Agrario Pavoncelli Cerignola: libri alla portata di tutte le famiglie

Cultura d’ avanguardia anche nella scuola a portata di famiglia!

Incredibile, ma vero! In mezzo a tanti problemi della scuola, proprio quando sembra difficile crederci, ci sono figure professionali ed esperienze concrete che lasciano il segno.

E’ quello che sta avvenendo nell’Istituto Tecnico Agrario “G. Pavoncelli” di Cerignola, in provincia di Foggia.

Un team di docenti d’avanguardia, coordinati da un dirigente scolastico “visionario”, ha realizzato un progetto editoriale competitivo ed innovativo.

Precisamente, una collana di nove libri editi dal Gruppo Editoriale C.C. EDITORE, nonché Ente di formazione accreditato Miur, rispondendo ad un duplice intento.

Primo obiettivo, una precisa motivazione didattica: offrire agli alunni del biennio superiore, degli strumenti competitivi e strategici per una preparazione teorica completa, ma soprattutto per una competenza professionale efficace.

Secondo obiettivo: offrire alle famiglie una collana di nove testi scolastici, nella doppia versione cartacea (elemento nuovo e particolarmente accattivante per la famiglia) ed ebook, ad un prezzo decisamente contenuto, 70 euro, dimostrando particolare attenzione economica verso le famiglie, impegnate a sostenere, ogni anno, una “normale” spesa di circa 330 euro per i testi scolastici.

Noi di betapress.it abbiamo raggiunto telefonicamente Pio Mirra, dirigente scolastico dell’Istituto Pavoncelli, per scoprire i retroscena di una tale iniziativa.

Betapress: Perché scegliere di realizzare una collana editoriale ad uso del biennio?, il Dirigente scolastico Pio Mirra, ha sottolineato che: “Nell’era digitale, mentre la comunicazione si orienta verso l’uso delle nuove tecnologie superando la tradizione, nella scuola è sempre più necessario il rinnovamento delle metodologie didattiche”

Betapress. “Esiste una legge in proposito?”

Mirra: “Sì, La legge 107/15, ed in particolare il Piano Nazionale Scuola Digitale, che hanno individuato degli ambiti di intervento su cui operare, invitando ad un’attenta riflessione sul ruolo delle nuove tecnologie e dei nuovi media per progettare una didattica per competenze”

Betapress. ”Dunque una sfida iniziata tre anni fa…”

Mirra: “Precisamente. L’iniziativa è nata nel 2015. La genesi del progetto rimanda alla consapevolezza, da parte dei docenti, che il dilagante fenomeno della dispersione scolastica non è imputabile solo al singolo soggetto, ma deriva da dei difetti nel sistema scuola. Negli ultimi anni, dietro e dentro ogni alunno in crisi, ci sono motivi socio-economici-culturali personali, ma anche, e, soprattutto, la negatività di un sistema scolastico che non regge più il passaggio al mondo del lavoro”.

Betapress “Cioè, la scuola non prepara più al lavoro?”

Mirra: “Sì, e le recenti analisi Censis, lo confermano. Esse denunciano un scarto, tra domanda e offerta di lavoro. Da un lato le imprese non trovano manodopera qualificata, dall’altro lato, una miriade di giovani non trovano lavoro, in quanto in possesso di competenze in uscita dal percorso scolastico non in linea con le richieste del mercato del lavoro”.

Betapress. “Che soluzioni potrebbero esserci?”

Mirra: “Una didattica laboratoriale, l’apprendimento in situazioni, imparare un mestiere, come un tempo avveniva nelle botteghe artigianali. Offrire conoscenze, ma soprattutto competenze. Il sapere pre-elaborato non basta più. Servono apprendimenti espliciti”.

Betapress: “E tutto questo, cosa c’entra con i libri digitali?”

Mirra: “Le case editrici, pur impegnate in un percorso di revisione metodologico-didattica dei libri di testo non hanno ancora recepito completamente il passaggio dell’apprendimento per discipline, all’apprendimento per competenze. E’ necessaria una tempestiva riorganizzazione dei contenuti disciplinari strumentali, per portare gli alunni all’acquisizione delle competenze stesse”.

Betapress: “E allora, cosa avete pensato, Lei ed i suoi docenti?”

Mirra. “ I docenti della mia scuola hanno collaborato attivamente alla stesura di nuovi testi, appunti digitali di quasi tutte le discipline. Praticamente, sulla base di queste premesse il Pavoncelli ha realizzato una propria collana di ebook, casa editrice Currenti Calamo, che è in adozione, per le prime classi, da quest’anno scolastico, 2018/19”

Betapress: “Le famiglie lo sanno?”

Mirra: “Proprio domani, lunedì 22 ottobre, alle ore 16.00, nell’auditorium Marianna Manfredi, si svolgerà la presentazione della collana editoriale, per illustrare alle famiglie la nostra importante iniziativa”.

Betapress: “Chi saranno i relatori?”

Mirra: “Eccellenti ed Illustri: Paola Adami, Dirigente Scolastico del F.lli Agosti di Bagnoregio (VT), capofila della rete I.T.A. SENZA FRONTIERE che parlerà delle buone pratiche: iniziativa editoriale per le scuole della Rete, e Corrado Faletti, Presidente del Gruppo editoriale C.C.Editore che illustrerà la formazione docente ed il Piano Nazionale Scuola Digitale. Interverranno, inoltre, Maria Aida Episcopo, Dirigente Ufficio V Ambito Territoriale di Foggia e Mario Trifiletti, Dirigente vicario dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia”

Betapress: “Cosa vorrebbe aggiungere per i nostri lettori?”

Mirra:” Dire alle famiglie che, le competenze, non si conseguono senza conoscenze. Che la Scuola, con la S maiuscola, deve favorire gli apprendimenti espliciti, cioè la teoria, fornendo allo studente un set di conoscenze specifiche sulle quali costruire gli apprendimenti impliciti, cioè il procedimento. Che il nostro obiettivo è lavorare sul metodo di studio, ma anche sull’autonomia personale e sociale. Che la costruzione di libri digitali permette di fornire ai giovani allievi un set di conoscenze dichiarative di base sulle quali sviluppare le conoscenze procedurali, sì da conseguire competenze specifiche certe e durevoli e rispondere alle sfide del mondo del lavoro”.

Betapress:” E ai suoi alunni?”

Mirra: “Che al passo coi tempi, in qualunque momento, da qualunque telefonino android, potranno consultare la versione digitale del loro libro”.

Betapress: “Niente più scuse per non studiare, allora…”

Mirra: “ Ed un vantaggio per lavorare…”

 

Antonella Ferrari




 CESARE MORENO, il maestro con i sandali

 

CESARE MORENO, il maestro con i sandali

Oggi sono entrata in classe con le ballerine, ma mi facevano male i piedi. Ci vorrebbero i sandali, ho pensato, anzi, dovrei metterli tutto l’anno…

E, all’improvviso, mi è venuto in mente Cesare Moreno, il maestro di strada, che, da quasi 20 anni, mette i sandali, per protesta, 365 giorni all’anno, indipendentemente da che tempo fa…

Cesare Moreno è un insegnante sui generis, che noi di betapress abbiamo avuto il piacere e l’onore d’intervistare.

Maestro dal 1983, “non avevo intenzione d’insegnare, sono stato forzato da mia madre, avevo già 38 anni”, Cesare Moreno, ci parla di una vocazione innata alla denuncia.

betapress: “Quando è arrivata la vocazione?”

“Subito! Già nei primi 10 anni di esperienza nelle scuole di periferia di Napoli, ho iniziato a qualificarmi come oppositore radicale. Hanno iniziato a chiamarmi nelle varie trasmissioni televisive, per il mio ruolo di denuncia dei problemi della scuola. Nel ’94, dopo un macht in televisione, l’allora Ministro D’Onofrio, mi ha chiamato ad occuparmi della dispersione scolastica. Non mi sono più fermato”.

Una continua lotta, un ruolo scomodo, “prestazioni non gradite”, così dice lui.

Nel ’98 è il fondatore, insieme con la moglie Carla Melazzini, anche lei insegnante e scomparsa nel 2009, del “Progetto Chance”.

Un’ iniziativa di capitale importanza sociale, volta alla neutralizzazione della dispersione scolastica nei quartieri più difficili della città di Napoli. Un’opera attiva, nata dalla sfida di salvare gli ultimi della scuola, quelli che ne abbandonano la frequenza. Un’opera realizzata grazie alla preziosa collaborazione di operatori, educatori, insegnanti, dirigenti, “genitori sociali”, psicologi e volontari, in grado di riportate nuovamente a scuola, tra i banchi, centinaia di ragazzi, considerati, a priori, da insegnanti tradizionali, come definitivamente “dispersi”.

Un successo di pubblico e di critica”, così lui ne parla.

Peccato che, nel 2009, siano stati chiusi i finanziamenti pubblici.

Mi hanno detto, se vuoi continua con i finanziamenti privati. Ed io non mollo”.

Ed è così che, da quel giorno, di quasi dieci anni fa, Moreno ha deciso di mettere i sandali, per protesta, contro le autorità.

Contro quelle autorità che mancavano alla parola data.

Cesare Moreno ha deciso che avrebbe camminato coi piedi nudi dentro sandali ordinari, con qualunque tempo.

Non ha mai smesso, perché le autorità sono davvero inadempienti, per definizione, e perché i suoi passi, di dignitoso mendicante, si fanno conoscere meglio di una bandiera, indipendentemente da chi c’è al governo.

Cesare Moreno è dunque diventato “il maestro con i sandali”.

Li ha messi, in segno di protesta, nel 2009, perché Chance aveva ricevuto i vestiti, (i fondi della Legge 285), ma le istituzioni non sempre terminano quello che hanno iniziato troppo spesso per ragioni di opportunismo, e come se dopo aver dato i vestiti non avessero dato le scarpe…

E continua a metterli, anche oggi, nel 2018,” perché lo Stato italiano si sta ritirando sempre più, dall’assistenza e dall’educazione […] Mi sento come un caporale, senza percentuale, che subappalta la manodopera educativa […] Continuo ad elemosinare spazi. Servono soldi, che lo Stato non ci dà. I miei maestri vengono trattati come dei privati, anche se offrono una funzione pubblica”.

E che funzione, diciamo noi!!!

L’associazione MAESTRI DI STRADA, di cui Cesare Moreno è Presidente, conta 40 persone, di età compresa tra i 20 e i 35 anni. Giovani, principalmente laureati in psicologia, ma anche in pedagogia e sociologia. Giovani addestrati dal MAESTRO, che dice di loro “mi sento di aver lasciato un’eredità”.

Giovani che maturano anni di pratica continua, nelle scuole.” Una nuova categoria professionale, a metà strada tra psicologi, sociologi, assistenti sociali e figure di supporto alla genitorialità”, così lui ne parla.

Attualmente, in servizio in 14 scuole, durante l’orario scolastico. Intervengono soprattutto nella fascia più a rischio dispersione, fine medie, inizio superiori.

Betapress: Come?

“In due modi. Primo, andando a lavorare sul gruppo classe, rinforzandolo. Secondo, rimotivando l’apprendimento, offrendo dei laboratori […] Lavoriamo per sviluppare delle buone relazioni, per essere responsabili, per rimotivare i ragazzi. Se un giovane non ha voglia di vivere, non apprende”.

E qui è il punto.

Alla nostra domanda su quali sono i problemi dei giovani del 2018, Cesare Moreno ci ha risposto: “I ragazzi d’oggi sono sempre più sbandati e demotivati. Rispetto al passato, è crescita la sfiducia dei giovani verso il mondo adulto. La dispersione scolastica odierna, non è più legata a fattori sociali o economici. La dispersione scolastica dei nostri giorni, rimanda alla sfiducia nella vita sociale”. Ritiro sociale, mancanza di buone relazioni, manifestazioni aggressive esagerate, emergono in tutto il mondo giovanile, non solo nei ceti più emarginati. “C’è in gioco una crisi di rapporto intergenerazionale. Tutto il mondo adulto si è giocato la sua credibilità”.

A proposito delle varie riforme della scuola, ci dice che “l’unica cosa veramente nuova, è l’alternanza scuola-lavoro, perché mette in discussione il sapere libresco. E non a caso, ha scatenato la ribellione dei maitre à penser… Il vero sapere nasce dallo sperimentarsi di un giovane nel mondo del lavoro, anche fare servizio in un Mac Donald’s può servire…”

Sui primi passi di questo nuovo governo, ci dice che “è uguale a tutti gli altri. Sbagliato nello stile e nello scopo. Non è un governo politico, ma di odio. Dal punto di vista educativo, invito i miei maestri a fare l’esatto contrario. Non slogan idioti, ma impegno sociale.”

Betapress: “Cosa farebbe se fosse Ministro della pubblica Istruzione?”

“Primo, per almeno un anno, sospenderei tutte le riforme, non se ne può più. Poi il mio impegno categorico, sarebbe curare il benessere dei docenti, sempre più sotto burnout. Mi crede che quando vado nelle scuole come formatore, mi sento un rianimatore scolastico ?!?. Investirei sul riconoscimento almeno morale, se non economico, della professione insegnante. Direi, in modo forte e chiaro, che i docenti devono essere consapevoli, che devono riflettere insieme, che devono confrontarsi su ciò che osservano. Gli insegnanti che trasmettono il sapere non servono più. Servono quelli che riflettono. Solo così sono docenti impegnati. La professione degli insegnanti è una professione riflessiva. Senza attività riflessiva sul proprio ruolo, gli insegnanti stanno male.”

A volte, quando i suoi maestri vanno in classe, gli insegnanti curricolari, escono, per tirare il fiato, perché non ce la fanno più, perché le aule sono diventate un campo di battaglia.

“Gli insegnanti hanno bisogno di aiuto, di solidarietà, non di omertà. Di fronte al loro disagio, bisogna intervenire, in modo deciso. Ma non con il BONUS premiale, un crimine pedagogico, incentivo al lavoro privato, ma facendo l’esatto contrario, aiutando e motivando i docenti a lavorare in sinergia, perché solo i docenti, possono aiutare i docenti…”.

Betapress: “Momenti di sconforto?”

“Ogni giorno, quando vedo genitori che azzoppano i loro figli, insegnanti che si scontrano, autorità politiche che predicano odio e praticano violenza…Ma, mantengo fermo il principio della resistenza, credo nell’educazione oltre le miserie […] Ogni mercoledì, io e i miei maestri, ci incontriamo per leccarci le ferite, con però la serenità d’ animo di chi non molla, con il sorriso di chi non ha perso la speranza, perché la vita è testimonianza…”.

Grazie, MAESTRO.

E, a proposito di testimonianza…

Cesare Moreno è maestro elementare dal 1983, ma la sua storia è un’escalation di impegno sociale.

Dal 1994 al 1996, in qualità di consulente del Ministero della Pubblica Istruzione, ha varato a Napoli il Piano Provinciale di lotta alla dispersione “Qualità della scuola e successo formativo”.

È stato tra i fondatori del progetto Chance, recupero dei dispersi della scuola media, e suo coordinatore dal 1998 alla chiusura avvenuta nel 2009.

Dal 1998 al 2001 è stato nel gruppo di lavoro ministeriale Progetto SPORA che ha coordinato la sperimentazione di alcune decine di progetti riguardanti il recupero e la prevenzione della dispersione nelle zone a rischio dell’intero territorio nazionale.
Nel 2001 è stato membro della Commissione Nazionale per il riordino dei cicli scolastici e nel 2002 del Gruppo di Lavoro tecnico Scientifico per la formazione in tema di dispersione scolastica.

Il 2 giugno 2001 gli è stato conferito il titolo di Cavaliere della Repubblica per le sue attività in merito al recupero degli adolescenti in situazioni difficili.

Da giugno 2001 alla fine della legislatura è stato membro della Commissione Nazionale per il riordino dei cicli.

Nel 2002 il Direttore Generale del MIUR per la formazione e l’aggiornamento lo ha nominato membro del Gruppo di Lavoro tecnico Scientifico per la formazione in tema di dispersione scolastica.

A dicembre 2005 diventa responsabile scientifico del Progetto G-BUS, giovani per il benessere e l’utilità sociale, fattoria viaggiante per la promozione delle professionalità giovanili e la cittadinanza.

Ad aprile 2006 diventa Presidente della Associazione Maestri di Strada ONLUS, a settembre dello stesso anno riceve la targa del Ministero Della Pubblica Istruzione per i meriti nel campo del recupero degli adolescenti e della formazione degli operatori.

Il progetto G-BUS promosso da Maestri di Strada riceve nel 2008 il Premio nazionale “La Città dei Cittadini” per la sezione associazioni. Il premio, che ha ricevuto l’Adesione del Presidente della Repubblica, è ideato dal laboratorio “La città dei cittadini” dell’istituzione “Casalecchio delle culture”.

Ha ideato e coordinato le giornate di studio “Saperi di strada e cittadinanza dei giovani – Trame di pensiero e strutture per la promozione di nuove alleanze educative”, con la partecipazione di studiosi di otto università italiane, nel luglio 2010.

Dal 2010 progetta e coordina il progetto E-VAI (Educazione, Volontà, Accoglienza, Integrazione) per la prevenzione della dispersione scolastica nella periferia orientale di Napoli, con un finanziamento della Fondazione San Zeno di Verona.

Ha pubblicato in riviste specializzate e volumi numerosi contributi per la definizione di metodologie educative. Ha curato l’edizione del volume postumo di Carla Melazzini “Insegnare al principe di Danimarca”, premiato poi nel 2011 con il Premio Siani.

Nell’aprile 2008 ha tenuto un Corso all’Università Internazionale dell’Andalusia nell’ambito del master di “Experto universitario Intervención socio educativa en ámbitos desfavorecidos”.
Nel 2009 nell’ambito del Festival dei Saperi promosso da EDA-Forum ha ricevuto, per il progetto Chance, una targa come buona prassi nella formazione continua degli adulti.

Il 3 e 4 luglio 2012 ha coordinato, con la professoressa Santa Parrello, le giornate di studio “La Mappa e il Territorio – Ripensare l’educazione tra strada e scuola” a cui hanno partecipato importanti studiosi dall’Italia e dall’estero.

Proprio l’anno scorso, ha ricevuto un ennesimo premio, quello della Fondazione premio Napoli.

Per la prima volta il riconoscimento, che va ogni anno ad autori di narrativa, saggistica e poesia, è stato assegnato a lui, il “maestro coi sandali” per “la cultura”, che non è una categoria né un genere letterario, ma un modo di stare al mondo insieme agli altri.

Maestri di Strada, l’Associazione che ha fondato, e di cui è Presidente, affronta infatti i fenomeni sociali di emarginazione, nelle loro dimensioni psichiche e personali, oltre che culturali ed economiche.

Lavorando sulla “emarginazione interiore”, dà voce al nucleo delle difficoltà dei giovani ad impiegare le proprie risorse per crescere.

Il fenomeno della dispersione scolastica si inserisce in un più vasto fenomeno di dispersione delle risorse dei giovani.

L’abbandono scolastico è solo la punta di un iceberg, segno e simbolo di un ben più diffuso fenomeno di difficoltà educativa, di crisi di relazione tra giovani generazioni e mondo adulto.

Tra i giovani, il disagio esistenziale acuto, è ormai un fenomeno che oltrepassa i limiti delle classi sociali. Il disagio dei giovani è un anticipo del “normale” disagio della nostra civiltà, sempre più alienata.

I fenomeni di disagio a scuola, sono sintomo di un malessere più generale, che riguarda la crisi dei ruoli adulti.

Gli adulti dovrebbero regolare e contenere i giovani, con le necessarie oscillazioni connesse alla crescita.

Le figure adulte dovrebbero rappresentare i garanti sociali e psichici dell’apprendimento, ma sembrano essersi ritirate da questo ruolo, assumendo a loro volta comportamenti immaturi e di poca responsabilità.

Il mandato sociale della scuola, è diventato un mandato paradossale.

Da un lato, abbiamo una scuola incentrata sulle discipline, dall’altro lato, la richiesta è di una scuola incentrata sulla formazione umana e professionale. Da un lato si vuole alimentare la competizione sociale, d’altro canto non si vorrebbero vittime nella cosiddetta corsa al successo.

Ne consegue per la scuola, per gli educatori e per i docenti un mandato paradossale che richiede formazione umana e professionale seria e regolata, ma alimenta in ogni modo la poca responsabilità, la sostituzione delle merci alle relazioni, la competizione invidiosa piuttosto che la cooperazione.

Il diritto alla scuola non può essere un diritto formale, ma un diritto esigibile, esiste solo se si realizza praticamente: la frequenza scolastica deve essere garantita attraverso opportune strategie che favoriscono la partecipazione anche di quelli poco motivati e che vivono forti disagi.

Contro la dispersione scolastica l’unica strada è andare là dove i giovani stanno con la mente e con il cuore, assumere il loro disagio esistenziale e sociale come l’unica materia prima con cui edificare il proprio progetto di vita.

Maestri di Strada significa questo.

 

Antonella Ferrari




Vicepresidi… e chi sono?

E’ scomparso il Vicepreside, già nella legge 165 del 2001 è stato soppresso, eliminato e sostituito dalla parola collaboratore a volte vicario, a volte primo collaboratore…

Ma Lui, il Vicepreside, alla faccia di tutti quanti è ancora lì, vigile ed attento, silenzioso al servizio della Scuola, si è vero è stato eliminato formalmente, ma le scuole non possono funzionare senza di Lui e Lui lo sa, Lui, paziente in tutti questi anni è rimasto nelle retrovie continuando a combattere per il bene della scuola.

Eppure i Vicepresidi sono Desaparecidos, legalmente non esistono, lo Stato pur di non pagarli e di non riconoscerli li ha fatti sparire!!!

Paura, e se lo stato domani si stufasse dei suoi cittadini potrebbe farli sparire magari modificando un pochino qualche norma primaria, tipo ” L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al collaboratore che potrà essere scelto dal politico di turno fra i vicini di casa, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

Le aberrazioni di questo stato sono quasi comiche, perché pur avendo eliminato una figura manageriale importantissima continua a farla lavorare…

Minchia lavoro nero signor Tenente!!

Noi continuiamo invece a vederli lavorare proprio come Vicepresidi, i Dirigenti li trattano da Vicepresidi, i genitori vanno a parlare con i Vicepresidi, il MIUR scrive ai Vicepresidi (però li chiama vicari, sottile…) e tutti continuano a dormire sogni tranquilli perché il Vicepreside c’è!!

Noi invece continuiamo a dargli la parola perchè per fortuna adesso i Vicepresidi incominciano a parlare ed a far sentire le loro sacrosante ragioni, forza ragazzi, siamo con voi.

 

ANCODIS: Vicari si…..Vicari no…….Vicari ma….
questo è il PROBLEMA della governance del sistema scolastico italiano.
Occorre riconoscere giuridicamente il diritto di esistenza!

In questi giorni di inizio anno scolastico continuiamo ad aspettare che si concretizzi quanto detto dal Ministro Bussetti e richiesto dalle Associazione dei Presidi in merito al tema della governance delle scuole.
In particolare, ci aspettiamo una chiarezza di intenti e di posizioni che ad oggi ci appaiono confuse e cristallizzate ancora in un sistema che riteniamo vecchio e superato.
Ci riferiamo, in particolare, a due interventi che sottoponiamo alle riflessioni di quanti si occupano di scuola e che chiedono urgenti risposte:
a) Esonero del Collaboratore principale (denominazione ANP), Collaboratore Vicario (denominazione MIUR), Vicepreside 1° Collaboratore (denominazione comunemente riconosciuta) nelle scuole con DS reggente o titolare.
Siamo ancora in attesa di un intervento che consenta al DS di poter contare su un Collaboratore a tempo pieno per la gestione e l’organizzazione della scuola in modo adeguato, moderno e pienamente corrispondente alle necessità dell’Istituzione scolastica.
Non è più accettabile procedere nelle attuali condizioni di Collaboratori senza DS titolare o con DS part-time ed impegnati anche in attività di docenza: è un notevole risparmio per lo Stato ma un danno per la scuola e, soprattutto, per gli alunni delle classi assegnate al Collaboratore!
E’ il caso di ricordare che il 9 marzo 2018, durante l’incontro con le OO.SS., il MIUR si era impegnato a sollecitare i Direttori degli Uffici Regionali affinché nell’assegnazione dell’organico di potenziamento per l’A.S. 2018-2019 si tenesse conto della classe di concorso del primo collaboratore, come indicato dal dirigente scolastico.
Se l’impegno dell’Amministrazione fosse stato confermato nelle scuole avremmo avuto una unità di potenziamento corrispondente alla classe di concorso/tipologia di
posto del primo collaboratore, permettendo allo stesso di essere esonerato
dall’insegnamento. Ma l’impegno è stato palesemente disatteso!!
Successivamente sia Disal che ANP hanno ribadito in documenti ufficiali l’urgenza di tale intervento al fine di “assicurare la migliore governabilità delle istituzioni scolastiche……affinché tutti i DS preposti alle suddette scuole abbiano la possibilità di esoneraredall’insegnamento un docente loro collaboratore, individuato ai sensi dell’articolo 25 del d.lgs.165/2001, e di disporre la relativa supplenza fino al termine delle attività didattiche (comunicato ANP del 2/8/2018)”, indipendentemente dalla classe di concorso del Collaboratore.
E’ancora una volta a rischio la qualità e la funzionalità della scuola specialmente in quei territori dove la presenza di un DS reggente o part-time non può dare tempestive risposte alle urgenze ed emergenze che quotidianamente si presentano (spesso senza preavviso!).
Ci saremmo aspettati – vista l’urgenza – che la norma avesse visto la luce già nel decreto milleproroghe di recente approvazione (come anticipato dal Ministro Bussetti il 4/9/2018) ed, invece, stando al dispositivo nessuna risposta è stata data nel merito.
E le scuole – con buona pace dei DS e dei loro Collaboratori – continuano ad arrangiarsi nella quotidiana fatica di garantire un’efficiente gestione ed una efficace organizzazione unitamente al diritto allo studio degli alunni.
ANCODIS ribadisce l’urgenza di ripristinare l’esonero per tutti i Collaboratori vicari (la legge di stabilità 2015 ha cancellato questa possibilità ai danni delle autonome I.S.) indipendentemente dalla condizione di reggenza.

b) Riconoscimento giuridico della figura del VICARIO.
Nell’Avviso pubblico per l’individuazione degli “Snodi formativi territoriali”………. Conferma disponibilità corsi formativi in materia di privacy pubblicato il 22/8/2018 si legge “A tal fine, si chiede ………… di confermare la disponibilità ad organizzare un’attività di formazione in materia di protezione dei dati personali, ………. rivolta ad un massimo di quattro partecipanti per ciascuna istituzione scolastica, tra cui, necessariamente, il Dirigente Scolastico (DS), il vicario e il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA)”.
Una piacevole sorpresa leggere in un documento ufficiale che esiste il Collaboratore VICARIO quale figura da impegnare – necessariamente – in questo corso di formazione!
Ma allora i VICARI formalmente esistono per il MIUR solo quando si devono occupare di formazione o lavorare nelle scuole in assenza del DS o gestire plessi distaccati o organizzare il servizio scolastico o sostituire il DS assente per ferie o malattia?
Ciascun DS (part-time/reggente/titolare) può contare su una squadra di Collaboratori che lo coadiuvano nelle scelte, nella pianificazione, nella gestione, nella condivisione delle criticità, che sono soddisfatti per i risultati positivi conseguiti: questi docenti per lo Stato NON esistono e non ricevono dallo Stato quanto, invece, offrono incondizionatamente alla loro Istituzione scolastica.
Lo abbiamo scritto e continuiamo a farlo: nel sistema scolastico italiano OCCORRONO figure intermedie, con un servizio contrattualmente riconosciuto in una carriera integrata, e tra di essi un Collaboratore che possa supplire temporaneamente all’assenza del DS.
Le forze politiche di maggioranza e di opposizione – se hanno a cuore l’organizzazione e la gestione moderna di una scuola e la conseguente qualità dell’offerta formativa – DEVONO trovare, nel confronto con tutti gli operatori (DS, DSGA, OO.SS) quelle soluzioni moderne ed efficaci che riconoscano ruolo e dignità a quanti si spendono – oltre la didattica – a servizio di alunni e famiglie.
A tal proposito non possiamo non apprezzare quanto si legge nel documento dell’ANDIS del 9 settembre “(I Collaboratori) Sono di sicuro sostegno a un sistema fondato su effettive autonomie…….con il pieno riconoscimento e la stabilizzazione delle figure di staff, in grado di collaborare col dirigente scolastico.
Certamente una posizione lungimirante e consapevole di una visione che guarda alle autonome istituzioni scolastiche come sistemi complessi nei quali una leadership può realizzarsi integrando e riconoscendo i contributi professionali dei Collaboratori del DS.
E’ arrivato il tempo di infrangere questa dicotomia tra la realtà dei Collaboratori ben nota in tutte le scuole e l’assenza di un fondamento normativo, tra l’evidenza di una presenza costante e riconosciuta da docenti, alunni e famiglie e il mancato riconoscimento giuridico da parte dello Stato, tra un ruolo effettivamente ed efficacemente svolto ogni giorno dell’anno e l’indifferenza delle OO.SS. che non spendono parola a loro sostegno!
Questa condizione per i Collaboratori non è più sostenibile e lo dimostreremo a cominciare dal possibile rifiuto a svolgere la cosiddetta “necessaria” formazione così come indicato dal MIUR!
ANCODIS, dunque, ribadisce la necessità– questa sì! – del riconoscimento giuridico e della progressione di carriera di quanti collaborano nella gestione e nella organizzazione delle autonome I.S. a partire dal 1° Collaboratore Vicario.
In caso contrario, verrebbero meno a scuole e DS quelle condizioni favorevoli che i Collaboratori garantiscono con la presenza quotidiana, con le loro specifiche competenze, con lo spirito di servizio e la leale collaborazione sempre profuse.
Chi si occuperebbe di organizzazione del servizio, di gestione supplenze, di controllo sicurezza nei plessi, di progettazione, di alternanza scuola-lavoro, di relazioni con i genitori, di gestione dei conflitti, di PON FESR, di RAV, di PdM?
La professionalità dei Collaboratori NON può essere messa all’angolo dal ricatto “Accetti queste condizioni o rinunci” oppure dalla asserzione qualunquista “Lo hai voluto fare tu”.
Per fortuna c’è di mezzo la forza della dignità e dell’etica in ciascun Collaboratore!

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo




Fuga per la vittoria … ?

Fuga dall’Italia, l’enigma del Nuovo Millennio: Restare o andar via…

 

Talmente tante parole sono state sprecate sulla disoccupazione da farla divenire un luogo comune, il male dei nostri giorni, l’incubo di migliaia di giovani, i quali ancor prima di aver concluso gli studi progettano il loro futuro fuori dalla Nazione di appartenenza, alla ricerca di una felicità che la loro terra non è in grado di garantire.

È interessante notare come la quota dei giovani accademici pronta a fare la valigie e andar via, oggi, sia pari al 49 per cento: era il 38 per cento nel 2006.

Un laureato su tre non ha problemi a trasferirsi in un altro continente, uno su quattro accetta spostamenti frequenti. Il 52 per cento si dice disponibile a trasferire anche la residenza.

Solo il 3 per cento dei laureati analizzati, quota di residuo si percepisce, è contrario a qualsiasi tipo di trasferimento.

Quasi fosse un rituale, non trascorre giorno in cui il politico di turno, poco importa se sia una faccia molto o poco conosciuta, deprechi espressioni relative l’alto tasso di disoccupazione in cui siamo intagliati, naturalmente la frase si conclude con la relativa promessa di un piano da attuare con estrema immediatezza per sconfiggerlo.

Tra una promessa e l’altra intanto le Università continuano inesorabilmente a sfornare due tipologie di laureati: di massa e d’ élite.

Mentre i laureati di massa sono destinati a diventare futuri concorrenti di concorsi pubblici, spinti ad accettare mansioni poco soddisfacenti e per di più insufficientemente ricompensati, i laureati d’ élite, per mezzo di astuti metodi imprenditoriali, verranno presi in prestito da chi realmente si intende di “fenomeni” per essere inseriti negli alti piani della ricerca e retribuiti come è giusto che sia.

Ci si domanda a questo punto, cosa sarebbe accaduto se gli alti vertici d’oltreoceano non avessero effettuato le loro pratiche manageriali, ma credo che la risposta sia implicita al quesito posto: si sarebbe annoverato un altro numero tra i molteplici già compresi nell’immenso registro dei disoccupati, perché in Italia non c’è spazio per i cervelli.

Diffusa sembra essere l’idea di come la disoccupazione sia inscindibilmente connessa al nuovo millennio; in realtà la storia smentisce questa popolare correlazione.

Da sempre sono esistiti i disoccupati, già dalla prima metà del secolo i poveri meridionali guardavano agli Stati Uniti come unica fonte di realizzazione dei loro sogni: “andiamo in America, facciamo fortuna”.

Che poi la fortuna sia concretamente giunta è un altro discorso.

È innegabile che, tanto nel passato quanto nel presente, di un male difficilmente sanabile si tratti, ma io continuo ad avere l’impressione che coloro i quali ne parlano non sempre sappiano di cosa stanno parlando, quasi come a voler dire: “è sulla bocca di tutti, allora ne parlo anch’io”.

Quasi come uno slogan viene sponsorizzato da chi ha un particolare interesse a farlo proprio, magari per un certo tempo assedia i dicasteri per poi tornare ad essere un male incurabile di cui puntualmente nessuno si assume gli errori.

Tra disastri, errori ed orrori qualcuno ha il coraggio di affermare che: “va via solo chi vuole andar via… in fin dei conti in Italia non lavora solo chi non vuole ma il lavoro c’è”.

Inutile cercare di rispondere ad impronunciabili blasfemie… e forse si, il tasso di chi decide di andar via sarà sempre maggiore ma imbattibile resterà l’indice di coloro i quali pur potendo cambiare le sorti continuano ad innalzare i loro slogan noncuranti del male che arrecano a chi costretto deve lasciar tutto, abbandonare la terra natia, gli affetti, le certezze imprimendo nel cuore la sofferente illusione che forse un giorno in patria ritornerà… perché forse un giorno qualcuno armato di voglia di fare non pronuncerà ma attuerà il tanto invocato cambiamento.

 




Abusivismo di necessità, nuovo slogan acchiappa voti!

Con la caccia al consenso, si sa, non si fanno prigionieri, per molti politici dirla grossa è vitale.

Ecco che la nuova moda di questa estate porta con sé un messaggio inequivocabile: l’abusivismo edilizio di necessità va tutelato.

Cosa c’è dietro quest’affermazione di Luigi di Maio, candidato in pectore dei Cinque Stelle alle prossime politiche?

È abbastanza evidente, siamo dinanzi all’ennesima trovata che punta dritto alla massa: una genialata populista che mira a incrementare il consenso in vista del voto siciliano previsto il prossimo 5 novembre.

Un’affermazione elettorale dei Cinque Stelle in Sicilia, si sa, potrebbe spianare la strada per la facile conquista della maggioranza parlamentare, al contrario l’obiettivo di diventare partito di governo sarebbe in salita.

Un progetto chiaro, studiato a tavolino e messo in atto dalla squadra dei rampolli di Grillo.

D’altronde cos’è l’abusivismo di necessità?

Per necessità s’intende il diritto all’abitazione sancito dall’art. 47 della Costituzione Italiana.

Cosa c’entra con l’abusivismo?

Chi può permettersi di costruire una casa non può permettersi di acquistarla?

Non può permettersi di pagare un affitto?

La risposta alle ultime due domande è logicamente affermativa.

Costruire una casa di 100/120 metri quadri con finiture di media qualità e pregio, senza considerare oneri e sanzioni prevista dalla normativa vigente, costa non meno 120 mila euro.

Se poi consideriamo gli oneri, i tecnici e le varie pratiche di regolarizzazione non si spendono meno di 170 mila euro.

Questa non è necessità ma menefreghismo rispetto a un principio generale di pianificazione e tutela del territorio, dove l’egoismo, che chiamerei più propriamente familismo amorale, prevarica tutto e tutti.

I condoni in materia di edilizia che, tra il tra il 1985 e il 2004, hanno permesso all’erario di incassare, con una rivalutazione in euro, l’equivalente di 16 miliardi, in termini di abusivismo hanno creato una corrente di pensiero per la quale fare un abuso edilizio è in prospettiva conveniente: “prima o poi un Governo (o una regione come nel caso della Campania nel 2014) farà un nuovo condono”.

Tradotto in numeri, l’abusivismo, nel settore delle costruzioni, invece di diminuire, sale ogni anno toccando percentuali fino al 15% dell’edificato totale.

Secondo alcuni studiosi del settore, tesi che sposo integralmente, questo è il frutto inevitabile della politica dei condoni o degli slogan di qualche parlamentare pronto a buttarla lì, come spesso accade.

La Politica che ha una funzione sociale decisiva, non può, pertanto, lanciare questi pericolosissimi messaggi e con essi disintegrare una lenta ma necessaria lotta all’abusivismo, che è fatta in onore del nostro splendido Paese e nel rispetto di coloro che osservano le leggi, permettendosi ciò che la norma concede e non ciò che da furbi e miopi potrebbe, con una scorciatoia, concedersi.

Tanio Cordella




il tubo catodico non c’è più…

Fin dagli arbori degli apparecchi televisivi si è cercato di migliorare il loro aspetto estetico, visivo e funzionale ma per molti anni le cose sono andate al rilento; se consideriamo che la Tv a Tubo Catodico in bianco e nero è stata in vendita per circa 25 anni e quella a colori poi per altri 30, le nuove tecnologie a al Plasma e a Cristalli liquidi, hanno fatto passi da giganti in tempi strettissimi pari a 15 anni ed ancora non sono arrivate ad un punto che possiamo definire di consolidamento essendo ancora in forte mutazione. 

Siamo passati dai primi Plasma di fine anni 90, un 42” costava tra i 25 e 30 milioni di lire, ai schermi LCD/LED (si differiscono per il tipo di retroilluminazione), OLED che a parità di dimensioni, costano poche centinaia di euro.

I primi schermi piatti al Plasma avevano risoluzioni bassissime, 852x480Pixel che migliorarono dal 2006 arrivando al HD Ready ossia 1280×720 a 50/60Hz Progressive Scan (720Pixel di risoluzione Verticale) con l’uso anche dei primi schermi LCD. Dal 2012 si è iniziato a diffondere, grazie ad una diminuzione dei prezzi, il formato Full HD 1080p a 50/60Fps (1920x1080p) quasi esclusivamente con Pannelli LCD e LED ed infine dal 2016 si sta affermando il formato 4K detto anche Ultra HD – UHDTV (a seconda dei produttori di Tv) 3840×2160 pixel (3840Pixel di risoluzione Orizzontale). Questa è una risoluzione televisiva mentre quella propriamente 4K è cinematografica data da 4096×2160Pixel con la risoluzione Verticale che cambierà poi a seconda del rapporto d’aspetto dato dal tipo di Telecamera utilizzata per la ripresa.

Un altro aspetto interessante da approfondire è come è cambiata la composizione del Pannello di Visione, i primi schermi piatti di grandi dimensioni vennero realizzati al Plasma, avevano una qualità di immagine molto elevata grazie al fatto di avere un elevato rapporto di contrasto e un’ampia gamma di colori disponibili.

Le Tv al plasma Furono le primi ad essere molto sottili e poterono essere appese alle pareti come i televisori LCD o LED oggi. Altri fattori a suo favore erano il tempo di risposta dei pixel molto basso e un angolo di visualizzazione molto più ampio rispetto gli LCD che faceva restituire immagini molto fluide per le partite di calcio o di tennis e si vedeva bene anche posti lateralmente quando si guarda la tv in gruppo.

I lati negativi invece furono che i processi produttivi erano molto costosi e presentavano molteplici problemi tra cui un alto consumo energetico, una bassa durata della Luminosità e non ultimo il burn-in, ovvero immagine che restava come stampata troppo facilmente sul pannello. Alcuni di questi problemi vennero successivamente risolti e tra il 2003 e 2006 vi fu l’epoca d’oro dei plasma con alte vendite e buoni prodotti ma LCD che nel frattempo iniziava ad introdursi nel mercato iniziò ad acquisire sempre di più fette di mercato fino a cancellarlo definitivamente.

La tecnologia di costruzione ed il costo di un pannello LCD infatti era molto minore così come la sua qualità ma la potenza dei Marchi che lo sostenevano era tale da farlo arrivare ad essere lo Standard utilizzato da tutte i costruttori fino praticamente ad oggi.

Solo ora con l’avvento dell’OLED molto simile al Plasma (anche nei costi di produzione) ma molto più evoluto, si inizia ad incrinare lo strapotere del LCD anche se, essendo LG l’unico grande costruttore di OLED non riesce ancora a soddisfare la richiesta mondiale di questi nuovi fantastici schermi.

Da tutto ciò ne conviene che la tecnologia dei Televisori sta ancora cambiando e per molti anni sarà così visto che non si riesce a trovare la vera Killer Application che ci porterà a dire: ora posso comprarlo visto che per molti anni non cambierà più”.

 




Marco Rossi l’allenatore ad un passo dal sogno.

Il calcio Italiano, è opinione comune, non è più quello di una volta che dominava l’Europa, ma questo non vale certamente per il pionierismo dei nostri tecnici formatisi a Coverciano.

Dopo i successi ottenuti in giro per il mondo da grandi allenatori come Capello, Trapattoni, Lippi e Mancini e dopo la favola scritta dal Leicester di Massimo Ranieri nel 2016, questo è stato l’anno di Antonio Conte e Carlo Ancelotti, vincitori dei campionati di prestigio rispettivamente inglese e tedesco.

Ed ancora Massimo Carrera che, con lo Spartak Mosca, ha vinto il difficile torneo russo.

Ora a giocarsela ci sono Roberto Bordin, alla guida dello Sheriff Tiraspol, giunto in finale nel campionato Moldavo e Marco Rossi che, con il suo Honved, é appaiato al primo posto con il Videoton.

La sorte, per l’ex terzino della Samp (il secondo in alto da sinistra) di Gullit e Mancini, ha voluto che l’ultima di campionato, in programma oggi 27 maggio, si disputasse proprio nel Bozkis Stadion di proprietà del piccolo club ungherese.

In vantaggio grazie alla classifica avulsa, Rossi ha due risultati su tre dalla sua e la spinta dei tifosi, ancora increduli ma esaltati dalla bellissima pagina di calcio scritta dal suo mister.

Si perché l’Honved, con un budget di un decimo rispetto al più quotato avversario, potrebbe laurearsi campione d’Ungheria contro ogni pronostico della vigilia.

Cinque lunghi anni di lavoro, in silenzio, con la voglia di affermare il calcio su tutto, e per tutto s’intende soldi, fama e calciatori di livello. Niente che potesse far sperare in qualcosa di prestigioso. 

Il calcio ungherese è certamente lontano dai fasti del passato: quando, negli anni a cavallo tra la fine dei ’40 e i primi ’50, la leggenda magiara e bandiera dell’Honved, Ferenc Puskás vinceva in Ungheria e nel mondo.

Oggi è  un calcio sostanzialmente chiuso dove essere stranieri e farsi amare è molto difficile se non impossibile.

Marco Rossi, sempre a testa alta, ha superato, nel suo cammino in solitario tra mille ostacoli, estati torride e inverni rigidissimi.

Di cosa è figlia questa bella storia se non della forza e del valore dell’uomo, del duro lavoro e della coesione granitica del gruppo? Mancano poche ore e sapremo se sarà una vittoria su tutto e tutti o se potrà essere ancor di più, il sogno che si realizza.

Certamente a riflettori spenti, per il mister, arriveranno delle interessanti offerte, forse pure dall’Italia, ma intanto:
Forza Kispest!




Partito Democratico: primarie segno di democrazia interna.

Le primarie sono un fatto di democrazia, tutti i partiti ne parlano ma alla fine solo il PD attua questo meccanismo da quasi un decennio.

Matteo Renzi vince, Orlando ottiene un risultato soddisfacente e diventa leader della minoranza interna ed Emiliano fa flop.

Volendo essere sintetici questo è il quadro delle primarie che domenica hanno visto coinvolte oltre due milioni di persone simpatizzanti e militanti del Partito Democratico, ma le primarie non sono solo questo.

Le primarie PD dimostrano che ogni volta che all’elettorato viene chiesto di esprimersi c’è una risposta, poca o molta non ha importanza ma è questo che rappresenta la vera democrazia del nostro Paese, il poter esprimere una preferenza, il poter decidere il futuro.

Tutti i partiti dovrebbero orientare le loro scelte in quanta direzione perché è l’unico modo per realizzare dei veri percorsi di partecipazione, dove il cittadino è messo nelle condizioni di poter scegliere la nuova classe dirigente politica, una scelta non più lasciata ai “pochi“ né tantomeno al solo popolo del web che già in passato ha fatto scelte azzardate ed estreme con il solo utilizzo dei “like” o dei voti di sondaggio in qualche sito –  con solo 30  pseudo preferenze alcuni sono stati poi eletti  senatori o deputati di questa legislatura.

Per questo motivo, seppure la mia indole e inclinazione politica sia ben chiara, con un ragionamento scevro da qualsiasi ideologia vorrei dire che il PD, la parte più rilevante del centro sinistra italiano,  ha fatto una scelta coraggiosa affidandosi alle primarie, un luogo di scontro e sintesi, dove tutti i partecipanti si mettono in discussione e rischiano di essere “rottamati”, ma un luogo dove il risultato a prescindere dal vincitore è un futuro di nuove idee e democrazia per l’Italia. 

Tutto è perfettibile ma l’innovazione della politica è nei buoni esempi come appunto le primarie, ecco perché mi auspico che questo percorso sia adottato da tutti i partiti del nostro paese.

 

Francesco Melis




Puglia: terra di sogni e di chimere

Ci avviciniamo alla bella stagione e si inizia a parlare di vacanze.

Sembra che anche quest’anno una delle mete più ambite del bel paese sia la Puglia ed in particolare il Salento con le sue straordinarie suggestioni e bellezze.

Eppure le contraddizioni di questa terra non sono poche.

Ritornano alla mente le parole di Caparezza quando nella sua celebre  vieni a ballare in puglia canta “Turista tu balli e tu canti, io conto i defunti di questo paese” e sintetizza, in un macabro epitaffio, le morti che questa terra piange ogni anno per le tante situazioni, visibili e invisibili, che giorno dopo giorno inquinano l’aria, le falde e la terra.

La Puglia ha dalla sua un record inattaccabile: è la regione che produce la maggior quantità di anidride carbonica grazie ai tre impianti che occupano, in questa triste classifica, i primi posti in Italia: centrale termoelettrica di Cerano (Br), l’Ilva di Taranto che dal 2011 è anche proprietaria delle centrali termoelettriche della città.

Come se non bastasse, a far inorridire anche i più ottimisti, vi sono, mai del tutto risolti, le conseguenze derivanti dagli scarichi in falda sia domestici sia industriali e dalla forte presenza di pesticidi, l’assenza e il malfunzionamento dei tanti depuratori che scaricano nel mare e le tante discariche abusive che periodicamente fanno notizia.

Suona quasi beffardo il riconoscimento dell’edizione internazionale di National Geographic che scrivendo  della Puglia la definisce il meglio dell’Italia meridionale: terra “indomita” e da visitare per “i ritmi di vita, le tradizioni e la bellezza dei luoghi”.

I riconoscimento non sono estemporanei ma significativi di un territorio che ha mantenuto forti le tradizioni,  le sue bellezze architettoniche e naturali.

Lo scempio dell’abusivismo e l’ondata del boom economico del secondo dopoguerra  hanno intaccato solo in minima parte il fascino del tacco. Purtroppo anche questo non è frutto di lungimiranza politica e di scelte mirate alla conservazione del patrimonio.

Tanta fortuna è da ricondurre alla povertà e alla scarsa appetibilità della Puglia che per tanti decenni è rimasta quasi nascosta: le sue spiagge con le dune di sabbia, i suoi centri storici e le scogliere che si affacciano sull’Adriatico, dal  Gargano scendendo fino al Capo di Leuca, risalendo sullo Ionio fino alle coste neretine di Porto Selvaggio.

Non ci resta che aspettare l’estate, portatrice di una nuova ondata di turisti e della visita di Donald Trump; personaggio discusso e per tanti discutibile che avrebbe scelto come meta per le sue vacanze quella che, nonostante tutto, resta una delle più belle regioni del mondo.

 




Cremazione al Sud: Puglia fanalino di coda.

Perché nel 2017 la cremazione delle salme è ancora un tabù?

Almeno questo sembra essere il sentimento comune e maggiormente diffuso in una vasta area del sud Italia.

La Puglia non è da meno.

In Italia i forni sono settantasette, escludendo le isole, solo cinque nel Sud.

Un solo impianto presente a Bari, per la Puglia, Regione con oltre quattro milioni di abitanti ed un numero di decessi annuo che è poco al disotto delle quarantamila unità.

E’ semplice constatare come in una Regione così grande e importante un solo impianto sia sottoposto a superlavoro: tarato per trecento operazioni in realtà arriva a farne ottocento l’anno.

I freddi numeri non danno la misura del disagio che ciò procura ai familiari dei defunti che scelgono di essere cremati: liste d’attese che durano almeno dieci giorni e rifiuti che comportano trasferimenti fino all’impianto più vicino di Avellino o Salerno.

Considerando che in Molise e in Basilicata non ci sono impianti, è altrettanto evidente che essere cremati dopo il decesso non è una scelta ma una possibilità alquanto remota.

Il metodo è inviso a molti ma che in Giappone, ad esempio, viene utilizzato per il 98% dei decessi al posto dell’inumazione nei campi o delle tumulazioni nei cassettoni. In Lombardia le operazioni di cremazione vengono effettuate per il 40% dei casi; a Milano, con sette forni funzionanti le percentuali raggiungono il 70%.

Molte regioni si sono dotate di una regolamentazione, molte altre non l’hanno ancora fatto.

La Chiesta cattolica ha già da tempo chiarito un equivoco che ha origine nel lontano ‘800.

Infatti, al tempo, i socialisti si facevano cremare sull’onda di un forte anticlericalismo e come rifiuto della sepoltura religiosa, la Chiesa in risposta dichiarava inammissibile la pratica.

Nel luglio 1963 Paolo VI pubblicò l’istruzione De cadaverum crematione: essa dichiarò lecita la pratica crematoria.

Qualcuno parla di impatto ambientale della pratica di cremazione ipotizzando una crescita delle immissioni di gas nocivi.

Recente è il dibattito scatenatosi dopo l’avvio dell’iter autorizzativo per la realizzazione di un tempio crematorio nella cittadina di Botrugno a sud di Lecce.

La minoranza ha chiesto che si facesse un referendum cittadino sull’argomento.

In realtà gli studi effettuati sembra non rilevino livelli di inquinamento importanti.

Uno studio del dipartimento di ingegneria dell’università di Udine recita testualmente “le analisi non hanno riscontrato differenze misurabili nella misura del tasso d’inquinamento tra crematorio spento e crematorio acceso”.

Sembrerebbe assolutamente fuori luogo l’allarmismo che scatta ogni qualvolta si parla di un nuovo impianto sul territorio regionale.

Il problema, pertanto, potrebbe essere più politico che legato ad altre ragioni o alla disponibilità di risorse finanziarie, infatti, molte aziende che operano nel settore si sono strutturare proponendo una soluzione “chiavi in mano” ai comuni che, a loro volta, dovrebbero dichiarare di pubblica utilità il progetto e seguire un iter chiamato “project financing” per nulla complesso e senza costi.

In Puglia queste opportunità non vengono colte dalle amministrazioni.

Cecità, paura di perdere consenso o semplice rifiuto di una pratica poco conosciuta?

I cittadini attendo risposte e si mettono in coda e attendono il loro turno per poter dare soddisfazione alle ultime volontà dei loro cari (“sperando di non morire prima” N.d.R.).