Mes o Italexit inutili senza un Nuovo Contratto Sociale

La primavera sta passando via avvolta  nella distrazione e come ogni anno arriverà l’estate.

La gente torna nelle strade, nei negozi e nei ristoranti deserti per mesi.

Il tempo del corona-virus non è finito ma la normalità cerca disperatamente di recuperare un posto nelle nostre vite.

Un giorno si troveranno le parole per raccontare i mesi trascorsi tra paure ed incertezze.

Un giorno si riusciranno a spiegare meglio i limiti dello sviluppo sostenibile e la fragilità del pianeta e del consorzio umano.

Un giorno, ma non ora.

È troppo presto.

I contagi diminuiscono ed i reparti di rianimazione per la prima volta tornano a liberare qualche posto letto.

Eppure il virus è ancora tra noi, ci accompagna nelle nostre attività e frequenta probabilmente i nostri amici ed i nostri spazi di lavoro.

La scoperta di un vaccino risolverebbe parte dei problemi ma i protocolli di ricerca in Cina, Europa e Stati Uniti  non sono ancora in grado di presentare risultati definitivi.

La Pandemia ha soffiato via ogni certezza, attribuito poteri inediti alle classi di governo e messo in evidenza le criticità della politica e dei modelli di produzione e distribuzione della ricchezza in Italia e nel resto del mondo.

Il distacco, il “decoupling” tra paese reale e lo Stato dei pieni poteri è enorme e rischia di esplodere generando conflitti sociali profondi e permanenti.

La tempesta virale, infatti, ha colpito un mondo già alle prese con il rischio della recessione globale.

Il rallentamento dell’economia cinese con i suoi effetti di contagio globale  ha dominato l’agenda economica per tutto il 2019 pre covid.

Il blocco economico imposto dall’isolamento sociale per contrastare la diffusione del Virus si è abbattuto su una trama economica già indebolita con il risultato che molte attività produttive e commerciali non riapriranno le porte a lavoratori e clienti.

Il Fondo Monetario Internazionale è cauto e non sembra essere molto generoso con le previsioni macro economiche.

Gli economisti si limitano ad evocare il rischio evidente di un rallentamento di un 3% per l’economia globale ed un 9% per il nostro paese, con una ripresa incerta per il 2021 (Fonte FMI).

Il Word Economic Forum è andato oltre stimando un ribasso del pil mondiale del 20% ed il conseguente impatto sulle condizioni di vita nell’intero pianeta.

Il risultato è agghiacciante: la recessione mondiale potrebbe produrre oltre 500 milioni di nuove persone in condizioni di estrema  povertà.

 

Una previsione che, stando ai timori diffusi dalla Caritas, non risparmierà l’Italia.

Un immagine sbiadita che non sembra intimorire la politica italiana e neanche quella comunitaria che vivono in una realtà concettuale dominata da antichi totem e tabù.

Una tela di penelope riversa su sé stessa.

Del resto non potrebbe essere altrimenti se dopo mesi di isolamento sociale, migliaia di morti e fasce di popolazione alle prese con l’emergenza della povertà,  non sono ancora arrivate misure di sostegno economico concrete.

La situazione in ambito comunitario non sembra meno contraddittoria.

Il confronto, infatti, ha preso la direzione di un dibattito che vede l’Europa divisa non tanto sulla necessità di sostenere le comunità locali ma sulla declinazione giuridica degli interventi di supporto.

Si discute di Mes con o senza condizioni, di prestiti assistiti da garanzie o aiuti a fondo perduto, dimenticando che dietro sintassi e sostantivi c’è il dramma della sofferenza.

La paura ed il rischio della morte e della miseria non spaventano le “elites” di comando.

Il nemico pubblico diventa il timore evocato dalla ipotesi di parziale redistribuzione della ricchezza tra i paesi e le classi sociali della vecchia Europa.

I principi di unità e solidarietà alla base della mutualizzazione del debito non sono sufficienti a fare breccia nel cuore dei paesi rigoristi del blocco nordico e non c’è più molto tempo, ormai.

L’Unione europea, infatti, dovrà  finalizzare le misure già annunciate (Sure, Mes prestiti Bei e Recovery Fund)  in tempo utile con le ultime riunioni calendarizzate prima della lunga pausa estiva (18 e 19 giugno).

Sorge il dubbio che il termine del primo luglio, per la fase attuativa degli interventi delineati, potrebbe finire per non essere adeguato se si vorrà estendere il dibattito sui regolamenti attuativi e che il Recovery Fund potrebbe restare fuori dall’agenda delle prossime riunioni della Commissione essendo ancorato al bilancio pluriennale europeo per il quale  gli accordi tra gli stati membri e le regole di fiscalità comune sono ancora in alto mare.

In ambito domestico lo scenario politico si ripete e convive, con estrema disinvoltura, tra gli annunci trionfalistici delle conferenze stampa e l’inadeguatezza degli stimoli economici realizzati.

Il decreto “Rilancio” che il governo in carica ha adottato per sostenere il paese non aiuterà le imprese e le famiglie come sperato.

Ancora una volta il buon senso svela l’altra faccia della frattura tra paese reale e legale: quella della verità sommersa nei contenuti dell’informazione.

La percezione è che il nemico contro il quale misurarsi ogni giorno non sia più il Covid-19 ma la superficialità delle classi politiche al comando ferme alla gestione dei privilegi e dei maggiori poteri acquisiti nella fase dell’emergenza e più interessate alla forma che alla sostanza.

Una realtà che dovrebbe scuotere la coscienza popolare ed imporre un limite alla pazienza ed alla rassegnazione.

Le soluzioni per riappropriarsi dei sogni e alimentare la speranza di un futuro migliore ci obbligano ad una riflessione di ampio respiro.

La realtà economica e sociale post pandemica non sarà più quella di prima.

Un modello di crescita e di progresso sostenibile dovrà guardare ad un “Nuovo Contratto sociale” che ponga le premesse per una democrazia aggiornata alle sfide in atto ed ai ritmi della società digitale.

All’ordine del giorno dovranno porsi i principi di una nuova identità collettiva che riformi gli schemi ed i contenuti della rappresentanza istituzionale, della scuola, del lavoro, degli istituti di fiscalità ,

degli incentivi all’iniziativa economica, della lotta alle nuove povertà e alle moderne forme di criminalità.

I cardini portanti di un Contratto Sociale post covid dovranno trovare il migliore equilibrio tra una nuova carta dei diritti e dei doveri ed uno slancio altruista e solidale che valorizzi la promozione della “persona” in un pianeta sempre più digitale e connesso

In questa direzione occorre  dare vita ad “governo di solidarietà nazionale” che si occupi dell’emergenza e delle riforme indispensabili senza svendere i sogni e le speranze degli italiani.

Non abbiamo bisogno di inventarci nulla: sarà sufficiente recuperare la nostra storia ed i nostri valori.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fabio Delibra

 

 

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

Piano Marshall oggi più che mai!!

 




Luci ed ombre sul nuovo assetto della storia

Nella riunione dell’eurogruppo, durata appena tre ore, il problema dell’adesione al Mes, che pure aveva rappresentato un fardello ai lavori della Commissione europea negli ultimi mesi, si è risolto agevolmente.

L’oggetto della discordia, il Mes, ha diviso l’europa tra paesi del blocco nordico, fautori della frugalità e del rigore dei conti pubblici, da quelli dell’area mediterranea, alle prese con la recessione economica già da prima che la pandemia divampasse.

Eppure il Meccanismo Europeo di Stabilità ha rappresentato un principio, un articolato normativo, una Linea Gotica, per e della Germania, più che una reale misura di sostegno per i paesi aderenti in difficoltà.

Dopo la riunione di ieri, infatti, grazie al Mes, sarà operativa una nuova linea di credito disponibile dal 1° giugno che potrà essere utilizzata per le spese sanitarie dirette ed indirette a concorrenza del 2% del Prodotto interno lordo.

Per il nostro paese la manovra non dovrebbe superare i 36 miliardi di euro.

Una cifra inadeguata alle esigenze sanitarie del paese.

Perché tanta importanza, allora, a questo strumento il cui dibattito in sede comunitaria era stato inizialmente calendarizzato per il mese di luglio e poi  anticipato bruscamente a fine gennaio scorso e, cioè, al palesarsi dei primi sintomi del Covid 19 in Italia?

Non è facile capirci molto anche perché il gergo della maggioranza  e dei capi di Stato e di Governo dell’Unione è sempre stato smussato dai consulenti della comunicazione per i quali tra verità reali e presunte spesso non c’è soluzione di continuità.

Il regolamento 473/2013 relativo alle “disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro

si occupa della complessa vicenda richiamando nell’articolo 1 che il trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che gli Stati membri considerino le loro politiche economiche una questione di interesse comune, che le loro politiche di bilancio siano guidate dalla necessità di finanze pubbliche sane che non rischino di compromettere il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria.

L’articolo 1 è già di per sé esaustivo.

I principi richiamati non sono la solidarietà e la promozione sociale economica ed umana dei cittadini soprattutto in contesti di gravi crisi asimmetriche, come qualcuno avrebbe pensato, ma l’equilibrio dei conti pubblici, costi quel che costi.

E’ tuttavia la lettura del regolamento 472/2013, al titolo

sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati Membri nella zona euro che si trovino o rischino di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria” che ci permette una visione più chiara di cosa stia accadendo.

Nel dettato normativo, in sostanza, si attribuisce alla Commissione (art 2) la facoltà di sottoporre a sorveglianza rafforzata uno Stato membro che si trovi o rischi di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la sua stabilità finanziaria.

Il rafforzamento della sorveglianza economica scatta per i paesi che abbiano accettato di beneficiare di assistenza finanziaria a titolo precauzionale da uno o più stati membri o terzi, dal Mes …

o da altre istituzioni finanziarie, come il Fondo Monetario Internazionale, l’FMI (art 3).

Nei casi più gravi il Consiglio, a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, puo’ raccomandare misure correttive precauzionali o predisporre un progetto di aggiustamento macroeconomico  che avrà come obiettivi:

la riduzione del debito pubblico, il contenimento di pensioni e salari e la riforma dello Stato (art. 7).

Lo Stato membro soggetto al richiamato programma di aggiustamento macroeconomico che non avesse la capacità amministrativa di guidare la transizione verso gli equilibri di bilancio potrebbe essere assistito da personale tecnico messo a disposizione dalle istituzioni europee (art 8).

La lettura dei regolamenti citati dissipa ogni dubbio.

Attraverso il Mes, che è un “trigger”, un tecnicismo giuridico, non una vera e propria misura di sostegno economico, l’Unione monetaria può imporre politiche economiche rigoriste ai paesi che abbiano fatto richiesta di misure di sostegno fino a limitarne la sovranità economica e politica.

Il paese aderente, una volta richiesto l’intervento del Meccanismo europeo di stabilità, si vedrà costretto a siglare un’accordo di intesa

(MOU Memorandum of understanding) con la Commissione europea, la Bce ed il Fondo Monetario Internazionale (Troika) che daranno via al monitoraggio ed alla probabile imposizione di politiche economiche come previsto dai trattati e dai regolamenti citati.

Il caso della Grecia durante la crisi del 2010 ci torna in mente in modo prepotente.

Il programma di aggiustamento macroeconomico messo in opera dalla Troika ha prodotto, in quella occasione, tagli verticali a salari e pensioni, nuove forme di imposizione fiscale e tagliato il debito pubblico di oltre il 50%.

La cattiva notizia è che non esiste un “Mes light”.

Non esistono condizionalità attenuate a meno che non si metta mano alla modifica dei regolamenti richiamati.

Coloro che sostengono il contrario sono come quel banchiere che nel prendere le firme sulla pratica di mutuo al momento di presentare  le clausole di garanzia ed i provvedimenti in caso di morosità ci dicesse di non preoccuparci perché tanto la banca non li userà…!

Il tentativo del Commissario Gentiloni di presentare il Mes come un’iniziativa diretta al finanziamento delle spese sanitarie la cui condizionalità opererà soltanto su l’uso coerente dei fondi, non è credibile e fa il coro con le dichiarazioni dei numerosi politici e dirigenti  che nelle prossime ore cercheranno di presentare agli italiani come vittoria quella che invece è, e resterà, una sconfitta.

Né convinceranno le prese di distanza che anime della maggioranza di governo in italia porranno in essere, con lo scopo di rendere meno pesanti le ricadute di consenso delle politiche sostenute.

Del resto il paese è duramente colpito e le proiezioni su prodotto interno lordo, deficit, reddito ed occupazione non potranno che confermare l’impoverimento del nostro tessuto sociale ed economico.

Le misure di sostegno promesse dal Consiglio europeo, una volta accettato il Mes,  riposano, inoltre, sul bilancio dell’Unione 2021/2027 e prevedono finanziamenti importanti per l’economia comunitaria da spalmare in più esercizi ma senza un’unione fiscale:

lo scontro sulla mutualizzazione del debito dei paesi più in difficoltà non si risolverà facilmente e la parola d’ordine continuerà a rimare con rigore, tagli alla spesa, tasse patrimoniali e riduzione del debito pubblico esistente.

La Germania ha fatto del Mes la sua Linea Gotica, la linea difensiva fortificata lunga oltre 300 chilometri costruita dai soldati tedeschi nell’Italia centro settentrionale alla fine della seconda guerra mondiale con il fine di proteggere la madre patria germanica da una ipotetica controffensiva.

Linee fortificate di ieri fatte di montagne e costruzioni che rivivono oggi nelle parole, nelle normative e negli  atti di indirizzo politico ma la sostanza non cambia.

Sullo sfondo rimangono le macerie di un continente  europeo ancora alla ricerca di una propria identità.

In questi mesi, le riunioni delle assemblee decisionali dell’Unione sono state accompagnate, spesso precedute, da eventi negativi annunciati o temuti:

downgrade del debito pubblico

revisioni al ribasso delle stime economiche

sentenze avverse da parte di tribunali costituzionali ad interventi di sostegno economico già assunti da anni

(i.e. Quantitative Easing).

Campanelli d’allarme che ai malpensanti possono richiamare echi di complottismo ed ai miti  semplici casualità.

Non sorprenda, tuttavia ad entrambi, che la società Moody’s abbia lasciato inalterato il merito creditizio del paese nella riunione, anch’essa svoltasi nella giornata di ieri.

Non si dispiaceranno i miti lettori, se alle coincidenze, i maligni, dai quali ci  dissociamo, ne aggiungeranno un’altra: una data.

Quella dell’8 maggio.

Il Mes è adottato da ieri, 8 maggio 2020 e consegna alla Germania un primato sugli altri paesi.

Settantacinque anni fa un’altro 8 maggio regalava al mondo una speranza di pace: la resa senza condizioni della Germania nazista alle truppe alleate.

Fatti che s’inseguono quasi per caso e che parlano più di mille parole.

Se gli eventi conservano un’anima, se un filo lega i corsi storici, dovremo ricordare, a questo punto, che dopo la capitolazione della Germania

nazista e la fine della guerra, il Mondo dei “giusti” avvio’ un percorso di pacificazione che ebbe inizio con un Processo:

quello di Norimberga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano Marshall oggi più che mai!!

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

 




La creatività come compensazione positiva nei momenti di crisi

In un momento di crisi dovuto allo sconvolgimento creato da un virus aggressivo che può non lasciare scampo a chi non rispetta le regole, diviene sempre più impellente la ricerca di una strategia per gestire i vissuti di criticità che accompagnano le persone.

Il termine crisi è legato ai nostri spazi vitali che possono essere compromessi proprio dall’arrivo di un qualcosa che separa.

“Crisi” tradotto dal greco κρίσις indica proprio la separazione che implica anche una scelta.

La crisi inizialmente è vissuta con disagio perché collegata ad una situazione di malessere.

Sono in crisi perché ho perso degli affetti, sono in crisi perché non lavoro, sono in crisi perché ho fatto investimenti  sbagliati.

Una crisi non risolta può sviluppare effetti di grave disagio psichico ma nel  momento in cui si supera ci troviamo di fronte alla rinascita.

La crisi diviene quindi tappa di un processo evolutivo perché è un momento decisivo per attivare il cambiamento.

Nel termine essere in crisi è proprio insito il senso di mutamento e di trasformazione che permette di passare da un’accezione negativa ad una positiva.

La crisi è dunque qualcosa di perturbante che entra nell’esistenza di una persona producendo effetti più o meno gravi, si tratta di un turbamento profondo spesso anche della collettività e della società.

La crisi può altresì riguardare specifici  settori e si parla infatti di crisi dei valori, crisi dell’arte, crisi della letteratura e più in generale crisi esistenziale.

Entrare in crisi significa anche porre termine ad una situazione problematica e avviare un processo di risoluzione che passa attraverso  strategie di problem solving.

Oggi il virus ha creato l’improvviso passaggio da una situazione di  discreto benessere economico ad uno stato di depressione economica che crea nell’uomo stati emotivi quali la paura, l’inquietudine, l’ansia e l’angoscia nei casi più gravi.

La negata libertà di proiettarsi attraverso una progettualità nel futuro ci paralizza. La crisi può però rappresentare anche un’opportunità in quanto strumento necessario ed efficace per promuovere un cambiamento.

Albert Einstein nel suo testo “Il mondo come lo vedo io” dedica molte riflessioni al tema della crisi e la vede come occasione necessaria per il cambiamento. Si ritiene infatti che la creatività sia più  attiva  nei momenti di  elevata difficoltà.

Come afferma Einstein: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”.

In quest’ottica l’attività creativa può essere considerata life skills, indispensabile per un buon equilibrio psicofisico e per un positivo adattamento all’ambiente.

Per life skills si intendono tutte le abilità di carattere cognitivo, emotivo, sociale che supportano le persone  nel  fare fronte in maniera efficace ed utile ai bisogni ed alle sfide della vita di tutti i giorni.

La creatività viene dunque oggi riconosciuta come un’abilità cognitiva, che può servire alla persona per cambiare il suo punto di vista su una certa situazione e per trovare dunque soluzioni creative ai problemi che gli si  presentano nella vita.

Reagire alla distruzione causata dal Covid-19 significa promuovere un cambiamento dove il processo creativo assume un ruolo di primo piano.

Si tratta di reinventarsi in nuovi ruoli spesso trascurati o sconosciuti.

La “sindrome della capanna” che ci ha accomunato in questi  mesi ci ha permesso di esprimere la nostra creatività in ambiti diversi quali: l’arte culinaria, la pittura, la scultura, il gioco, la scrittura, il  collezionismo e tanto altro.

Non solo i giovani già predisposti in quanto nativi  digitali ma anche gli anziani hanno scoperto che è possibile socializzare creando  eventi con l’aiuto della tecnologia.

L’incontro con l’altro diviene in quest’ottica un processo creativo che ci permette di visitare l’amico e il parente con un semplice collegamento telematico.

L’abbraccio è virtuale ma nel nostro immaginario, se vogliamo, ne possiamo sentire il  calore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sperimentiamo! Dirigente Professori ed alunni per scrivere in modo creativo.

 




MES, nuova linea gotica tedesca.

Nella riunione dell’eurogruppo, durata appena tre ore, il problema dell’adesione al Mes, che pure aveva rappresentato un fardello ai lavori della Commissione europea negli ultimi mesi, si è risolto agevolmente.

L’oggetto della discordia, il Mes, ha diviso l’europa tra paesi del blocco nordico, fautori della frugalità e del rigore dei conti pubblici, da quelli dell’area mediterranea, alle prese con la recessione economica già da prima che la pandemia divampasse.

Eppure il Meccanismo Europeo di Stabilità ha rappresentato un principio, un articolato normativo, una Linea Gotica, per e della Germania, più che una reale misura di sostegno per i paesi aderenti in difficoltà.

Dopo la riunione di ieri, infatti, grazie al Mes, sarà operativa una nuova linea di credito disponibile dal 1° giugno che potrà essere utilizzata per le spese sanitarie dirette ed indirette a concorrenza del 2% del Prodotto interno lordo.

Per il nostro paese la manovra non dovrebbe superare i 36 miliardi di euro.

Una cifra inadeguata alle esigenze sanitarie del paese.

Perché tanta importanza, allora, a questo strumento il cui dibattito in sede comunitaria era stato inizialmente calendarizzato per il mese di luglio e poi  anticipato bruscamente a fine gennaio scorso e, cioè, al palesarsi dei primi sintomi del Covid 19 in Italia?

Non è facile capirci molto anche perché il gergo della maggioranza  e dei capi di Stato e di Governo dell’Unione è sempre stato smussato dai consulenti della comunicazione per i quali tra verità reali e presunte spesso non c’è soluzione di continuità.

Il regolamento 473/2013 relativo alle “disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro

si occupa della complessa vicenda richiamando nell’articolo 1 che il trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che gli Stati membri considerino le loro politiche economiche una questione di interesse comune, che le loro politiche di bilancio siano guidate dalla necessità di finanze pubbliche sane che non rischino di compromettere il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria.

L’articolo 1 è già di per sé esaustivo.

I principi richiamati non sono la solidarietà e la promozione sociale economica ed umana dei cittadini soprattutto in contesti di gravi crisi asimmetriche, come qualcuno avrebbe pensato, ma l’equilibrio dei conti pubblici, costi quel che costi.

E’ tuttavia la lettura del regolamento 472/2013, al titolo

sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati Membri nella zona euro che si trovino o rischino di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria” che ci permette una visione più chiara di cosa stia accadendo.

Nel dettato normativo, in sostanza, si attribuisce alla Commissione (art 2) la facoltà di sottoporre a sorveglianza rafforzata uno Stato membro che si trovi o rischi di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la sua stabilità finanziaria.

Il rafforzamento della sorveglianza economica scatta per i paesi che abbiano accettato di beneficiare di assistenza finanziaria a titolo precauzionale da uno o più stati membri o terzi, dal Mes …

o da altre istituzioni finanziarie, come il Fondo Monetario Internazionale, l’FMI (art 3).

Nei casi più gravi il Consiglio, a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, puo’ raccomandare misure correttive precauzionali o predisporre un progetto di aggiustamento macroeconomico  che avrà come obiettivi:

la riduzione del debito pubblico, il contenimento di pensioni e salari e la riforma dello Stato (art. 7).

Lo Stato membro soggetto al richiamato programma di aggiustamento macroeconomico che non avesse la capacità amministrativa di guidare la transizione verso gli equilibri di bilancio potrebbe essere assistito da personale tecnico messo a disposizione dalle istituzioni europee (art 8).

La lettura dei regolamenti citati dissipa ogni dubbio.

Attraverso il Mes, che è un “trigger”, un tecnicismo giuridico, non una vera e propria misura di sostegno economico, l’Unione monetaria può imporre politiche economiche rigoriste ai paesi che abbiano fatto richiesta di misure di sostegno fino a limitarne la sovranità economica e politica.

Il paese aderente, una volta richiesto l’intervento del Meccanismo europeo di stabilità, si vedrà costretto a siglare un’accordo di intesa

(MOU Memorandum of understanding) con la Commissione europea, la Bce ed il Fondo Monetario Internazionale (Troika) che daranno via al monitoraggio ed alla probabile imposizione di politiche economiche come previsto dai trattati e dai regolamenti citati.

Il caso della Grecia durante la crisi del 2010 ci torna in mente in modo prepotente.

Il programma di aggiustamento macroeconomico messo in opera dalla Troika ha prodotto, in quella occasione, tagli verticali a salari e pensioni, nuove forme di imposizione fiscale e tagliato il debito pubblico di oltre il 50%.

La cattiva notizia è che non esiste un “Mes light”.

Non esistono condizionalità attenuate a meno che non si metta mano alla modifica dei regolamenti richiamati.

Coloro che sostengono il contrario sono come quel banchiere che nel prendere le firme sulla pratica di mutuo al momento di presentare  le clausole di garanzia ed i provvedimenti in caso di morosità ci dicesse di non preoccuparci perché tanto la banca non li userà…!

Il tentativo del Commissario Gentiloni di presentare il Mes come un’iniziativa diretta al finanziamento delle spese sanitarie la cui condizionalità opererà soltanto su l’uso coerente dei fondi, non è credibile e fa il coro con le dichiarazioni dei numerosi politici e dirigenti  che nelle prossime ore cercheranno di presentare agli italiani come vittoria quella che invece è, e resterà, una sconfitta.

Né convinceranno le prese di distanza che anime della maggioranza di governo in italia porranno in essere, con lo scopo di rendere meno pesanti le ricadute di consenso delle politiche sostenute.

Del resto il paese è duramente colpito e le proiezioni su prodotto interno lordo, deficit, reddito ed occupazione non potranno che confermare l’impoverimento del nostro tessuto sociale ed economico.

Le misure di sostegno promesse dal Consiglio europeo, una volta accettato il Mes,  riposano, inoltre, sul bilancio dell’Unione 2021/2027 e prevedono finanziamenti importanti per l’economia comunitaria da spalmare in più esercizi ma senza un’unione fiscale:

lo scontro sulla mutualizzazione del debito dei paesi più in difficoltà non si risolverà facilmente e la parola d’ordine continuerà a rimare con rigore, tagli alla spesa, tasse patrimoniali e riduzione del debito pubblico esistente.

La Germania ha fatto del Mes la sua Linea Gotica, la linea difensiva fortificata lunga oltre 300 chilometri costruita dai soldati tedeschi nell’Italia centro settentrionale alla fine della seconda guerra mondiale con il fine di proteggere la madre patria germanica da una ipotetica controffensiva.

Linee fortificate di ieri fatte di montagne e costruzioni che rivivono oggi nelle parole, nelle normative e negli  atti di indirizzo politico ma la sostanza non cambia.

Sullo sfondo rimangono le macerie di un continente  europeo ancora alla ricerca di una propria identità.

In questi mesi, le riunioni delle assemblee decisionali dell’Unione sono state accompagnate, spesso precedute, da eventi negativi annunciati o temuti:

downgrade del debito pubblico

revisioni al ribasso delle stime economiche

sentenze avverse da parte di tribunali costituzionali ad interventi di sostegno economico già assunti da anni

(i.e. Quantitative Easing).

Campanelli d’allarme che ai malpensanti possono richiamare echi di complottismo ed ai miti  semplici casualità.

Non sorprenda, tuttavia ad entrambi, che la società Moody’s abbia lasciato inalterato il merito creditizio del paese nella riunione, anch’essa svoltasi nella giornata di ieri.

Non si dispiaceranno i miti lettori, se alle coincidenze, i maligni, dai quali ci  dissociamo, ne aggiungeranno un’altra: una data.

Quella dell’8 maggio.

Il Mes è adottato da ieri, 8 maggio 2020 e consegna alla Germania un primato sugli altri paesi.

Settantacinque anni fa un’altro 8 maggio regalava al mondo una speranza di pace: la resa senza condizioni della Germania nazista alle truppe alleate.

Fatti che s’inseguono quasi per caso e che parlano più di mille parole.

Se gli eventi conservano un’anima, se un filo lega i corsi storici, dovremo ricordare, a questo punto, che dopo la capitolazione della Germania

nazista e la fine della guerra, il Mondo dei “giusti” avvio’ un percorso di pacificazione che ebbe inizio con un Processo:

quello di Norimberga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano Marshall oggi più che mai!!

Pandemia Finanziaria, cui prodest?

 




Complottismo, o mio complottismo…

Complotto sì o complotto no?

Benché ci muoviamo ancora nel campo delle ipotesi, più o meno comprovate a seconda dell’autorevolezza degli analisti, credo sia opportuno porsi questa domanda, perché è strettamente legata a quello che ci accadrà dopo, ossia dopo la fine dell’emergenza, sia sul piano economico che politico.

Infatti, sulla base dei dati e dell’analisi di cui siamo conoscenza, a mio parere, è urgente comprendere se, dietro tutto questo, c’è un disegno, e di quale disegno si tratta, oppure, se gli sviluppi del capitalismo degli ultimi decenni, lasciati per così dire a briglia sciolta, siano responsabili di quanto sta accadendo. 

In entrambi i casi, ci viene data l’opportunità di mostrare, anche dinanzi a chi è più chiuso nel suo piccolo mondo antico, sperando illusoriamente di salvarsi, che questo sistema non regge, è foriero di morte e di distruzione per l’umanità tutta intera e per la natura stessa, dal cui grembo siamo stati partoriti.

Prima di andare avanti nella direzione tracciata, vorrei soffermarmi brevemente sulla cosiddetta teoria del complotto.

Come è noto, di complotti, è seminata la storia, basta pensare alle attività di Catilina contro il Senato romano, o all’assassinio di Giulio Cesare da parte di un gruppo di congiurati, tra cui il figlio adottivo Bruto.

Chi ha un po’ di sensibilità storica, sa benissimo che le grandi trasformazioni storiche non si realizzano per le scelte politiche episodiche di gruppi più o meno agguerriti; il complotto, se effettivamente viene orchestrato nel segreto, non è che l’ultimo atto di una strategia politica elaborata da una certa forza sociale, forza sociale a cui corrispondono, in termini marxisti, ben precise classi o alleanze tra classi.

Per esempio, il colpo di Stato del Termidoro, termine poi divenuto paradigmatico, con cui furono arrestati e giustiziati RobespierreSaint JustCouthon, rappresentanti della sinistra giacobina, fu attuato da un’altra fazione del Comitato di Salute pubblica che, benché avesse partecipato al Terrore, si opponeva all’estremismo dei sanculotti e faceva gli interessi della nuova borghesia.

Ma torniamo al caso nostro, ossia all’ormai tanto famoso coronavirus, il cui tasso di letalità secondo calcoli sbagliati, forniti dall’Istituto superiore di sanità, è stato individuato nel 5,8% dei contagiati. 

Notizia che inevitabilmente (e volutamente?) ha terrorizzato la popolazione.

In questi giorni, siamo stati inondati dai pareri più disparati, di esperti veri e falsi, di personaggi noti al grande pubblico, di analisti politici, di propagandisti, che ci elargiscono tesi, ci dispensano consigli (vorrei sapere quanto paghiamo gli spot televisivi), e ci invitano ad essere un tutt’uno contro la pandemia, come se fossimo in guerra, contro un nemico comune.

 Ma non è così!

Altro che bandiere italiane ed inno di Mameli, il vero nemico è interno all’Italia ed è rappresentato da individui ben precisi e dagli interessi che essi rappresentano.

Come, per esempio, chi ha emanato lo stato di emergenza nella Gazzetta ufficiale, il primo febbraio per 6 mesi, in seguito alla presa di posizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, senza mettere in risalto questa notizia e facendola seguire da misure a singhiozzo e spesso contraddittorie, come ha dimostrato il persistere di attività lavorative in settori non essenziali (armi), la mancata disponibilità di strumenti protettivi che lo Stato stesso avrebbe dovuto distribuire alla popolazione.

Oppure, chi in nome del privato che è più efficiente (in realtà più redditizio), ha chiuso ospedali, strutture sanitarie e dato agevolazioni fiscali a privati.

O ancora, chi ha tagliato i fondi alla ricerca e all’università, facendo sì che – secondo la stessa OMS – oggi ci manchino 50.000 infermieri e probabilmente 45.000 medici, creando così un buco stratosferico che cerchiamo di riempire con aiuti provenienti da “odiati” paesi (Cuba, Cina, Venezuela), che, evidentemente, di fronte alle emergenze, funzionano meglio della “democratica” Italia.

Ma torniamo al nocciolo della questione, cioè al tema principale dell’articolo.

Esistono due tesi fondamentali:

1) “la distruzione sempre più veloce degli habitat”;

2) la costruzione in laboratorio del coronavirus che ha generato l’attuale pandemia, o la sua diffusione voluta o casuale, indipendentemente dalla sua origine.

Questi due tesi, che non credo si escludano reciprocamente, sono sostenute da vari studiosi, esperti, analisti internazionali.

In un articolo uscito su Le Monde diplomatique (Contro le pandemie, l’ecologia, marzo 2020) la giornalista statunitense, di origini indiane, Sonia Shah, scrive: “Dal 1940, centinaia di microbi patogeni sono comparsi o riapparsi in aree in cui in alcuni casi non si erano mai visti prima.

È il caso dell’immunodeficienza umana (Hiv), dell’Ebola nell’Africa occidentale e della Zika nel continente americano.

La maggior parte di essi (60%) è di origine animale.

Alcuni provengono da animali domestici o da allevamento; più di due terzi da animali selvatici”.

Come altri studiosi, la giornalista statunitense ritiene che: “la maggior parte di questi microbi vive al loro interno [degli animali] senza far loro alcun male.

Il problema è un altro: con il dilagare della deforestazione, dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, abbiamo dato a questi microbi i mezzi per arrivare fino al corpo umano e adattarsi”.

Altri studiosi convergono su questo tipo di riflessione, sottolineando che alcune zone della Cina sono state caratterizzate da questi processi come rapida urbanizzazione, industrializzazione dell’attività agropecuaria, integrazione alle nuove catene del valore sviluppati in maniera accelerata, dai quali sono scaturite le condizioni per la rapida mutazione del virus e per il cosiddetto “passaggio di specie”.

Come scrive il periodico on line Scienzainrete, questo fenomeno “sempre avvenuto, da quando esiste la vita, è favorito principalmente da due fattori”: i ricettori cellulari sono simili in specie diverse e la prolungata vicinanza fra uomini e animali.

Da queste considerazioni, si evince la ragione per la quale la Lombardia costituisce il centro dell’infezione, proprio per il semplice fatto che probabilmente, per la sua intensità industriale, costituisce la regione più inquinata d’Europa.

Si tenga inoltre presente che il contesto descritto negli ultimi decenni ha dato vita ad epidemie che si sono susseguite con maggiore frequenza, come la SARS (2002-03), influenza suina H1N1 (2009), il MERS Covid (2012), l’Ebola (2014-16), lo zika (2015) e il dengue (2016).

Epidemie di cui dobbiamo attribuire tutta responsabilità al capitalismo e alle sue dinamiche distruttive e perverse.

A questo punto, vorrei rispondere alla seconda domanda: il SARS-COVID-2 (Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2), noto più semplicemente come COVID-19, è stato prodotto in un laboratorio, innescandone la mutazione, e poi involontariamente o volontariamente diffuso o disperso, anche nel caso in cui costituisca un organismo non manipolato?

L’ipotesi della diffusione involontaria dei virus non è del tutto scartata dal Bulletin of Atomic Scientists, nel quale si può leggere la descrizione del laboratorio di Plum Island, situato alla foce del Long Island Sound vicino a New York, il cui obiettivo è quello di operare nel campo della bio-sicurezza, altamente sviluppatasi dopo l’11 settembre.

Secondo questo studio, è affare dato che “nessun laboratorio è perfetto”, e dunque che è possibile che gli agenti patogeni delle malattie lì studiate possano in qualche modo sfuggire e colpire gli abitanti circostanti per poi espandersi ulteriormente.

Passiamo invece alla tesi assai discussa della diffusione volontaria del virus.

Come è noto, il presidente Trump insiste nel chiamare il Covid-19 il “virus cinese”, in questo seguito da settori filoamericani, che intendono cogliere ancora una volta l’occasione di demonizzare la Cina, considerando addirittura gli aiuti pervenutici da questo paese una sorta di cavallo di Troia.

Ovviamente tale associazione (Cina/virus) è fortemente respinta dal governo cinese, che nella persona del portavoce del Ministero degli Esteri, Lijan Zhao, in un tweet del 12 marzo, ha accusato gli Stati Uniti di non aver informato il mondo sulle numerose morti lì avvenute, sulla data del ritrovamento del cosiddetto paziente zero, insinuando che sia stato lo stesso esercito statunitense ad aver introdotto il virus a Wuhan in occasione dei giochi sportivi militari tenutosi a in questa città nell’ottobre del 2019.

L’ipotesi formulata dai cinesi è sposata dal giornalista brasiliano Pepe Escobar, il quale scrive che, essendo la Cina oggi il centro dell’economia mondiale, essendo diventata il socio commerciale di circa 130 paesi e avendo firmato solo nel 2019 contratti per la costruzione di infrastrutture per 128 miliardi di dollari, costituisce effettivamente – come ha affermato Trump – la più grande minaccia economica e militare per gli Stati Uniti.

Come si può ben capire, ci troviamo costretti a questo punto a parlare di guerra batteriologica o biologica, ossia di qualcosa di cui, nei tempi della cosiddetta guerra ibrida, bene o male tutti noi abbiamo sentito parlare o visto rappresentare magari in qualche film commerciale.

Ma che dati abbiamo su questo aspetto della questione?

Inevitabilmente ne menzionerò solo alcuni che mi sembrano importanti disposta ad accettare ulteriori informazioni da chi vorrà fornirmele.

La storia ci ricorda vari episodi di guerra batteriologica/biologica, di cui si resero responsabili gli antichi greci, i cartaginesi, gli spagnoli e gli inglesi nel Nuovo Mondo; infatti, sappiamo con certezza che questi due ultimi gruppi scientemente regalarono ad esponenti delle nazioni originarie indumenti appartenuti ad individui infettatati dal vaiolo, che – come è noto – fu una delle più rilevanti cause dello sterminio degli indo-americani.

Ernesto Burgio, medico pediatra, esperto di epigenetico e medicina molecolare, presidente del Comitato scientifico della Società italiana di Medicina ambientale (SIMA), fa notare che vi sono ragioni economiche (rapporto costi/benefici) che fanno delle armi biologiche un utile strumento: “Secondo stime un po’ semplicistiche, ma attendibili, la potenzialità bio-distruttiva di un grammo di spore di antrace è pari a quella di 700 grammi di plutonio da fissione, di 70 chilogrammi di gas nervino, di tre tonnellate di bombe al cluster”.

Detto in soldoni, ciò significa che con un po’ di spore di antrace si fanno fuori milioni di esseri umani a bassissimo costo (V. Armi biologiche e guerra (infinita) al pianeta).

Purtroppo per chi ha intenzione di far uso di tali strumenti di morte, scrive sempre Burgio, le armi biologiche “sono praticamente incontrollabili”, giacché “ogni volta che un microrganismo patogeno comincia a circolare all’interno della biosfera, la durata della sua permanenza in essa e il suo percorso sono assolutamente imprevedibili” (Ibidem).

E quindi è del tutto possibile che il diffusore stesso rischi di infettarsi e di infettare i suoi compatrioti.

Secondo la costituzionalista venezuelana M. Alejandra Díaz, intervistata da Telesur, vi sono delle ricerche, per esempio, quella di uno studioso venezuelano di nanotecnologie che ha tracciato la mappa genetica del virus, arrivando alla conclusione che esso sarebbe il risultato della combinazione di vari virus; mentre dalla ricerca di uno studioso cinese si ricaverebbe che il Covid-19 scaturisce dall’unione di segmenti tratti dall’HIV e dalla SARS.

La Signora Díaz, membro dell’Assemblea nazionale costituente del Venezuela, è convinta – come il già citato giornalista brasiliano – che il virus responsabile dell’epidemia in Cina sia uscito dai laboratori statunitensi, in effetti numerosi a partire dal secondo dopoguerra e moltiplicatisi dopo l’11 settembre.

La costituzionalista latino-americana sostiene che gli Stati Uniti stanno distruggendo il sistema di ordine internazionale da loro stessi creato dopo la Seconda guerra mondiale, e che stanno imponendo uno stato di eccezione mondiale, in cui il diritto viene sospeso e conta solo la forza.

In particolare, secondo questa ipotesi il Covid-19 sarebbe stato creato per colpire la Cina, facendone rallentare l’economia e danneggiando così anche quei paesi, come la Russia e l’Iran, che riforniscono l’ex impero celeste di petrolio e di gas.

Con questo atto, gli Stati Uniti avrebbero attaccato contemporaneamente i loro più acerrimi nemici: la Russia che li sfida sul piano tecnologico-militare e la Cina che li sta surclassando sul piano economico.

D’altra parte, fonti autorevoli, come il giornale Nature Medicine, considerano improbabile che il nostro virus sia il prodotto di una manipolazione fatta in un laboratorio di virus dello stesso tipo, perché tali cambiamenti possono anche avvenire per via naturale.

Inoltre, diversi esperti ci spiegano che è possibile distinguere tra le mutazioni dei virus prodotte in laboratorio attraverso l’inserimento nel genoma di un virus di pezzi del RNA di altri agenti patogeni, e quelle prodotte secondo il principio della selezione naturale, che avvengono in maniera graduale e uniforme.

Da parte sua, il biologo Paolo Massucci, ritiene che l’origine naturale o artificiale di un virus si può desumere, su basi probabilistiche, dallo studio delle sequenze variate di materiale genetico.

L’eventuale presenza, ad esempio, in un nuovo virus, di sequenze provenienti dai virus normalmente utilizzati nei laboratori a scopi di ingegneria genetica, fa propendere per l’ipotesi di una manipolazione umana.

Ma si tratta di un’indagine complessa che non sempre fornisce risultati certi e definitivi.

In ultima istanza, quindi sembrerebbe che, nonostante il dibattito sia acceso, gli epidemiologi e altri studiosi del settore sembrano escludere la produzione artificiale del COVID-19, mentre considerazioni di carattere geopolitico potrebbero suffragare una diversa ipotesi non necessariamente fondata sulla manipolazione del virus, ma più probabilmente sull’idea della diffusione casuale e/o volontaria del virus.

Richiamandomi un’altra volta al Burgio, vorrei aggiungere qualche altra rapida riflessione sulla storia della guerra biologica / batteriologica.

L’eminente studioso ricorda che durante la Seconda guerra mondiale giapponesi e tedeschi sperimentarono gli effetti di agenti patogeni su cavie umane, e che molti di loro furono assoldati successivamente dagli Stati Uniti, con la mediazione di Henry Kissinger e Allen Dulles, per lavorare nei laboratori di quel paese.

Scrive Burgio: “il programma americano per la guerra biologica, partito con un certo ritardo nel 1942, fu in grado di recuperare il tempo perduto nell’immediato dopoguerra, anche grazie alla preziosa collaborazione degli scienziati giapponesi della famigerata Unità 731, che avevano disseminato la Cina di pulci portatrici del bacillo della peste”.

Nel periodo della Guerra fredda entrambe le parti in lotta portarono avanti queste ricerche sviluppando “batteri, virus e tossine sempre più micidiali”, fino al momento in cui Stati Uniti ed Inghilterra presero la decisione di vietare le cosiddette armi dei “poveri” e sviluppare sempre più la guerra tecnologicamente più costosa, promuovendo la Biological Weapons Convention del 1972, per tenere a freno i paesi più litigiosi.

La Convenzione fu poi osteggiata da Clinton e da Bush, osserva Burgio, perché – riassumendo -: “proprio in quegli anni e proprio nei laboratori americani, si stava realizzando la rivoluzione tecnologica che avrebbe sconvolto il mondo della genetica e fornito agli scienziati gli strumenti necessari a trasformare innocui microrganismi in microscopiche bombe intelligenti, più potenti di qualsiasi arma mai costruita”.

Con questa rivoluzione gli scienziati, dotati o no di una sensibilità etica, si trovarono in mano i mezzi forniti dall’ingegneria genetica, con i quali è possibile “modificare e manipolare con una certa precisione il codice stesso della vita”.

Ovviamente queste scoperte trovarono immediatamente applicazioni che garantivano a imprese come la Geniatech, fondata dal premio Nobel Paul Berg, immensi profitti e mostrarono l’impossibilità di opporre ostacoli al proliferare di ricerche in questo campo, in cui per di più non è facile distinguere tra il loro uso difensivo e quello offensivo.

Quali sono le conclusioni che traggo da queste informazioni?

Molto rapidamente vorrei osservare che nessuno nega che il tardo capitalismo sta vivendo una crisi letale, dalla quale si può uscire solo trasformando dalle fondamenta il sistema attuale basato su micidiali conflitti e su strategie distruttive.

Purtroppo, l’unica via di uscita che immaginano i decisori mondiali, è quella di far pagare, ancora una volta, la terribile crisi alle masse popolari, attraverso politiche di austerità draconiana e con l’uso dello stato di eccezione mondiale, come suggeriva la Signora Díaz.

Dunque, il panico suscitato dalla diffusione volontaria o involontaria del COVID-19 sembra risultare assai utile a farci tacere e sottomettere ancora una volta, senza scartare l’ipotesi della guerra ibrida tra potenze.

Almeno avessimo imparato dalla storia…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Italexit?

Trump Presidente: l’america segue Clint Eastwood

Coronavirus, stare dall’altra parte!

 




Esame sì, esame no, esame boom…

Ragazzi, avete il cervello elastico? Usatelo. E soprattutto divertitevi…

Sembra il gioco delle tre carte.

Prendi l’esame, togli l’esame, rimetti l’esame.

Tutti in presenza, Tutti a distanza, ognuno a casa sua.

Noi a scuola, voi a casa, i genitori lì a suggerire.

Voi a casa, noi a scuola” che è giusto così, con quello che paghiamo i prof per stare a casa, almeno li facciamo un po’lavorare “

Tesina scritta, tesina parlata, tesina consegnata, tesina spiegata.

In formato cartaceo, in formato digitale, in formato “Andate tutti a c ….e.

Che intanto chi mi boccia più?!?”

Sorpresa: l’esame di terza media, come già detto è saltato, ma la tesina, almeno quella, potrà (e dovrà) essere discussa con i propri prof, anche se in modalità telematica.

Pensa che ti ripensa, quelli del Miur, si sono detti “Ma vogliamo far vedere che ci pensiamo noi ad affrontare e risolvere i problemi reali di un Paese allo sbando?!?”

Ecco a voi, un piccolo brivido, per mezzo milione di quattordicenni italiani e per le loro famiglie.

Fino a ieri, poveri alunni, tutti convinti – perché così lasciava intendere il decreto scuola emanato il mese scorso – che bastasse consegnare la tesina ai prof, come un qualunque altro compito fatto da casa, e ciao.

E invece no.

Mai dire mai, nella scuola, come nella vita.

Non ci sarà il tema, né i due scritti di matematica e di lingue, perché, quello, oramai, l’avevamo detto e non si può più tornare indietro.

Ma almeno una specie di orale si farà.

E lo si farà prima dello scrutinio finale, non in presenza, ma lo si farà.

Sarà una specie di simulazione dell’orale saltato, che d’altronde anche in tempi normali si fa sempre e solo con i propri prof (in terza media, a differenza della Maturità, non ci sono mai stati i commissari esterni).

Per i ragazzi sarà un modo per mettersi alla prova, ma anche un’ultima occasione per salutare i propri insegnanti, che dall’anno prossimo non vedranno più.

Ma attenzione, quest’idea, vincente, è stata partorita dal basso, non dall’ alto, è nata direttamente dagli addetti al lavoro, che nella scuola ci vivono e ci lavorano, sul serio.

L’istituto Manin di Roma, infatti, aveva già deliberato qualche giorno fa, di far fare comunque l’esame orale a distanza ai propri alunni per non privarli di questo rito di passaggio.

Sin dall’inizio, i professori e la dirigente di questa scuola, hanno detto no alla sola tesina consegnata, ma non discussa, scegliendo, contro corrente, di prevedere, anche per gli studenti più giovani che si preparano alle scuole superiori, un rito di passaggio un po’più formale.

Così, la tesina è diventata una sorta di mini-maturità per dare, anche ai ragazzi più giovani, come a quelli più grandi, l’idea di superare un «reale» ostacolo, forse un po’ più difficile della «semplice» tesina, ma che faccia provare davvero quell’emozione e quel pizzico di sana paura, tipica della notte prima degli esami.

L’idea è stata avanzata direttamente dai professori.

«Sono loro – racconta fiera la dirigente dell’Istituto Manuela Manferlotti – a fare la differenza, a garantire una marcia in più alla nostra scuola, dove la didattica a distanza, pur con tutti i limiti strumentali del caso, sta funzionando».

«Ho accolto di buon grado la proposta dei miei insegnanti perché trovo giusto non far defluire troppo in fretta questo momento di crescita importante, questa emozione – spiega la Manferlotti –

E’un modo per dare maggior concretezza e dignità ad un esame che altrimenti si prospetta completamente anonimo e a distanza».

Applaude l’iniziativa il presidente dei presidi del Lazio Mario Rusconi:

«Mi sembra particolarmente interessante che, pur nel rispetto di tutte le disposizioni normative, durante il periodo della didattica a distanza, si dia impulso a questa sorta di simulazione dell’interrogazione orale, un modo professionale e innovativo di accogliere le giuste aspettative di alunni e famiglie».

Per fortuna che qualcuno l’ha capito ed ha agito di testa propria, dando un input al ministero!

Ma attenzione!

Quanto peserà la discussione della tesina nel voto finale?

Come ha spiegato ieri nell’incontro con i sindacati il nuovo uomo forte del ministero Max Bruschi, già consulente della ministra Gelmini scelto da Azzolina per guidare il Dipartimento del sistema educativo di istruzione e formazione, la tesina sarà il tassello finale di un processo di valutazione «olistica», in cui il consiglio di classe prenderà in considerazione l’intero percorso svolto dagli alunni nel corso dei tre anni.

Ma davvero?!?

Soppesando insieme alle competenze acquisite (leggi: i voti nelle singole materie) anche la maturazione raggiunta (leggi: il giudizio sulla condotta).

Il voto finale, come sempre, sarà in decimi, con anche la lode per i più bravi (e responsabili).

Ma guarda, non ci avevamo pensato, per fortuna che quelli del Miur, ce lo dicono loro, dall’alto…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buona Notte, cara Ministra, vada a dormire, che è meglio…

Riaprire la Scuola

 




La vera Guerra inizia adesso

L’orribile pandemia ha seminato morte e sofferenza ma anche cambiato il nostro dizionario quotidiano, forse, per sempre.

La “Fase Uno” e la “Fase due” ci tormentano da mesi: la prima con il suo carico di ansia e terrore, la seconda con trame intrise di speranza.

La speranza di un ritorno alla normalità, al lavoro, agli aperitivi con gli amici dove trovare il tempo perfino di annoiarsi.

Il Mondo è tornato a vivere, nei parchi e negli spazi pubblici si gioca e si corre forse per dimenticare il confino quella realtà aliena vissuta sin dal giorno della pubblicazione del decreto di marzo sul distanziamento e l’isolamento sociale.

Eppure non stiamo sognando.

La fase due ci permette di pensare che sia tutto finito, ma non è cosi.

Il Virus ancora circola liberamente e nessun vaccino è stato ancora messo a punto nei centri di ricerca.

Cosi’, accanto ai morti, balzano ai nostri occhi i danni economici.

Molti esercizi commerciali, quelli dove per anni abbiamo preso il caffè o mangiato il gelato, non riapriranno più.

Si è perso tempo.

L’emergenza è stata gestita con il ricorso ad un “management by necessity” culminato con decisioni non condivise e nomine di consiglieri economici e staff tecnici senza prestare attenzione alle indicazioni esistenti, si pensi al “Piano Nazionale di risposta a una pandemia influenzale”, operativo già dal 2008.

La debolezza del paese, unita alla opacità degli intenti messi in campo dalla sua classe dirigente, hanno trovato la massima forma espressiva in sede europea.

Cosi’ il tema degli aiuti all’emergenza sanitaria diretti e indiretti ed il sostegno ai sistemi economici sono diventati merce di scambio per l’unica cosa che interessa all’Unione a trazione tedesca:

l’attivazione delle condizionalità previste dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e che consentiranno di imporre ai paesi aderenti in difficoltà “ricette” di politica economica draconiane per ricondurre in equilibrio i conti pubblici. (Art.7 Reg 472/2013).

Una vera e propria usurpazione di sovranità già tristemente sperimentata dalla Grecia per la quale, nella crisi nel 2010, i programmi di aggiustamento macroeconomico imposti dalla Troika (Commissione

europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Europea degli Investimenti) hanno portato a forti riduzioni della spesa pubblica e tasse fino al taglio dei crediti detenuti dal settore privato nella misura di oltre il 50%.

D’altronde i fatti sono sotto gli occhi di tutti.

Dal picco dell’epidemia l’Unione europea si è chiusa intorno alle analisi sugli effetti delle asimmetrie finanziarie piuttosto che sulle cause e sulle misure di sostegno dividendo cosi popoli e paesi.

Il Consiglio d’Europa del 23 aprile scorso alla presenza dei capi di stato e di governo, convocato per superare l’impasse nella quale erano finiti i lavori dell’eurogruppo ha soltanto puntualizzato i termini del dibattito.

Il varo dei Recovery Fund (collegati al bilancio della Unione 2021-2027), la concessione di 540 miliardi euro suddivisi tra il fondo Sure (Support to mitigate Unemployment risck in an emergency),

una sorta di cassa integrazione europea, per 100 md, Mes fino a 240 miliardi per spese sanitarie dirette ed indirette ed un pacchetto di aiuti per 200 miliardi destinati a piccole e medie imprese con l’intervento diretto della Banca Europea degli Investimenti (BEI).

Non c’era bisogno di ribadire, nella riunione, il rifiuto alla proposta italiana incentrata sulla emissione di euro bond (coronabond) o l’intento di spedire in soffitta le condizionalità del Fondo Mes.

A quest’ultimi, infatti, si erano già date ampie risposte con la votazione del parlamento europeo del 17 aprile che sulla “risoluzione sulla azione coordinata della UE per lottare contro

la pandemia del covid19” ha escluso il varo dei coronabond ed esortato i paesi aderenti all’uso del Mes con un’ampia maggioranza.

E’ evidente che la Germania ed i paesi del blocco nordico abbiano fatto diventare il Mes un’autentica “Linea Gotica”.

Negli ultimi mesi la politica italiana si è dovuta confrontare con un forte fuoco di sbarramento sui meccanismi condizionati voluti dall’Unione provenienti dalle opposizioni ma anche da gruppi del Movimento 5 stelle, dentro e fuori del parlamento.

La votazione sull’ordine del giorno presentato dalla formazione politica Fratelli d’Italia il 24 aprile contro l’adozione del Meccanismo Europeo di Stabilità in forma originaria o “light” ha fatto definitivamente chiarezza anche in casa nostra.

Con il voto contrario il governo italiano ha ribadito, questa volta senza alchimie comunicative, la propria disponibilità all’adozione del Mes.

 

La Germania, tuttavia, nonostante la formale adesione dell’Italia ai meccanismi di sostegno evocati, teme uno scollamento del paese reale una volta che le politiche di controllo macroeconomico imposte al paese produrranno i loro effetti.

Timori resi più forti dalla tenuta nei sondaggi di opinione delle opposizioni, Lega e Fratelli d’Italia che rappresentano ancora una problema per la tenuta del governo e potrebbero far esplodere fermenti nazionalisti ed anti europeisti di eccezionale portata.

Non è quindi un caso se dopo tanto parlare le misure di sostegno da varare in sede europea, siano state diluite all’interno di appelli alla solidarietà e molteplici riunioni al momento soltanto convocate creando di fatto uno slittamento progressivo delle decisioni.

Cosi, il 6 maggio si riunirà la Commissione europea per formulare una proposta di funzionamento del Recovery Fund.

Seguirà la riunione dell’Eurogruppo dell’8 maggio per un’ulteriore analisi dei Recovery Fund e l’adozione di nuove misure di credito per i paesi che richiederanno l’attivazione del Mes.

La riunione riprenderà molto probabilmente in seduta comune con l’Ecofin (organismo che racchiude i Ministri delle finanze degli stati membri) il 18 maggio per esaminare le proposte della Commissione europea.

Poi sarà il turno del Consiglio europeo convocato per il 1° giugno per regolare l’erogazione dei 540 miliardi di aiuti discussi lo scorso 23 aprile.

L’11 giugno sarà ancora la volta dell’Eurogruppo e dell’Eurofin per attivare il progetto dei Recovery Fund.

Il 18 e 19 giugno il Consiglio europeo si riunirà per dare il via, ma non prima del 1° luglio, ai fondi di sostegno messi a punto nelle riunioni precedenti ed assistiti, finalmente,

dall’adesione incondizionata dell’italia alla tecnicalità giuridica inserita nelle norme fondative del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes).

Potrebbe sembrare tutto facile oppure la partita non è stata ancora vinta ed i fautori del nuovo ordine europeo si riservano di continuare ad usare a loro vantaggio  la leva degli eventi sfavorevoli, circostanze o casualità che siano.

La situazione economica, del resto, è disastrosa.

Il crollo della produzione industriale, del prodotto interno lordo e dell’occupazione, l’aumento del deficit e del debito pubblico sono ormai dati a tutti noti.

Circostanze gravi ma che non sono sufficienti per sopraffare definitivamente l’opinione pubblica e assicurare un cammino senza ostacoli alla politica rigorista che i paesi del blocco nordico vorrebbero imporre.

In quest’ottica, la recentissima sentenza della corte costituzionale tedesca che ha accolto “parzialmente” i ricorsi contro il Quantitative Easing,

a suo tempo messo in opera dalla BCE guidata da Mario Draghi

e che arriva proprio a ridosso delle prossime riunioni di Commissione ed Eurogruppo non servirà di certo a placare gli animi degli scettici alimentando il sentimento di abbandono delle economie periferiche.

 

Sulla stessa lunghezza d’onda potrebbe essere colto il declassamento del debito pubblico italiano ad opera di Fitch previsto dal calendario ufficiale per il 10 luglio 2020 ma anticipato al 23 aprile scorso

(lo stesso giorno in cui si è tenuta la seduta del Consiglio europeo).

La Commissione europea, il prossimo 7 maggio, si riunirà per fare il punto sulla stima attesa dell’impatto del virus sui paesi dell’unione mentre per il prossimo  8 maggio sono previsti gli aggiornamenti dei rating di DBRS  e Moody’s.

Vale la pena di ricordare che per quest’ultima società di rating il merito di credito del nostro paese è già considerato prossimo al livello speculativo.

Casualità o meno sono ormai diverse le circostanze che irrompono, con cadenza quasi simbolica, nel dibattito di una comunità in lotta con sé stessa e che lasciano presagire un finale senza sorprese.

 

Sun-tzu nell’”Arte della Guerra” afferma che il vero stratega sconfigge il nemico prima ancora di impegnarlo nel combattimento.

In altri momenti dell’opera il generale vissuto nella Cina tra il V ed il IV secolo A.C., ricorda come non sia necessario che i soldati conoscano i fondamenti della strategia preferendo l’ignoranza delle truppe alla condivisione delle informazioni e fa, dell’astuzia e della flessibilità, armi letali.

Alla fine del capitolo II si legge “un comandante intelligente si sforza di sottrarre i viveri al nemico” e ancora “…chi uccide il nemico prova rancore. Chi invece lo prende prigioniero, trae vantaggio dalle risorse dell’avversario”.

Il dubbio è che il dibattito in sede comunitaria si sia cinto delle vesti del generale cinese e che la politica italiana abbia mostrato la debolezza di quei soldati per i quali l’ignoranza è preferita alla conoscenza ed alla partecipazione.

La lotta contro il virus non è ancora vinta.

Ci attende ancora una lunga battaglia ma la comunità sociale ed economica sarà ricostruita con audacia e passione.

Cosi hanno fatto i nostri nonni ed i nostri genitori.

Cosi faremo noi ed i nostri figli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano Marshall oggi più che mai!!

Europa: cronaca di una morte annunciata…

Conte ed i fantastici 17

Eurexit

CORONABOND e ITALEXIT: FALSI PROBLEMI

 




Maturità, t’avessi preso prima …

E’ proprio finita!

Spariti gli esami di terza media, o per gli amanti della forma, soppressi gli Esami di Stato del I°ciclo.

Quest’anno, complice il covid 19, il percorso si conclude con una tesina.

Niente presenza a scuola, niente prove scritte.

Il Ministro Azzolina, ieri a colloquio con gli studenti di Skuola.net ha accennato agli studenti che quest’anno concluderanno il I ciclo “faremo preparare una tesina, lavoreranno insieme ai loro insegnanti, la consegneranno e poi ci sarà lo scrutinio finale”.

Dato che non si rientrerà più in classe entro la fine dell’anno scolastico, si seguirà quanto indicato nel DL 22/20 dell’08 aprile 2020.

Quindi gli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione 2019/20 non si svolgeranno e ci sarà soltanto la valutazione finale del consiglio di classe che terrà conto anche di un elaborato del candidato.

L’ordinanza, che il Ministro dovrà emanare, dovrà definire:

  • le modalità di composizione dell’elaborato;
  • le modalità e i criteri per l’attribuzione del voto finale.

E gli scrutini, sempre secondo quanto previsto dal decreto dell’8 aprile 2020, si svolgeranno in modalità telematica

Spariti gli esami di terza media, dicevamo, e salvata l’apparenza degli esami di maturità.

Infatti, l’esame finale per le scuole superiori, la maturità 2020, pietra miliare per generazioni di studenti, è stato “preservato” ed attende i maturandi, il prossimo giugno, in versione snellita e mistificata.

Siamo infatti passati dai tre scritti ed un orale di tre anni fa, ai due scritti ed un orale di due anni fa, al solo orale di quest’ anno.

Certo, avrà una veste totalmente nuova rispetto al passato, data la situazione fuori dal comune, questa è la giustificazione.

In realtà, se cambiamo significati cambiamo però anche il nome: non possiamo più parlare di Maturità se il nuovo esame NON sarà neppure svolto come imposto dalla riforma della buona scuola di Renzi, ma si presenta ancor più svilito dalla Ministra Azzolina.

Cambiano i governi, ma il gioco al massacro della scuola non finisce mai!

Stupiti ed attoniti, questo è come si rimane guardando le nuove regole dell’esame di maturità, o meglio del passaggio di fine superiore.

Non è più un esame, ma solo una formalità che chiunque potrà superare, ed a cui chiunque sarà ammesso.

Quindi a che serve?

Decisamente a nulla, un poco come il titolo di studio ed il suo valore legale, oggi a cosa serve essere diplomati se questo titolo di studio sul mondo del lavoro non vale più a nulla??

Non vale più nemmeno nei concorsi pubblici!!!

Svuotare così la scuola pubblica di ogni significato non sarà una mossa per favorire quella privata?

Ma procediamo con ordine, oggi parliamo di maturità e di come in tutto questo cammino si sia riusciti a farla diventare immatura.

Già da tre anni a questa parte, il governo aveva proposto che non servisse più il sei in ogni materia per essere ammessi, ma solo la media del sei (compreso il voto di condotta) e non si facesse più la terza prova …

Il 14 gennaio 2017, infatti, erano stati pubblicati sul sito del ministero dell’Istruzione e della Camera i testi degli otto decreti legislativi approvati dal Consiglio dei Ministri riferiti alla legge 107, cioè sulla riforma scolastica del luglio 2015, in breve, la BUONA SCUOLA di Renzi …

Il testo che più degli altri aveva fatto notizia, era l’atto 384:

“L’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di stato”.

In particolare, l’art.15, si occupava delle ammissioni dei candidati interni agli esami di stato finali delle superiori, cioè chi era ammesso alla maturità.

E qui veniva il bello …

Era necessaria, come prima, la partecipazione ad almeno il 75% delle ore di lezione, cioè, uno studente poteva continuare a stare a casa un giorno su quattro che, comunque, frequentando i ¾ del monte ore annuale, aveva assolto l’obbligo di frequenza.

Così, era sempre più istituzionalizzata anche l’assenza strategica o la malattia psicosomatica per allergia a quel prof tanto spietato che voleva pure interrogarlo nella sua materia professionalizzante…

In più, rispetto a prima, erano previsti gli obblighi alla partecipazione alle prove Invalsi, allo svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro ed infine, una votazione di ammissione non inferiore alla media di 6/10 compreso il voto di condotta.

Dunque, non era più richiesta la sufficienza in tutte le materie.

Questo significa che si poteva essere ammessi all’esame di stato anche con un 5 (o un 4 o un 3!!!) purché ci fossero dei 7 (o degli 8 o dei 9) a compensare su altre materie.

Ed allora, il nostro candidato tipo poteva affrontare la maturità classica con un bel 4 in latino od in greco, il suo amico maturando dello scientifico poteva esibire il suo 4 in matematica od in fisica ed un futuro ragioniere rivendicava il suo 4 in economia aziendale od in finanze …

Che, intanto, le insufficienze erano indicate in modo generico.

Era irrilevante che fossero nelle materie professionalizzanti …

Allora, le assenze strategiche avevano ragione di esistere? …

Un mio alunno aveva detto: “Prof, Dio c’è !!!”

C’erano delle novità anche per le prove Invalsi: si era introdotta una nuova prova di inglese, oltre quelle già previste di italiano e della seconda materia.

Però la prova Invalsi, requisito per l’ammissione all’esame, non confluiva più nel voto finale.

Da povera addetta al lavoro, in classe da 31 anni, mi ero già augurata solo che i quesiti delle prove Invalsi proposti nelle superiori fossero un po’ più accordati alle conoscenze richieste ed alle competenze certificate di alunni reali e non virtuali …

Perché, considerati gli Invalsi proposti negli esami di terza media, vi avevo assicurato che, ogni anno, il MIUR partoriva un tale inventario di quesiti scollati dalla realtà scolastica in atto, che, mi ero sempre chiesta, chi fosse ad inventarli e che cosa volessero verificare, se non servissero solo per abbassare la media finale anche degli studenti migliori…

Oppure, dubbio amletico, i nuovi quesiti avrebbero dovuto dimostrare che i nostri alunni non erano come ci aspettavamo ed allora, rinforziamo l’errore, la prova Invalsi non consideriamola nel voto finale, usiamola solo per far vedere che la nostra buona scuola funziona…

Ma sì, andava tutto bene per quelli del MIUR…

Il decreto prevedeva, sempre per l’esame di maturità, l’eliminazione della 3° prova e della tesina portata dal candidato introdotta dal ministro Fioroni nel 2007.

Eh sì, povero il nostro candidato, gli avevamo tolto pure l’insonnia da “notte prima degli esami” eliminando il famoso “quizzone “…

Intanto, nella vita, succede proprio così, è tutto sempre più facile…

La prima prova scritta era italiano, la seconda era la materia che caratterizza il corso di studi, ed infine c’era il colloquio orale.

Infine, con il nuovo decreto, il voto finale restava in centesimi, ma si dava maggiore importanza al percorso fatto negli ultimi tre anni, in modo progressivo.

Il credito scolastico aveva un peso maggiore passando da 25 punti a 40, le due prove scritte e l’orale potevano valere invece fino a 20 punti ciascuno.

E qui, almeno, si iniziava a riconoscere il percorso più o meno meritevole e non solo la prestazione finale…

Ma, quest’ anno, un bel colpo di spugna, ha cancellato tutto e dato la grazia anche a chi si è parcheggiato per cinque anni nella scuola 

La formula sarà quella, ormai confermata, del maxi orale, che la ministra dell’Istruzione vorrebbe si facesse in presenza, a scuola, davanti alla commissione interna ad eccezione del presidente esterno.

Il giorno della data dell’esame di maturità sarà il 17 giugno “e l’esame orale partirà da un argomento che non sarà una tesina ma un argomento da cui partiranno scelto con i loro prof. Si parte da un argomento di indirizzo”.

Ma vi rendete conto?!?

I docenti devono concordare con gli alunni quello che chiederanno nell’esame?!?

Il nostro caro maturando si accorderà preventivamente su quello che dovrà dire?!?

E guai a fargli una domanda fuori dal seminato!

Che saranno tutti pronti a dire che l’ha detto la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina “L’esame di stato non è un interrogatorio ma l’apice di un percorso e non può riguardare quanto non è stato fatto”.

Appunto, lo dice bene la ministra, non si può certo chieder quanto NON E’STATO FATTO, a forza di tagliare i programmi, di gonfiare i voti, di alzare le medie, di salvare gli alunni con PDP, PEI, PON (per chi non lo sapesse, esistono davvero Pino Didattico Personalizzato, Piano Educativo Individualizzato, Programma Operativo Nazionale)

Per questo i crediti prima della pandemia erano 40, poi c’erano gli altri 60 legati alle prove.

Ora, si deve valorizzare di più il percorso di studi: 60 saranno i crediti dai quali gli studenti potranno partire e 40 la prova orale.

Questo sarà un giusto riconoscimento all’impegno!

E già!

Posso dirla tutta “ Ma andate a c…re !”  

Che intanto voi del Miur, come dicono a Roma, fate i froci con il c…o degli altri, in pratica il nostro, ma noi in aggiunta ci mettiamo la nostra dignità e professionalità!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Quando lo strafalcione diventa esame di stato, la scuola che non c’è più…

La Maturità immatura!

San Gennaro esiste…

 




Concorso a Cattedra, ridicolmente infernale…

Ma cosa ho mai fatto di male a voler fare l’insegnante?!?

Da ieri, i quattro concorsi per assumere insegnanti, dalla scuola primaria ai licei, sono in Gazzetta ufficiale.

I bandi, che diventeranno la guida per i candidati – un potenziale tra 180 e 240 mila -, sono pronti.

 

Peccato che sia un girone infernale, pieno di ostacoli ed ingiustizie.

Con quattro percorsi diversi, previsti tra luglio e ottobre, per la nostra cara Ministra Azzolina si porteranno in cattedra 61.863 docenti, chiamati a ridurre l’eccesso di supplenti della scuola italiana (siamo vicini al rapporto di un precario ogni quattro docenti di ruolo) e a sostituire i trentamila maestri e professori che a giugno andranno in pensione.

 

Analizziamo insieme i nodi spinosi ed i punti dolenti dei vari vaneggiamenti ministeriali.

 

Primo problema. Il momento, in piena emergenza sanitaria.

 

Abbiamo aspettato anni e, proprio adesso, dove tutto è vietato, perché pericoloso, si espongono 80000 persone al contagio!

Il primo bando riguarda infatti la procedura straordinaria per il personale precario della scuola secondaria (I e II grado): 24.000 posti disponibili, 77.000 candidati, attesi in giro per l’Italia, tra assembramenti e spostamenti.

I famosi party, vietati da Conte, ma ammessi dalla Azzolina!

Secondo problema. La ragione.

Invece di indire altri concorsi, perché non attingere e portate a termine le due graduatorie di merito dei concorsi 2016 e 2018?

Perché non smaltire le gae (graduatorie ad esaurimento)?

E’ necessario dare il ruolo subito ai vincitori del concorso 2016 nella regione dove hanno superato il concorso, prima di creare dei nuovi docenti sospesi!

Non ci sono già abbastanza abilitati in condizione precarie, itineranti sulle varie scuole? Perché non stabilizzare questi che già hanno maturato esperienza e competenza, soprattutto in questo periodo della DaD?

Perché congelare le graduatorie di istituto e licenziare gente che già lavora, per illudere altri, promettendo un posto che non c’è?

Tant’è vero che, l’ha detto la stessa Azzolina “Chi non risulterà vincitore, otterrà comunque l’abilitazione alla professione che consentirà la partecipazione futura a concorsi ordinari”.

Ciak, si gira!, diciamo noi…

Le domande per questa prova si potranno inviare dal 28 maggio al 3 luglio e, secondo la ministra Lucia Azzolina, il concorso si potrà svolgere sempre nel mese di luglio:

“Dobbiamo portare i vincitori in cattedra già a metà settembre”

E dunque…

Terzo problema. Il tempo.

A settembre?

A tale proposito, diamo la parola al senatore Mario Pittoni, presidente della commissione Cultura a palazzo Madama e responsabile Istruzione della Lega.

“Il bando appena pubblicato non ha alcuna possibilità di centrare il risultato, già poco più che simbolico con 200 mila precari, di portare 24 mila docenti in cattedra a settembre con un contratto a tempo indeterminato.

Il documento chiarisce infatti che la presentazione delle domande scade il 3 luglio e, visto che gli Uffici scolastici regionali hanno bisogno di almeno 3 settimane per porre in atto le complesse procedure propedeutiche all’effettuazione della prova, è scontato che l’iter si concluderà fuori tempo massimo.

È la conferma che solo il grande piano di stabilizzazione che porteremo al voto la settimana prossima in commissione al Senato può garantire insegnanti definitivi dall’inizio dell’anno scolastico, per affrontare l’emergenza sanitaria con la necessaria efficacia”.

Quarto problema. La modalità

Innanzitutto, il quizzone di 80 quesiti in 80 minuti è una lotteria e non si può sottoporre alla sorte un precario che ha investito parte della sua vita nella scuola.

Per consentire ai 77.000 candidati di poter svolgere la prova (test a crocette) con il distanziamento necessario, il ministero dell’Istruzione ha previsto di utilizzare ottomila istituti sul territorio.

Ma dove?!? Con tutte le scuole che necessitano di interventi di edilizia straordinaria, necessari per la difficile fase di riapertura di settembre!

Saranno 33.000 le postazioni disponibili.

Nei singoli plessi potranno entrare solo dieci candidati alla volta. 

Le prove si svolgeranno in diversi giorni, divise per classi di concorso: una procedura simile a quella che sarà adottata dal ministero dell’Università per l’ingresso nelle specializzazioni mediche, sempre a luglio.

Le aule utilizzate saranno sanificate prima dell’ingresso dei candidati.

Bene, ammesso e non concesso che tutto funzioni, ma, qualcuno si è preso la briga di calcolare quanti giorni ci vogliono?!?

E poi, la batteria di test è sempre la stessa? E qui, comunque si faccia, si sbaglia.

Sempre gli stessi quiz? Poco serio, gli ultimi hanno già ricevuto le risposte ed affrontano la prova facilitati.

Quiz ogni volta diversi?

Poco corretto, perché le domande, cambiate ogni volta, possono essere più o meno facili, e la prova non è oggettivamente equivalente come difficoltà.

Quinto problema. Il calcolo del punteggio dei titoli e del servizio

Il punteggio minimo attribuito agli anni di servizio è ingiusto, non c’è una giusta spiegazione logica, a parte quella non giusta di far fuori i precari più anziani;

Addirittura, il titolo di dottorato è valutato, per il concorso straordinario, cinque volte tanto un anno di insegnamento nella scuola e, per il concorso ordinario, è valutato dieci volte tanto un anno di insegnamento nella scuola.

Anche in questo caso non c’è una giusta spiegazione logica, a parte quella non giusta di sistemare nella scuola qualche dottore di ricerca per il quale non si trova un posto accademico.

Sesto problema. Il contributo d’esame

 

Un’altra cosa astrusa è relativa al contributo d’esame: nel caso del concorso ordinario, per le tre prove, più eventuale preselettiva, il contributo di esame è di 10 euro; invece, nel caso del concorso straordinario, per una sola prova computer based, il contributo è di 40 euro (procedura per il ruolo) o di 15 euro (procedura per l’abilitazione).

L’unica spiegazione logica è quella perversa di boicottare il più possibile per impedire immissioni in ruolo, mantenendo lo status quo di precariato che fa bene alle casse dello Stato e a chi ci guadagna attraverso i ricorsi, i corsi universitari, i corsi telematici per l’acquisizione di punteggio, ecc.

 

Settimo problema. Gli insegnanti di sostegno

 

La prova straordinaria abilitante è riservata a tutti gli insegnanti con un’anzianità di servizio di almeno tre anni, anche sul sostegno, però ASSOLUTAMENTE ne serve almeno uno trascorso nella classe di concorso per la quale affronteranno la selezione.

È FATTO GRAVISSIMO AVER ESCLUSO I DOCENTI CON TRE O PIÙ ANNI DI SERVIZIO ESCLUSIVO SUL SOSTEGNO.

 

Insegnanti con esperienza magari decennale, avrebbero POTUTO PARTECIPARE QUANTOMENO ALLA PROCEDURA STRAORDINARIA AI FINI ABILITANTI PER LA CLASSE DI CONCORSO DA CUI SONO STATI CHIAMATI DA GRADUATORIE INCROCIATE. SEGUIRANNO MIGLIAIA E MIGLIAIA DI RICORSI

Ottavo problema. L’idoneità

Per l’idoneità gli aspiranti docenti dovranno ottenere una votazione minima di 28 punti su 40 nella prova scritta al computer.

I vincitori andranno subito in cattedra e saranno ammessi a sostenere un anno di prova che sarà rinforzato con una formazione universitaria mirata per 24 crediti formativi universitari.

L’anno si concluderà con un colloquio di verifica in cui bisognerà conseguire il punteggio minimo (i 7/10, appunto), ALTRIMENTI, il ruolo non sarà confermato.

I vincitori del concorso dovranno restare almeno cinque anni nella sede di prima assegnazione per assicurare la continuità didattica.

Nono problema. Il merito

Tutti insieme, appassionatamente, precari storici e neolaureati, senza nessuna meritocrazia

Perché lo scopo è ben altro…

I docenti che risulteranno “idonei”, ma non collocati in posizione utile per la nomina in ruolo, potranno abilitarsi all’insegnamento nella classe di concorso per la quale hanno partecipato e sosterranno una prova orale (sempre con un punteggio minimo di 7/10) e un anno di formazione per l’acquisizione dei 24 crediti.

Poi potranno partecipare a nuovi concorsi.

Noi di betapress ci limitiamo a dire che è vergognoso.

Tutti sappiamo che sarà impossibile svolgere le procedure del concorso straordinario prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, che a settembre gli attuali precari saranno ancora tali e le classi saranno ancora scoperte.

Nella fase in cui la riapertura richiederà stabilità delle cattedre e certezze, il ministero scarica sulle scuole l’onere di nominare quasi 200.000 supplenti.

E la cara Ministra Azzolina si riempie la bocca di propaganda politica pigliando in giro, chi, anche adesso sta facendo i salti mortali per far funzionare la scuola, DaD compresa!…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo

 

Buona Notte, cara Ministra, vada a dormire, che è meglio…




Riaprire la Scuola

Scuola ombelico delle riforme post covid 19

Oggi le principali scelte che la tutela della salute impone sono:

a) ridurre gli assembramenti

b) igienizzare e sanificare in modo quotidiano e continuo

c) allontanare tra loro le persone

d) conciliare le esigenze dei bambini e degli studenti con gli altri dispositivi di sicurezza che sono propri dei luoghi in cui ci sia compresenza e movimento di persone.

Dunque il ritorno a scuola implica rispondere a dei bisogni precisi.

Ma, a tale proposito, esistono domande, sinora inevase, che è doveroso da parte dei Comuni porre, perché ne saranno investiti:

a) Si deve ragionare degli spazi

Tutti gli ambienti scolastici dovranno essere predisposti in modo adeguato, specie negli spazi comuni di passaggio e nei servizi igienici o negli impianti: areazione sterilizzata, igienizzazione …

Il problema si aggiunge a tutti i problemi edilizi pregressi del patrimonio degli edifici scolastici.

b) Si deve ragionare di Bisogni Educativi Speciali

Oggi con la scuola a distanza “chi è avanti continua ad esserlo, chi è a metà continua ad esserlo, chi è indietro rimane molto più indietro” (Mila Spicola).

La riapertura delle scuole, se è per tutti gli studenti e le studentesse auspicabile, per chi era in difficoltà già prima, è essenziale.

Gli studi ci diranno poi quali effetti, in positivo come in negativo, possa aver avuto sugli alunni con disabilità la sostituzione della classe reale con una virtuale.

Ma di certo, per molti ragazzi in condizioni di disagio e privi di una buona mediazione familiare, l’esperienza è stata pesante.

c) Si deve ragionare di trasporti

La mobilità è sicuramente uno dei temi da affrontare prioritariamente e con maggiore forza: investire su mobilità pubblica e tecnologie digitali, e incentivare mobilità ciclo pedonale, anche con azioni decise di contenimento e contrasto all’utilizzo dell’auto.

La città avrà necessità di rivedere il sistema dei trasporti.

Per consentire agli alunni (ad esempio quelli delle secondarie superiori, ma non solo) di andare a scuola, il contingentamento obbligato dei numeri dentro autobus e metropolitane, andrà confrontato con la necessità che i ragazzi ci arrivino, alla loro scuola.

Alcune proposte ci vengono dai tanti comitati e associazioni impegnati sull’ambiente e sulla mobilità sostenibile.

Ebbene, ognuna comporta costi:

  • Prevedere servizi “circolari” da coordinare con la partecipazione delle associazioni di categoria per l’individuazione di itinerari predefiniti nelle principali città.
  • Favorire, anche finanziariamente e con l’utilizzo di giovani come accompagnatori, l’attivazione di servizi di “pedibus” per gli spostamenti degli alunni delle scuole.
  • Prevedere finanziamenti per l’attivazione in tempi brevi di servizi di bike e car sharing nelle principali città

 Ma, in tal senso, sono previsti investimenti o finanziamenti per implementare il servizio di trasporto scolastico o la mobilità in sicurezza o si pensa che sarà tutto a carico dei Comuni?

Se alcuni interventi sembrano facili o semmai già esistenti in alcuni Comuni, per quelli meno popolosi, non si può immaginare che ciascuno si “arrangi” da solo, semplicemente ampliando la scala dei servizi!

Si stanno ipotizzando a livello governativo investimenti sulla mobilità sostenibile e sicura?

d) Si deve ragionare di sicurezza e prevenzione igienico-sanitaria

Per le igienizzazioni, superata la fase iniziale su cui il MIUR ha investito 43 milioni di euro a livello nazionale, si pensa di assicurare in modo regolare anche nei bilanci regionali fondi per il mantenimento degli standard previsti o viceversa si ipotizza che poi le spese se le caricheranno le singole scuole o i Comuni o, ancor peggio, le famiglie?

Partiamo per esempio dai dispositivi di protezione e dall’accertamento sanitario: mascherine e guanti per studenti e personale, sistemi di test efficaci e ripetuti.

Parliamo di dieci milioni di persone, che anche se diventassero la metà con una scuola a tempi alterni sono comunque tanti.

Al primo focolaio indotto da dentro la scuola o portato fuori dalla scuola a casa o altrove, si scatenerebbe di certo nel Paese una bufera di polemiche difficili da contenere.

Una guerra di tutti contro tutti alla ricerca della “responsabilità”, intesa come colpa.

Lo sanno gli Enti, lo sanno le scuole, lo temono i Dirigenti scolastici, datori di lavoro.

e) Si deve ragionare di inclusione sociale

La scuola è anche uno degli spazi di welfare più significativi di questo Paese, spazio di inclusione per eccellenza: ad essa si affianca il lavoro del privato sociale, di tante associazioni, di tanti centri che la supportano senza sostituirla, o almeno così dovrebbe essere.

Quale destino si ipotizza per i centri educativi diurni?

E per tutte le attività di accompagnamento basate ovviamente sulla vicinanza fisica (educative territoriali, progetti extracurricolari, campi estivi, solo per fare qualche esempio)?

L’elenco delle domande potrebbe continuare…ma, non vogliamo scoraggiare i nostri lettori dal pensare che ce la faremo.

La scuola deve riaprire.

Per tutti, non uno di meno.

Le soluzioni vanno trovate insieme.

Ma insieme alla riapertura delle scuole dobbiamo chiedere un cambio di passo alla gestione del presente e del futuro prossimo, e non può bastare una caritatevole attenzione verso il mondo della scuola e verso le difficoltà dei Comuni (quella è stata poca in verità, finora).

Come redazione di betapress, rivolgiamo un monito a chi sta governando i processi e ipotizzando soluzioni.

Il governo deve riaprire le scuole, ma deve guardare alla questione con una prospettiva ampia, aprendo il dialogo agli enti locali e al mondo vivo della scuola “reale” e di chi le ruota intorno, per garantire misure veramente efficaci; e perché siano efficaci deve mettere in conto risorse consistenti, non meno di quante ne servano per la Sanità.

Perché la salute e l’istruzione viaggiano insieme. 

Sono diritti ineliminabili della persona.

Lo dice la nostra Costituzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo