CONCORSO DSGA, COME SEMPRE UNA VERGOGNA ASSURDA!!!!

Scrivere questo articolo è difficile perché dovrò cercare di non usare parolacce che invece sarebbero necessarie a iosa.

Il concorso per il ruolo di DSGA è stato bandito nel 2018 e solo ora sta arrivando malamente alle conclusioni.

Malamente perché era già partito vergognosamente.

Il ministero dell’istruzione università e ricerca ( si lo so che adesso è stato diviso in due, ma la cosa non cambia nella stupidità e nella vergogna delle azioni intraprese), ha tenuto delle persone a svolgere il ruolo di dsga (i vecchi segretari delle scuole ora direttori dei servizi generali ed amministrativi, dsga appunto) anche per più di dieci, anni senza riconoscergli il ruolo; ovvero questi poveretti di anno in anno venivano nominati su posto vacante ed incaricati di svolgere il ruolo senza, ovviamente, l’adeguamento di stipendio e senza una sicurezza sul loro futuro.

Ad un certo punto il MIUR si è reso conto che rischiava la paralisi delle scuole visto che i DSGA andavano via via in pensione e non venivano più sostituiti, ed ha quindi avviato il concorso per il ruolo di DSGA, ma attenzione attenzione, non ha assolutamente considerato chi il ruolo lo svolgeva  già da anni!!!

Questi DSGA veri e reali, ma non formali, sono stati trattati dal MIUR come pezze da piedi, usati e poi gettati, non considerati e usati alla stregua di un qualsiasi schiavo che per anni ha svolto il ruolo, ma che alla fine  viene abbandonato con un calcio in quel posto e nemmeno con un grazie buttato lì.

Il MIUR ha bandito un concorso senza neppure pensare che se queste persone da anni stavano svolgendo il ruolo forse meritavano di essere confermati nel ruolo stesso, senza subire l’umiliazione di un concorso pubblico pesante e difficile (ma anche molto assurdo nella sua composizione), da intraprendere con sulle spalle una scuola intera (infatti chi svolgeva il ruolo da “precario” comunque aveva da fare il suo pesantissimo lavoro).

Non dimentichiamo che il lavoro da DSGA all’interno delle scuole, se fatto bene, è pesantissimo, complicatissimo e senza grandi supporti.

Ma nemmeno a questi, oltraggioso ed assurdo, il MIUR ha riconosciuto, che ne so, un punteggio in ingresso, un concorso riservato, un qualche modo per tenere persone con una competenza che nella scuola si costruisce solo con anni di lavoro; nulla, buttiamo via dedizione, competenza, lealtà, ma sopratutto stato bipolare, per dieci anni li nomini dsga gli fai fare il lavoro, li sfrutti e poi li butti via il giorno dopo.

MA CHE VERGOGNA INAUDITA.

Ancora più vergognoso che nessun sindacato abbia fatto nulla ma si sia solo arricchito con i corsi di preparazione al concorso.

Quindi tutti questi nostri leali dipendenti dello stato sono stati presi a pesci in faccia, e va bene, hanno dovuto fare il concorso senza un minimo di riconoscimento, ma attenzione un concorso che era aperto a tutti, quindi tutti questi si sono trovati al fianco giovani neolaureati con magari un sacco di tempo per prepararsi, o talmente freschi di studio che riuscivano ad affrontare le prove con meno difficoltà.

Ora a parte questa situazione che è vergognosa, veniamo al concorso.

La Lombardia ha esposto i risultati delle prove scritte dopo le prove preselettive:

su 102.000 domande pervenuto per 2004 posti in tutta Italia, la Lombardia è riuscita a far accedere all’orale 207 candidati per 451 posti, quindi all’orale sono arrivati il 50% dei necessari per coprire i posti.

Ma che minchia fate????????????? (e qui mi è scappata la parolina ma era impossibile non dirla)

 

ma fate invece una graduatoria da cui attingete per i posti vacanti e poi per le sostituzioni…

E poi sembra che qualcuno sia riuscito a comprare le domande dello scritto… ma dai!!!!

Ed ancora a far capire che c’è del marcio in Danimarca, oggi l’USR Lombardia ha incitato tutti i candidati a non mandare gli accessi agli atti, che ieri sono arrivati in quantità industriale, via PEC ma solo tramite posta ordinaria, in netto sfregio agli articoli del Codice dell’Amministrazione digitale, e solo con il modello che dicono loro e solo con le modalità che dicono loro!!!!

MA CHI INCITA A VIOLARE LA LEGGE NON COMMETTE REATO???????

Ma stiamo scherzando!!!!!!

Ma la fatica di tutti i candidati alle prove, sia che fossero DSGA facenti funzione o semplici nuovi aspiranti nessuno la considera?????

Le griglie di valutazione erano troppo “libere” ( se hai scritto troppo ti “seghiamo”, era PER ESEMPIO un valore della griglia), ma qui dobbiamo richiedere un intervento forte degli organismi inquirenti, basta con questi concorsi, i primi che non li sanno fare sono chi li organizza.

VERGOGNA, VERGOGNA,VERGOGNA.

 

QUESTO E’ SOLO IL PRIMO ARTICOLO DI UNA SERIE, NON CI FERMEREMO QUI, BETAPRESS Andrà AVANTI ED APPROFONDIREMO IL PIU’ POSSIBILE QUESTA VERGOGNOSA STORIA, COME ANCHE IL CONCORSO 2017, CHIUNQUE VOGLIA CONTATTARCI O SEGNALARCI QUALCOSA O DIRE LA SUA SCRIVA A

INFO@BETAPRESS.IT

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concorso DSGA: note di malcostume italiano

 




L’arte come compensazione della disabilità fisica

L’artista messicana Frida Kahlo (1907-1954) è un simbolo di come la disabilità fisica possa trovare una compensazione positiva nell’espressione artistica.

La sua vita è difficile sin dall’infanzia per una malattia, non ben definita se poliomielite o spina bifida, che l’aveva colpita rendendola claudicante.

La sua sofferenza per quella gamba così magra e legnosa è descritta nei suoi ricordi dai quali emerge anche il disagio per essere stata vittima di  derisione da parte dei compagni di scuola.

A 18 anni subisce poi un terribile incidente che così descrive:

“Il tram schiacciò l’autobus contro l’angolo della via. Fu un urto strano: non fu violento, ma sordo, e tutti ne uscirono malconci, io più degli altri”.

Possiamo riscontrare una conferma della profonda sofferenza dell’artista osservando le sue numerose opere artistiche.

In Frida, al dolore fisico che la costringerà per molti anni in un letto, si aggiunge lo  spettro di una solitudine che ben emerge dai primi quadri in cui rappresenta  esclusivamente se stessa.

Lo specchio sul soffitto della sua camera diviene simbolo di quella donna isolata dal mondo che così afferma:

“Dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono io la persona che conosco meglio”.

Tra le sue opere citiamo per esempio “La colonna rotta” del 1944 dove si esprime tutta la sofferenza per le numerose operazioni chirurgiche subite.

La spina dorsale non può più sostenere l’artista ma l’artista lotta nonostante sia trafitta dai chiodi.

La disabilità si collega al concetto di inferiorità d’organo ma possiamo notare come chi ha avuto la vita spezzata all’inizio o interrotta successivamente a causa di incidenti, possa ben recuperare attraverso quella che in psicologia chiamiamo  “compensazione”.

L’inferiorità d’organo non preclude il coraggio di essere combattivi e Frida Kahlo ne è un esempio.

Ci sono tante persone meno celebri dell’artista che vivono inferiorità d’organo ed  hanno saputo canalizzare la loro vita costellata dalla sofferenza verso una meta costruttiva.

Coloro i quali sono portatori di una disabilità fisica possono, a seconda dei casi, sprofondare nello scoraggiamento ed abbandonarsi a quella che viene tradizionalmente definita “dipendenza sociale” oppure possono occuparsi in senso positivo delle loro debolezze e costruire su di esse una “compensazione positiva” indirizzata verso il lato utile della vita.

Il tipo di compensazione positiva che si  verifica è  di solito culturale e possiamo notare come la “mancanza” si  trasformi in “opportunità”.

Se prendiamo come esempio Demostene, uno dei più grandi oratori dell’antichità, sappiamo dalla storia che era balbuziente e così Beethoven soffriva di disagi uditivi.

Certamente la compensazione positiva da inferiorità d’organo è strettamente legata al  contesto sociale in cui il soggetto è inserito.

Frida Kahlo ha avuto genitori sensibili  ed attenti al dramma della figlia.

Il corpo martoriato può divenire espressione della psiche ma la psiche può rispondere anche in modo costruttivo.

La rappresentazione del disagio del corpo nel quadro di  Frida Kahlo sopracitato ci emoziona e ci fa comprendere come l’artista sia andata oltre la sofferenza accettandola e mostrandola agli altri attraverso la realizzazione di un’opera d’arte che desta stupore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

https://betapress.it/intelligenza-emotiva/




Lo scollamento

Si parla con la gente, noi giornalisti, e si ascoltano molte cose, e magari le si capiscono, certo se si ascolta.

Ma noi giornalisti siamo una razza particolare, ormai siamo diventati preda dei click e dei clack, dei social e delle visualizzazioni.

Tanti anni fa quando collaboravo con le redazioni di giornali, quelli di una volta, quelli che gli articoli li dovevi scrivere entro le ventuno perché poi si andava in stampa, quelli che un articolo lo valutavi se per strada la gente si fermava e lo commentava, o se ti arrivavano le lettere pro o contro, oggi un articolo vale per le sue visualizzazioni, ovvero se te lo leggono.

E va bene ce ne faremo una ragione, ma questo ha cambiato la faccia del giornalismo, quantomeno lo ha trasformato in una orrenda meretrice che volge la sua attenzione a ben altri valori che quelli della verità, della coerenza o, utopia delle utopie, della giustizia.

Se fa notizia, se arrivano click, bene è da pubblicare, altrimenti chissene…

Proprio per questo motivo, il dio soldo, i giornali non sono più tali da tempo.

Correndo dietro alla velocità richiesta dai nuovi strumenti di oggi abbiamo perso il valore che un giornalista vero può dare alla notizia, la credibilità.

Siamo infatti nel mondo delle fake news, dove solo facendo il giornalista vero puoi combatterle.

Ma dovresti perdere tempo su una notizia, verificarla, aspettare i risultati di certe indagini, sentire più fonti… impossibile, se perdi il momento perdi la notizia e quindi i click clack.

Quindi oggi anche le notizie più importanti vengono buttate in pasto alla folla senza nulla, così, alla spera in dio.

Questo ha generato lo scollamento, una nuova forma sociale di dissociazione del cittadino che qualsiasi cosa legge o sente scuote la testa e dice “tutte cazzate, tutte fake news, ma questi qui dove vivono”.

Visto che i giornali, le tv ed internet sono diventati gli strilloni dei politici, il fenomeno dello scollamento è diventato seriale.

Il paese è da una parte, chi lo deve raccontare da un’altra, chi lo deve governare è in viaggio per chissà dove.

Scollamento triplo con avvitamento seriale inarrestabile.

Lo scollamento crea un grave elemento, nasconde la verità, nasconde quello che succede.

In realtà lo scollamento ha anche una grande componente involontaria legata ad un altro fenomeno dei giorni nostri, ovvero al fenomeno del commentatore laureato.

Eh già, ormai chiunque si sente opinionista, editorialista, tutti scrivono i quartini di prima pagina, basta scrivere tre fesserie sul Facebook di turno ed ecco nato il commentatore laureato, unico detentore della verità, certo di questo fatto perché ha pubblicato un qualcosa su un qualcosa.

Se non fosse tragico ci sarebbe da morir dal ridere.

Eppure la gente vera, quella che deve pagare le bollette e le tasse, quella che deve dar da mangiare ai propri figli, quella gente lì lo sa dove sta il paese reale, quella gente lì è ben consapevole di cosa sta succedendo.

E sono proprio loro che quando leggono scuotono la testa si incazzano e poi corrono a lavorare per non essere lasciati a casa, sempre più con delle scuse stupide, sempre più stringendo i denti ed accettando quattro lire, ops, euro pur di far mangiare i propri figli.

Eppure una volta i giornalisti ascoltavano la gente e riportavano quello che diceva, ma non dei trafiletti per far passare una linea o l’altra, ma il pensiero della gente, quello vero.

Lo scollamento usato ad hoc, per far pensare che le cose stiano in un certo modo, furbi!

Ho visto di recente una serie di filmati dove alcuni imprenditori si alzavano all’inno di Mameli, ahahahah nessuna delle loro aziende aveva più la sede legale in Italia.

“Ma che cxxxo ti alzi ci prendi per il cxlo” questo avranno detto tutti gli italiani che hanno visto il filmato, questo avranno riportato tutti i giornali, però io non ho visto nulla di tutto questo.

Scollamento.

Ma forse anche questo mio articolo è inutile, perché forse a quegli italiani che non basta lo stipendio è venuta la rassegnazione del cristiano al colosseo, forse speriamo troppo in un miracolo.

Io no, io sono per difendere il paese anche dallo scollamento; come posso fare? forse anche scrivendo questi articoli, facendo in modo che almeno su queste pagine venga detto cosa pensa le gente, sperando che ai politici interessi ancora qualcosa, visto che ormai hanno trovato il modo di fregarsene anche del nostro voto, dato che in modo sempre più colluso tra le funzioni del potere si eleggono quasi da soli.

Ma io mi ricordo di quando ero piccolo ed annusavo la colla, mi piaceva, perché mi piaceva pensare che tutto si può sistemare, magari anche solo con un poco di coccoina .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’indipendenza di Stampa

 




EZIO BOSSO, UNO DEI MODS: Intervista a Oskar degli Statuto.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=JteNID-yuMc?feature=oembed&w=640&h=360]

 

«Un grande musicista, il più grande compositore contemporaneo!» Così Oscar Giammarinaro (Oskar) degli Statuto ha definito l’amico Xico alias Ezio Bosso (rappresentati entrambi nella foto di testa, esclusiva per Betapress).

Ezio ha iniziato la sua carriera da musicista nella band Mod più famosa d’Italia, appunto gli Statuto, diventati celebri per il grande pubblico quando parteciparono al Festival di Sanremo nel 1992 con il pezzo Abbiamo vinto il festival di Sanremo, (Ghetto, Piera e Qui non c’è il mare sono, a mio avviso, altri capolavori di Zighidà)

https://it.wikipedia.org/wiki/Zighidà 

(terzo album della band torinese; n.d.a.).

La British Invasion degli anni sessanta aveva fatto conoscere in Italia la musica Beat e Ska ed anche la cultura Mod.

Uno dei Mods è stato un successo tutto “italiano” degli anni sessanta di Ricky Shayne, un 45 giri che ho consumato quando avevo poco più di 7 anni e che mi ha da sempre incuriosito.

Uno dei Mods è anche quel che pensa Oskar di Xico.

Ho letto molte cose su Ezio Bosso, ma non sempre mi hanno trovato d’accordo, anche perché pochi hanno compreso la grandezza umana di una persona che ha vissuto il reale in modo vero, fino alla fine!

Noi di Betapress, per comprendere chi era Ezio Bosso, abbiamo voluto chiedere un aiuto ad Oskar.

PERTH: Antonella Ferrari (Caporedattore di BetaPress) ha scritto di Ezio Bosso non appena ci è giunta la notizia della sua tragica scomparsa

Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

 

Nel suo pezzo Antonella ha cercato di fotografare la vita di uno dei più grandi talenti della musica italiana e non solo.

Chiedo a te, che sei uno dei suoi cari amici, com’è nata e cos’ha voluto dire per te quest’amicizia nata intorno alla Piazza (Statuto; n.d.a.)?

OSKAR: Ci siamo conosciuti nel 1985 quando ha iniziato a frequentare la scuola media annessa al Conservatorio G. Verdi di Torino, era stato inserito nella stessa classe di contrabbasso.

Lui era più giovane di me e rimase subito affascinato dal mio modo di vestire, dalla musica che ascoltavo, dalla mia Lambretta e dai miei racconti delle nostre avventure con gli altri Mods, di lì a poco iniziò a frequentare Piazza Statuto Mod con tutti noi.

Quando nel 1987 decisi che non volevo più suonare il basso, ma solo cantare negli Statuto, lui si propose immediatamente come bassista e suonò con noi per circa due anni.

Era talmente creativo, che le sue tante note erano perfino esagerate per le nostre canzoni e quando bisticciò con il nostro maestro, smise di suonare anche con noi e andò a studiare all’estero.

Siamo però rimasti sempre in contatto, quando era a Torino veniva regolarmente da noi in Piazza al sabato pomeriggio e ci siamo sempre sentiti, fino all’ultimo dei suoi giorni.

PERTH: «…era uno di noi, uno dei Mods» hai detto in più occasioni, «ha legittimato i mods», ed ancora «uno nasce Mod, lo capisce… e ci rimane per sempre» ci racconti qualche aneddoto che possa chiarire ai lettori come è nata in te ed anche in Ezio la coscienza di essere un Mod?

OSKAR: Mod non si nasce ma si scopre di esserlo.

Sia io che lui l’abbiamo scoperto appassionandoci all’abbigliamento italiano anni ’60 e all’amore per la musica afroamericana e giamaicana.

A Xico piaceva e suonava molto bene anche il jazz e il termine “Mods”, deriva proprio dal termine “Modernists” che era usato per i primi ragazzi inglesi che ascoltavano questo genere a fine anni ’50.

PERTH: In un tempo in cui la mercificazione “usa e getta” generata da “Reality” e “Talent” produce progetti musicali sterili e poco “artistici” tu esci con il tuo primo lavoro da solista, Sentimenti Travolgenti,

https://music.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_mio4DRIWNyYpd0WIGvBfLtYd34QsxHWcY

parlando di Eleganza.

Non trovi che la raffinatezza compositiva sia oggi fuori dal coro?

Cos’era l’Eleganza per Ezio?

OSKAR: La “raffinatezza” delle composizioni di Xico va decisamente oltre qualsiasi classificazione materiale.

Basta ascoltare le sue “12 stanze” ad esempio, per capire con quanta semplicità ed eleganza riusciva a esprimere sequenze di note leggere e avvolgenti, trasmettendo forti emozioni e vera sensazione di eleganza sonora melodico-armonica.

Più che “fuori dal coro”, lo definisco “straordinario” e “unico”, oggettivamente il più Grande compositore contemporaneo.

PERTH: Ezio ha fatto sua una frase di Antoine de Saint-Exupéry: «L’essenziale è invisibile agli occhi».

Pensi che l’esplosione di creatività e questa certezza degli ultimi anni sia conseguenza della sua malattia?

OSKAR: E’ sempre stato molto talentuoso e creativo, già nelle nostre “canzonette” trovava riff e giri di basso pazzeschi.

La malattia l’ha fatto crescere come uomo, l’ha reso infinitamente saggio, paziente e tenace.

Ha saputo tirare fuori tutta la sua eccezionale creatività grazie anche al tanto studio di composizione, direzione, pianoforte e (perché no?) anche storia, negli ultimi 20/25 anni.

Ormai era diventato un riferimento fondamentale non solo per i musicisti, ma per la cultura in generale.

PERTH: In un’intervista a Fanpage.it Ezio diceva «Dal mondo della musica classica ho subito tanti schiaffoni, ingiustizie, insulti, come quello che esistevo solo perché avevo una malattia (…)» sono rimasto impietrito quando ho letto la sua intervista.

Te ne ha mai parlato?

OSKAR: Certo e posso confermarlo.

In Italia (e solo in Italia!) tanti “professorini” provetti della musica classica sbalordivano ascoltando le sue sinfonie oppure a sentirlo suonare il pianoforte (strumento che lui ha studiato soltanto negli ultimi anni della sua carriera, quando, tra l’altro, stava già cominciando a mancargli la funzionalità delle dita) e quindi pativano e lo invidiavano a tutto tondo e vergognosamente.

Ma lui ha sempre saputo rider loro in faccia, perché il pubblico, tutto il grande pubblico d’ogni parte del mondo, lo adorava.

PERTH: «Se uno è capace di fare le domande trova le risposte… in quello che accade» una concretezza che guarda al mistero di quel che c’è dietro alle cose, l’importante è cercare la bellezza, la giustizia la verità.

Ezio era un “cercatore”?

OSKAR: Xico era contro ogni pregiudizio, anche “positivo”, come piaceva dire a lui.

Conseguentemente, non fermarsi a regole e soluzioni statiche, implica cercare e ricercare, inventare e creare.

Quando ha dovuto smettere di suonare il contrabbasso, Xico si è trasformato in pianista, diventando un concertista e tenendo recital sold-out in tutta Italia.

Lui ha sempre cercato e, soprattutto, trovato una risposta a ogni questione gli si ponesse, anche le questioni più atroci, come la sua malattia.

Era più che un “cercatore”, direi un “trovatore” (ovviamente niente a che fare con i celebri compositori francesi dell’undicesimo secolo…).

PERTH: Hai detto spesso che Ezio non si lamentava mai della sua condizione, anzi, era un amante della vita.

In una delle ultime telefonate ti ha perfino confortato in merito al periodo che stiamo tuottora vivendo di emergenza Coronavirus.

Qual era la sua forza? Come era possibile tutto ciò, tu che lo conoscevi bene?

OSKAR:  Credo che il suo amore per la Musica e per la gente gli abbia dato la forza per trasformare in forza e serenità la forte sofferenza procuratagli dalla tremenda malattia.

In tanti anni mi ha sempre parlato di futuro, di prospettive avanti nel tempo, senza contemplare mai un giorno in cui lui non ci fosse stato più.

Un’energia soprannaturale e non lo dico faziosamente.

PERTH: La sindaca di Torino ha proposto di intitolare un luogo della città alla memoria di Ezio Bosso e a mio modesto parere credo debba essere molto vicina alla Piazza Statuto.

Cosa ne pensi?

OSKAR: Abbiamo raccolto più di 16.000 firme per questa causa, anche la sua famiglia è d’accordo, speriamo di essere ascoltati.

PERTH: Sono stato affascinato da queste due frasi di Ezio:

«Perché è questo quello che fa la musica: dilata il tempo della felicità. La bellezza ci rende felici e il miracolo della musica è il miracolo della bellezza»

e ancora: «…la vera domanda non è “cos’è la musica per me?”, ma “cosa posso fare io per la musica?”».

Da un lato la “bellezza” di cui non parla più nessuno e dall’altro “mettersi al servizio” che è un tabù.

Da amico di Ezio e da artista cosa ne pensi?

OSKAR: Per lui ogni musicista è parte della Musica  e appartiene al pubblico e non viceversa.

Con la partecipazione generale di chi suona e chi ascolta, si ottiene la “bellezza” della Musica… anzi, la bellezza in assoluto.

PERTH: Un’ultima domanda Oskar, ci racconti de La musica magica?

OSKAR: Adesso è ancora presto…

PERTH: Allora ci dobbiamo rivedere assolutamente! Grazie Oskar!

Vi lascio all’ascolto di uno dei capolavori di Xico.

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=AHe6AzhRa3o

 

 

Perth

in testa una fortografia inedita concessa da Oskar a Betapress

 

 

 

 

 

 

 

 

Intesta di articolo una fotografia inedita ed esclusiva concessa da Oskar a Betapress, degli Statuto, Ezio Bosso è il secondo da sinistra ed Oskar è il terzo da sinistra.

 

GIANKA: LA FORMA DELL’AMORE

KARMA – INTERVISTA AD ANDREA “CONTE” BACCHINI

 

UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.

 




Original Blues Brothers Band e Blues4people band in aiuto ai banchi alimentari

 

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=J2JJT1lIsoo?feature=oembed&w=640&h=360]

 

 

 

In Europa la crisi Covid-19 negli ultimi 3 mesi non ha solo portato lutti e sofferenza ma anche una nuova emergenza alimentare.

La richiesta di cibo è aumentata anche del 50% in più rispetto ai mesi pre-covid19 e per i prossimi mesi le prospettive non sono di certo migliori.

Nel 2018 Eurostat ha stimato 36 milioni di cittadini europei in povertà materiale ma a questi ora si sono aggiunti altri milioni di persone che per la prima volta si trovano a dover chiedere aiuto per mettere qualcosa da mangiare a tavola.

 

“I 430 Banchi Alimentari che operano in Europa hanno fatto il possibile, pur con mille difficoltà, per continuare la distribuzione di alimenti alle associazioni che ogni giorno accolgono il grido di aiuto di padri, madri, anziani e giovani che a loro si rivolgono.

Allo stesso tempo molte altre persone sono venute in nostro aiuto: cittadini, aziende e amministrazioni pubbliche.

Purtroppo, il fiume di povertà continua ad ingrossarsi e il rischio che tracimi è alto.

Per questo abbiamo accolto con gratitudine la proposta della Blues4people band e della Original Blues Brothers Band di realizzare un video con loro.

La canzone e le immagini non vogliono farci dimenticare quanto sta accadendo, anzi dicono un messaggio molto chiare: è possibile lavorare e faticare anche in situazioni difficili (vedi l’esempio dei medici e degli infermieri) ma tutto il nostro lavoro non basta.

Occorre che sempre più persone ci diano una mano, immediatamente.

Fare una donazione non è il premio al nostro sforzo ma il sostegno a chi può confidare nell’impegno per la solidarietà. Non possiamo farcela da soli.”

afferma Jacques Vandenschrik, Presidente della European Food Banks Federation.

 

Oltre a tutti componenti della Blues4people band, la European Food Banks Federation ringrazia Lou Marini e i fantastici musicisti della Original Blues Brothers Band, i volontari dei Banchi Alimentari che lavorano in 29 paesi europei, Carlo Cottarelli, Francesco Moser, Giacomo Poretti, Nadia Puma.

Un ringraziamento speciale a Riccardo Denaro e Giulia Reali che, con i colleghi di Areastream, hanno prodotto il video gratuitamente.

 

Per aiutare la European Food Banks Federation e i suoi 430 Banchi Alimentari che nel 2019 hanno distribuito 768.000 tonnellate di alimenti a 45.283 associazioni caritatevoli aiutando

9.5 milioni di persone povere in Europa.

 

Perth

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BLUES4PEOPLE




La DAD non è sistema?

 

Come redazione di betapress, continuiamo il nostro viaggio alla scoperta della scuola vera, con le potenzialità emerse e le criticità esplose in questi ultimi mesi di DAD.

L’intento è dimostrarvi che, nella scuola, come nella vita, non è come sembra, sia nel bene che nel male…

Dunque, lungi da tutti gli stereotipi culturali, Nord/Sud, scuole d’élite/di massa, d’eccellenza/di disagio, vi daremo la prova dell’eccellenza al SUD, in una SCUOLA “di frontiera”, in mezzo al vero disagio sociale, cioè in Istituti Comprensivi che lottano quotidianamente contro la dispersione scolastica in un contesto di forte povertà educativa.

Una sfida vinta a pieno titolo dalla collaborazione strategica tra Ufficio Scolastico di Palermo, Assessorato Regionale all’Istruzione, Consulta provinciale Studenti di Palermo.

Si tratta di un Progetto che vede coinvolti, da più di due mesi, due centinaia di studenti liceali di Palermo e provincia.

Sono 200 alunni del triennio delle superiori motivati e responsabili che, su base VOLONTARIA E GRATUITA, offrono supporto alla didattica di altrettanti alunni delle elementari e delle medie, alunni spesso in condizioni di difficoltà, situazione aggravata ancor più per l’emergenza educativa della Dad.

Una sorta di tutoraggio che si rivela sempre più una strategia vincente per aiutare “gli ultimi”, restati indietro non per scelta, ma per necessità.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Carmen Buglisi, il Presidente della Consulta Provinciale degli Studenti di Palermo

Betapress– Signorina Buglisi, quanti anni ha e che scuola frequenta?

Buglisi– Ho 18 anni e frequento il quarto anno del Liceo Classico Umberto 1° a Palermo.

Betapress– Ci parli del progetto che la vede coinvolta in prima persona

Buglisi– Il progetto, regolato da un protocollo di intesa siglato il 15 marzo 2019 dalla Consulta Provinciale degli Studenti (CPS) di Palermo, l’Assessorato regionale all’Istruzione e alla Formazione Professionale della Regione Siciliana e gli Istituti Comprensivi Giovanni Falcone, Giuliana Saladino e Rita Atria di Palermo, nasce su iniziativa del prof. Antonio Salvatore Dinallo, docente coordinatore nazionale delle Consulte Provinciali degli Studenti.

Betapress– Per i nostri lettori, cos’ è una Consulta Provinciale Studentesca?

Buglisi– La C.P.S. è un organismo che rappresenta gli studenti delle scuole superiori italiane. E’ presente in ciascuna delle 110 province italiane e ne fanno parte 2 studenti, eletti dai loro compagni di scuola.

Betapress– Dicevamo del progetto di tutoraggio destinato agli alunni più deboli…Quanto dura il progetto?

Buglisi-Il progetto ha una durata illimitata.

Betapress– Chi sono i Tutor?

Buglisi– I tutor sono studenti che, come nel mio caso, frequentano scuole superiori di Palermo.

Lavoriamo in sinergia con l’USR Sicilia e l’Ufficio Scolastico Provinciale di Palermo.

Betapress– A chi è destinato il progetto?

Buglisi– I destinatari sono tutti gli allievi dei tre Istituti Comprensivi Giovanni Falcone, Giuliana Saladino, Rita Atria,

Betapress– Se non mi sbaglio, sono Istituti Comprensivi “di frontiera”…

Buglisi- Infatti. Sono scuole che hanno bisogno di un supporto aggiuntivo alla didattica tradizionale, in modo da ridurre il tasso di dispersione scolastica annuo, e mira a coinvolgere gli studenti delle scuole superiori in qualità di “tutor”.

Betapress– Come sta andando la vostra attività in questo periodo?

Buglisi– Lo scoppio della pandemia ha rallentato di molto la nostra burocrazia, ma d’altro canto ci ha incoraggiati a ideare un modo alternativo per lanciare il progetto.

Betapress– Cioè?

Buglisi– I rappresentanti degli studenti eletti nella Consulta studentesca hanno inviato agli allievi dei loro Istituti di provenienza un modulo Google, attraverso il quale chi era interessato a svolgere l’attività di tutoraggio ha potuto iscriversi al progetto.

Betapress-Cioè avete monitorato il territorio, chi voleva fare da tutor e chi aveva bisogno di aiuto?

Buglisi– Sì, prima abbiamo proposto un questionario per individuare chi era interessato ad essere seguito da un tutor. In seguito, coloro che hanno aderito sono stati contattati dalla Commissione Politiche Sociali della Consulta, che ha elaborato un foglio Excel con le credenziali dei partecipanti, inserendo anche le loro inclinazioni e preferenze (materie scolastiche per le quali erano disponibili ad aiutare, richieste di assegnazione a un Istituto specifico).

Betapress– Cioè avete cercato di ottimizzare le competenze dei tutor con i bisogni degli alunni in difficoltà?

Buglisi– Esattamente!

Per mezzo della referente della CPS Palermo, la prof.ssa Giusy Lubrano, i volontari sono stati suddivisi in tre gruppi e le tre scuole firmatarie del protocollo di intesa hanno ricevuto i dati dei partecipanti, ciascuno dei quali è stato assegnato a un allievo di quinta elementare o terza media in difficoltà.

Betapress– Ma siete pagati per il vostro servizio?

Buglisi– Assolutamente no! E tutto su base volontaria e gratuita.

Quando la curva epidemiologica lo consentirà, partirà ufficialmente il progetto di pcto (ex alternanza) e le ore spese nelle attività di tutorato verranno riconosciute.

Betapress– Incredibile! Come sta andando il progetto?

Buglisi– Finora siamo stati testimoni di un’accoglienza positiva dell’iniziativa, di cui andiamo fieri: le iscrizioni sin da subito sono state numerose e stiamo raggiungendo tante famiglie, aiutando i loro figli a superare questo momento difficile.

Betapress– Ma è vero che la DAD è per tutti, come dice il Ministro?

Buglisi– Non è così! Siamo testimoni in prima persona delle difficoltà che migliaia di studenti stanno vivendo, legati a problemi di accesso alla didattica a distanza e a gravi difficoltà economiche, che spesso si declinano nell’assenza di una connessione internet stabile e delle attrezzature informatiche necessarie per la frequenza delle lezioni.

Betapress– Come vi state organizzando?

Buglisi– Ciascun volontario programma e modella le attività sulla base delle necessità dello studente di quinta elementare o terza media che segue e da queste dipendono anche le ore giornaliere che coinvolgono entrambi nelle attività di recupero e approfondimento, oltre che di ascolto.

Betapress– Insomma, diventate come dei fratelli maggiori che seguono, giorno dopo giorno, compito dopo compito, gli studenti più piccoli e più fragili…

Buglisi– Proprio così! Ma ne usciamo arricchiti. Perché, fondamentale nel progetto è il profilo umano e la possibilità di instaurare rapporti solidi e garantire a tutti il diritto allo studio.

Come redazione di betapress, non possiamo che complimentarci con i responsabili di questa iniziativa. Ed essere fieri di questa SCUOLA e di questa ITALIA che funzionano, nonostante tutte le sparate ministeriali della nostra cara Ministra Azzolina, alla faccia di tutti i cervelloni del MIUR, ed in barba a tutta la lenta e complicata burocrazia del Sistema Scuola!

E vi assicuriamo che la nostra indagine non finisce qui, alla prossima…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Perché è importante utilizzare l’intelligenza emotiva?

Vogliamo affrontare il tema dell’intelligenza emotiva (IE), argomento questo  complesso, in quanto entrano in gioco le emozioni con la loro influenza sulla vita  relazionale.

Ma cos’è la IE? Mettere in campo l’intelligenza emotiva significa essere in grado di riconoscere i sentimenti propri ed altrui gestendo positivamente le nostre emozioni al fine migliorare le relazioni sociali.

L’intelligenza emotiva ha messo in discussione i risultati dei test intellettivi predittivi di successo smantellando l’idea che   elevati QI corrispondano a migliori performance e bassi QI a limitate performance.

Parlare di IE significa richiamare alla mente i concetti chiave di autostima, di motivazione, di auto efficacia con conseguente capacità da parte del soggetto di saper gestire le proprie emozioni.

Gli psicologi americani Salovey e Mayer introdussero tra i primi il costrutto della IE anche se il tema del riconoscimento e della gestione delle  emozioni si è diffuso grazie allo psicologo cognitivista Daniel Goleman celebre per il  suo testo “Emotional Intelligence”.

L’autore in questione definisce la IE come “La capacità di motivare se stessi, di persistere nel raggiungimento di un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici, di sperare”.

Goleman evidenzia nel costrutto della IE alcuni domini quali: l’autocontrollo, l’automotivazione, l’empatia e la gestione delle relazioni sociali. Si tratta dunque di apprendere un buon uso della IE, ossia l’attitudine emozionale o la meta-abilità – come Goleman la definisce – che ci permette di fronteggiare gli ostacoli che incontriamo nei nostri percorsi di vita.

L’uomo attivo si inserisce in un processo costante e complesso di scoperta, riscoperta e costruzione di significati, il tutto sempre mediato dal contesto e dalle relazioni sociali che è in grado di costruire ma anche dalla cultura in cui è immerso.

In questo processo continuo ogni azione messa in gioco risulta essere filtrata attraverso le percezioni, i pensieri e le emozioni soggettive. Ma come funziona il nostro cervello in relazione all’intelligenza emotiva?

Le strutture cerebrali considerate cruciali per l’elaborazione e la regolazione emozionale sono quelle che appartengono al lobo limbico, il quale è situato in profondità nella parte più interna, cioè mediale, dei lobi temporale e frontale di ciascun emisfero.

Il sistema limbico non è un circuito chiuso poiché è caratterizzato da un alto livello di interazione con molte aree corticali e strutture sottocorticali e l’amigdala è la struttura nervosa che rappresenta la base neurologica per eccellenza degli stati emotivi e si attiva sempre per esperienze emozionali molto intense.

Le esperienze emozionali intense non sempre sono negative anzi, se ben canalizzate, possono arricchire la nostra vita.

Scegliere il canale dell’intelligenza emotiva ci permetterà di affrontare in modo  creativo gli ostacoli che incontriamo nei nostri percorsi di crescita.

Si può dunque ipotizzare che l’intelligenza emotiva sia in relazione con la sfera della creatività.  

L’arte, in quanto espressione della creatività, può divenire uno strumento per aiutare le persone che ne fruiscono attraverso i canali  sensoriali  o che la mettono in pratica attraverso la produzione.

L’arte permette dunque – nelle sue espressioni di fruizione e produzione – di conoscere ed interpretare le proprie emozioni utilizzando il canale della IE e a questo proposito possiamo ritenere che tutto questo sia fondamentale per il mantenimento di uno stile di vita sano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




La bellezza manoscritta

I manoscritti non hanno nulla a che fare con le pagine che vediamo ogni giorno e non tocchiamo.

Il manoscritto porta con sé la grafia, la carta, il tempo, la muffa, gli smangiucchiamenti del tempo e dei topi…

Il manoscritto dice molto di più delle parole incise.

Per lui parlano l’inchiostro, le miniature, le pieghe delle lettere.

Il manoscritto si legge lentamente e ogni parola è un traguardo.

Ogni parola prende senso solo se legata alla precedente e alla successiva.

I manoscritti hanno una lingua scritta e una tracciata e si leggono molto lentamente.

Ci sono manoscritti che si leggono in centinaia di anni.

Al manoscritto non si accede senza lo studio della paleografia.

E più passa il tempo più si capisce che dietro ogni parola c’è l’universo intero contemporaneamente.

Nel manoscritto ogni parola è l’aleph

Ma ci vuole tempo

Che più nessuno ha.




Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

«La musica è per tutti perché annulla la grammatica delle lingue e ne forma una valida per ognuno di noi».

Parola di Ezio Bosso

Ezio Bosso è morto a 48 anni.

Il direttore d’orchestra, compositore e pianista torinese aveva una malattia neurodegenerativa da anni, ma, nonostante ciò, era riuscito a diventare uno dei nomi più noti del panorama musicale italiano.

Pianista per caso, come amava dire lui stesso durante le interviste, il compositore aveva trovato la popolarità quando, nel 2016, fu invitato da Carlo Conti come ospite d’onore al Festival di Sanremo.

Sul palco dell’Ariston Bosso aveva eseguito “Following a Bird”, composizione contenuta nell’album “The 12th Room”, che era uscito qualche mese prima, senza enormi clamori, ma che era finito in classifica, subito dopo l’esibizione, e da quel momento, il suo nome e la sua arte sono diventate note al grande pubblico che ha continuato a seguirlo negli anni a venire.

La famiglia del musicista ha rilasciato una nota ufficiale che spiega che la morte è avvenuta “a causa del degenerare delle patologie che lo affliggevano da anni.

Sia i familiari che la sua famiglia professionale chiedono a tutti il massimo rispetto per la sua privacy in questo momento sommamente personale e intimo:

l’unico modo per ricordarlo è, come sempre è stato e come sempre ha ribadito il Maestro, amare e proteggere il grande repertorio classico a cui ha dedicato tutta la sua esistenza e le cui sorti in questo momento così difficile sono state in cima ai suoi pensieri fino all’ultimo.

In un’intervista a Fanpage.it il musicista aveva dichiarato come sul palco andasse senza spartiti: “Sul palco sono senza spartito, faccio tutto a memoria.

Quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritto, primi e secondi violini, violoncelli, bassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, percussioni, io li ho davanti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi, mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene”

ha raccontato a Saverio Tommasi che lo ha incontrato subito dopo un concerto in memoria di Claudio Abbado.

In quella stessa intervista Bosso ha parlato anche delle difficoltà di essere accettato nel mondo della Classica e dei pregiudizi che lo hanno seguito:

“Dal mondo della musica classica ho subito tanti schiaffoni, ingiustizie, insulti, come quello che esistevo solo perché avevo una malattia:

è evidente, non è che posso negarlo, quindi è ovvio che la prima reazione porta alla rabbia, l’altra è quella di guardarmi le ruote… infatti ho messo delle ruote bellissime.

È stata una vita basata sul lottare, sul pregiudizio. Fin da bambino ho lottato col fatto che un povero non può fare il direttore d’orchestra, perché il figlio di un operaio deve fare l’operaio, così è stato detto a mio padre”.

Enzo Bosso conviveva dal 2011 con una malattia neurodegenerativa che gli è diagnosticata dopo l’intervento per un cancro al cervello, sempre nello stesso anno.

Da principio la patologia è stata identificata come la SLA, sclerosi laterale amiotrofica, malattia in cui i sintomi, episodi di atrofia muscolare, si trasformano in pochi anni nella compromissione totale delle funzioni vitali, ma poco importa sapere il nome della sua patologia che l’ha portato alla morte.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ed il GRANDE MAESTRO ce l’ha dimostrato, regalandoci, con la sua esistenza a 360°, un esempio immane di coraggio e di dignità nell’affrontare le avversità della vita.

“Non so se sono felice ma tengo stretti i momenti di felicità, li vivo fino in fondo, fino alle lacrime, così come accettare i momenti di buio, sono una persona normale.

La mia filosofia è legarmi di più ai momenti felici perché quelli, poi, ti serviranno da maniglia per tirarti su, quando sei nel letto e non riesci ad alzarti”.

Nel settembre del 2019, in occasione della 83esima Fiera del Levante di Bari, Bosso ammise di non poter più suonare esortando tutti a non chiedergli più di farlo.

“Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza.

E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere”. 

L’ultimo lavoro di Ezio Bosso è stato “Grazie Claudio”, un omaggio a Claudio Abbado.

E’ stato proprio Bosso, infatti, a dirigere il concerto evento di Mozart14 per i cinque anni dalla scomparsa di Claudio Abbado.

Il direttore d’orchestra infatti ha chiamato a raccolta cinquanta musicisti delle migliori orchestre di tutto il mondo per unirsi all’European Union Youth Orchestra e agli amici della Europa Philharmonic Orchestra fondata da lui stesso, per ricordare uno degli artisti italiani più prestigiosi al mondo.

Noi di betapress vogliamo ricordare Ezio Bosso con le parole di cordoglio del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.

Il maestro Bosso era stato infatti ospite, lo scorso 15 settembre, di un grande appuntamento con il pubblico pugliese organizzato dalla Regione Puglia in Fiera del Levante.

“Ciao Ezio, uomo speciale, artista straordinario, amante della vita, dell’arte e della musica. Ho avuto la fortuna di conoscerti e di condividere con te momenti straordinari di empatia, di bellezza e di amicizia.

In queste ore ricordo con emozione la sala gremita di gente alla Fiera del Levante dove tu parlasti di musica, arte e talento.

Con la tua bacchetta hai saputo superare tutti i confini e gli steccati materiali e immateriali. Amavi ripetere che la magia che avete voi musicisti è quella ‘di stare nel tempo, di dilatare il tempo.

Per questo avevi scelto la musica, che consideravi una sorta di carezza inaspettata capace di cambiare in meglio il corso delle cose.

Perché è questo quello che fa la musica: dilata il tempo della felicità. La bellezza ci rende felici e il miracolo della musica è il miracolo della bellezza.

E’ questo l’insegnamento più importante che ci lasci in dono: la bellezza ha a che fare con la singolarità straordinaria e irripetibile di ciascun essere umano”.

Ci permettiamo di aggiungere che con Ezio Bosso il mondo della cultura perde una figura straordinaria.

Non solo un artista di rara sensibilità, ma un uomo che, durante la sua purtroppo breve vita, ha trasmesso i valori universali del dialogo e dell’incontro fra persone e culture.

Un uomo che non soltanto con la musica ha comunicato un grande impegno umano e sociale, il valore educativo delle arti.

Del suo sorriso sentiremo tutti la mancanza.

Lo vogliamo ricordare con due sue frasi:

“La disabilità è negli occhi di chi guarda, perché il talento è talento e le persone sono persone, con le ruote o senza” e

“La musica ci ricorda anche questo, prendersi cura, avere rispetto, far star bene, non confondere la quotidianità con l’eternità, i nostri piccoli poteri con l’assoluto”

Ciao, Ezio, ora voli per sempre, proprio Tu che ci hai insegnato a volare…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALEX DE ROSSO: ROCK IS NOT DEAD!

UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.

 




Museo virtuale o museo reale?

Nel clima di reclusione forzata che ha investito il nostro paese in seguito al diffondersi del Covid-19, abbiamo assistito al verificarsi di tendenze sostitutive al tradizionale stile di vita cui eravamo abituati.

La cosiddetta digitalizzazione dei servizi e dei prodotti ha repentinamente cambiato  le abitudini permettendo anche a chi non l’aveva mai fatto di immergersi nella realtà  virtuale per compiere viaggi e approdare poi alla visita dei musei dove, in una dimensione quasi onirica, inizia il viaggio tra le opere d’arte gelosamente custodite.

Le situazioni di crisi modificano le abitudini comportamentali e anche i più impreparati si sforzano di apprendere i rudimenti di internet per poter affrontare viaggi virtuali. Chi non conosceva le più prestigiose opere d’arte si può avvicinare con cautela a rimirarle.

Ma dobbiamo chiederci in che cosa si diversifica un’emozione esperita mentre osservi un qualcosa dal vivo rispetto ad un oggetto che immagini possa vivere e lo vedi filtrato da uno schermo.

L’oggetto virtuale è freddo, il tuo sguardo lo ammira ma non ne nota quei giochi di luce che lo esaltano nella sua eleganza artistica dal vivo.

Chi ha visitato solo i musei oggi disponibili virtualmente, a differenza di chi li ha visitati dal vivo, non potrà esprimere il vissuto di emozioni fissate in quei momenti  di estasi in cui la visita reale permetteva allo sguardo di perdersi nell’opera.

Basta andare su internet ed ecco che si apre la maschera delle disponibilità.

Un’offerta sicuramente appetibile: Pinacoteca di Brera, Galleria degli  Uffizi, Musei Vaticani e molti altri ancora. E poi possiamo trasferirci anche all’estero: Museo Archeologico di Atene, Prado, Louvre, British Museum, Metropolitan Museum, Heremitage, National Gallery of Art. Certamente l’essere in quarantena favorisce il desiderio di evasione e stacco da una realtà percepita come angosciante.

Dalla prigionia imposta dal  Covid-19 si può evadere e iniziare il nostro viaggio forse più concentrati che in una normale visita da turisti. Prevale nell’approccio digitale al museo un reale desiderio di  apprendere; si tratta di una scelta che aumenterà il bagaglio culturale del nostro  turista on line.

Ci chiediamo quanto venga però frustrato il desiderio di ammirazione  e contemplazione dal vivo.

Se ripensiamo alle teorie delle neuroscienze e prendiamo  come riferimento gli studi di Gallese, che ha ipotizzato che lo stesso meccanismo  dell’empatia che favorisce la sinergia con l’altro sta alla base del nostro provare un’emozione guardando dal vivo un’opera d’arte, possiamo ritenere che questo processo sia falsato nel guardare tramite lo schermo di un computer.

Le visite al museo online sono efficaci nel momento in cui permettono al soggetto di poter promuovere un apprendimento preparatorio al contatto reale con l’opera d’arte. Mi avvicino all’ambiente, seleziono prima ciò che sarà rilevante da vedere, approfondisco le mie conoscenze a tal punto che potrò arrivare a vedere l’opera d’arte arricchito da un bagaglio di informazioni che mi faranno fruire della bellezza di quel prodotto artistico.

Si possono forse verificare emozioni intense in un luogo non reale come quello della visita al  museo online?

Di fronte ad un quadro di  Fontana, per fare un esempio, Gallese afferma che “I neuroni si attivano come se dovessero squarciare la tela”; possiamo dunque ipotizzare che emozioni di tale portata si possano sperimentare solo in una visita reale.

Fortunatamente la decisione di riaprire i musei, rispettando le norme di sicurezza della distanza sociale, potrà permettere a molti visitatori online di potere affrontare l’emozione dal vivo nel contemplare l’opera d’arte.