Bambini disobbedite, perché vi aiuta ad imparare.

Genitori voi invece obbedite, perché vi aiuta a far crescere.

Ma come può obbedire un genitore? ed a cosa, vi chiederete voi lettori…

Il genitore deve obbedire ad un semplicissimo dovere: la necessità di dare strumenti corretti di crescita al proprio figlio, come?

Cercando di conoscere.

La disobbedienza dei bambini è una tappa inevitabile e cruciale nel loro processo di crescita e sviluppo.

Nonostante possa risultare frustrante per genitori e tutori, è importante considerarla come una fase naturale del percorso di apprendimento di un bambino.

È importante capire che i bambini stanno cercando di individuare i propri limiti e di acquisire un senso di indipendenza e autonomia, infatti i primi atti di disobbedienza nei bambini sono spesso un segno che stanno iniziando a sviluppare un senso di sé ed un desiderio di indipendenza.

Questo comportamento può manifestarsi in molte forme, come il rifiuto di seguire le istruzioni, il testare i limiti delle regole, provocare apertamente gli adulti o ignorare i comandi diretti.

È fondamentale comprendere che la disobbedienza non è necessariamente un segno di cattiva educazione o mancanza di rispetto, ma piuttosto del fatto che i bambini stanno cercando di capire il mondo che li circonda e apprendono dalle esperienze, anche da quelle negative.

Questo processo di apprendimento comporta spesso sfide ed errori, anche da parte di genitori e tutori, che hanno un ruolo cruciale nella gestione della disobbedienza dei bambini.

La comunicazione è la chiave: spiegare chiaramente le aspettative e le regole, insieme alle ragioni dietro di esse, può aiutare i bambini a comprendere meglio cosa ci si aspetta da loro.

Infatti la disobbedienza è spesso una fase temporanea e una parte normale dello sviluppo infantile, dove i bambini stanno imparando a esprimere la propria individualità e a comprendere le conseguenze delle loro azioni.

E’ inevitabile che la disobbedienza sia più presente quando quando non comprendono completamente ciò che si aspetta da loro.

Il problema genitoriale è il tempo ma anche la capacità: per spiegare occorre tempo e capacità di trasformare in concetti chiari per un bambino il mondo delle regole che ha intesta un adulto.

Occorre, in un certo senso, che il genitore si ponga in un rapporto esegetico con il bambino al fine di parlare in una lingua e con concetti a lui comprensibili.

In questo meccanismo il genitore dovrebbe conoscere bene alcuni principi come la ridondanza della comunicazione e la semplificazione del concetto, o anche solo la sua traduzione nel mondo immaginifico del figlio.

Certamente conoscere il mondo linguistico in cui il bambino si sta muovendo è importante.

La risposta del genitore a questa necessità non può essere non ho tempo, ma al limite non sono in grado di farlo, perché con la risposta non ho tempo il genitore si chiude alla possibilità, mentre con la risposta non lo so fare si apre un mondo di opportunità.

Regola fondamentale da mantenere è la coerenza e la linearità di comportamenti.

Le regole dovrebbero rimanere costanti, e le conseguenze della disobbedienza dovrebbero essere appropriate e proporzionate, ma soprattutto applicate.

Questo crea un ambiente in cui i bambini possono prevedere le conseguenze delle loro azioni, il che può contribuire a motivarli a seguire le regole.

Tuttavia, nonostante la necessità di regole e discipline, è altrettanto importante lasciare spazio per l’autonomia e la scelta, ma anche per l’empatia; mostrare empatia verso i sentimenti dei bambini può contribuire a ridurre la disobbedienza, la disobbedienza infantile spesso nasce dalla frustrazione o dal sentimento di abbandono.

Consentire ai bambini di prendere decisioni appropriate per la loro età può ridurre fenomeni di ribellione alle regole, poiché si sentono coinvolti nel processo decisionale; ad esempio, invece di dire “Indossa questa giacca”, si potrebbe chiedere “Vuoi mettere il tuo maglione rosso o il tuo giubbotto blu?”.

Inutile osservare che i bambini spesso imparano dal comportamento dei loro genitori e delle figure di riferimento, ecco perché  mostrare un comportamento rispettoso delle regole può avere un impatto positivo, spesso ricreando ambienti simili in cui gli adulti rispettano le regole che loro stessi impongono ai figli.

L’esempio classico è il rapporto intergenerazionale: un bambino che vede il proprio genitore rispondere male al suo genitore non sarà certo portato a rispettare una regola educativa contraria al comportamento visto attuare dal genitore stesso.

Concludendo la disobbedienza può essere un terreno fertile per l’apprendimento e la crescita dei bambini, ma solo se noi abbiamo gli strumenti per comprenderla ed incanalarla verso un percorso di comprensione dei meccanismi.

Attraverso la disobbedienza si possono sviluppare competenze come la risoluzione dei problemi, la negoziazione e la comprensione delle conseguenze delle azioni.

In estrema sintesi, la disobbedienza dei bambini è una fase normale del loro sviluppo utilissima per poter far comprendere regole, comportamenti sociali e obblighi dell’IO.

La distanza della famiglia da questi momenti educativi, e la loro mancata comprensione da parte dei genitori,  è sicuramente uno tra i più gravi danni possibili da arrecare al bambino.

Affrontarla con pazienza, comunicazione aperta e coerenza nelle regole e nelle conseguenze può aiutare i bambini a imparare dagli errori e a crescere come individui responsabili e consapevoli.




AI: rivoluzione per il modo di apprendere, ma forse si dovrebbe rivoluzionare il modo di insegnare.

Leggo su ‘Il Sole 24 ore’ di ieri: “l’intelligenza artificiale arriva a scuola e rivoluziona il modo di apprendere”. SOMMESSAMENTE: visto la stato complessivo della scuola e della docetica, forse occorrerebbe rivoluzionare il modo di insegnare. 

Anche con l’aiuto degli economici robot, se occorresse  (lo dico provocatoriamente, fermamente convinto come sono che un buon insegnante sia insostituibile). 

Chi deve apprendere è già sufficientemente malridotto soprattutto grazie a giochi e giochini violenti, e allo stare incollato improduttivamente sullo schermo di un PC o di uno smartphone!

Situazioni che lo ‘rintronano’ non aiutandolo nel formulare ed esprimere un  PENSIERO AUTONOMO, privandolo di interessi nella RIFLESSIONE, nello stimolo alla CURIOSITÀ e quindi all’APPROFONDIMENTO e al DIALOGO, soprattutto prediligendo il CONFRONTO PERSONALE e la DIALETTICA, per poter crescere senza rimanere nella propria bolla.

Bolla colma di errori e incertezze, persino carente di dubbi.

Leggere che un giovane, oggi, è accreditato di un vocabolario di neanche 300/350 parole è come sapere che siamo a bordo di una eccezionale astronave, che può solcare gli spazi, ma che invece viene adoperata per andare da casa fino al calzolaio!

Personalmente credo che la tecnologia debba porsi dei limiti, per evitare ai vari Dottor Stranamore di imporre tesi e progressi scientifici che non tengano conto dell’Uomo e del suo immenso valore.

Di AI devono trattare coloro che sanno discernere il giusto dall’errato, che hanno ben presenti i valori dell’etica e della morale.

Soprattutto che siano dotati di una propria vivace intelligenza, perché qualunque macchina/dispositivo “intelligente” non può essere governato da menti instabili, tarate o – peggio ancora – deviate in senso opposto al Bene.




Oltre l’impressionismo

Importante mostra sul post-impressionismo alla National Gallery di Londra

Ancora pochi giorni per poter visitare la mostra sul post-impressionismo alla National Gallery di Londra.

L’importante mostra collettiva riguarda il periodo di rivoluzione artistica all’origine dell’arte moderna del Novecento.

 Dopo l’impressionismo: verso l’arte moderna

La mostra si intitola: “Dopo l’impressionismo: inventando l’arte moderna” (“After Impressionism: Inventing Modern Art”).

È il racconto di un periodo di poliedrico e dinamico che è il preludio dell’arte moderna.

Il periodo tra il 1880 e il 1914

La mostra riguarda il periodo storico dal 1880 all’inizio del XX secolo.

Tra il 1880 e il 1914 ci fu una attività di intensa ricerca creativa, esplorazione e sperimentazione che culminò nel 1914.

Questa fase è intensissima e ricchissima di spunti innovativi.

Si conclude bruscamente con lo scoppio della Prima guerra mondiale.

La mostra presenta una selezione completa delle opere d’arte più significative.

I padri fondatori del post -impressionismo

La mostra è una celebrazione delle realizzazioni di tre giganti artistici del periodo: Paul Cézanne, Vincent van Gogh e Paul Gauguin.

Ma non solo.

L’esposizione indaga sulla influenza che i tre artisti hanno avuto in Europa tra i loro seguaci.

Da Parigi (Manet -Degas) a Londra e New York (post-impressionismo)

La mostra si può considerare la prosecuzione di quella appena conclusasi il 23 luglio a Parigi presso il museo d’Orsay.

Si tratta della mostra Manet – Degas, i due grandi maestri amici e rivali dell’impressionismo.

Dopo l’estate la mostra Manet – Degas traslocherà negli Stati Uniti, al Metropolitan Museum di New York.

Edousrd-Manet-La-famiglia-Monet-in-giardino-1874-foto-di-Vittoria-Bacchi
Edouard Manet La famiglia Monet in giardino 1874

Edouard-Manet-Sulla-spiaggia-di-Boulogne-1868.-Foto-di-Vittoria-Bacchi
Edouard Manet Sulla spiaggia di Boulogne 1868

Edgar-Degas-Ritratto-di-un-ufficio-a-Nuova-Orleans-1873.-Foto-di-Vittoria-Bacchi
Edgar Degas Ritratto di un ufficio a Nuova Orleans 1873

Dall’impressionismo al post – impressionismo

L’esposizione ci racconta l’evoluzione che ci fu dopo l’impressionismo.

Sono i post impressionisti coloro che prendono le mosse dall’impressionismo.

Ma essi  vanno oltre, lo superano e lo modernizzano.

Le nuove idee permettono agli artisti di sperimentare nuovi materiali e tecniche.

Chi erano gli impressionisti

Tutto parte dal movimento impressionista.

L’impressionismo è una corrente artistica sviluppatasi in Francia soprattutto a Parigi, tra il 1860 e il 1880.

Il gruppo degli impressionisti si forma attorno a Edouard Manet capofila della avanguardia artistica parigina negli anni 60 dell’Ottocento.

Altri illustri esponenti sono

Claude Monet, Berthe Morisot, Camille Pissarro, Auguste Renoir e Alfred Sisley.

 

Differenza tra impressionismo e post-impressionismo

Gli impressionisti utilizzano la tecnica delle pennellate rapide e fitte.

Le luci, le forme, lo spazio e i volumi vengono tutti costruiti mediante il colore.

Il post- impressionismo porta nuove idee.

Permette agli artisti di sperimentare con nuovi materiali e tecniche.

Il distacco dalla realtà oggettiva dei post-impressionisti

Al contrario delle esperienze artistiche impressioniste, i pittori post – impressionisti hanno l’aspirazione di imprimere sulla tela le proprie emozioni e la propria soggettività, distaccandosi dalla realtà oggettiva. 

Van Gogh, oltre l’impressionismo

La drammaticità si contrappone all’allegria impressionista.

Van Gogh, ad esempio, rispetto agli impressionisti, tende a proiettare nella realtà se stesso.

Trasforma la realtà trasfigurandola secondi i suoi sentimenti.

La pittura può essere usata per esprimere le emozioni e i sentimenti.

Vicent-Van-Gogh-Case-a-Saintes-Maries-de-la-Mer-1888-Foto-di-Vittoria-Bacchi
Vincent Van Gogh Case-a Saintes-Maries de la Mer 1888

I padri fondatori del post-impressionismo

L’intento della mostra è quello di trovare una non facile sintesi tra i tre grandi protagonisti del passaggio di secolo: Paul Cézanne, Vincent Van Gogh e Paul Gauguin.

Sarebbero loro, secondo i curatori della mostra, i tre padri fondatori del post-impressionismo.

Paul-Cezanne-Zuccheriera-pere-e-tovaglia-foto-di-Vittoria-Bacchi
Paul Cezanne Zuccheriera pere e tovaglia

Paul-Gauguin-Festa-a-Gloanech-1888-Foto-di-Vittoria-Bacchi
Paul-Gauguin Festa a Gloanech 1888

La sintesi tra Cézanne, Van Gogh e Gauguin

Sono tre artisti dissimili per esiti e conseguenze.

Sono accomunati tuttavia dalla necessità di rintracciare nuove forme espressive.

L’esposizione, attraverso quasi cento opere, traccia le influenze che questi tre artisti hanno avuto sulle giovani generazioni di artisti.

L’influenza sui giovani di tutta Europa

La mostra evidenzia molto chiaramente l’influenza di Cézanne  e Gauguin su artisti non solo francesi, ma anche sui coetanei in tutta Europa,  da Barcellona a Berlino, da Bruxelles a Vienna.

Sino a giungere alle origini dell’Espressionismo, del Cubismo, dell’Astrazione, da Munch a Matisse, a Picasso e Rodin.

Henri-Matisse-Interno-con-giovane-ragazza-1906-foto-di-Vittoria-Bacchi
Henri-Matisse Interno con giovane ragazza 1906

Pablo-Picasso-Gustave-Coquiot-1902.-Foto-di-Vittoria-Bacchi-
Pablo Picasso Gustave Coquiot 1902

Il commento della curatrice

La mostra segue la creazione di una nuova arte moderna libera dalle convenzioni.

“Abbiamo voluto raccontare come il post- impressionismo ha gettato le basi dell’arte del XX e XXI secolo”, ha commentato MaryAnne Stevens, co-curatrice di “Dopo l’impressionismo: inventando l’arte moderna”.

 

Rottura dei legami con la tradizione

La rottura con la rappresentazione convenzionale del mondo esterno si esprime con la nascita di nuovo linguaggi visivi.

L’enfasi cade sulla materialità dell’oggetto artistico espressi attraverso linea, colore, superficie, tessitura disegno (La danza di Derain, Il letto di morte di Munch, La casa di Gloanech di Gauguin, Il villaggio bavarese di Kandinsky , esposti in mostra.

Derain e il kimono di Madame Matisse

Esposto in mostra è il dipinto di Derain“Madame Matisse con il kimono” .

Il quadro, realizzato nell’estate del 1905 a Collioure una località dell’Occitania che incanto Matisse, trasmette la luce estiva.

La luce attorno alla donna diventa di un colore rosso intenso e le ombre di un blu e di un verde vivido.

10-Andre-Derain-Madame-Matisse-col-Kimono-1905.-Foto-di-Vittoria-Bacchi
Andre Derain Madame Matisse-col-Kimono-1905

 

Il kimono giapponese diventa anche post-impressionista

Il kimono giapponese, simbolo del giapponismo così caro agli impressionisti rimane anche nel repertorio dei post – impressionisti.

Tuttavia, si trasfigura e prende forme diverse e surreali.

Siamo lontani dalla fedele riproduzione visiva della luce en plein air degli impressionisti.

Le opere provengono da importanti collezioni private

Sono oltre cento le opere di artisti famosi come Van Gogh, Klimt, Kokoschka, Matisse, Picasso, Mondrian e Kandinsky, Derain.

Oltre a una selezione di sculture di Rodin e Camille Claudel.

La completezza della esposizione è stata possibile grazie ad importanti prestiti forniti alla mostra da istituzioni e collezioni private di tutto il mondo.




Genitori, chiedete modelli nuovi di insegnamento per i vostri figli.

Il modello educativo frontale è una delle metodologie di insegnamento più tradizionali e ampiamente utilizzate in tutto il mondo.

In questo approccio, un insegnante presenta informazioni o lezioni in modo diretto a un gruppo di studenti, che solitamente sono disposti in modo frontale o in file nei banchi.

Questo modello è spesso caratterizzato dalla trasmissione unidirezionale delle conoscenze dall’insegnante agli studenti, con un’enfasi sull’ascolto passivo e sulla memorizzazione.

Sebbene il modello educativo frontale abbia una lunga storia di utilizzo ed è ancora ampiamente praticato, è importante considerare alcune delle sue sfide e limitazioni.

Prima di tutto, questo approccio può favorire una passività da parte degli studenti, che possono diventare semplici ricevitori di informazioni piuttosto che partecipanti attivi nel processo di apprendimento.

Questa mancanza di coinvolgimento attivo può portare alla noia e alla perdita di interesse per il materiale didattico.

Inoltre, il modello frontale potrebbe non tener conto delle differenze individuali tra gli studenti.

Ogni studente ha uno stile di apprendimento unico, e il modello frontale potrebbe non essere adatto a tutti.

Molti studenti traggono beneficio dall’apprendimento attivo, dalla discussione, dalla collaborazione e dall’applicazione pratica delle conoscenze. Il modello frontale può limitare queste opportunità.

Un’altra sfida del modello frontale è che l’insegnante potrebbe non essere in grado di monitorare attentamente il progresso individuale degli studenti o rispondere alle loro esigenze specifiche.

Questo può portare a una mancanza di personalizzazione nell’insegnamento, che è fondamentale per il successo educativo.

In pratica possiamo individuare 8 punti critici:

1 – Passività degli studenti: Gli studenti spesso sono passivi durante le lezioni frontali, limitandosi ad ascoltare e prendere appunti. Questo può portare a una minore partecipazione attiva e interazione con il materiale.

2 – Apprendimento unidirezionale: L’insegnamento frontale si basa su una comunicazione unidirezionale, con l’insegnante che trasmette informazioni agli studenti. Questo limita le opportunità per gli studenti di fare domande e contribuire attivamente alla discussione.

3 – Differenze individuali: Gli studenti hanno stili di apprendimento diversi, e l’insegnamento frontale potrebbe non essere adatto a tutti. Alcuni studenti potrebbero avere bisogno di approcci più interattivi o di apprendere in modi diversi.

4 – Concentrazione limitata: Gli studenti possono perdere la concentrazione durante le lunghe lezioni frontali, specialmente se queste non sono coinvolgenti o interessanti. La noia può compromettere l’apprendimento.

5 – Memorizzazione a breve termine: L’insegnamento frontale spesso si concentra sulla memorizzazione a breve termine delle informazioni per superare interrogazioni o esami, ma questo può non favorire la comprensione profonda e l’applicazione delle conoscenze nel lungo termine.

6 – Poca personalizzazione: L’insegnamento frontale tende a essere uniforme per tutti gli studenti, senza tener conto delle loro esigenze specifiche o dei loro livelli di competenza. Questo può portare a un apprendimento inefficace per alcuni.

7 – Manca di contesto del mondo reale: Le lezioni frontali possono mancare del contesto del mondo reale, rendendo difficile per gli studenti collegare ciò che imparano alle applicazioni pratiche.

8 – Limitazioni tecnologiche: In alcune situazioni, l’insegnamento frontale può essere limitato dalle risorse tecnologiche e dalla disponibilità di strumenti educativi moderni, che potrebbero migliorare l’apprendimento.

Per superare questi limiti, molti educatori stanno esplorando approcci più interattivi, come il blended learning (un mix di insegnamento in classe e online), l’apprendimento basato su progetti e l’uso di tecnologie educative avanzate per migliorare l’esperienza di apprendimento degli studenti.

Tuttavia, è importante notare che il modello educativo frontale non è completamente privo di meriti.

Può essere efficace per la presentazione di informazioni chiave o la spiegazione di concetti complessi.

Inoltre, può essere utile in contesti in cui è necessario impartire conoscenze di base o standardizzate in modo efficiente.

Per migliorare il modello educativo frontale, è importante integrarlo con approcci più interattivi e partecipativi all’apprendimento.

L’insegnante può incorporare attività di discussione di gruppo, lavori di gruppo, progetti collaborativi e tecnologie educative per coinvolgere gli studenti in modo attivo e favorire l’apprendimento significativo.

In questo modo, il modello frontale può diventare parte di un approccio educativo più ampio e diversificato che tiene conto delle esigenze e delle abilità individuali degli studenti.

In conclusione, il modello educativo frontale ha un ruolo nel panorama dell’istruzione, ma è importante considerarne le sfide e le limitazioni.

Gli educatori dovrebbero cercare di bilanciare questo approccio con metodi più interattivi ed espansivi per garantire un apprendimento più efficace ed efficiente per tutti gli studenti.

La chiave per un’educazione di successo è la flessibilità e l’adattabilità nell’uso di diverse metodologie didattiche per soddisfare le esigenze degli studenti e promuovere un apprendimento significativo.

Il ruolo della famiglia e dei genitori deve essere interattivo anche sulle metodologie di insegnamento.

Questo non vuol dire che la famiglia deve decidere il modello di lezione che la scuola deve adottare, ma la famiglia deve decidere in che scuola mandare il proprio figlio proprio in base al modello di lezione che la scuola ha deciso di utilizzare.

 

 

 

Ribellione e patto educativo, strumenti intelligenti per i genitori (ed anche per i docenti).

Ci vuole più Disciplina!!!




Il viaggio di Ramses II a Parigi

Dagli Stati Uniti a Parigi

Dopo le tappe americane di Houston e San Francisco, il 7 aprile è arrivata a Parigi la mostra itinerante «Ramses e l’oro dei faraoni».

Ci sarà tempo fino al 6 settembre per ammirare la mostra realizzata dalla World Heritage Exhibitions con sede in Florida.

Dopo quella data la mostra si trasferirà a Londra per poi approdare in Australia.

Da Tutankhamon a Ramses II

L’esposizione dedicata a Ramses II (XIII secolo a.C.) comprende 181 reperti di notevole valore provenienti per la maggior parte dal Museo Egizio del Cairo.

Molti di questi oggetti non avevano mai oltrepassato i confini egiziani prima di questa tournée.

L’evento si tiene nella Grande Halle de la Villette e intende replicare il successo ottenuto da Tutankhamon che, nel 2019, richiamò più di un milione e mezzo di visitatori. 

Il leggendario Ramses II

L’esibizione ha lo scopo di condurci per mano attraverso l’età d’oro dell’Egitto e il lunghissimo regno del grande faraone.

Nasce nel 1303 a.C. – e muore a Pi-Ramses, luglio/agosto 1213 o 1212 a.C.) è stato, il terzo faraone della XIX dinastia. Regnò dal 31 maggio 1279 a.C. al luglio o agosto del 1213 (o 1212) a.C.

Ramses II fu amato dalla sua famiglia, acclamato dal suo esercito e venerato dal suo popolo.

Regnò più a lungo di qualsiasi altro faraone ed ebbe più figli di qualsiasi altro sovrano egizio.

La sua leggenda ha attraversato i millenni.

Statua di Ramses II raffigurato come una sfinge che offre un vaso con la forma di una testa di ariete. Foto di Vittoria Bacchi Ramses II raffigurato come una sfinge che offre un vaso con la forma di una testa di ariete

Ramses grande costruttore

Fece costruire numerosissimi monumenti in tutto il Paese e incidere i propri nomi su altrettante opere dei suoi predecessori.

Una quantità enorme di oggetti d’arte, colossi, iscrizioni ed elementi architettonici si ricollegano a lui.

Ramses II è attestato in ogni collezione di antichità egizie nel mondo.

Anche per questo, è il più conosciuto dei faraoni. 

Un regno durato oltre 66 anni

Ramses regnò per sessantasei anni, lasciando un’eredità ben documentata.

Il suo regno è considerato come la massima espressione della potenza e della gloria dell’Egitto.

È infatti spesso ricordato come il più grande, potente e celebrato faraone dell’impero egizio, anche per la durata eccezionale del suo regno.

Infatti, considerando la sua associazione al trono quando il padre era ancora in vita, giunse a 75 anni di governo effettivo del Paese. 

Epoca ramesside e il parallelo con la regina Vittoria

È noto anche come Ramesse II, Ramsete II e Ramses il Grande e in greco come Osimandia (in greco antico: Ὀσυμανδύας, Ozymandias, Osymandias).

Nell’egittologia è invalsa la tradizione di assegnare il suo nome all’intero periodo della sua dinastia (“epoca/periodo/stile ramesside”).

L’egittologo britannico Kenneth Kitchen ha paragonato il suo a quello della regina Vittoria del Regno Unito.

Le tappe del percorso espositivo

La mostra ci conduce attraverso la cosiddetta epoca ramesside.

Il percorso espositivo è suddiviso in tre tappe principali: il regno di Ramses II, la morte di Ramses II e la sua straordinaria posterità, e l’oro dei faraoni.

Emblematica ed esposta in mostra la parte superiore della statua di Ramses II in granodiorite che tiene lo scettro heqa che in geroglifico significa “principe” e che ha la forma di una pastorale.

[Parte superiore della statua di Ramses II che tiene lo scettro heqa in granodiorite nuovo impero 19 dinastia. Foto di Vittoria Bacchi

Parte superiore della statua di Ramses II che tiene lo scettro heqa in granodiorite nuovo impero 19 dinastia.

La fondazione di nuova capitale

Fondò una nuova capitale, Pi-Ramses (“Dimora di Ramses”), nel delta del Nilo. Combatté a nord contro gli Ittiti e quindi a sud contro i Nubiani, assicurando il predominio dell’Egitto sulla Nubia e i suoi giacimenti auriferi.

Fece inoltre costruire numerosi templi, tra cui i celeberrimi quelli di Abu Simbel, di Karnak, di Luxor, il Ramesseum (tempio funerario) a Tebe, nei pressi del fiume Nilo, a poca distanza dalla moderna Luxor.

Ramses e Mosè

Alcuni considerarono Ramses II come il faraone che si sarebbe opposto a Mosè nei fatti narrati dal Libro dell’Esodo; da altri invece è ritenuto il “Faraone dell’oppressione”, ossia il padre di quel faraone con cui Mosè si sarebbe scontrato, e che quindi sarebbe il successore Merenptah.

Non esiste tuttavia alcuna prova archeologica che Ramses II sia stato l’uno o l’altro faraone, né il suo nome viene menzionato nella Torah 

La madre Tuya

Non fu figlio di Ra (cioè del dio Sole, come dice il suo nome), ma della figlia di un comandante della guardia, Tuya  e del faraone Seti I, Ramses II.

Ramses II adorava sua madre.

Essa appare vicino a lui nel tempio di Abu Simbel, ha un suo tempio dedicato nel Ramesseum.

Ramses II costruì inoltre per lei una grande e sontuosa tomba nella valle delle regine.

Statua della regina Tuya granodiorite nuovo impero 19 dinastia;

Statua della regina Tuya, granodiorite nuovo impero 19 dinastia

L’ascesa di Ramses II

Circa nel 1280 B.C., alla morte di suo padre Seti I, Ramses II, a 25 anni divenne il terzo faraone della 19 dinastia.

Fu davvero il sovrano più potente, nonché più megalomane, dell’Egitto classico, che guidò il Paese all’apice della potenza e collezionò vari record. 

La moglie Nefertari

È Nefertari la più importante delle sue spose, per più di venti anni una delle figure preminenti della politica egizia.

Per lei Ramses II costruì un tempio vicino al suo ad Abu Simbel.

La ritroviamo nella facciata colossale del Tempio maggiore di Abu Simbel. 

Ramses guerriero 

Fu un formidabile guerriero e prese parte personalmente a numerose battaglie.

Esposto in mostra blocchi di pietra che ritraggono Ramses II nell’intento ad abbattere un nemico e calpestare i corpi di altri nemici.

Da un rilievo nel Tempio maggiore di Abu Simbel.Ramses II, ascia alla mano, si appresta a colpire i tre nemici dell’Egitto: un siriano, un nubiano e un libico.

Il contrasto tra l’alta statura di Ramses e quella dei prigionieri pone l’accento sul suo status di faraone piuttosto che sulla sua forza e sul dominio sui prigionieri stranieri.

Esposti in mostra, inoltre, vi sono rilievi di una scena della battaglia di Qadeš nel Ramesseum.

Rilievo nel Tempio maggiore di Abu Simbel; Da un rilievo nel Tempio maggiore di Abu Simbel (Foto n. 4) Ramses II, ascia alla mano, si appresta a colpire i tre nemici dell’Egitto: un siriano, un nubiano e un libico.

La minaccia dell’impero ittita

L’impero ittita, in Anatolia (nella Turchia attuale), rivaleggia con l’Egitto per controllare il litorale nord della Siria all’epoca di Toutänkhamon.

La espansione dell’impero ittita rappresenta una minaccia sempre più forte per la sicurezza dell’impero egiziano.

Ecco perché Ramses li combatte sconfiggendoli nella famosa battaglia di Qadesh.

La battaglia di Qadesh contro gli Ittiti

Una sezione della mostra è dedicata alla Battaglia di Qadesh (1274 a.C.), che vide scontrarsi Ramses II e il re ittita Muwatalli II (1310-1272 a.C.).

Le armate del faraone cercarono di riconquistare gli stati settentrionali di Oadesh e Amurru finiti sotto il controllo dell’Impero ittita.

La battaglia tra Ramses II e il re ittita Muwatalli II (1310-1272 a.C.), nella quale il re egiziano rischiò persino di essere ucciso, si concluse con uno stallo.

Entrambi i sovrani si attribuirono la vittoria.

Dopo la battaglia di Qades combattuta presso l’Oronte nel 5º anno del suo regno contro l’esercito del sovrano Ittita Muwatalli II,  la frontiera dell’Egitto venne ivi definitivamente stabilita.

Una grande fabbrica bellica

Esposti in mostra le modanature in pietra calcarea per fabbricare gli scudi

Gli artigiani egiziani utilizzavano modanatura in pietra calcarea per fabbricare gli scudi (Foto n. 5).

Spesso nei modelli concepiti dagli Ittiti, gli scudi erano rinforzati da delle bande in bronzo che erano assemblate e fissate sulle flange.

Modanatura in pietra calcarea per fabbricare gli scudi; Modanatura in pietra calcarea per fabbricare gli scudi

Il primo trattato di pace della storia

Il grande faraone ha firmato con gli Ittiti il primo trattato di pace conosciuto nella storia, registrato sulle pareti dei templi di Karnak.

Ha registrato su numerosi monumenti la sua battaglia di Qadesh, che ha combattuto contro gli Ittiti nel quinto anno del suo governo.

Ramses e il lungo periodo di pace

Dopo la battaglia tra egiziani ed ittiti iniziò una nuova era di pace.

La pace instaurata tra gli egiziani e gli ittiti dona la nascita ad une nuova era.

Ramses la suggella anche con il matrimonio con due principesse ittite.

Il suo lungo regno diventa un periodo di transizione tranquillo e prospero.

La propaganda della statuaria regale

Esposto in mostra un colosso in pietra calcarea che raffigura Ramses in piedi con in mano il mekes, un cilindro utilizzato come contenitore per papiri.

La statuaria regale è di mera propaganda, destinata a raffigurare il re, sempre giovane, come sovrano benevolo, guerriero possente o dio vivente.

Colosso in pietra calcarea che raffigura Ramses;
Colosso in pietra calcarea che raffigura Ramses

Il vero volto di Ramses II

Ramses II è anche uno dei faraoni dei quali conosciamo il vero volto, perché ne è stato ritrovato il corpo mummificato.

Unica testimone dell’aspetto fisico del re, al di là delle canoniche idealizzazioni dell’arte egizia, è la sua mummia.

La mummia è conservata oggi al Museo egizio del Cairo.

È stata sbendata da Gaston Maspero il 1º giugno 1886[43] e studiata approfonditamente da un’équipe interdisciplinare al Musée de l’Homme di Parigi nel 1976.

La mostra attraverso un filmato mostra il vero volto di Ramses.

Elaborazione grafica del viso di Ramses II sulla base della mummia
Elaborazione grafica del viso di Ramses II

Fisionomia di Ramses II

Il naso di Ramses II era aquilino, lungo e sottile, le labbra carnose, il volto dalla forma ovale, occhi quasi a mandorla leggermente sporgenti, alti zigomi, mascella possente e piccolo mento quadrato. Sembra avesse i capelli rossi.

Nelle rappresentazioni artistiche, Ramses II presenta spesso un lieve sorriso che il poeta romantico inglese Percy Bysshe Shelley (1792–1822), nella poesia “Ozymandias”, definì «sogghigno di fredda autorità» (P. B. Shelley, Ozymandias).

Gli oggetti esposti in mostra

Nell’evento espositivo parigino alla Villette la figura del celeberrimo sovrano offre l’occasione per presentare una serie di reperti di indubbio valore qualitativo.

Straordinari sono gli oggetti risalenti al periodo ramesside nonché varie opere d’arte alcune delle quali provenienti da Tanis la Tebe del nord.

Ad esempio, la bara del re Chechong II della dinastia XXII, meticolosamente restaurata  e una colossale testa di granito rosa scoperta nel 1888 a Memphis nel Tempio di Ptah.

Oppure la statua raffigurante Ramses II in posizione di offerta, un busto in granodiorite di Ramses II scoperto nel tempio di Amon a Tanis.

Ed ancora mummie di animali, sarcofagi, la maschera in legno dorato sulla bara di Amenofi 3 periodo intermedio, XXI dinastia.

Particolare della bara esterna di Sennedjem con coperchio su una slitta di legno
Particolare della bara esterna di Sennedjem con coperchio su una slitta di legno.

E per finire, addirittura uno specchio appartenuto alla pricipessa Sathoriounet.

Maschera in legno dorato sulla bara di Amenofi 3 periodo intermedio, XXI dinastia;
Maschera in legno dorato sulla bara di Amenofi 3 periodo intermedio, XXI dinastia.

Emblematico il blocco di pietra calcarea proveniente dalla tomba del generale dell’arma Iwrtv.

La scena mostra il generale che attraversa un canale infestato dai coccodrilli.

Maschera in legno dorato sulla bara di Amenofi 3 periodo intermedio, XXI dinastia;
Maschera in legno dorato sulla bara di Amenofi 3 periodo intermedio, XXI dinastia.

I gioielli esposti in mostra

Il re portava collane, pettorali e bracciali indossava sandali o camminava scalzo.

La mostra presenta abbondanza oltre che di statue, di maschere e gioielli dell’antico Egitto.

Esposta in mostra la collana della principessa Khnoumit in oro e turchese.

La collana è ornata da pendenti di conchiglia e due stelle di oro granulato.

I visitatori possono ammirare anche una incredibile collana di oro e gemme intarsiate del peso di 8 kg, una maschera del generale Oundebaounded al servizio di Psusennes I nella dinastia XXI, la parure pettorale della principessa Sithathor, i sandali d’oro di Chechong II, il cartiglio di Sésostris II.

Ed ancora gioielli collane in oro cornalina e lapislazzuli, ciondoli bracciali maschere reali, amuleti statue e altri oggetti che rendono omaggio alle notevoli capacità orafe degli egizi.

Collana della principessa Khnoumit;
Collana della principessa Khnoumit.

La sepoltura di Ramses II

Morì all’età, sorprendente per la sua epoca, di 90 o 91 anni e fu sepolto in una grande tomba della Valle dei Re.

Il suo corpo fu traslato nel nascondiglio di mummie regali di Deir el-Bahari, a ovest di Luxor, dove fu scoperto nel 1881.

Oggi si trova al Museo egizio del Cairo.

Esposto in mostra figura anche il pezzo forte della mostra: il sarcofago in legno di cedro dipinto utilizzato per il riseppellimento delle spoglie mortali di Ramesse II.

La bara viene prestata alla Francia per la prima volta dopo 45 anni.

Sarcofago di Ramses II. Particolare
Sarcofago di Rmases II.

La memorabile mostra parigina del 1976

Lo straordinario reperto del sarcofago ligneo era già stato esposto a Parigi nel 1976 in «Ramesse il grande».

La mostra all’epoca era organizzata in concomitanza con il restauro della mummia del sovrano, resosi necessario a causa del suo improvviso deterioramento ed eseguito proprio nella capitale francese.

Nel 1976 l’accento era però posto sulla figura di Ramesse II e sul modo in cui il suo regno aveva determinato la storia successiva dell’antico Egitto.

Gli organizzatori dell’esposizione odierna affermano in modo esplicito di richiamarsi all’edizione di quarantasette anni fa.

Gli effetti speciali dell’attuale mostra parigina

La mostra prevede anche un’esperienza immersiva con utilizzo di visori per la realtà virtuale.

Questo aspetto era ben presente già nell’edizione del 1976 dove il visitatore poteva aggirarsi all’interno di una replica fotografica della tomba della regina Nefertari. Attraverso l’esperienza VR è possibile scoprire i monumenti più famosi del faraone: i templi di Abu Simbel e la tomba della regina Nefertari.

 La mostra dello scorso inverno a Roma presso la Sapienza

Dal 9 febbraio al 14 giugno 2023, presso la Sala Piacentiniana del Palazzo del Rettorato dell’Università La Sapienza di Roma, si è tenuta l’inaugurazione della mostra “La mummia di Ramses”.

La mostra era incentrata sulla riproduzione tridimensionale in scala 1:1 della mummia del faraone Ramses II realizzata con una tecnica sperimentale avveniristica che ha comportato la ricostruzione della pelle del faraone con materiale organico

Ramses continua a far parlare di sé. Le scoperte recenti in Egitto, ad Heliopolis

Il faraone vissuto più di tremila anni fa continua a far parlare di sé.

Lo fa attraverso una statua riportato alla luce dagli interni di un tempio presso la città di Heliopolis famoso sito archeologico incastonato nella porzione nord-orientale dell’odierna Cairo.

La notizia è di marzo 2023.

Oltre alla statua del faraone sono stati trovati frammenti di ritratti reali fino a 4000 anni fa.

Le scoperte recenti in Egitto, ad Abydos

Inoltre, è notizia recente che una missione archeologica americana della New York University ha appena riportato alla luce in uno dei templi eretti da Ramses ad Abydos, una delle due città sante insieme ad Heliopolis dell’antico Egitto, circa 2000 reperti di arieti (ovis aries) che sono stati sacrificati in onore del dio egiziano Amon Ra.

I loro resti risalgono probabilmente all’era tolemaica che va dal 305 al 30 a.c.

Sono così numerosi perché l’ariete veniva considerato l’animale sacro del dio e rappresentavamo l’emblema della virilità.

I resti degli animali erano ancora avvolti, per la maggior parte, nei loro involucri di lino.

Il senso di una vita

L’egittologo francese Pierre Montet ha così commentato la vita di Ramses II: «Ha ben meritato d’essere chiamato grande. Avendo fatto prova nella battaglia di Qadeš d’un coraggio straordinario, è entrato ancora in vita nella leggenda. Tutta la sua vita ha esercitato coscienziosamente il mestiere di re. Il suo egoismo mostruoso era temperato dalla bontà di cui hanno beneficato i suoi soldati, i suoi artisti, i membri della sua famiglia e si può perfino dire l’insieme dei suoi sudditi».




IL DSGA NON E’ UN SARCHIAPONE!

Chi non si ricorda lo stupendo sketch con Walter Chiari e Carlo Campanini sul Sarchiapone americano?

Per chi non lo ricorda vi suggeriamo di rivederlo qui.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=nywnVhPyiIg?start=12&w=640&h=480]

 

Il Sarchiapone, questo animale stranissimo che Walter finge di conoscere perfettamente aiutato dalla bravissima Ornella Vanoni.

Questa scenetta ci ricorda moltissimo tutta una serie di personaggi, dai sindacati in poi, che pensano e fingono di conoscere il DSGA e le sue caratteristiche ed addirittura non contenti di parlarne a vanvera, vanno a contrattare per loro ed a fare i nuovi accordi, pensando di conoscere il sarchiapone DSGA.

Ma Voi li conoscete i dsga?

ruolo bistrattato ed insultato ma, in realtà, fondamentale per la scuola; se i vostri figli possono avere una scuola che funziona è anche grazie a loro

 

BETAPRESS: Siamo oggi qui con Fabio Amici, DSGA da ormai tanti anni e ideatore del gruppo NOI…DSGA per

Fabio Amici

parlare, appunto, della figura del DSGA.

Fabio, cos’è il DSGA?

 

 

FA: Oggi il DSGA, Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi, è una figura importantissima in ambito scolastico perché, in pratica, è il responsabile del funzionamento della macchina scolastica.

È una figura nata nel 1999 con il riordinamento della scuola statale e la creazione della figura del Dirigente Scolastico, ovvero il passaggio dei vecchi presidi al ruolo di dirigenti.

BETAPRESS: ma anche voi siete dirigenti visto che siete direttori?

FA: no, il DSGA non ha il ruolo di dirigente ma è solo un semplice funzionario amministrativo, l’unico funzionario pubblico con competenze specifiche in contabilità e amministrazione, in quanto come si sa, il dirigente scolastico oggi è un ex docente, magari in materie lontanissime da quelle richieste ai dirigenti della p.a.

BETAPRESS: in pratica è una questione di soldi?

FA: non proprio, ma volendo riportare tutto alla busta paga possiamo dire che, se il Dirigente Scolastico prende più di 3500 euro, il DSGA prende meno della metà.

BETAPRESS: ma a livello di responsabilità?

FA: a livello di responsabilità, ovviamente, c’è qualche differenza anche se non tale da giustificare un divario del genere. Ciononostante, il carico operativo dei DSGA è altissimo ancor di più ora con il PNRR.

BETAPRESS: Di questa figura però non si conosce molto, mentre il DS è sempre al centro dell’attenzione.

FA: verissimo e gravissimo. Negli anni si è sempre puntato sul ruolo de DS sacrificando il DSGA sommergendolo di attività amministrative a fronte di un depauperamento allarmante del personale di segreteria.

BETAPRESS: Mai nessuno ha pensato a Voi?

FA: da che mi ricordi io, solo una persona in tutti questi anni e, casualmente, proprio il suo direttore: Corrado Faletti che, quando era un dirigente del Ministero dell’istruzione, ormai 15 anni fa, aveva dato grande visibilità al nostro ruolo, comprendendone l’importanza.

Non solo al nostro ruolo ma a quello di tutta la segreteria collaboratori scolastici compresi.

In quel periodo il nostro apporto alla scuola fu evidenziato come si merita e riuscimmo, assieme a Lui, a realizzare progetti fondamentali che ancora oggi sono l’ossatura amministrativa della scuola.

BETAPRESS: Ad esempio?

FA: Non credo lei abbia tutto questo spazio sul suo giornale per poterli dire tutti, ma ne cito solo qualcuno che ancora oggi è base nella scuola: l’ordinativo informatico locale, i nuovi inventari, il nuovo decreto di contabilità, la formazione per le scuole, i report amministrativi su SIDI, e tanti altri ancora.

BETAPRESS: Ma oggi cosa sta succedendo?

FA: non solo da oggi, ti faccio un esempio. nel ccnl 2016/19 l’aumento dell’indennità di direzione del dsga fu di 6,5€ lordi al mese! meno dell’aumento riconosciuto ad un cs (con tutto il rispetto per i cs) e di tutta la scuola! una sorta di presa in giro. per non parlare del nuovo CCNL 2019/21, la cui intesa è stata firmata a luglio. ancora peggio di prima, prevedendo un de-mansionamento anche professionale visto che mentre prima eravamo in una categoria alta ovvero la d (cioè quella più alta prevista) adesso siamo stati “declassati” alla c. oltre a questo, si prevede la trasformazione del ruolo del dsga, in incarico triennale di nomina degli uffici scolastici provinciali e le reggenze ad interim dei dsga nelle altre scuole sguarnite di dsga, senza alcun compenso! per far capire, al ds reggente di altra scuola, viene riconosciuto un compenso ulteriore di 500€ nette per ogni scuola in più. differente trattamento incomprensibile, visto le firme congiunte e le pari responsabilità nei principali atti contabili e amministrativi delle istituzioni scolastiche. senza un dsga, l’attività amministrativa della scuola si bloccherebbe, non si pagherebbero le fatture, l’iva allo stato, non si pagherebbero i supplenti, non si potrebbero incassare i finanziamenti dell’EU e dello stato, o quelli degli alunni, non si farebbero gite, né bandi di gara per i pnrr o i pon, il personale non avrebbe le ricostruzioni di carriera o il pagamento dei tfr/tfs, solo per dire alcune delle competenze e delle responsabilità di un dsga. l’elevata qualificazione riconosciuta ai dsga, è stato un bluff per noi, considerato la disparità di indennità riconosciute ai pari direttori degli enti locali, che percepiscono indennità di posizione quasi triple rispetto le nostre (fino a 18.000 € l’anno) e indennità di risultato (un altro 10% in più), magari gestendo meno personale di quello gestito da un dsga.

BETAPRESS: In pratica prima stavate in una categoria di contratto che prevedeva una certa qualificazione professionale adesso vi hanno sbattuto in una categoria inferiore, cioè come se prima aveste avuto la magistrale ed ora avete solo la triennale.

FA: vero e l’esempio è interessante.

Calcoli che per svolgere il nostro ruolo qualificato, lo stato utilizza da anni figure intermedie ovvero assistenti amministrativi “promossi” al ruolo di DSGA chiamati facente funzione, dandogli ovviamente uno stipendio più basso ma con le stesse responsabilità e carichi di lavoro.

Tutto questo per non fare un concorso adeguato e per, ovviamente, risparmiare.

BETAPRESS: ma di che numeri stiamo parlando?

FA: beh su 8000 circa DSGA più di 2500 sono facenti funzione.

BETAPRESS: stiamo parlando del 31%?

FA: Esatto e questo deve far riflettere: lo Stato aveva definito il ruolo DSGA come classe D contrattuale (che prevedeva la laurea magistrale) invece ha accettato di far fare il DSGA FF (facente funzione) anche a personale non laureato.

Negli anni si è trascinata questa abitudine ed i sindacati non hanno detto e fatto nulla, cosa che ritengo molto grave, fino ad arrivare oggi a declassare il ruolo appunto al livello C che è quello che prevede la laurea triennale.

Oggi ci sono dei colleghi che svolgono il ruolo di DSGA FF anche da più di 15 anni e ci sono dei colleghi che svolgono il ruolo da DSGA da altrettanto tempo.

Alla fine, il ruolo è stato svalutato nel suo senso più profondo.

BETAPRESS: in pratica lo stato ha creato una profonda divisione nel personale ATA.

FA: non mi fraintenda.

Io ho la massima stima dei colleghi che hanno accettato di assumere il ruolo di facente funzione e ne difendo i loro diritti dopo 10 anni ad aver riconosciuto i loro sforzi.

Nello stesso tempo devo difendere la mia categoria, non dai bravissimi colleghi che si sono sacrificati, ma dallo stato che utilizza mezzucci per tirare avanti, distruggendo la qualità delle segreterie scolastiche. non si possono accettare stabilizzazioni di ff con solo 3 anni da dsga! la professionalità e la competenza di un ruolo complesso come il nostro, non si acquisiscono con soli 3 anni, magari in una piccolissima scuola! (senza nulla togliere ai colleghi FF da pochi anni ovviamente che rispetto, ma 3 anni sono pochi per comprendere appieno un ruolo complesso come il nostro)

In ogni caso, e lo dico con rammarico profondo, a parte il “periodo Faletti” e nonostante i risultati che in quel periodo i dsga hanno realizzato grazie al loro coinvolgimento, non c’è più stato un momento di rivalutazione delle segreterie e quindi dei ruoli in essa contenuti, ma piuttosto il contrario.

BETAPRESS: è vero che il ruolo di assistente amministrativo può essere svolto anche da un collaboratore scolastico (bidello NdR) tramite semplice presentazione di domanda?

FA: perfetta domanda. È proprio vero.

Questo dimostra come lo Stato non si renda conto della competenza necessaria per svolgere il ruolo di assistente amministrativo di segreteria.

Ci vogliono anni di esperienza per muoversi tranquillamente in una segreteria scolastica, e chi viene dai ruoli dei collaboratori dovrebbe almeno poter fare una sorta di internato di due anni prima di assumere il ruolo di assistente amministrativo.

BETAPRESS: questo anche perché poi lo stato conta uno la persona che vi viene affidata.

FA: esatto.

Poi per noi è una risorsa in carico che fa organico effettivo mentre invece la segreteria deve dedicare del tempo per formare questa nuova risorsa; quindi, non è mai +1 ma di solito -2.

BETAPRESS: ma non è stato fatto qualche anno fa un concorso per DSGA?

FA: sì, corretto.

Peccato che dei 1900 vincitori con il concorso 400 hanno abbandonato il primo giorno di lavoro e poi via via seguiti da altrettanti.

Ma, d’altronde, con uno stipendio base di 1.450 euro ed un carico di lavoro e di responsabilità come pochi altri ruoli nella pubblica amministrazione secondo lei chi ci rimaneva, quando un neolaureato magistrale prende almeno 1700 euro come primo stipendio ed in posti con meno carichi e responsabilità?

BETAPRESS: ma non c’è la possibilità di avere compensi per attività aggiuntive?

FA: no.

i compensi che possono essere dati al personale ata non possono essere dati al dsga ed addirittura alcune scuole che avevano remunerato il dsga per attività aggiuntive oltre il proprio orario di lavoro, si sono viste negare il visto sulla rendicontazione con la richiesta del compenso percepito al dsga.

BETAPRESS: insomma sminuiti, declassati, insultati, sottopagati, non è il caso di ribellarsi?

FA: certamente.

Abbiamo già in team di avvocati che sta studiando delle possibili azioni anche solo per bloccare questo contratto indegno ed offensivo della categoria.

La delusione è anche legata al comportamento dei sindacati che non si sono mossi adeguatamente per difendere la categoria.

BETAPRESS: Se lei potesse chiedere un miracolo cosa chiederebbe?

FA: immediata riqualificazione professionale di tutte le figure legate al personale amministrativo, adeguamento stipendiale correlato al ruolo ed alle responsabilità, percorsi guidati per l’ingresso nelle segreterie scolastiche, concorsi corretti, immediata sospensione dell’utilizzo di figure professionali senza caratteristiche adatte, revisione del CCNL per riconoscere i ruoli adeguati, e mi fermo per pietà, perché andando avanti dimostro come lo Stato non abbia considerato la nostra figura e quella delle segreterie adeguatamente.

 

Ecco quali sono le figure silenziose e produttive della scuola.

Grazie a loro la scuola partecipa a bandi, ottiene fondi, porta avanti i procedimenti amministrativi, le gestioni ordinarie e straordinarie.

Eppure, lo stato non le vede e, verrebbe da dire, non vuole vederle per non dar loro la corretta gratificazione economica.

Betapress si impegna a porre su figure come la loro un riflettore enorme, ecco perché, per chi non li conoscesse, oggi ve li abbiamo presentati, e continueremo a dare loro voce in ogni occasione possibile.

Se c’è qualcosa di buono nella scuola in cui mandate i vostri figli, è anche merito loro.

 

 

 

 




GRAFFI: E SE L’ITALIA?

Immigrazione clandestina.

La Germania non accetterà più immigrati clandestini provenienti dall’Italia.

La Francia blinda i propri confini.

E l’Italia?

Possibile che la malavita organizzata sfrutti i drammi di Marocco e Libia per favorire sbarchi in massa sulle coste italiane?

E l’Italia?

Le crisi non partono mai da lontano e ignorarne i segnali, fare finta di non ascoltare i campanelli d’allarme o di non vedere le anomalie, non porta lontano.

Il governo Meloni ha avuto in lascito un’eredità pesantissima, per amministrare la quale era chiaro fin da subito che non sarebbe stato sufficiente l’esercizio della pur massima “buona volontà”.

Le situazioni geopolitiche, le dinamiche particolari – globali e particolari – dell’economia e della finanza (estremamente fluide e imprevedibili, in quanto ricchissime di variabili), il modificarsi del conflitto instaurato nell’area ukraina da ‘bellico’ a ‘economico’ (per la non soccombenza del dollaro nel primato di “valuta di riferimento”), hanno determinato disallineamenti importantissimi.

Ossia, la situazione che il subentrato governo Meloni Ha ereditato, è ora profondamente mutata: e per affrontarla non sono sufficienti alleanze strumentali.

Occorre avviare radicali misure strutturali.

A un claudicante non basta unirsi a un gruppo di zoppi, per sperare di non zoppicare più.

A queste variabili si sommano imprevisti in alcune aree del mondo, tali da suscitare ripercussioni dagli sviluppi non prevedibili.

In modo imprevisto, si sta assistendo a fenomeni di portata straordinaria che – i solerti cronisti di una storia malata e corrotta – attribuiscono a presunti mutamenti climatici innescati base da inquinamenti vari.

Terremoti devastanti, inondazioni straordinarie, tempeste violentissime, incendi diffusi e irrefrenabili, piogge e grandinate eccezionali, persino la minaccia di possibili eruzioni vulcaniche, scuotono la superficie terrestre provocando migliaia e migliaia di morti oltre che danni inimmaginabili e incalcolabili.

Tali fatti, sommati al perdurare di anomale epidemie, scuotono il mondo dalle fondamenta.

Ma hanno certamente un risvolto immediato: la malavita organizzata entra subito in azione.

Prevedere che dalla Libia e dal Marocco ci possano essere masse imponenti di potenziali clandestini verso l’Europa, verso l’Italia in primis, prevedere quindi l’acuirsi di una crisi già pesantissima, è esercizio agevole.

Meno , le misure per fronteggiare la situazione.

E l’Italia?

Blocco terrestre e navale, quindi?

Forse sarà inevitabile, o saremo invasi da una massa ingovernabile di “clandestini” e forsanche “finti profughi”.

In situazioni di emergenza, non si deve e non si può ragionare in termini “normali”.

Ma l’Italia, saprà reagire e quindi agire?




Imito ergo sum

Il Processo Imitativo nei Bambini: Sviluppo, Importanza e Implicazioni

L’imitazione è una delle prime abilità cognitive che i bambini sviluppano fin dalla loro più tenera età, da non confondere con il processo di imprinting di cui abbiamo parlato già.

Questo processo, apparentemente semplice, gioca un ruolo cruciale nello sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo dei bambini, ed è importante per esplorare il processo imitativo nei bambini, analizzando come si sviluppa, l’importanza di questa abilità e le implicazioni per l’apprendimento e lo sviluppo futuro.

L’imitazione è una caratteristica fondamentale del comportamento umano che nasce fin da subito ed assume importanza successivamente, con l’appartenenza ad una etnia sociale e per i riferimenti gergali della comunità di appartenenza.

Nei neonati, i primi segnali di imitazione possono essere osservati già nelle prime settimane di vita, quando imitano le espressioni facciali dei genitori.

Da osservare comunque che il processo di imitazione potrebbe non essere consapevole almeno dall’inizio, ovvero nelle prime settimane di vita.

In questo primo periodo potrebbe subentrare il comportamento dei cosiddetti neuroni a specchio che ci permettono di comprendere gli stati d’animo altrui proprio perché li “specchiamo” con i nostri.

Quindi il bambino nelle sue primissime fasi di vita potrebbe non tanto imitare il comportamento degli adulti, cosa che avviene invece dopo i primi mesi, ma solo una serie di reazioni che lui stesso sente come proprie rispetto a quel particolare sentimento o emozione.

Questo concetto dei neuroni a specchio è un modo per spiegare i processi empatici che ci fanno comprendere lo stato d’animo altrui, riconoscendo degli atteggiamenti fisiognomici che identifichiamo simili ai nostri in quel particolare momento (piangere, ridere, sospirare, etc.).

Tuttavia, l’imitazione diventa più complessa e intenzionale con il passare del tempo, contribuendo a formare quella che oggi definiamo la personalità dell’individuo.

Fondamentale quindi l’ambiente e le persone che affianchiamo al bambino fin dalle sue prime fasi di crescita.

L’imitazione, pertanto, è un processo di autoapprendimento che parte fin da subito e viene utilizzato per forgiare anche il carattere e non solo.

Gli stessi meccanismi di difesa personale legati agli atteggiamenti aggressivo, remissivo, etc. si formano nelle prime fasi di vita imitativa.

Il primo tipo di imitazione che possiamo identificare è quella Neonatale definita spesso anche  sindrome del cucciolo: fin dai primi mesi di vita, i neonati iniziano a imitare alcune espressioni facciali e gesti dei loro genitori.

Questa imitazione precoce contribuisce a stabilire un legame emotivo tra il bambino e i suoi genitori ed ha il significato di legare il cucciolo al suo riferimento protettivo nelle prime fasi di vita.

Il primo vero imprinting imitativo si ottiene comunque con l’imitazione Sociale verso i 9-12 mesi, dove i bambini iniziano a imitare attivamente i comportamenti degli altri.

L’importanza di questa fase è fondamentale, anche perché abilita nel bambino i primi atti motori consapevoli come il camminare o il correre, questa imitazione sociale include in fase iniziale azioni come battere le mani, agitare la testa e pronunciare suoni, quindi anche il parlare nel linguaggio della comunità di riferimento.

Ricordiamo che spesso la mancanza di questa fase è strumento utile per la diagnosi di disabilità importanti come l’autismo.

Una volta strutturati i primi passi verso un’autonomia fisica, ove si intenda l’attivazione degli strumenti sensoriali completi e del linguaggio, incomincia nel bambino l’attivazione di quella che possiamo definire imitazione Simbolica completa o avanzata.

Intorno ai 18-24 mesi, i bambini iniziano a mostrare un’imitazione simbolica più avanzata, quindi uscendo dai confini di un’imitazione empatica, iniziano ad imitare azioni che non sono presenti nel loro repertorio quotidiano, come fingere di parlare al telefono o di cucinare.

Questo tipo di comportamento imitativo è fondamentale perché permette al bambino di collegare azioni a strumenti e comunque ad agevolare i processi astrattivi nonché “favolistici” che permettono al bambino di sviluppare la fantasia e tutta una serie di strumenti interpretativi della realtà che lo circonda.

Questa fase è importantissima perché permetterà al bambino di superare tutti i successivi step di crescita, garantendo una corretta rielaborazione degli input che riceverà dal contesto comprendendo pian piano la differenza tra reale e fantastico.

Questo processo si realizza pienamente nei primi cinque anni di vita e permette al bambino di strutturarsi per poter gestire un confronto con le realtà  che incontrerà quando il bambino uscirà dalla fase 0 – 5 anni, fase delle favole, per confrontarsi con i suoi coetanei e altri adulti, nella seconda fase 5 – 10 anni, fase del copia incolla, ove cercherà di imitare, con gli strumenti in suo possesso, quelle che riterrà simbologie migliori della sua.

Questo mondo nuovo a cui si affaccia il bambino attiva definitivamente quella che possiamo chiamare l’imitazione di Ruoli, che inizia già verso i 2-3 anni, quando i  bambini iniziano a imitare ruoli sociali.

Ad esempio, possono fingere di essere un insegnante o un medico durante il gioco.

Quest’ultimo modello imitativo si strutturerà poi come un modello di riferimento che utilizzeremo in tutta la vita e sul quale ci confronteremo spesso anche da adulti.

E’ il modello finale che ci porta ad imitare e quindi ad inseguire quello che vorremmo e non quello che siamo.

Un modello che, se non tarato correttamente, sarà l’Armageddon di tutta la nostra vita adulta, spesso sbilanciata tra invidie e supponenza.

L’imitazione è pertanto cruciale per lo sviluppo dei bambini sotto molti aspetti e proprio per questo deve essere indirizzata o comunque orientata in modo sano ed equilibrato.

Proprio grazie all’apprendimento Sociale possiamo iniziare a definire modelli che poi i bambini potranno prendere come riferimento, infatti l’imitazione consente ai bambini di apprendere dai loro modelli, inclusi genitori, insegnanti e coetanei.

Attraverso l’imitazione, acquisiscono conoscenze, competenze e valori sociali, pertanto sia gli ambienti che le persone che mettiamo a far parte del loro mondo, oltre noi stessi ovviamente, sono strumenti di costruzione della loro personalità.

L’imitazione ha anche un ruolo chiave nello sviluppo del linguaggio.

I bambini imitano i suoni e le parole dei loro genitori, contribuendo così alla formazione delle basi linguistiche, pertanto una corretta impostazione linguistica deriva anche dai modelli che vengono affiancati ai bambini nel loro percorso di crescita.

Lo stesso sviluppo cognitivo deriva dall’imitazione che aiuta a sviluppare abilità cognitive come l’attenzione, la memoria e la risoluzione dei problemi.

I bambini imparano a pensare in modo astratto e a elaborare concetti complessi attraverso l’imitazione di comportamenti e giochi di ruolo.

Senza voler semplificare troppo ma tutto questo porta alla costruzione dell’Identità personale.

L’imitazione di ruoli contribuisce alla formazione dell’identità del bambino, che, attraverso il gioco di ruolo, esplora diverse identità e sviluppa un senso di sé.

Ma ricordiamoci un elemento importante: l’imitazione nei bambini non è solo un fenomeno di breve termine, ha implicazioni durature per il loro apprendimento e sviluppo futuri. 

Conseguenze di un buon processo imitativo sono l’apprendimento Sociale Continuo, che trasforma l’imitazione in un meccanismo di apprendimento sociale anche nell’età adulta. Gli individui imitano comportamenti e abitudini degli altri per adattarsi alla cultura e alla società.

Anche lo sviluppo empatico è conseguenza di una buona e corretta impostazione imitativa, infatti l’imitazione contribuisce allo sviluppo dell’empatia, non per altro i bambini che imitano comportamenti di gentilezza e compassione diventano adulti più empatici.

Per garantire un buon comportamento imitativo è importante investire sull’apprendimento Tramite il Gioco.

Il gioco di ruolo e l’imitazione nel gioco aiutano i bambini a sviluppare competenze importanti come la risoluzione dei problemi, la creatività e la cooperazione.

L’imitazione nei bambini è un processo complesso e cruciale per il loro sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo.

Attraverso l’imitazione, i bambini apprendono, esplorano il mondo che li circonda e costruiscono la propria identità.

I genitori, gli insegnanti e gli adulti devono riconoscere l’importanza dell’imitazione nei bambini e fornire modelli positivi per influenzare in modo costruttivo il loro apprendimento ed il loro sviluppo.

In ogni caso una semplice riflessione per tutti i genitori: se vogliamo far crescere dei giovani felici e con buon senso dobbiamo costruire i loro processi imitativi, che è la cosa più semplice, portarli a riflettere, che è la cosa più onorevole,  ed insegnare loro a convivere con l’esperienza, che è la cosa più difficile di tutte.

 

 

 

Interferenza ed Imprinting: i pilastri dell’apprendimento efficace

 




Ci vuole più Disciplina!!!

Parliamo spesso di disciplina ma il più delle volte ne confondiamo gli estremi ed i confini.

La disciplina non è qualcosa che qualcuno ci impone, perché allora si parla di obbedienza, la disciplina è una forza interiore che l’uomo deve sviluppare per poter raggiungere degli obiettivi e dei risultati.

La Democrazia è una sorta di disciplina che deve permeare una società, una illuminazione collettiva che diventa una sorta di “religione”, un bene comune fatto di obiettivi da raggiungere.

La disciplina non è educazione, l’educazione è il rispetto degli altri, la disciplina è il rispetto di noi stessi.

Essere disciplinati infatti è la capacità di seguire delle regole che ci siamo dati o che abbiamo scelto, ed è qui che la disciplina da sola non basta perché noi possiamo anche seguire delle regole egoistiche, che perseguono il male a vantaggio dei nostri interessi, o semplicemente che rendono il nostro agire egoista nella comunità in cui stiamo vivendo.

In questo senso la disciplina, a mio avviso, la possiamo considerare una delle cinque grazie dell’intelletto umano: disciplina, educazione, onore, lealtà, sentimenti, interagenti tra loro in un interessante caleidoscopio di colori ma soprattutto con un mix di ingredienti che deve essere ben calibrato; la sproporzione anche solo di uno dei cinque ingredienti porta spesso a conseguenze nefaste.

Si pensi agli eccessi del nazismo quando lealtà e disciplina hanno preso il sopravvento assoluto; se ci fosse stata anche una buona dose di sentimenti, onore ed educazione le cose sarebbero andate molto differentemente.

La disciplina è un concetto pertanto che si riferisce al rispetto delle regole, delle norme e dell’autorità, al fine di mantenere l’ordine, la responsabilità ed il controllo del proprio comportamento agito in una società di riferimento.

Essa può essere applicata in varie sfere della vita, tra cui l’educazione, il lavoro, la vita militare, lo sport e molte altre, ovviamente tramite l’obbedienza alle regole.

La disciplina implica il rispetto delle regole e delle norme stabilite da un’autorità o da un sistema in cui noi stiamo vivendo.

Queste regole possono riguardare il comportamento personale, le procedure sul posto di lavoro, le leggi della società o le istruzioni militari, il concetto di democrazia porta poi ad un necessario cambiamento delle regole in modo condiviso quando i tempi cambiano.

In questo senso la disciplina richiede anche un certo grado di autocontrollo e auto-regolamentazione.

Significa essere in grado di resistere alle tentazioni, mantenere la concentrazione e rispettare gli impegni e le responsabilità, con grande coerenza.

Essere disciplinati implica mantenere una coerenza nel proprio comportamento, ovvero agire in modo consistente e responsabile, indipendentemente dalle circostanze o dalle emozioni del momento.

Nel concetto di disciplina vi è anche una importante presa di responsabilità personale per le proprie azioni e decisioni, inevitabilmente significa assumersi la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni, anche e soprattutto dal punto di vista emotivo.

Come riuscire a costruirsi una propria disciplina personale?

Non basta pensarlo o volerlo fortemente, occorre darsi un metodo, anzi una struttura o una routine.

Avere una routine ben definita può aiutare a mantenere la disciplina, poiché fornisce un’organizzazione e un orario predefinito, ad esempio, per le attività.

Nello stesso modo occorre darsi obiettivi ed ipotesi di risultati.

Non si può pensare solo ad un grande unico obiettivo (ad esempio voglio un lavoro) ma devo capirne i necessari obiettivi di percorso per poterci arrivare (mi devo formare, devo acquisire competenze, devo capire che tipo di capacità iniziali devo avere).

In questo senso la disciplina è uno strumento efficace per raggiungere obiettivi personali o professionali, ragionando a tappe per evitare di cadere nella frustrazione del risultato, così, mantenendo la disciplina, è più probabile che si raggiungano gli obiettivi desiderati.

Essere disciplinati implica un necessario apprendimento continuo.

Significa essere aperti all’auto-miglioramento, all’acquisizione di nuove competenze e all’adattamento alle sfide.

La disciplina è così importante in molte aree della vita perché aiuta a mantenere l’ordine, a promuovere la responsabilità personale e a raggiungere gli obiettivi.

Tuttavia, è importante trovare un equilibrio tra la disciplina e la flessibilità, poiché un eccesso di disciplina può portare a rigidità e stress eccessivo.

Per fare un esempio di grande disciplina voglio ricordare l‘esercito romano.

Le legioni, ma più in generale tutta la macchina militare romana, erano note per la loro disciplina ed organizzazione straordinaria, che ha contribuito in modo significativo al successo dell’Impero Romano.

Come i Romani hanno costruito questo modello di disciplina?

Intanto grazie ad un addestramento rigoroso: i soldati romani venivano sottoposti a un addestramento rigoroso sin dalla loro arruolamento.

Questo addestramento includeva esercitazioni militari regolari, marce forzate, allenamento al combattimento corpo a corpo e altre attività che li preparavano fisicamente e mentalmente per la guerra.

L’esercito romano possedeva una chiara gerarchia militare con ufficiali competenti ed addestrati che erano responsabili dell’addestramento e del comando delle truppe.

Questa chiara catena di comando contribuiva a mantenere l’ordine e la disciplina all’interno delle unità.

Venivano applicate punizioni severe per l’indisciplina e il dissenso.

Queste punizioni potevano includere fustigazioni, lavori forzati o persino la pena di morte.

Queste misure dissuasive servivano a scoraggiare comportamenti indisciplinati.

La tattica e la strategia militare romana erano basate grandemente sulla disciplina.

I soldati romani erano addestrati per formare formazioni coese, come la famosa formazione a testuggine, che li proteggeva in battaglia e li rendeva difficili da sconfiggere.

I soldati romani sviluppavano un forte senso di appartenenza alla loro unità e all’Impero Romano nel suo complesso, questo senso di appartenenza li motivava a combattere con disciplina e determinazione.

L’Impero Romano era selettivo nel reclutamento dei soldati, cercando individui che fossero fisicamente idonei e che dimostrassero una forte etica del lavoro e un impegno per il servizio militare.

Tutti questi fattori contribuivano alla formazione di un esercito altamente disciplinato e efficiente.

La disciplina nell’esercito romano era essenziale per mantenere l’ordine nelle legioni, garantire la coesione durante le battaglie e garantire il successo militare dell’Impero Romano per molti secoli.

Ovviamente il contesto sociale in cui si è sviluppata la disciplina militare romana, ma anche traslata, o derivata?, nella forte lealtà di tutti i cittadini a Roma, non è paragonabile a quello odierno, ma i principi base che l’hanno resa eterna sono ancora validi.

Oggi in molti si lamentano della mancanza di disciplina nei giovani.

Attenzione a cosa vogliamo!

Come avete letto più sopra la disciplina è solo una delle parti necessarie per una crescita armonica dell’individuo. e la sua mancanza non è l’unica causa del comportamento anomalo giovanile.

La mancanza di disciplina nei giovani può essere causata da una serie di motivi complessi, che possono variare da individuo a individuo.

Sicuramente la mancanza di un ambiente familiare senza regole chiare, routine e supervisione porta alla mancanza di disciplina nei giovani; se i genitori non stabiliscono limiti chiari o non stigmatizzano il comportamento inappropriato con punizioni o meglio con evidenziazioni chiare e proporzionate, i giovani possono avere difficoltà a sviluppare la disciplina.

I giovani tendono a imparare comportamenti e abitudini dai loro genitori e da altre figure di riferimento solo se ne sono a stretto contatto nelle prime fasi di crescita.

Se crescono in un ambiente in cui la mancanza di disciplina è comune, possono sviluppare lo stesso tipo di atteggiamento.

E’ importante pertanto dare molta attenzione agli ambienti di crescita dei ragazzi nei primi quindici anni della loro crescita ed agli educatori che li affiancano.

Non sempre infatti il più bravo professore del mondo per il ragazzo X può avere lo stesso effetto sul ragazzo Y.

Questo sbandamento sugli ambienti e sulle figure di riferimento può generare una mancanza di motivazione intrinseca per raggiungere obiettivi o rispettare le regole, cosa che evidentemente porta ad una mancanza di disciplina.

Se i giovani non vedono, comprendono, ascoltano un motivo valido per seguire le regole o impegnarsi in attività disciplinate, non lo fanno.

Occorre anche considerare che oggi con l’avvento della tecnologia e dei dispositivi digitali, i giovani possono essere facilmente distolti dalle attività che richiedono disciplina, come lo studio o la pratica di un’arte o uno sport, specie se correlate alle influenze dei coetanei ed al desiderio di adattarsi a gruppi che promuovono comportamenti indisciplinati che possono attrarre i giovani e quindi a deviare dalla loro stessa disciplina.

Disturbi come l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) o l’ansia possono influenzare la capacità di un giovane di concentrarsi, pianificare e seguire regole, contribuendo così alla perdita, anche se in modo più inconsapevole, di disciplina.

Oggi è difficile che i ragazzi abbiano sviluppato adeguate competenze sociali ed emotive per affrontare situazioni stressanti o conflitti interpersonali, il che può influire sulla loro capacità di disciplinarsi e quindi di raggiungere i loro obiettivi, con un conseguente possibile abbandono ad una depressione indotta.

Problemi legati all’ambiente scolastico, come il bullismo o una mancanza di supporto da parte degli insegnanti, possono ulteriormente appesantire la situazione.

Infine anche la presenza di eventi stressanti o traumatici nella vita di un giovane, come la perdita di una persona cara o il divorzio dei genitori, possono influire sulla sua capacità di vivere serenamente e di autodisciplinarsi nei propri obiettivi.

È importante riconoscere che la mancanza di disciplina/autodisciplina può avere un impatto significativo sulla vita dei giovani, influenzando la loro capacità di raggiungere obiettivi, costruire relazioni sane e prendere decisioni responsabili.

Gli adulti, compresi i genitori e gli insegnanti, possono svolgere un ruolo fondamentale nel fornire un ambiente di supporto, insegnare competenze di autodisciplina e fornire modelli positivi di comportamento disciplinato.

Cosa fare quindi, buttare la spugna? GIAMMAI!

Occorre ripensare al rapporto scuola famiglia ed al percorso educativo complessivo, con particolare attenzione ai ruoli.

La famiglia deve essere centro di affetto e di presenza, che non vuol dire essere sempre attaccati, ma far percepire la presenza genitoriale anche nel definire regole e premi, responsabilità e conseguenze, ma soprattutto applicarle.

La scuola invece deve essere un percorso continuo in cui, proseguendo nel ragionamento sulle regole il ragazzo incomincia a capirne il senso applicato alla società in cui vive, in cui si muove, in cui stringe amicizie e rapporti, ma soprattutto un luogo in cui il giovane può applicare ciò che sa e ciò che crede, trovando riscontro sia nei comportamenti degli educatori attorno a lui che nelle modalità di iterazione sociale in cui muove i primi passi da adulto.

.

Adolescenti, stupri, alcol, violenza, ma che generazione è questa?

 

 




Separazione e Maturità: un binomio troppo spesso dissolubile.

La separazione può essere un evento altamente stressante e traumatico, sia per gli adulti che per i bambini nel quale troppo spesso maturità e separazioni diventano un binomio dissolubile, al contrario di quello che sarebbe necessario.

Dal punto di vista psicologico, ci sono diversi motivi che possono influenzare le reazioni e le sfide durante una separazione, ma in ogni caso la separazione spesso comporta una sensazione di perdita significativa, anche quando siamo noi stessi a volerla.

Gli individui vivono comunque una separazione come (ed in effetti in molti casi è così) se stessero perdendo non solo il loro partner, ma anche una parte importante della loro vita, dei loro sogni e delle loro aspettative.

La separazione può innescare un processo di lutto, simile a quello che si verifica con la morte di una persona cara.

Le persone possono passare attraverso diverse fasi del lutto, tra cui negazione, rabbia, negoziazione, depressione e accettazione, che vedremo più avanti.

L’incertezza e il cambiamento associati alla separazione possono causare ansia e paura, ed ingenerare la preoccupazione per il futuro, la sicurezza finanziaria, lo stato emotivo e la reazione dei figli.

Di conseguenza è facile giungere a sintomi depressivi perché si sperimentano tristezza prolungata, perdita di interesse nelle attività quotidiane, cambiamenti nell’appetito e nell’umore, e talvolta persino pensieri suicidi.

Nella maggior parte dei casi si sperimentano colpa e vergogna durante una separazione, e la vergogna può derivare dal giudizio sociale o dalle aspettative culturali.

Anche la rabbia è spesso una risposta naturale alla separazione, soprattutto se ci sono stati conflitti o ferite emotive nella relazione, ma di certo, con un aiuto, il più delle volte si può arrivare a riesaminare la propria identità e il senso di sé, iniziando a chiedersi chi sono ora senza il partner e come ridefinire la propria vita.

Nonostante che il processo innescato da una separazione possa comunque portare a risultati positivi, è bene considerare che nelle prime fasi alcune persone tendono a isolarsi dagli amici e dalla famiglia , il che può peggiorare la loro salute mentale; non è da sottovalutare la causa di questa “depressione” può essere dovuta alla vergogna, alla paura del giudizio o semplicemente alla difficoltà di condividere le proprie emozioni con gli altri.

In questa fase che spesso avviene prima di tutte si potrebbe avere difficoltà a prendere decisioni ed a vedere le cose in modo obiettivo, ed è proprio in questo momento che si possono adottare diverse strategie per far fronte alla separazione, alcune delle quali possono essere poco sane, come l’abuso di sostanze o comportamenti autodistruttivi.

È importante riconoscere che la reazione alla separazione può variare notevolmente da persona a persona, e non tutti sperimenteranno tutti questi motivi psicologici allo stesso modo.

Il supporto psicologico, come la terapia, può essere fondamentale per aiutare le persone a gestire questi aspetti emotivi e psicologici della separazione e per favorire un processo di adattamento più sano.

Nel caso in cui la separazione avvenga in ambito genitoriale può essere un momento difficile sia per i figli, che spesso non hanno le strutture mentali adatte per capire cosa stia succedendo, questo elemento dipende anche dall’età dei figli, che per l’entourage della famiglia, che perde riferimenti spesso cardini nelle relazioni.

La chiarezza è un elemento essenziale durante questo processo, in quanto aiuta i figli a comprendere meglio la situazione e ad affrontarla in modo più sano e meno traumatico, è necessario rispondere e stimolare le loro domande, affrontandole in modo sincero il che potrebbe aiutarli a comprendere meglio la situazione, tenendo però conto che la chiarezza non significa coinvolgere i figli nei conflitti tra i genitori.

Evitare di discutere i dettagli delle dispute o delle ragioni della separazione con i figli è la modalità più opportuna per il bene stesso dei figli.

Ovviamente è necessario contenere quel senso di rivalsa verso l’altro che porterebbe al coniuge la ricerca ostinata dell’appoggio dei figli.

Non sempre all’interno della coppia (anzi quasi mai) i due coniugi riescono a mantenere un livello di freddezza che possa giovare psicologicamente alla prole.

Mantenere le conversazioni sui problemi tra adulti, lontano dagli occhi e dalle orecchie dei bambini è una forma di maturità che dovrebbe essere agita sempre, non solo durante le separazioni, ma anche nella normale vita di coppia.

Durante un periodo di separazione maggiormente in quanto è proprio la fase che destabilizza i bambini che vedono crollare un mondo di certezze appena costruito.

Mantenere una routine stabile e prevedibile può fornire un senso di sicurezza, ad esempio assicurandosi che gli impegni scolastici, le attività extracurriculari e le abitudini quotidiane siano mantenuti il più possibile.

Oltre a comunicare, è importante ascoltare attentamente i sentimenti e le preoccupazioni dei tuoi figli, fornendo uno spazio sicuro per esprimere le emozioni che di sicuro può aiutarli a elaborare meglio la situazione e a sentirsi ascoltati.

Se la situazione è particolarmente complessa, ad esempio se non c’è modo che i due genitori si orientino al bene della prole pèiù che alla loro rivalsa personale, o se i figli stanno fortemente lottando emotivamente, può essere utile coinvolgere un consulente o un terapeuta familiare.

Questi professionisti possono aiutare a facilitare la comunicazione e a fornire supporto emotivo ai membri della famiglia ed a rendere maggiormente neutrale la comunicazione dell’evento.

Anche se la separazione è inevitabile, è importante conservare il rispetto reciproco tra i genitori.

Questo aiuterà i bambini a mantenere una visione equilibrata e amorevole di entrambi i genitori.

La chiarezza e la comunicazione aperta durante una separazione possono aiutare i figli a sentirsi più sicuri e a gestire meglio la situazione.

Tuttavia, ogni situazione è unica, quindi è importante adattare le tue azioni alle esigenze specifiche dei tuoi figli e cercare supporto professionale quando necessario.

Vediamo infine alla luce di quanto sopra le cinque fasi della perdita, anche conosciute come il “modello delle fasi del lutto,” sono una teoria proposta da Elisabeth Kübler-Ross nel suo libro del 1969 intitolato “On Death and Dying.”

Questo modello rappresenta una serie di reazioni emotive attraverso cui molte persone passano quando affrontano una perdita significativa, come la morte di una persona cara. 

Negazione: In questa fase iniziale, le persone possono avere difficoltà ad accettare la realtà della perdita. Potrebbero sentirsi increduli o pensare che sia solo una cattiva notizia temporanea. Questa fase può servire come meccanismo di difesa temporaneo per aiutare a tamponare l’emozione travolgente della perdita.

Rabbia: Quando la negazione cede il passo, molte persone sperimentano rabbia. Possono arrabbiarsi con il mondo, con se stesse o persino con la persona deceduta. La rabbia è spesso una reazione alla sensazione di impotenza e ingiustizia.

Contrattazione: In questa fase, le persone cercano spesso di trattare o negoziare con una forza superiore o con il destino per cercare di evitare o invertire la perdita. Possono fare promesse o chiedere “Se solo avessi fatto…” o “Per favore, fammi tornare indietro al tempo prima della perdita…”. Questa fase può essere un tentativo di riprendere il controllo.

Depressione: La depressione nella fase del lutto non è necessariamente la stessa cosa della depressione clinica, ma è una risposta emotiva alla perdita. Le persone possono sentirsi tristi, disperate o svuotate. È un periodo in cui affrontano la profondità della perdita e possono passare attraverso un lutto profondo.

Accettazione: Nella fase finale, le persone cominciano ad accettare la realtà della perdita. Non significa che dimentichino o smettano di amare la persona deceduta, ma raggiungono un punto in cui riescono a vivere con la perdita. L’accettazione non significa che non ci saranno alti e bassi emotivi, ma indica che la persona ha fatto progressi nel processo di lutto.

Va notato che queste fasi non sono necessariamente lineari o universali, infatti le persone possono attraversarle in modo diverso e in diversi tempi, ed inoltre, non tutte le persone attraversano necessariamente tutte e cinque le fasi, poiché il lutto è un processo individuale e varia da persona a persona.

Alcune persone possono sperimentare altre emozioni o reazioni durante il loro processo di lutto.

La comprensione delle fasi del lutto può aiutare a fornire una cornice per comprendere e affrontare il dolore, ma è importante rispettare la diversità delle esperienze di lutto di ciascuno.

 

Separati per il bene.