connessi agli attori.

Dove conta solo vincere anche fuori dalle regole.

Demotivati, insicuri e incapaci di costruirsi un futuro, crescono in attesa che qualcuno regali loro un’opportunità.

Opportunità che probabilmente non arriverà.

 

Tanio Cordella




Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.

Mi perdonerà Vasco Rossi se prendo in prestito le parole di due delle sue canzoni per esprimere un concetto che sono sicuro ci troverebbe d’accordo … con l’unica differenza che quando si parla di accordi (musicali) lui è sicuramente migliore di me:

Sarà colpa del whisky? non credo, indubbie sono le rigide temperature invernali nei paesi del Nord Europa ma da lì a ubriacarsi ce ne passa … e non poco;

o sarà colpa del caffè? nemmeno! quest’ultimo è noto per tenere svegli e qui stiamo parlando di una dormita di più di cento anni.

ma non mi ricordo più di te… eh sì, sembra proprio che nessuno si ricordi più di Pierre de Coubertin, dei Giochi Olimpici e del Comitato Olimpico Internazionale, quando si parla di Nobel per la pace!

e, ancora, abbiamo perso un’altra occasione buona!

Forse .. è colpa d’Alfredo, o meglio di Alfred Nobel, che con i suoi discorsio premi, seri e inopportuni fa sciupare tutte le occasioni… Non credo, anzi mi piace fantasticare che, proprio nel suo ultimo anno di vita, Nobel abbia potuto seguire in qualche modo i primi giochi olimpici dell’era moderna e magari conoscere Pierre de Coubertin, chissà …

padre dei giochi olimpici
Pierre De Coubertin

Ovviamente mai mi permetterei di sostenere che i premi Nobel siano inopportuni, magari qualche assegnazione, o non assegnazione in questo caso, lascia perplessi.

Tra le assegnazioni sicuramente c’è quella all’ex Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama verso la cui azione politica non voglio esprimere giudizi, non spetta a me farlo, ma ai cittadini americani e alla storia.

Naturalmente se, in una delle sue prossime visite in Italia, volesse accettare un mio invito per giocare 18 buche su uno degli splendidi percorsi di golf Italiani sarebbe per me un onore poterne parlare con lui.

Ciò detto, il 44esimo Presidente degli USA ha ricevuto il premio nel 2009 e l’ironia della sorte ha voluto che giusto un anno dopo il giornalista d’inchiesta Bob Woodward, già premio Pulitzer, decidesse di pubblicare un libro dal titolo Obama’s War e due anni dopo lo stesso Presidente portò gli Stati Uniti ad essere parte, come tanti altri Paesi, dell’azione bellica per destituire il leader libico Mu’ammar Gheddafi. 

I Giochi Olimpici, invece, le guerre le fermano.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace. Nell’Antica Grecia, in occasione dei giochi, ogni ostilità si sospendeva e per tutto il loro svolgimento vigeva la “tregua olimpica” un periodo nel quale il confronto si trasferiva esclusivamente nella competizione sportiva.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.
Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.

Anche in occasione  dei Giochi Olimpici dell’era moderna, quelli voluti dal Barone De Coubertin, si è sempre cercato di riportare in vigore questa tradizione, divenuta un impegno concreto per i Paesi partecipanti ai Giochi.

Il CIO ha voluto fare anche di più quando, a partire dal 1992 si è adoperato raggiungere quanto inserito nella dichiarazione del millennio delle Nazioni Unite nella quale più di 150 Paesi, arrivati a 192 per Londra 2012, in tutto il mondo hanno sottoscritto tra le varie cose, il riconoscimento della tregua olimpica; nessuna guerra, stop alle ostilità, in occasione dei Giochi Olimpici.

Chiunque abbia aperto un giornale negli ultimi giorni può leggere che persino la tensione, che per molti sembrava in uno stallo granitico, tra Pyongyang e Seul sembra essere allentata in occasione dei giochi Olimpici Invernali che si disputeranno proprio nella Corea del Sud, a Pyeongchang, tra pochi giorni.

Già nel 1953 e nel 1955 arrivarono delle nominations per il Comitato Olimpico Internazionale, così come ne aveva ricevute cinque Pierre de Coubertin nel 1936, ma in tutti questi casi non si è mai arrivati alla assegnazione del premio.

La scelta di Vasco Rossi per raccontare questa storia non è casuale perché si intreccia con quella di Alfred Nobel.

Proprio in Italia, a Sanremo, quella splendida cittadina che con il suo festival musicale di grande successo non è stata particolarmente lungimirante nei confronti del rocker emiliano, è stato ospite Alfred Nobel negli ultimi giorni della sua vita.

“Sanremo è Sanremo” come dice lo slogan, ma Vasco Rossi è stato recentemente capace di fare (Modena Park, 1° luglio 2017) il concerto con più pubblico pagante al mondo, cosi come i Giochi Olimpici sono l’evento sportivo più importante del pianeta.

Qui si aggiunge Obama, che non nasconde il suo amore per l’Italia e, proprio tra gli innegabili successi del già Presidente degli Stati Uniti c’è quel motto “yes, we can!” divenuto famoso in tutto il mondo per indicare che ciò che si vuole è possibile e forse, in questo caso, possiamo davvero farlo.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace. Il sogno di vedere riconosciuto il Nobel per la Pace all’organizzazione che nella storia è sempre stata in grado di fermare davvero le guerre, anche se a volte solo per le settimane di competizione Olimpica, deve diventare realtà con l’aiuto di tutti quelli che come me amano lo sport; siamo sportivi, amiamo la competizione e ci piace vincere!

#OLYMPICPEACE

#OLYMPICNOBEL

#SPORTNOWAR

http://betapress.it/index.php/2017/12/31/il-tempo-dello-sport/

 




ISRAELE e GERUSALEMME: gradiente di separazione

Trump riconosce Gerusalemme capitale d’Israele: «scelta necessaria per la pace», ma è subito violenza

Mercoledì 6 dicembre il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha rilasciato pubblicamente delle dichiarazioni molto forti su un argomento molto delicato, ovvero lo storico conflitto fra Israele e Palestina.

Dal lontano 1967, quando le forze armate israeliane si appropriarono dell’intera parte orientale di Gerusalemme scacciando i palestinesi che l’abitavano e costringendoli a rifugiarsi nei campi profughi, la questione mediorientale rappresenta una delle principali fonti di preoccupazione per la comunità internazionale, avendo ormai assunto le fattezze di una bomba a orologeria pronta a esplodere per l’ennesima volta.

A seguito dell’annessione israeliana di Gerusalemme, l’Onu e la politica internazionale hanno scelto di non riconoscere la città santa come «unificata capitale» dello Stato ebraico, prediligendo piuttosto il mantenimento di un atteggiamento neutro e prudente; anzi, la carta del riconoscimento della capitale è sempre stata utilizzata, soprattutto dagli Stati Uniti, per ottenere da parte di Israele concessioni a favore dei palestinesi.

In seguito, con lo scoppio della Prima Intifada nel 1987, la situazione si è inasprita a tal punto da spingere la politica internazionale a scegliere, in occasione dei negoziati di pace di Oslo nel 1992-93, di affrontare la questione Gerusalemme in un momento successivo e specificamente dedicato.

Tuttavia, gli innumerevoli sforzi compiuti dalla politica internazionale in direzione di una mediazione ponderata tra le due parti, sono stati completamente vanificati nella giornata di mercoledì 6 dicembre, quando, con la nonchalance di un cameriere che comunica il piatto del giorno ai suoi clienti, Donald Trump ha dichiarato pubblicamente che gli Stati Uniti d’America riconoscono Gerusalemme «capitale di Israele» e che sono già state approntate le misure per trasferire l’Ambasciata americana da Tel Aviv alla città santa.

Ovviamente Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele, ha accolto la notizia con l’entusiasmo di un attaccante che segna al novantesimo: «è una svolta storica. Spero che altri governi seguano presto l’esempio americano. Ogni trattato di pace deve includere Gerusalemme come la nostra capitale».

D’altronde Donald Trump non ha fatto altro che prestar fede alle promesse elettorali, presentando quest’ennesima gaffe come una decisione atta a realizzare una rottura rispetto alle amministrazioni del passato: «antiche sfide domandano nuove soluzioni», dice il tycoon, sostenendo che «il riconoscimento di Gerusalemme aprirà a nuove prospettive di pace».

In realtà, gli effetti funesti di questa dichiarazione non hanno tardato a manifestarsi e, di certo, non preannunciano l’avvento di «nuove prospettive di pace».

L’annuncio del presidente americano, infatti, ha acceso la rabbia e l’indignazione in molti paesi del mondo, suscitando un’ondata di critiche da parte della comunità internazionale a cui sono ovviamente cadute le braccia.

Forte la reazione di Ismail Haniya, leader degli estremisti palestinesi di Hamas, che ha definito le parole di Trump una «dichiarazione di guerra contro i palestinesi» e ha richiesto una nuova intifada per sconfiggere il nemico sionista.

A Gaza alcuni palestinesi hanno dato in pasto alle fiamme le bandiere di Israele e degli USA e, solo due giorni dopo le dichiarazioni di Trump, la violenza si è riaccesa in prossimità dell’omonima Striscia, laddove a Ramallah, in Cisgiordania, e in altri luoghi, si sono verificati una serie di scontri armati tra manifestanti palestinesi e soldati israeliani.

Ai margini della città palestinese di Ramallah, le forze israeliane hanno sparato dozzine di proiettili di gas lacrimogeni e granate stordenti a centinaia di manifestanti palestinesi riuniti per dar sfogo alla propria rabbia per le dichiarazioni di Trump.

Scontri sono scoppiati anche a Gerusalemme Est e al confine tra Israele e Gaza: a Betlemme l’atmosfera natalizia ricreata dalle luci colorate è stata bruscamente soppiantata dalla paura e dalla tensione a seguito del lancio di pietre e lacrimogeni.

Ad uno dei principali punti di controllo tra Gerusalemme e Ramallah, i soldati sparavano proiettili di spugna contro i bambini che lanciavano pietre da dietro bidoni della spazzatura.

Nel frattempo, l’esercito israeliano si sta preparando per un aumento della violenza nei prossimi giorni e ha rinforzato le sue truppe in Cisgiordania, aggiungendo unità all’intelligence e alle truppe che si occupano della difesa territoriale.

Anche le istituzioni statunitensi in queste ore si stanno preparando a fronteggiare ripercussioni violente: il Dipartimento di Stato ha limitato i viaggi per gli impiegati del governo degli Stati Uniti a Gerusalemme e in Cisgiordania, sconsigliando ai suoi cittadini la frequentazione di zone solitamente affollate.

Insomma, a pochissime ore dalle dichiarazioni del presidente Trump, già dilagano violenza, tensione e paura e la situazione sembra essere destinata a peggiorare.

Per la giornata di venerdì 8 dicembre è prevista una “giornata della rabbia” fortemente voluta da Haniya, leader di Hassad, da cui, come lui stesso afferma, avrà inizio «un ampio movimento di liberazione» per Gerusalemme.

Il livello di tensione è altissimo, si teme fortemente che la situazione possa degenerare in un altro sanguinoso conflitto; ormai, però, alea iacta est e non si può tornare indietro, non si possono cancellare le parole di un leader politico che sembra proprio non riuscire a comprendere quanto enorme sia la responsabilità legata al suo ruolo e quanto sia fondamentale porre fine agli innumerevoli tentativi di portare scompiglio in un mondo già così problematico.