“Il Minatore che riesce a tirar fuori i brillanti dal fango”

Intervista alla Dottoressa Elena Pagliacci Cipriani sul nesso fra salute mentale, Spiritualità e Valori.

Faccio una sorpresa a un’amica che non vedo da tanto tempo. Dovevamo sentirci alle nove su whatsapp per un’intervista della durata massima di un’ora. In effetti, alle nove la chiamo e le chiedo se è pronta. Mi risponde di sì. Le dico: “Ok. C’è una sorpresa per te. Avvicinati alla porta.” “La mia porta?” “Sì”. Ed eccomi qui, da Lugano a Milano in carne e ossa, complice il portiere che non l’ha avvisata del mio arrivo, sul pianerottolo, davanti alla sua porta.

È pazzesco il nostro “sentirci” a distanza. Perché proprio ‘oggi’ ha deciso di indossare un maglioncino color glicine (uno dei miei colori preferiti) e indossare gli orecchini che le ho regalato al suo compleanno di qualche anno fa. Me lo fa notare, felice della singolare coincidenza che sappiamo non esserlo affatto.

 

Preambolo.

Ho avuto la fortuna, anzi meglio, la benedizione di incontrare Elena ventitré anni fa, grazie a un amico comune che ci ha presentate.

Non è andata proprio così: la verità nuda e cruda è che stavo attraversando uno dei periodi più assurdi della mia vita e piangevo in continuazione. 

Incrocio Franco (l’amico di cui sopra) nel lungo corridoio di una sala di doppiaggio, a Milano. Mi dice: “Ti fisso un appuntamento con una mia amica. È bravissima. Vedrai che ti aiuterà.”

21 marzo 1999: entro e mi siedo sul grande divano del soggiorno della Dottoressa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista e Consigliere nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, oltre a centomila altre bellissime cose. Bando ai convenevoli, le consumo una nutrita scorta di Kleenex. Il mio Viaggio dell’Eroe più importante inizia così. Pochi mesi dopo intraprendo un percorso spirituale. Lei mi vede rifiorire e ne gioisce, vuole sapere, condivido con lei le mie scoperte. Mi raggiunge in chiesa. Il resto è storia che, col suo permesso, racconterò in un capitolo a lei dedicato della mia autobiografia.

Elena ha un’anima meravigliosa e un cuore che può contenere il mondo.

Incontrarla è un grande privilegio, esserle amica un dono divino. L’ho raggiunta per parlare di argomenti scottanti quale il sensibile aumento, soprattutto fra i ragazzi, di depressione, ansia e stress, dopo il triennio più balordo della nostra storia più recente. L’articolo è qui.

Oggi condivido la parte più spirituale e non per questo meno scientifica della nostra chiacchierata. In tre ore di intervista (volate!!!) ho raccolto una miniera di pepite di saggezza, esperienze e informazioni.

 

Gli argomenti della nostra chiacchierata.

Si è parlato della correlazione fra salute mentale e spiritualità, di come funziona la mente di una persona felice, dell’importanza di sapere ciò che si vuole dalla vita, dello pseudonimo che un amico famoso le ha appioppato e perché, della vulnerabilità come superpotere, di cosa siano l’autorevolezza, il successo e il vero amore. Se avrete la grazia di seguirci fino alla fine, vi riempirete le tasche di chicche preziose di cui far tesoro per tutta la vita.

Dopo aver “sbobinato” l’intervista e trascritto la nostra conversazione, ho deciso che non avrei cambiato una virgola o quasi di quanto ci siamo dette.

Ne è uscito, a mio avviso, qualcosa di molto speciale.

Non mi rimane che augurarvi buona lettura!

 

Il nesso fra salute mentale e spiritualità.

J: Un giorno mi hai detto che c’è un nesso fra salute mentale e spiritualità. Se c’è una correlazione tra loro, in che modo si influenzano a vicenda?

E: “Si influenzano tantissimo. Vedi, il senso dell’analisi è la conoscenza. L’ideale sarebbe, come in un matrimonio, che i due coniugi si conoscessero al punto che ciascuno può leggere la vita dell’altro come in un libro e sapere quello che c’è stato, quello che hanno avuto … Questo è ‘conoscere’ l’altro. Il grande conoscitore per eccellenza è Gesù, se ci pensi. Lui cosa ha fatto? Per farsi conoscere ha lasciato un libro di consigli (sono stati chiamati ‘comandamenti’, ma sono consigli) per la nostra vita.

Così è la nostra spiritualità. Ciascuno di noi ha un libro di conoscenze della propria vita, che è collegata con la propria psiche. La psiche è la somma di tutto quello che è il tuo istinto, l’ego, l’es, tutte queste cose messe insieme. Anche chi non ha questa parte (spirituale ndr), la ricerca. Come? Per esempio attraverso la paura della morte, che ti spinge a superarla con la spiritualità, il credere in qualcosa, qualsiasi cosa.

Ebbene: se osservi una persona malata di mente e la paragoni con una persona posseduta, vedi che c’è un nesso. È come se ci fosse un uomo interiore cattivo che prende la tua psiche e la trasforma. Ho avuto tra i miei pazienti molte persone che hanno tentato il suicidio e tutti dicono la stessa frase: ‘C’era qualcuno che mi diceva: Buttati. Perché non lo fai? Buttati!’

È come se la nostra psiche a un certo punto facesse entrare un inquilino indesiderato, che si siede sul divano di casa nostra e non se ne va più via. C’è un miscuglio di quello che potremmo definire ‘demoniaco’ e quello che è la tua psicologia. Io sono assolutamente convinta che c’è un nesso preciso, perché vedo questo inquilino che si impossessa della mente, soprattutto quella dei ragazzi. E non ha nulla a che fare con quello che bevono: è la somma di tutte le cose (abitudini, pensieri, ndr) che fanno sì che l’inquilino prenda il sopravvento. Il nesso è strettissimo, anche se non lo sai riconoscere.”

J: Può una persona con il proprio libero arbitrio scalzare questa presenza?

E: “Potrebbe.” 

J: E allora perché si arriva a certi estremi?

E: “Perché da una parte hai la voce della spiritualità che ti invita a guardare il cielo, e non è quella voce che ti dice: ‘Credi, credi in me’. No no no. È vivere in funzione di questo cielo. Non importa se c’è la prova, la sofferenza. Ti invita a pensare che non sei solo e che puoi contare su una mano che è sempre vicina a te. Anche dall’altra parte c’è una mano, ma è una mano che ti tira giù. È una mano che continua a prometterti sempre e solo cose materiali, ma che ti tira sempre più giù, sempre più giù, sempre più giù. È una lotta quella che devi sostenere, per arrivare a dire: ‘No, grazie. Io non voglio scendere così in basso.’ Ma quando sei così in basso è difficilissimo risalire.”

 

Il punto di contatto fra psicanalisi e spiritualità.

J: Se ho capito bene quindi psicanalisi e spiritualità hanno trovato un punto di contatto?

E: “È un po’ come quando trascuri una pianta per molto tempo. Alla fine questa pianta non fiorirà più. Credo che ci sia una parte della psicanalisi che nega completamente ciò che è spiritualità e fede. Io ti parlo da credente – ‘credente’, non ‘religiosa’ – e ti parlo di quello che vedo. Vedo che c’è questo nesso: questo inquilino indesiderato entra e ti soggioga. Lo vedo soprattutto nei ragazzini, dove c’è un terreno ampio dove puoi scavare. Quando dico ‘alza gli occhi al cielo’ non intendo parlare di religione o di fede, ma di spiritualità, di etica. L’etica è data dai valori interiori e dalla libertà.

Quando vedi una persona e ti dici: ’Non riesco a capire: da una parte mi sembra bella, dall’altra la vedo cinica.’ È perché le radici, l’Etica, erano buone all’inizio. Poi arriva la depressione e ti dici: ‘Caspita, com’è possibile?’ ‘Cosa succede?’ ‘Come funziona questo meccanismo?’ Secondo me c’è proprio un incrocio fra spiritualità e psiche. È come se quell’inquilino indesiderato entrasse, tuo malgrado; gli hai lasciato uno spiraglio, una piccola porta aperta: il non perdono dei tuoi genitori, la rabbia repressa, la tristezza che non hai mai espresso. Una delle regole – per stare bene ndr – è esprimere sempre quello che hai dentro: così chiudi la porta e se la porta è chiusa, l’inquilino non entra. Ma se la lasci socchiusa, il male entra. La mancanza di perdono è la chiave più importante.” 

 

Sulla vera Felicità.

J: Cos’è per te la felicità e come si fa a riconoscere una persona felice?

E: “Gli occhi. Guarda gli occhi. Ho avuto nella mia vita tantissime persone che mi dicevano ‘Io voglio avere gli occhi lucenti come i suoi’. Credo che quando tu mandi via l’inquilino indesiderato e fai entrare il cielo, tutto diventa chiaro, trasparente, arriva la verità ed è la verità che ci rende liberi. Quindi se tu sei libero, la persona che non lo è lo vede, e vuole diventare libero come te.

Per me la vera felicità è l’unione della tua etica personale con la felicità alla quale aspiri. Per tanti è possedere case, macchine … Per me no. La mia felicità è la gioia profondissima che provo quando dò qualcosa a qualcuno senza aspettative e vedo questa luce riflettersi nei miei occhi.”

J: Esiste una correlazione tra salute mentale e felicità? E se sì, come funziona la mente di una persona felice? Te lo chiedo per avere qualche dritta da mettere a disposizione di chi non si sente ancora felice e vuole diventarlo.

 E: “La mente di una persona felice è una mente in cui ‘tutto mi è lecito ma non sono schiavo di niente’: vuol dire che tutto mi è concesso – un bicchiere di vino, una sigaretta … – il veleno sta nella misura. Tanto più esagero, tanto più divento dipendente da una certa cosa, e se sono dipendente da qualcosa, qualsiasi cosa sia … ne sono schiavo. Se qualcuno ti dice: ‘Io sono così buono …’, non credergli. Uno deve essere sempre nella misura. Altrimenti non può essere felice. La felicità è nel non avere rospi in gola, perdonare, avere la misura. Anche Eraclito diceva che quello che diventa malattia è l’eccesso. L’eccesso di freddo, l’eccesso di caldo, non vanno bene. È la misura che fa la differenza. Perfino l’eccesso di amore fa male. Comunque, devo sempre ricordarmi che l’amore non è bisogno ma è scelta. Quindi devo essere felice e contento di me stesso. Poi posso anche avere qualcuno che aggiunge amore, che mi dà amore, che io ricambierò. Altrimenti diventa un bisogno, una schiavitù, una dipendenza.” 

J: Ammesso che la felicità sia il nostro stato naturale, perché al giorno d’oggi è così raro trovare una persona felice? 

E: “Ritorniamo al discorso della conoscenza. Secondo me è importante conoscere te stesso, sapere quello che davvero vuoi, quale sia il tuo obiettivo. Un sacco di persone non centrano il bersaglio. Vanno sempre in tondo, girano su se stesse, vogliono questo, vogliono quello, e mancano il bersaglio, perché mancano quello che davvero vogliono dalla vita.”

J: In questa ricerca, cosa suggeriresti a una persona che disperde le proprie energie e non sa cosa vuole?

E: “Di fermarsi e passare del tempo in solitudine, nella Natura.”

 

Il Minatore che tira fuori i brillanti dal fango.

J: So che tra le persone a te più care ce n’è una che ti ha affibbiato lo pseudonimo di ‘Minatore che riesce a tirar fuori i brillanti dal fango’. Possiamo fare il nome di questo amico?

E: “Certo! (Il famoso cantante italiano Albano ndr). Lui è un amico carissimo, una persona stupenda che si presenta come non è, nel senso che chi lo vede lo percepisce come arrogante, ‘padre padrone’, ma non lo è affatto: è una persona meravigliosa che ha il senso degli altri. Lui mi chiama ‘minatore’ e io lo chiamo ‘contadino’. Quando mi dice che tiro fuori dei brillanti dal fango, lui descrive il mio sogno. Quando vedo persone che rinascono dal fango, sono così felice: questo termine – minatore ndr – mi piace un sacco.”

J: Ti va di regalarci tre piccole storie di tre persone che hai aiutato a risplendere?

E: “Non potendo fare nomi, posso dire che uno è un ragazzo meraviglioso di una famiglia molto importante che per me è stato come un figlio nato nel mio cuore. Lui è una persona che non solo risplende, ma risplenderà e sarà anche il brillante della sua famiglia, che è una famiglia difficile e complicata.

Poi ho una storia fantastica, quella di un signore che aveva avuto un incidente molto grave in cui le è morta fra le braccia la sua bambina, che era accanto a lui in macchina. Questo signore è venuto da me odiando la psicologia, dopo dieci anni di psicologi, e quando è entrato dalla mia porta mi ha detto, in tono di sfida: ‘Avanti! Avanti! Mi dica anche lei perché non sono morto?’ E io non so come mi sia venuta la frase – credimi, è venuta dal cielo, non sono stata io – gli ho risposto: ‘Ma lei È morto’. E lui ha cominciato a piangere, ha pianto per un’ora e mi ha detto: ‘Grazie. Lei ha capito che io ero morto davvero.’ Oggi lui risplende perché sta aiutando tutti quelli che hanno avuto un trauma come il suo.

Un’altra pietra preziosa è un famoso compositore, un signore anziano, un’altra persona meravigliosa, con lunghi capelli bianchi, direttore d’orchestra … Gli era morta la moglie ed era depressissimo, voleva solo morire. Voleva proprio morire. Io gli ho detto che non doveva morire con un amore così grande … A un certo punto gli ho fatto una domanda, pensando tra me e me: ‘Tanto so cosa mi risponderà: questi uomini parlano sempre d’amore ma poi in realtà sono dei traditori … Chissà quanti amori ha avuto.’ Sai, a volte, con i nostri pregiudizi, riusciamo a essere cattivi. ’Mi dica la verità – gli ho chiesto – lei non ha avuto solo quell’amore nella sua vita.’ E lui mi ha detto: ‘No. Io ho avuto due amori nella mia vita. Mia moglie e la mia musica.’ L’ho abbracciato. Lui è un’altra delle pietre che risplendono.” 

 

La vulnerabilità, l’autenticità, la gentilezza e altri valori …

J: Un altro tuo amico fraterno è il Professor Paolo Crepet, che ho avuto modo di intervistare in occasione dell’uscita del suo libro ‘Vulnerabili’. Cosa vuol dire per te essere vulnerabili?

E: “Per me essere vulnerabili è vivere in accordo con la frase ‘Tutto è puro per i puri’. I puri sono vulnerabili. Perché sono puri, non hanno malizia. Paolo è un mio carissimo amico ed è la persona in assoluto che stimo di più fra i miei colleghi. Mi piace perché ha un background meraviglioso: ha lavorato con Basaglia, a stretto contatto con lui. È intelligente ed è un puro, uno che non si fa trafiggere come tanti da mille cose.

Poi, sai, io vedo dei tromboni e dei cialtroni in televisione che sono terribili. Una volta mi avevano invitato all’Isola dei Famosi e gli ho detto che non ci andavo. Ho detto: ‘Avete tanti cialtroni da invitare …’ La giornalista che mi intervistava ha detto: ‘Certo, perché quelli come lei non vengono.’ Non ho dormito per tutta la notte.”

J: Questa cosa come ti ha fatto sentire?

E: “A me è capitato solo una volta di non avere il coraggio di andare avanti in una indagine, perché il signore che era venuto da me, elegantissimo, abusava di bambini neonati, e io non ho avuto il coraggio di continuare. Poi però non ho dormito per tanto tempo e mi sono detta: ‘Devi sforzarti. Devi sforzarti.’ Ma non riesco ad andare oltre alla mia, di etica. Non ce la faccio proprio ad andare all’Isola dei Famosi o al Grande Fratello. Non ce la faccio. Perché poi i miei pazienti vedrebbero che sono quella roba lì.”

J: La vulnerabilità è per te un segno di debolezza o un superpotere?

E: “Un superpotere. Essere fragile è bellissimo.”

J: Chi si rende vulnerabile è più autentico, secondo te? E se sì, basta l’autenticità da sola a difenderci da possibili attacchi esterni?

E: “Se sei autorevole sì. Per me ‘autorevolezza’ vuol dire saper ascoltare e saper rispondere in maniera appropriata, non parlando addosso all’interlocutore. ‘Autorevolezza’ è cercare di comprendere quello che l’altro dice anche se va contro le tue idee e cercare di dare una risposta …

Senti, io racconto sempre ai miei pazienti questo aneddoto, che a me è servito. Uscivo dall’università, avevamo fatto una lezione, io ero con un altro assistente, entriamo al Bar Magenta (storico bar di Milano ndr). Bar pieno. Entriamo. A un certo punto l’assistente che era assieme a me chiede al cameriere un cappuccio senza schiuma. Il barista si capisce che non solo non ha ascoltato, ma che non sta facendo il cappuccio giusto. Per la seconda volta il cliente dice al cameriere: ‘Guardi che io le ho chiesto un cappuccio senza schiuma …’ Il cameriere si volta e fa: ‘E ho capitoooo’. Arriva il cappuccio … come, secondo te? Con la schiuma. L’assistente vicino a me dice al cameriere: ‘Scusi ma io per tre volte le ho chiesto un cappuccio senza schiuma.’ Risposta del cameriere: ‘Ma così è più buono.’ Ascolta bene la risposta dell’assistente, che per me è stata un semaforo nella vita: ‘Sono proprio contento di bere il cappuccio che piace a lei’. L’hanno applaudito nel bar. Perché ha risposto nella maniera adeguata, lasciando l’altro senza parole.

Capisci la differenza? … Tra uno che avesse urlato: ‘Cretino! Ti ho detto che volevo un cappuccio senza schiuma!’ E uno che dice: ‘Sono proprio contento di bere il cappuccio che piace a lei’. Pensalo nella vita di tutti i giorni, nella storia di tutti i giorni. Quando qualcuno ti dice: ‘Stai proprio bene vestita così!’ ‘Sono proprio contenta di aver messo la cosa che piace a te’. ‘Sono proprio contenta di approvare quello che dici tu’. Capisci che cambiamento? Queste io le chiamo le ‘pillole di saggezza’. Dai all’interlocutore la possibilità di capire che ha detto una stupidata. L’hanno applaudito nel bar. E io gli ho detto: ‘Questa è una cosa che farò mia nella vita!’.

Quando sono in coda e c’è quello che ti risponde male, dico: ‘Mi dispiace che oggi sia una brutta giornata per lei.’ Non parlano più. ‘Perché non sei gentile? Perché mi rispondi così?’ Io da quel giorno ti posso dire che ogni volta … vedo quello che, non so, in auto tira sotto la vecchietta e poi urla come un pazzo … Picchietto il vetro e dico: ‘Scusi, perché lei non è gentile?’ Non riescono a replicare.

Un giorno in un bar un signore entra con due telefonini. Subito quelli del bar gli dicono: ‘Ah, due telefonini … uno per la moglie e l’altro per l’amante!’ ‘Eh sì, l’ho preso apposta!’ Io osservo in silenzio. Poi dico: ‘Che brutto …’ Uscendo questo tipo viene da me e mi chiede: ‘Perché ha detto che brutto?’ ‘Che brutto! – gli rispondo – Come sarebbe stato bello se lei avesse detto: ‘In realtà uso un telefonino solo, perché è una la persona che amo. Non ho bisogno di due telefonini.’ E lui: ‘Ma non è vero che io ho l’amante’. ‘Peggio!’ gli dico ‘Perché lei ha detto una bugia in un discorso banale, da bar. Pensi che bello se lei avesse detto invece: Ma no, io non ho bisogno di due telefonini! Lei si è messo nel gruppo dei corvi e delle cornacchie – perché l’aquila vola alto – Non ha bisogno di dire quello che fa o non fa, o delle amanti che ha.’ È rimasto sconvolto (ride)”.

 

Il vero successo.

J: Cos’è per te il vero successo? Differisce di molto dal successo che ci viene ogni giorno propinato dalla pubblicità e dai social media?

E: “Assolutamente sì. Quello che i media o comunque la televisione ti mostrano, è un successo effimero perché tu … guarda i grandi cantanti, quelli che vincono ad Amici e in tutte le trasmissioni di quel genere. Ce n’è uno magari, uno, che ha l’umanità dentro … Ricordo un aspirante coreografo ballerino ad Amici, che faceva delle cose bellissime e infatti poi è diventato un vero coreografo e ballerino. Uno. Su centomila. Perché? Perché ‘dentro’ andava contro gli schemi che gli venivano imposti. Andava per la sua strada. Quella era la sua strada. Quelli che rincorrono il successo ma non hanno dentro quel fuoco, invece …

Vedi, il vero successo non è fatto di soldi, di gloria, di apparire. Siamo sempre lì. Il vero successo è un successo che ti rende felice. Se osservi i personaggi che si sono succeduti alla televisione … Chi erano i personaggi più amati? Quelli che apparivano? No! Era il Frizzi della situazione che era buono, gentile, educato. Perché quelli come lui rimangono. Gli altri spariscono nel nulla.” 

J: Se il successo è l’espressione di chi siamo davvero – l’espressione di quel fuoco interiore – qual è la ricetta per scoprire chi siamo, secondo te, e trovare il nostro posto nel mondo?

E: “Devi trasmettere quell’etica di cui parlavamo prima, un’etica profonda, fondata sui valori di chi ha vissuto nella sofferenza. Tu le vedi le persone che hanno lottato nella vita e quindi hanno raggiunto un risultato … Non so se ti ricordi quel fantastico pianista che aveva la sclerosi e poi è morto (Ezio Bosso ndr). Lui era fantastico, quello che diceva, quello che faceva …

Ultimamente ho letto un libro di Mencarelli, che ha scritto ‘Tutto chiede salvezza’ e ha fatto una cosa in televisione meravigliosa, dove lui parte proprio dal concetto che non c’entra il papà, la mamma o quello che hai sofferto. Se tu hai dentro un disagio esistenziale, che è una forma di malessere per cui devi assolutamente soddisfare tutto e tutti, altrimenti ti senti colpevole di non avere aiutato quello o quell’altro … è questa forma di disagio – che lui è stato bravissimo a tirar fuori – il vero senso. L’etica per cui tu, dando agli altri, dai a te stesso. Ti ripaghi.”

J: Non è una forma di egoismo anche questa?

E: “No, perché dare senza aspettative non è egoismo. Se dai con l’aspettativa del ritorno, allora sì. Se dai con un senso di vittimismo, lamentandoti … pure. Basta. Tu puoi anche aver avuto una vita da disastro. Poi però ti dici: ‘Adesso devo farcela. Da solo. E andare avanti.’ Mencarelli è così: nei suoi libri, che sono autobiografie, dice proprio questo. Cosa fa lui per uscire dalla droga, dall’alcol? Va nell’ospedale Bambin Gesù a pulire la cacca di tutti quelli che ci sono lì. E da lì risale. Non c’è nessuno che ti può aiutare se tu per primo non fai un lavoro di questo tipo. E lui parla proprio di questo suo malessere, nel suo ultimo libro che è meraviglioso: fa tutto un percorso in cui va in varie case e vorrebbe aiutare tutti, perché il suo bisogno è quello …” 

 

L’amore con la “A”.

J: Che cos’è per te l’amore?

E: “L’amore deve essere puro e deve essere una scelta, non deve essere un bisogno. Vedi un sacco di persone che stanno insieme per bisogno. Bisogno del papà, della mamma, dei soldi, dell’appartenenza, bisogno di una donna che ti fa da mangiare. No. L’amore deve essere una cosa del tipo: ‘Ho voglia di vedere il tramonto con quella persona lì che, in silenzio, lo vede con me. Questo è l’amore. Il senso dell’amore. Poi, non confondiamo la passione del primo momento con l’amore.

C’è stata un’intervista che aveva fatto Costanzo. Io non lo amavo tanto, ma ne rispettavo l’intelligenza così come della De Filippi rispetto i valori profondi e non magari le trasmissioni che fa. Però mi piace come persona quando ha dei valori e si sentono. E lui ha detto una frase: ‘Il vero amore è l’affetto che viene nei lunghi anni in cui stai con una persona e la rispetti.’ Secondo me è questo l’amore. Non è quello che vediamo, tutto patinato. No, è l’amore di due persone che stanno insieme, si vogliono bene e si rispettano. Reciprocamente.”

 

Sul cambiare il mondo o fondarne uno nuovo.

J: Ha senso adoperarsi per cambiare il mondo in cui viviamo o ha senso piuttosto costruirne uno nuovo?  

E: “Nel mio lavoro penso sempre: ‘Se anche una sola delle persone che ho visto ha aperto il suo cuore, ha imparato a dare di più agli altri, ha imparato ad ascoltare, nel mio piccolo ho già cambiato il mondo. Penso che stia a noi mettere un piccolo seme. E sono sicura che quel seme lì, se l’ho messo bene, col mio cuore pulito, puro, un giorno darà il suo fiore.

Sai, io piango quando vedo l’orso che devono abbattere … E penso: ‘Caspita, ha ucciso una persona, ma che colpa ne ha? Non lo pensava in quel momento, non aveva la cognizione di ucciderlo. Oppure quando vedo la mafia, e penso: ‘Ma non ci sarà mai, mai una ragione per cui questa … scomparirà? In America buttano bombe, sparano ai bambini … e la mafia è ancora lì. E io mi dico: ‘Come facciamo a cambiare il mondo?’

Allora mi torna in mente una frase che diceva Borsellino, che mi piaceva tanto … che quando gli chiedevano: ‘Ma tu hai paura?’ Lui rispondeva: ‘Ho un sacco di paura. Ma vorrei che anche gli altri avessero più coraggio.’ Penso che sia questa la chiave. La vera chiave per vincere la paura è il coraggio.”

J: … e la speranza!

E: “… di andare avanti e di dire: Io, con coraggio e speranza, ho piantato un piccolissimo seme!”

J: Quali sono i tre valori che illuminano il tuo cammino?

E: “L’ascolto lo metto tra i primi perché è il valore dato dal rispetto dell’altro. Quindi è importantissimo. Io ti rispetto e quindi ti ascolto, perché così ti conosco. Poi sai ce ne sarebbero tanti da dire. L’onestà …

Ma uno dei valori che a me piacciono di più è la purezza. Purezza vuol dire che cerco di non giudicare mai. Faccio di tutto per non giudicare mai, perché chi giudica, giudica sempre. Chi non giudica invece, non giudica mai. Però ci vene facile, a volte, dire: ‘Quello lì, quello là …’ Per me quindi il valore della purezza è restare fermo nella mia etica e nella mia onestà, in quello che sono io: la purezza del mio sentimento. Non fermarmi alle apparenze. Guardare dentro.

A questo valore fa capo la sincerità. Nell’onestà c’è dentro anche la sincerità … Personalmente odio i bugiardi. Perché dico che la conoscenza è importante? Perché dico che in fondo Gesù ci ha lasciato quel libro bellissimo, che contiene dei consigli? Perché quando cominci a costruire una bugia, lo vedi anche nelle telenovelas, una, due, tre, cinque, dieci … tutte queste bugie fanno sì che la tua vita non vada avanti. Mai. Perché le bugie sono sempre una dietro l’altra. E quindi la tua vita non procede … Mai.”

 

Arrivederci a presto, Elena.

Ben, il barboncino nero toy della mia amica, abbaia festoso. Sembra voler dire: “È arrivata l’ora della mia passeggiata”. Prometto a Elena di pubblicare l’intervista nel mio blog su Betapress.it., nella speranza di raggiungere il maggior numero possibile di inconsapevoli brillanti, pronti a uscire dal “fango” di una vita – solo in apparenza – priva di senso. 

 

Foto: Giuseppe Pino.




NATURA AMICA

 

La Collega Dr.ssa Fiorella Ialongo, mi ha messo a parte di una bella iniziativa fiorita – è il caso di dire – a Campoverde di Aprilia (nella fertile e alacre terra Pontina): una iniziativa che premia il lavoro e l’intraprendenza di Imprese e singoli usi alla massima laboriosità e – sotto il profilo squisitamente merceologico –  posti ai vertici di quella piramide che, oltre che coinvolgere il mondo del lavoro e della produzione, coinvolge il complesso delle stesse filiere dell’agro-alimentare e della zootecnia.                  Il mio interesse a questo bell’evento – rammentando che senza la cura della Natura e dei suoi frutti, l’essere umano non potrebbe certo alimentarsi di surrogati impropri, peraltro trattati ampiamente in modo chimico, per essere definiti seriamente ‘prodotti alimentari’ – trova origine nel particolare momento che vive l’Italia.                        

Assistere un giorno sì e l’altro pure al fiorire (fiori del male?) di idee o iniziative tese a influire pesantissimamente sulla zootecnica o sulla produttività agricola italiane, è come assistere ai tiri di prova di un plotone d’esecuzione, prima che – aggiustato il tiro – procedano a giustiziare una parte enorme del made in Italy, della produzione, della qualità di comparti da sempre fiore all’occhiello tanto dei produttori che dell’Italia stessa.

Non parliamo poi del devastante impatto che si avrebbe sul mondo del lavoro, se queste filiere subissero attacchi rovinosi per mano di Bruxelles.    

C’è poco da girarci attorno: l’Italia è da anni al centro di attacchi concentrici che l’hanno via via spogliata di aziende prestigiose, o hanno visto entrare in vigore normative tali da riverberarsi negativamente sulla nostra produttività come pure sui nostri prodotti.  Prodotti di eccellenza, che, tra ‘semafori’ e mille pseudo-motivazioni, hanno il fine di mortificare produzione, vendita e lavoro.                                                         

Quando entro in un supermercato, mi sorgono mille domande: carni (di cui non è dato conoscere con precisione la filiera, che non si sa quanto pregiate o come e quanto trattate possano essere) in vendita e provenienti da Francia, Olanda, Austria, Belgio: così che trovare delle carni italiane (sappiamo quanto rigorosi siano gli standard produttivi e di controllo di questo prodotto) è diventato raro.

Lo stesso dicasi per tanti altri prodotti, riguardo ai quali resto persino diffidente. Non parliamo poi di ‘insetti’, ‘vermi’, blatte’ o quant’altro: il cui cibarsi lascio certamente ad altri pellegrini del cibo, ma che – vi assicuro – non trova riscontri nelle altre nazioni, così come vogliono farci credere (ci sarà chi possa utilizzare qualcuno di questi materiali, ma sono soggetti in zone estremamente povere, o personalmente in tale condizione). 

Motivo che, unito alle altre recentissime notizie, mi porta a ritenere che sì, c’è gente (odiatori dell’Italia e degli Italiani? Del genere umano?) che, con grande costanza, si adopera per depauperare tutto ciò che sia espressione della creatività, dell’imprenditorialità, delle peculiarità produttive, dell’Italia.     

Sono anni che, tutto ciò che è italiano, e che rappresenta l’italianità (ossia, vanto per l’Italia) è sotto assedio, suscitando bramosie di conquista: in ordine di tempo, le ultime nostre peculiarità a essere seriamente minacciate sono salute, libertà (vedasi ‘sistema (cinese) dei crediti’, e spersonalizzazione: ciascuno di noi non sarà più ‘persona’ ma solo un numero, un codice, un input) e risparmio (si pensi: se tutta questa mole andasse a far parte di un sistema di cryptovaluta, le posizioni di ciascuno – ancorché ancorate al nome – sarebbero ancorate al soggetto e a tutto ciò che risulta alla base della sua schedatura; così che lo stesso denaro che, se depositato in una banca non è più suo (sotto il profilo della ‘proprietà’), se confluente in una massa indistinta non sarà suo doppiamente, e basterà un click perché il gestore del tutto gli possa impedire di avere accesso a ciò che (un tempo che fu) era ‘suo’.                                                         

Un plauso quindi agli organizzatori e ai partecipanti di questa interessante kermesse di Campoverde, esaltazione della nostra capacità produttiva, della nostra cura per la Natura, della nostra passione per il cibo sano e gustoso, della nostra stessa ‘inventiva’: tutte condizioni premianti, a fronte delle quali saremo al loro fianco nel sostenerne le scelte, l’amore che ripongono nel loro lavoro, e la volontà di proseguire nell’opera.                                                                                     Complimenti a tutti!                                                                                                                     Giuseppe Bellantonio

Di seguito, l’articolo sopra citato, a firma della Dott.ssa Fiorella Ialongo, da cui abbiamo tratto gradito spunto per l’intervento.                      

Solo l’agricoltura, che senza dubbio è molto vicina e quasi consanguinea alla sapienza, è priva tanto di scolari che di maestri” (‘De Re Rustica’, Lucio Giunio Moderato Columella)

Prendendo spunto dalla precedente citazione, in occasione del ponte del 1° maggio, potrebbe essere interessante trascorrere una giornata di intrattenimento ed informazione, di aggregazione sociale e di incontro con i professionisti dell’agricoltura. Senza dimenticare la possibilità di gustare specialità enogastronomiche a km. ‘zero’ e provare esperienze dal gusto antico ma sempre attuali.                                                                                    Il riferimento è alla XXXVI° Mostra Agricola di Campoverde che terminerà il primo Maggio, e si tiene presso l’Area Fiere di Campoverde ad Aprilia (LT).                      

I dati che ci sono giunti dai primi giorni dell’evento sono molto confortanti: sono andati sold-out i ca. 350 stand dedicati ad agricoltura, floricultura, innovazione, enogastronomia, bestiame, macchine ed attrezzature agrozooalimentari.                              

Di sicuro interesse anche gli spettacoli in programma quali, ad esempio, le prove di abilità di attacchi carrozze curate dalla Fitetrec Ante, il Western Show, i convegni, gli eventi curati da giornalisti specializzati nel settore come Tiziana Briguglio e Roberto Ambrogi dell’ARGA Lazio.                        

Detto diversamente, la Mostra Agricola di Campoverde ha visto crescere nel tempo la propria importanza. Si tratta di un risultato che premia sia l’impegno degli organizzatori, sia le finalità della manifestazione. Essa, infatti, ha tra i suoi fini quello di mettere in contatto, attraverso gli stand, i consumatori con i produttori. I secondi possono far conoscere ai primi la qualità del proprio marchio a un prezzo competitivo: contatto rafforzato dal piacere di una stretta di mano e di un sorriso, recuperando anche l’aspetto relazionale, troppo spesso punito dagli acquisti on-line.            

Fiorella Ialongo

(Maggiori dettagli sul sito: https://www.mostraagricola.it/ )

 




“Spegni la TV, riaccendi la speranza”

Triennio 2020-2022: responsabilità di istituzioni e media nel sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A quanto pare, le restrizioni adottate e una cattiva gestione dell’informazione hanno influito in modo significativo sul benessere mentale delle persone più fragili, specialmente se intolleranti all’incertezza, o con disagio mentale preesistente.

In Italia, si assiste tuttora a un sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A confermarlo sono i risultati di ricerche scientifiche e studi condotti dall’ISS e dall’OMS, di cui condivido i link per chi volesse approfondire l’argomento.

Il fattore determinante è la paura

Raggiungo a Milano la dott.ssa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista dal 1982 e Consigliere Nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, per fare il punto della situazione.

Le chiedo quale sia, a suo avviso, il fattore determinante. “Nel 90% dei casi è la paura. Prima eravamo abituati all’idea di poter fare qualsiasi cosa, come se la morte non esistesse o fosse una lontanissima probabilità, che comunque non accade mai a noi. Improvvisamente siamo stati colti dalla paura di morire. Ed è questa paura ad aver schierato le persone in fazioni, alimentando divisioni e discriminazione.”

 

Le categorie più fragili

In base all’esperienza dell’intervistata, ad essere più colpiti sono gli adolescenti, molti dei quali manifestano forme di fobia patologica a tutto.

“La paura della morte è primordiale e ne siamo tutti più o meno toccati. Da ragazzi ci crediamo immortali. Col passar del tempo, si fa sempre più vicina. Il grande dramma al quale assisto nel mio lavoro è che il 90% dei miei giovani pazienti, alla domanda ‘Come va?’, risponde ‘Boh’. In generale sembra non abbiano più parole per ‘documentare’ ciò che provano, chi sono. L’unica parola che riescono a dire è ‘Boh’. I giovani d’oggi crescono senza conoscere se stessi” prosegue “E questo vale per tutti noi: non ci conosciamo più. ‘Grazie’ al computer e più in generale alla tecnologia, è come se viaggiassimo con un bigino in tasca della vita. Non abbiamo più una vita ‘vera’ dove incontrare le persone, conoscerle, capirle, confrontarci con loro sui fatti della vita. Molti di noi  – continua – tendono a chiudersi in ‘bolle’ in cui tutto va bene, tutto è perfetto …  Ma non è vero: sembrano ‘cadaveri’ che camminano. Non c’è la voglia di conoscersi, di ascoltarsi: ci si interrompe continuamente. Gli ascoltatori sono circa il 10%. Troppo pochi.” 

Riguardo alla donna, la Dott.ssa Pagliacci Cipriani non concorda con i risultati degli studi che ne evidenzierebbero una maggiore vulnerabilità. Pur essendo più sensibile al cambiamento, infatti, la donna ha sempre dimostrato una maggiore forza e resistenza rispetto all’uomo. Quest’ultimo, per sua natura, tenderebbe all’ipocondria, sottoponendosi a mille esami e analisi per accertare l’eventuale presenza di una malattia. Comunque l’uomo, più abitudinario rispetto alla donna, farebbe più fatica ad accettare e gestire il cambiamento.  

Per quanto attiene alla categoria sociale più colpita, la dott.ssa Pagliacci individua nella classe più abbiente una maggiore vulnerabilità alla sofferenza provocata dall’idea della morte, non più vista come lontanissima probabilità ma come qualcosa che può accadere da un momento all’altro. Di qui la corsa al vaccino vissuto come qualcosa di taumaturgico, in grado di salvarti la vita. Senza tener conto del fatto che, essendo in fase sperimentale, le conseguenze del suo utilizzo non erano e non sono tuttora pienamente prevedibili. 

Le fasce sociali media e bassa invece, più abituate alla “sofferenza”, hanno a suo avviso reagito molto meglio rispetto alla classe “alta”.

 

Il ruolo delle Istituzioni

Alla mia domanda sul modo in cui le restrizioni imposte abbiano influito sull’aumento degli individui colpiti da ansia, depressione e stress, la Psicanalista risponde che a tutt’oggi, nonostante non sia più obbligatorio, in ambiente ospedaliero rimane l’imprinting di indossare le mascherine. Questo, ovviamente, mantiene vivo il ricordo dei peggiori momenti del triennio trascorso, alimentando ulteriormente l’ansia.

E qui la dottoressa, che premette di odiare le etichette “pro vax” / “no vax” e i protocolli*, racconta un episodio della sua vita personale. Il fratello aveva avuto un tumore al polmone. Era stato operato e l’intervento era andato benissimo. Stava bene. Tuttavia il protocollo esigeva per lui la somministrazione di più dosi di vaccino. “È morto in ospedale in seguito a questi protocolli” conclude la Dottoressa Pagliacci Cipriani, convinta che se fosse rimasto a casa, curato da un medico “come quelli di una volta” che ti guardavano e capivano subito quello che avevi, e avesse preso le sue medicine, molto probabilmente oggi sarebbe ancora in vita.  

 

Il ruolo dei giornalisti e dei Media

Su quale sia la responsabilità dei giornalisti e dei media riguardo alla diffusione della paura, l’intervistata non ha dubbi: “È immensa: l’informazione trasmessa da radio e televisione nell’arco del triennio è tutta all’insegna della paura. Rare sono le persone che si azzardano a dire: ‘Tranquilli …’ e quei pochi vengono additati come quelli della contro informazione. 

“Quando muore qualcuno – prosegue –  tu stai bene al momento. È dopo che viene fuori il lutto. La stessa cosa è successa con il Covid. All’inizio si sono avuti dei drammi reali. È in un secondo tempo che sono emersi tutto l’immaginario e una scenografia deleteria: l’informazione aveva minato alla base tutto ciò in cui credevi. Accendevi la tv e sentivi, una dopo l’altra, centomila cose deleterie. In meno di un anno si è arrivati a non avere più fiducia in niente, soprattutto nei riguardi dei media e delle istituzioni. Dal patriottismo sanitario del ‘volemose bene’ – bandiera alla finestra, ‘Evviva l’Italia’, ‘Siamo tutti uniti’, ‘Che bello, siamo insieme’ – si è passati, nel giro di pochi mesi, a ‘Basta (cattive notizie ndr), non ce la faccio più’. Alla stanchezza e a un generale senso di impotenza si sono aggiunte, nel tempo, le fazioni. Senza ahimè comprendere che nelle guerre non ci sono mai né vinti, né vincitori. Gli schieramenti hanno generato incomprensioni, che hanno messo fine a rapporti di amicizia e di amore. Da un giorno all’altro, persone che credono di conoscersi da una vita si ritrovano improvvisamente ‘nemiche’. Anche quando dici di conoscere qualcuno, infatti, in realtà non lo conosci affatto. È solo nei momenti più drammatici che puoi conoscere davvero una persona: nelle malattie, nella lotta per la vita, nelle difficoltà economiche. Allora ti rendi conto che l’altro è simile a te non perché ne condividi per forza le idee, ma perché le manifesta con la stessa libertà con cui tu esprimi le tue.”

 

L’elaborazione del lutto

Affrontiamo ora il tema del dolore emotivo e della sua metabolizzazione.

“Nel primo periodo si sono avute molte morti in terapia intensiva, causate dal sovradosaggio di ossigeno che ha distrutto i polmoni dei pazienti”, dice l’intervistata, che entra nel merito del tipo di dolore affrontato. “Il dolore causato dal dramma vissuto dai parenti è quello di chi perde un proprio caro non in seguito a una lunga malattia, ma da un momento all’altro, a causa di un incidente. Nel primo caso c’è tutto il tempo per abituarsi all’idea della morte. Nel secondo si vive un ‘dramma’, e si cerca un colpevole da accusare. L’informazione, diffondendo un minestrone di idee contrastanti, non ha certo aiutato le persone a reggere il dolore per l’improvvisa, inaspettata perdita dei propri cari. A tutto questo si aggiunge la scarsità o l’assenza addirittura di iniziative, da parte delle istituzioni, tese a offrire un sostegno di carattere psicologico al maggior numero possibile di persone.”

 

La nuova normalità

Oggi si parla tanto di “nuova normalità”. Ma che cos’è e quanto ci costa, a livello mentale, accettare e adattarci a questa nuova normalità?

“Non è una nuova normalità – risponde la Dott.ssa Pagliacci Cipriani – è convivere con il pensiero che, dietro alla porta, possa sempre capitare qualcosa. Guarda caso, subito dopo il Covid c’è stata la guerra: è un continuum. E questo pensiero è comune in tutte le fasce d’età. Anche i giovani, interrogati sui loro progetti e sul loro futuro, non sanno più cosa rispondere. È forse questa la ‘nuova normalità’ di cui tanto si parla? Certamente no. È una ‘sopravvivenza’ aspettando qualcosa che magari non arriverà mai più e che se arriva, è un qualcosa che stavi comunque aspettando. È bruttissimo.”

 

Il miglior antidoto alla paura

Per concludere chiedo alla Psicanalista quale sia, a suo parere, il miglior antidoto alla paura. “La speranza. Se nutri speranza, per esempio riguardo a un progetto, puoi ancora pensare che ogni cosa si risolverà. Ma se la speranza viene a mancare, soggiogata dai ‘Boh’, c’è poco da fare. Dovrebbe però, a mio parere, rinascere in una forma nuova, all’insegna del ‘basta con l’apparenza’. Non ne possiamo più dell’apparenza!”

 

Il modus operandi

“La scuola americana cognitivo comportamentista dice: ‘Cosa hai fatto? Ti spiego’. Io sono assolutamente certa che se tu non hai capito cosa precede il cosa è successo e poi vediamo cosa fare, non potrai mai guarire davvero. Perché sarà un cerotto. Quello che vedo, tra molti dei miei colleghi, è una superficialità ormai così forte per cui ciò che interessa è innanzitutto il guadagnare … Sono pochissimi i colleghi che si rendono conto che il paziente non ha neanche gli occhi per piangere. Oggi c’è: quanto ti deve dare, cosa deve fare … Anche qui parliamo di protocollo. Non parliamo di umanità, è come se l’umanità fosse scomparsa. Perché? Perché non si guarda oltre all’apparenza: quello che è ricco, quello che conta … ma chi se ne frega? Io devo guardare quello che c’è dentro. Devo aiutare questi ragazzi che urlano in silenzio.”

 

Le fonti

Dai risultati di uno studio condotto dall’ISS e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Padova, pubblicata dalla rivista accademica Bmj Open, si apprende che in Italia, durante il lockdown, l’88,6% delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50% di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio.  

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6898844

https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2022-04-26/covid-iss-il-lockdown-e-aumentata-depressione-soprattutto-giovani-160507.php?uuid=AE6GUTUB

L’OMS, nel testo della sua Costituzione firmata a New York il 22 luglio 1946, dà della salute questa definizione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità». Eppure, nel Survey pubblicato il 5 ottobre 2020, il Direttore Generale Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, ammette che il “COVID-19 ha interrotto i servizi essenziali di salute mentale in tutto il mondo proprio quando erano più necessari. I leader mondiali – continua – devono muoversi in modo rapido e deciso per investire di più in programmi di salute mentale salvavita, durante la pandemia e oltre”. 

https://www.who.int/news/item/05-10-2020-covid-19-disrupting-mental-health-services-in-most-countries-who-survey#:~:text=Bereavement%2C%20isolation%2C%20loss,outcomes%20and%20even%20death

Sul sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite si legge un riassunto del documento emesso dall’OMS il 10 marzo 2022: “Covid-19 aumenta del 25% i casi di ansia e depressione”. L’articolo mette in evidenza chi è stato maggiormente colpito e riassume l’effetto che la pandemia ha avuto sulla disponibilità dei servizi di salute mentale e su come questi siano cambiati durante il triennio.

https://unric.org/it/oms-covid-19-aumenta-del-25-i-casi-di-ansia-e-depressione/

 

 




Graffi … di ordinaria succubanza.

Dopo la preordinata e strumentale mobilitazione della gente di Cutro all’arrivo dei membri del Consiglio dei Ministri, con tanto di cartellonistica ad hoc (stessa copisteria, stesso cliché…), con tanto di grida ‘assassini’, neanche riservate ai peggiori autori dello scempio sanitario-sociale ed economico chiamato ‘pandemia’, provenienti da gente schierata in modo apparentemente strano, come fossero delle comparse piazzate ad arte, ho sentito dispiacere per la gente di Calabria: sempre ospitale, pronta e generosa.

Che mi appariva come impegnata in una parte non sua.

Sulla spiaggia di Cutro continua tuttora l’happening rosso che ne ha fatto un motivo di agitazione e propaganda.

Intanto, interpretando le vicende italiane come una sorta di ‘via libera, tanto ci difendono’, si sono intensificati gli sbarchi.

Anche se il mainstream continua a sostenere la tesi dei ‘poveri’, dei ‘poverini in cerca di fortuna’ e quant’altro di lacrimevole, la realtà è che questi soggetti che emigrano in clandestinità pagano cifre che vanno dai 6.000 ai 12.000 euro (così si legge dalla stampa varia): cifra ragguardevole per chi proviene da economie modeste o modestissime.

Quasi sempre arrivano privi di documenti, con una notevole presenza di minorenni non accompagnati a bordo (che fine fanno? chi è che li ‘raccoglie’?), sono restii a farsi inquadrare dalle telecamere.

Considerando che i ‘motivi umanitari’ sono sempre più flebili, è sempre più evidente che ci si trovi davanti a una vera e propria pianificazione, sostenuta dalla malavita internazionale e che include necessariamente collegamenti di questa con quella dei luoghi di approdo.

I meccanismi di ospitalità e mantenimento danno luogo a processi di sfruttamento ulteriore del fenomeno: uno sfruttamento estremamente avido e lucroso.

Il Governo Italiano deve far sapere che, esclusivamente tramite i propri uffici consolari, è disponibile a valutare e accogliere richieste di asilo anche temporaneo per cure mediche (accertate e documentate, avallate da enti governativi dei paesi di provenienza) per sé o familiari conviventi, richieste di lavoro anche non particolarmente qualificate (ad esempio, braccianti, colf, assistenza agli anziani senza requisiti infermieristici o medici), e quant’altro.

Solo per gli elementi ammessi a godere di un permesso di soggiorno inizialmente temporaneo, sarà ammesso il ricongiungimento familiare con il coniuge e/o i figli, sempre che nel periodo la persona non abbia violato la legge e gli obblighi connessi al suo status. Stesse procedure per motivi di studio.

Essenziale la conoscenza della lingua italiana e il possesso di documenti originali rilasciati dal paese di provenienza.

Ammessi i visti turistici per massimo 30 giorni, previa costituzione di un deposito cauzionale di 3.000 euro, tale da consentire la copertura delle spese di rimpatrio: importo che sarà confiscato in caso di irreperibilità del soggetto.

Gente che arriva senza documenti o passaporti, bambini e adolescenti che giungano non accompagnati, in sintesi tutti quei soggetti che alimentano la tratta di esseri umani, devono rimanere nel proprio paese.

Una norma di questo tipo, non farebbe gridare allo scandalo, né potrebbe dar luogo a critiche di razzismo o discriminazione.

Io accolgo secondo le mie regole e la mia legge, così come fanno tutte le nazioni: per il resto, ti posso salvare (se continui ad arrivare clandestinamente) ma ti rinvio subito al tuo paese.

In 24 ore.

Questo si chiama ‘ordine’ e rispetto delle leggi: potrebbe diventare un appunto utile per chi amministra? O dobbiamo continuare a sentirci complici di questi mercanti senza scrupoli?




Canzoni vicine canzoni distanti

Due artisti di altri tempi: Cristina Ferrari e Simone Gambini

Abito Floreale e cappello di paglia legato al foulard lei; giacca, cravatta e stile un po’ steampunk lui.

 

Cristina Ferrari e Simone Gambini hanno preso parte all’ultimo video del regista avanguardista Claudio Bernieri, che con i suoi effetti speciali, e la sua passione per il retrò e il Vintage, li ha letteralmente catapultati nel passato, al tempo in cui, per le dichiarazioni d’amore, non si mandavano vacui sms, noiose emoticon, o messaggi privi di pathos, ma si regalavano fiori, si intrecciavano sguardi, si sfioravano sorrisi.

Il testo e la musica di Raffaele Pistone ci accompagnano con la magica voce di Cristina in una “CANZONE D’ALTRI TEMPI” dedicata a tutte le Mamme, anche a quelle “distanti”:

(https://youtu.be/5aYV6MRkAfQ)

Pur provenendo da esperienze artistiche diverse, Cristina e Simone, hanno un recente passato in comune: entrambi hanno partecipato a rielaborazioni musicali della Commedia Dantesca: Cristina fa risuonare nel nostro cuore la bellezza dei versi con la sua voce dolce e potente.

Dante, dopo aver attraversato l’Inferno e il Purgatorio alla ricerca della salvezza, ché la diritta via era smarrita, guidato prima da Virgilio e poi da Beatrice, ha raggiunto l’ Empireo.

È ormai arrivato alla fine del suo viaggio, in Paradiso, e si prepara ad affrontare l’ esperienza ineffabile per eccellenza, l’ excessus mentis in deum, la contemplazione di Dio nel mistero della Trinità.

Per uscire dai confini della sua mente umana e tuffarsi nella visione ultima ha bisogno di una grazia sovrabbondante, che può derivargli solo da Maria, colei che per prima, vedendolo smarrito nella selva oscura, è venuta in suo soccorso. Il cerchio si chiude. E allora San Bernardo, che accompagna il poeta all’ ultimo passo, innalza la sua preghiera alla Vergine, perché interceda per Dante presso Dio, sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, /

termine fisso d’ etterno consiglio …  inizia così il canto XXXIII del

Paradiso, l’ultimo della Divina Commedia, il più bello e complesso per l’

altezza dei contenuti e dello stile.

Claudio Fanton con le sue note eseguite al duduk, l’oboe armeno, è riuscito a sottolineare e ad accompagnare la musicalità degli endecasillabi danteschi, creando un’ atmosfera sacra, sospesa, resa ancor più coinvolgente dalla straordinaria interpretazione di Cristina.

Antico e moderno si fondono per celebrare il Sommo Poeta.

Il suono melodioso e malinconico del duduk, un omaggio al martoriato popolo dell’ Armenia, accompagnando la preghiera, ci aiuta a vivere la bellezza eterna della Poesia, sublime musica per l’ anima.

(https://youtu.be/4arG33ZHnWo)

Simone interpretando Casella nel secondo canto del Purgatorio, (https://www.youtube.com/watch?v=myjYpQ9wV5M) in una versione musicale, capace di trasportare gli uditori nei tre mondi Danteschi, facendo rivivere tanto i terrori infernali, quanto le soavi beatitudini dell’Empireo, grazie alle musiche e ai disegni del suono del DJ e produttore discografico Dance, House, Soulful House-Deep, Joseph B (Joseph Brittanni), e del pianista Alex JB Martin, alla voce narrante di Kronos (all’anagrafe Gianluca Cellai, prof. di Lettere) e a personaggi del mondo Televisivo e teatrale, che coll’anima, la mente e il cuore, hanno realizzato questo colossale lavoro.




LA SCUOLA DI MASSA … OCCORRONO CORRETTIVI

 

La “scuola di massa” è stato l’epilogo finale del ‘68, da cui abbiamo ereditato una scuola aperta a tutti, grande conquista per l’istruzione democratica, ma oggi forse sono necessari correttivi.

Le responsabilità sono da ricercarsi ancor prima del ‘68 con l’istituzione della scuola media unica (1962), l’eliminazione del latino e il costante depauperamento dei contenuti di studio e l’approccio del donmilanismo, ideologia che avrebbe avuto un senso negli anni ’50, ma che alla fine dei ’60, quando si diffuse, era divenuta largamente anacronistica.

Probabilmente la scuola media unica, col tentativo di realizzare un’uguaglianza formale e non certo sostanziale ha segnato l’inizio del declino del nostro
sistema scolastico, aprendo poi la via a quella che sarà dagli anni ‘90 la diffusa licealizzazione con danni irreparabili soprattutto all’istruzione tecnica e professionale.

Prima del 1962 al termine della scuola elementare si poteva accedere alla “vecchia” scuola media (quella con il latino), ma solo dopo aver superato un esame di ammissione.

Per chi non andava alle medie c’erano tre scuole di avviamento (industriale, professionale e commerciale) e anche la scuola d’arte.

Con l’avviamento industriale si poteva accedere agli istituti tecnici industriali e con quello commerciale si poteva passare agli istituti di ragioneria mentre con l’avviamento professionale si andava negli istituti professionali.
Con la scuola d’arte, infine, ci si poteva iscrivere al liceo artistico.

È vero in pratica che a 11 anni, si decideva (all’80%) il futuro scolastico dei ragazzi che, quindi, veniva determinato più dalla appartenenza al ceto sociale che alle capacità, ma i percorsi proseguivano in continuità e la scuola riusciva a programmare un’offerta di qualità e di settore, sfornando professionalità compiute come periti agrari, commerciali, geometri, periti industriali e periti meccanici, pronti per il lavoro.

Oggi la dispersione scolastica aumenta, soprattutto quella implicita, fenomeno piuttosto diffuso che spesso sfugge alle statistiche. Ci si riferisce a quella quota non trascurabile di studenti che conseguono il diploma e non raggiungono nemmeno lontanamente i livelli di competenza che ci si dovrebbe aspettare dopo tredici anni di scuola.

E si continua a parlare con eccessiva enfasi di competenze, senza che i nostri ragazzi apprendano conoscenze certe.

Si programma per competenze anche nel primo ciclo e si dimentica il leggere, scrivere e far di conto, conoscenze e abilità essenziali sulle quali costruire nel secondo ciclo competenze certe e durevoli.

Adesso ognuno decida se davvero la scuola di allora fosse peggiore o migliore di quella attuale, ma non c’è dubbio che occorrono correttivi urgenti se vogliamo puntare su una società basata sulla conoscenza.

 

Pio Mirra
DS – IISS Pavoncelli Cerignola (FG)




Graffietti …

Monaco nefasta.

Conferenza (per la guerra?).

Ascoltando/leggendo dichiarazioni surreali, viene da chiedersi: ma stanno bene?

Sono lucidi o ipnotizzati?

C’è chi pensa di arricchirsi producendo armi o altri giocattolini bellici?

Perché non hanno il coraggio di chiedere ai Popoli cosa vogliono fare, con un referendum in tutta l’Europa?

E’ l’elasticità italiana, nostro vanto ma anche limite.

Ho vissuto in Inghilterra ed in Svizzera (tedesca) e conosco la mancanza di creatività e l’incapacità di fronteggiare situazioni impreviste.

Però poi tutto funziona, anche se al più piccolo inciampo, tilt.

La creatività è scoraggiata, la scuola repressiva, il tanto declamato college Eton è un liceo classico del tutto omologo (e forse non a livello) ai nostri licei romani.

Però dobbiamo decidere, continuare a vantarsi della nostra (indubbia) intelligenza o quanto meno prontezza di spirito, oppure decidere di far funzionare le cose, avere comportamenti più sociali e conservarla, la nostra capacità di sopravvivenza, ma accettare che esistono le regole ed alcune si possono anche rispettare




Il Ministro nordio accoglie il beato giudice Livatino

Il giudice ragazzino: Rosario Livatino

Rosario Livatino
Rosario Livatino

Reliquia di Rosario Livatino
Reliquia di Rosario Livatino

Al ministero della Giustizia il 20 gennaio 2023 è giunta la reliquia di Rosario Livatino, magistrato siciliano dichiarato beato dalla Santa Madre Chiesa.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha accolto la reliquia nella sala ministeriale dedicata al Giudice.  Nordio ha ricordato Rosario Angelo Livatino con queste parole: “ Le spoglie, l’esperienza e la tragica fine ci dimostrano che anche in questo mondo c’è spazio per coniugare la fede nell’uomo con la fede nella giustizia  divina”.

Parole importanti soprattutto se si tiene conto del fatto che Livatino è il primo magistrato riconosciuto e dichiarato beato dalla Chiesa Cattolica. Papa Giovanni Paolo II lo definì “martire della giustizia e indirettamente della fede”.  La Sua reliquia è stata esposta nel ministero della Giustizia per volontà della Venerabile Arciconfraternita Maria Odigitria dei Siciliani in Roma, che ne ha curato l’esposizione.

La “Peregrinatio Beati Rosarii Livatino – Fidei et Justitiae Martyris”, ossia la sua  reliquia, è costituita da una teca contenente la camicia che Livatino indossava il giorno in cui fu ucciso dalla mafia mentre si recava a lavoro il 21 settembre 1990.

Livatino è noto come il “giudice ragazzino”,così definito dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, un testimone della storia italiana che ha donato la sua vita per la legalità e per la giustizia.  Livatino era un giudice sicuro di sé, capace di condurre inchieste “scomode” e percorrere strade sconosciute (come quella che ha portato alla confisca dei beni ai mafiosi).  Estremamente credente, rispettoso delle regole e con una visione del mondo della criminalità e politica corrotta molto ampia. Riponeva grande fiducia nel corpo della Guardia di Finanza in quanto capace di coniugare sia l’attività investigativa economico finanziaria sia applicare la legge.

Rosario Livatino nacque a Canicattì nel 1952. Dopo gli studi classici, si laureò nel 1975 in giurisprudenza a Palermo. Vinto il concorso in magistratura, nel 1979 divenne sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e qui prestò servizio fino al 1989.

Criminalità organizzata, tangenti e corruzione: furono questi i nemici che Livatino combatté in questi anni. Dopo aver compreso il forte legame tra la politica siciliana e la mafia, diede vita, insieme ai magistrati Cardinale e Saieva, a indagini a tappeto su tutto il territorio agrigentino. Queste poi portarono al maxi-processo contro i mafiosi di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Siculiana e Rivera; il maxi processo si concluse con quaranta condanne e Livatino stesso interrogò gli onorevoli Bonfiglio, Di Leo e Mannino.

La sua tenacia, gli ideali e il suo coraggio spaventarono sia la politica corrotta sia i mafiosi siciliani che decisero di mettere a tacere il “giudice ragazzino”. Così, fu ucciso il 21 settembre 1990 sulla ss640 Caltanissetta – Agrigento da quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina.

La stampa: omicidio del giudice
La stampa: omicidio del giudice

Infatti, dopo averlo speronato dall’auto dei killer, il giudice iniziò a scappare nella campagna limitrofa ma uno degli inseguitori gli sparò un primo colpo ad una spalla.

Nonostante questo, Livatino continuò la sua fuga ma dopo poche decine di metri fu ucciso con un colpo di pistola. Tra i primi che accorsero sul luogo del delitto vi furono Elio Spallita, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

La stele sul luogo dove il giudice martire è stato colpito a morte, lungo la statale Caltanissetta-Agrigento
La stele sul luogo dove il giudice martire è stato colpito a morte, lungo la statale Caltanissetta-Agrigento

L’omicidio di Livatino mise in luce una ferita nel rapporto tra  Stato e magistratura: la solitudine. I magistrati dispongono di un grande potere nella lotta alla mafia quando sono nell’esercizio delle loro funzioni, ma dopo il lavoro sono soli, abbandonati e privi di alcun tipo di protezione.  Per questo motivo, dopo l’omicidio del giudice, Roberto Saieva e Fabio Salomone, magistrati e suoi colleghi,  denunciarono lo Stato di aver abbandonato tutti i magistrati nella lotta alla mafia. Stessa cosa fece il giudice Francesco Di Maggio che all’Unità disse “ Dietro la bara di Livatino non può nascondersi tutta la magistratura”.

Le sue parole tuonarono come accusa verso lo stato e provocarono numerose polemiche.

Con la sua vita, con il suo lavoro e con la sua passione Livatino ci ha mostrato cosa significa essere uomini rispettosi delle leggi e buoni cristiani.




E’ sempre meglio ricordare…

Oggi si celebra IL GIORNO DEL RICORDO.

Una solennità dedicata a ricordare le vittime dell’odio, italiane, gettate vive o moribonde dagli jugoslavi di Tito nelle crepe carsiche dette ‘foibe’.

Gli oltre 350.000 italiani, profughi di quelle terre, spinti alla fuga dalle loro terre cadute in mano dei comunisti titini, dovettero abbandonare ogni cosa, dirigendosi in massa verso l’Italia.

È Storia che troppi furono gli italiani, intrisi e corrotti dall’ideologia comunista, che negarono ogni aiuto: persino negando la sosta nelle stazioni, negando l’acqua ai bambini e agli anziani, a tutti.

Drammi collettivi e individuali leniti – nel tempo, e solo in parte – dallo slancio e dalla generosità di Italiani che aiutavano altri Italiani, più sfortunati di loro.

Quanti uccisi così barbaramente e gettati nelle foibe, furono ritrovati alcuni anni dopo, e il recupero dei corpi suscitò dolore e sdegno negli Italiani. Il governo italiano insediatosi nel dopoguerra si era impegnato a corrispondere aiuti a quanti tutto avevano dovuto abbandonare in mani nemiche. Ma la “pratica” è ancora aperta, nonostante gli impegni solenni.

Quelli che sono qui sotto riportati, sono i pensieri di un Italiano, legato da sentimenti patri e famigliari a quegli Italiani cacciati da terre italiane cedute a mani ostili e avverse.

Le sue lucide, scarne ma pesanti parole, sono frutto dei suoi ricordi diretti: scavano drammaticamente, ancora oggi, l’animo di chi legge condividendo sofferenze e delusioni di altri nostri Fratelli Italiani.

Ma anche una ricorrenza solenne che deve aiutarci a cacciare dalle menti, dai cuori, dalle labbra, la parola “”guerra””: fin troppo frequentemente usata, in questi ultimi tempi.

Occorre lavorare per la PACE, respingendo ogni tentativo di fare passare le guerre ora come buone ora come cattive.

Le guerre tali sono, con tutti ciò che di tragico e luttuoso trascinano con sé.

L’Italia ripudia la guerra, recita solennemente la nostra Costituzione: ma la guerra, ogni guerra, è un puzzle composito, con mille sfaccettature.

Deve invece SCOPPIARE LA PACE, riconducendo gli Uomini dall’odio (troppo spesso immotivato) verso un Amore Universale condiviso con animo fraterno.

Questo è l’unico modo degno per celebrare le vittime di tutte le guerre. Che il grido possente MAI PIÙ GUERRE salga possente nel Cielo, riecheggiando di valle in valle.

 

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Mio bisnonno, italiano d’Istria, fu deportato sotto l’Austria nel campo di Katzenau, vicino Linz

Mio zio, della Regia Marina, rifiutandosi di collaborare coi tedeschi fu deportato allo Stalag B, tra Germania e Polonia.

Mia mamma, perché espresse compiacimento per Trieste italiana, fu incarcerata dalla polizia politica Yugoslava, la famigerata OZNA.

Mio padre, fuggito in quanto italiano dalla Yugoslavia, è stato sbattuto tra un campo profughi ed un altro fino ad arrivare nell’orfanotrofio di don Orione, a Roma.

Io e mia sorella, coi miei genitori, abbiamo vissuto al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma in una casa popolare di 48 mq per 30 anni.

Non una vita, ma tre generazioni in salita.

Antonio Ballarin




Riprenditi presto, Ornella!

È di pochi minuti fa la notizia dell’annullamento del concerto della nota cantante Ornella Vanoni previsto per venerdì 3 febbraio alle ore 20:45 al Palazzo dei Congressi a Lugano.

L’organizzatore Denis Mazzotta ci fa sapere che lo Show “Le Donne e la Musica” è stato cancellato a causa dell’indisposizione dell’Artista e che non è prevista una data sostitutiva.

Questo il comunicato stampa: “La signora Ornella Vanoni presenta uno stato febbrile che la rende impossibilitata nella realizzazione della tappa del tour ‘Le Donne e la musica 2023’, programmata per la data 03/02/23 presso il Palacongressi di Lugano.”

Quella di domani sera sarebbe stata l’ultima tappa di una tournée che ha visto la Signora della canzone d’autore italiana, accompagnata da un ensemble di cinque musiciste, girare l’Italia cantando e raccontandosi ai suoi amati fan.

Colgo l’occasione per invitarvi a leggere l’articolo dedicato all’Artista, da noi pubblicato proprio ieri.

A Ornella va l’augurio mio e di tutta la Redazione di Betapress.it, di una prontissima guarigione.