Open Days, siore e siori…

Un tempo  ci si iscriveva in una scuola piuttosto che in un’altra sulla base delle proprie attitudini e predisposizione personale a preferire le materie umanistiche alle scientifiche o piuttosto tecnico-professionali.

Fondamentale poi il condizionamento delle scelte degli altri compagni di classe per restare con gli amici attraverso una sorta di scelta di continuità.

Oggi invece ci sono gli open days.

Non c’è scuola che non ne abbia almeno un paio tra dicembre e gennaio, il tempo per le nuove iscrizioni.

Dalle primarie alle medie, dai licei agli istituti tecnici e professionali. Tutti indossano il vestito più bello, il vestito della festa e aprono le loro aule a ragazzi e genitori.

Se per le scuole superiori si tratta di illustrare la peculiarità dell’offerta formativa dei singoli indirizzi di studio, per primarie e medie l’offerta “dovrebbe” essere comune per “tutte le scuole del regno”, ma non è così.

Le giornate dell’orientamento diventano vere azioni di marketing per “un pugno” di studenti in più, merce diventata rara per la preoccupante denatalità.

E allora gli open days diventano una fiera, un mercatino per cercare pubblico consenso.

Sugli scaffali si espongono progetti, attività didattiche e laboratoriali, proposte di PON per l’anno che verrà, promesse future di tornei di calcetto, pallavolo, piscina, danza, laboratori teatrali, musicali, sensoriali e tante altre attività tra le più singolari e creative.

Ai ragazzi e ai loro genitori non serve conoscere quante LIM, quanti pc e robotini siano presenti all’interno della scuola, ma serve capire se i docenti sono metodologicamente formati sul loro utilizzo e capire come i ragazzi sapranno utilizzarli nell’ordinaria attività didattica.

Ma il problema attuale della scuola non è l’esatta definizione delle più opportune strategie di marketing orientate ad accrescere il numero degli iscritti, ma l’adozione delle  migliori strategie per accrescere la qualità dell’istruzione.

C’è da chiedersi a cosa siano serviti ben tredici anni di scuola

se i dati INVALSI 2022 rilevano che  gli studenti che hanno  raggiunto un livello adeguato in italiano sono solo il 56%, in matematica il 49%, inglese rending il 49% e inglese listening il 37%.

E allora il problema più grande che deve affrontare la scuola non è  “pescare” uno studente in più, ma come poter concretamente investire in ideali, modelli e archetipi che potrebbero essere in grado di risollevare le sorti attuali di una scuola che non riesce più ad avere degli standard minimi di tollerabilità.

Gli open days durano qualche giorno, poi si chiuderà la fiera

e si tornerà a vestire l’abito da lavoro, torneranno le tediose spiegazioni e interrogazioni, tornerà la didattica frontale uguale per tutti i ragazzi e la personalizzazione resterà solo scritta nei PTOF.

La quotidianità farà dimenticare lo splendore del giorno di festa, riportando alla luce gli abitudinari problemi della scuola.

Pio Mirra

Ds IISS Pavoncelli – Cerignola (FG)




NON PARLARE “IN CORSIVO”, SCRIVI!!!

 

Girando tra i banchi delle classi prime ho visto quaderni scritti a stampatello, non tutti per fortuna.

Penso sia una stortura e non da attribuire alla DAD, ma ad un altro pericoloso virus che sta contagiando la scuola, coding e robotini, dove in molti si chiedono:
“a che serve ormai il corsivo? Non scriveranno più lettere a mano! Il corsivo è inutile. Il corsivo è faticoso”.

Non è assolutamente vero.

Il corsivo (scrivere e non parlare) è utilissimo, perché fa rimanere nel rigo, imprime la consapevolezza dei limiti e insegna la necessità delle curve.

Inoltre il corsivo è intelligenza spaziale ed esprime identità personale.

Lo stampatello omologa, il corsivo no.

Scrivere con la tastiera del pc o in stampatello attiva meno aree del cervello rispetto allo scrivere in corsivo, quando sono attivate zona frontale inferiore e corteccia parietale posteriore, cioè le aree che sovrintendono alla coordinazione occhio-mano, detta motricità fine.

A differenza dello stampatello, il corsivo obbliga a non staccare la mano dal foglio e tale attività stimola il pensiero logico-lineare, quello che permette di associare le idee in modo sequenziale, cioè di memorizzare e quindi di apprendere.

Allora insistiamo e pretendiamo da tutti i nostri studenti il corsivo.

Si, anche in piena era digitale.

Pio Mirra
DS IISS Pavoncelli – Cerignola (FG)




Consesso ebraico di Catania

Il 28 Ottobre 2022, nella splendida Sicilia, è avvenuto qualcosa di nuovo, diverso, esclusivo e particolare: molto particolare e intenso.

Il Consesso ebraico di Catania è stato protagonista di un evento che, dautorità, va a iscriversi nel grande libro della Storia. 

Difatti, con animo lieto e grande commozione, è stata inaugurata la nuova Casa dei membri del Consesso catanese: a distanza di 530 anni, dopo che nel lontano 1492, al termine di una scatenata e malvagia persecuzione, nel corso della quale gli ebrei furono perseguitati, torturati, uccisi e in moltissimi casi derubati dei loro beni: così che i superstiti sopravvissuti alleccidio avevano dovuto lasciare lisola poveri e bastonati. 

Levento di oltre mezzo secolo fa, al quale si sommòun editto firmato dai sovrani cattolici di Spagna, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, segnò la cacciata degli ebrei dall’Isola. 

Ma ebbe una causa scatenante nel bieco e omicida fanatismo religioso della Comunità di fede cristiana: va detto che questa venne abilmente manipolata e strumentalizzata daun clero senza scrupoli, che aizzò a esercitare la violenza contro gli ebrei, persino  stando alla narrazione di certe cronache  evocando una sorta di volontà divina, cui dover compiacere!

La presenza di ebrei in Sicilia, allepoca dei fatti qui citati, era certamente cospicua, specie nella parte orientale dellisola: ma questo non deve certo sorprendere, considerando in primis la posizione geografica della bellissima isola: vera piattaforma strategica al centro del Mediterraneo, vero crocevia delle rotte del commercio ma anche al centro di invasioni con relativi insediamenti. 

Fenici, Greci, Arabi, Normanni, Spagnoli, Cartaginesi, ma anche Egizi  per citare le principali componenti  vi approdarono, non disdegnando di stabilirvisi.

Chi commerciava per mare, considerando lospitalità delle locali genti, e considerata la bellezza dei luoghi, spesso vi soggiornava, abitandovi, così creando dei nuclei sempre più numerosi. 

Fu così che  nel tempo – nacque la fiorente Comunità ebraica, sufficientemente tranquilla e riservata, dedita ai commerci, ma anche alle finanze: in questo caso, laddove per e tra i Cristiani vigevano invece divieti tassativi posti dal clero e dalle autorità locali. 

Tenendo sempre in evidenza che le locali comunità erano inquadrate in una rigorosa piramide: alla base erano posti i contadini e i pescatori, poi venivano gli incaricati dei notabili nella gestione sociale, amministrativa e finanziaria, con sopra di essi i notabili stessi e i proprietari di terre  per lo più legati a doppio filo tanto al princeps al vertice, che con le autorità rappresentative del clero.

Un quadro storico molto sintetico, quello di cui sopra, che spiega la soddisfazione del Consesso ebraico di Catanianellinaugurare la nuova Casa di preghiera comune,ma anche dincontro, ché non è difficile pensare che possa diventare luogo dove possano convergere anche confratelli di altre provincie, di altri territori.

Levento, ha certamente suscitato lieta attenzione aCatania, e non certo meraviglia: del che se ne sono fatti portavoce autorità civili e politiche, esprimendo sinceri voti augurali per questa iniziativa che ridonaalla Città quella pienezza bruscamente interrottasi 530 anni orsono. 

Voti augurali cui si associa anche chi scrive, tra i cui parenti prossimi e meno prossimi, era numerosa la presenza di chi seguiva percorsi religiosi diversi, di matrice ebraica: affatto dimentico che molti di loro dovettero lasciare lItalia, per gli ospitali Stati Uniti, a seguito delle persecuzioni patite proprio qui, nella loro Patria.Come ben sa chi ama studiare la Storia, specie nei suoi corsi e ricorsi, a eventi negativi  spesso dopo lungo, lunghissimo, tempo  si contrappongono eventi positivi: in un mirabile riequilibrio, che rende giustizia  troppo, troppo, spesso postuma  specie a chi abbia patito soprusi e vessazioni. 

E proprio questi motivi, che allepoca segnarono la fine della scola siciliana  regolarmente rappresentata a Roma in un palazzo che ospitava le cinque scole, al cui posto fu poi edificata lattuale Sinagoga , mi spinge a esprimere un auspicio in più, personale: ossia, che la scola siciliana possa riprendere nuova forza e rinnovato vigore.

Buon lavoro, quindi, Fratelli Maggiori!   




Otto domande a DENISE BARONE

Oggi intervistiamo una brillante e dinamica autrice: DENISE BARONE. I suoi studi e le sue specializzazioni in discipline forensi, non hanno ridotto la sua passione per lo scrivere e le sue belle, preziose, capacità di esprimersi sono una fonte in grado di soddisfare la ‘sete’ e la curiosità dei Lettori. Il suo ultimo libro – “L’Arcano ed il Monstrum | tra folklore e psicopatologia”, per i tipi di ‘infugaEDIZIONI’ – è una vera esplosione di energie, di collegamenti palesi e sottili, di stimoli tesi ad approfondire tematiche che, seppur tracciate in modo piano ma mai banale, stimolano la curiosità del Lettore. Soddisfacendola, ma lasciando in lui un quid di curiosità, così da stimolarlo a utili approfondimenti, ampliando così contenuti e prospettive.  

Denis Barone é Dott.ssa in Giurisprudenza. E’ fondatrice e Prof. presso l’Upsi-Università Popolare per la Sicurezza Integrata, associata all’Università della Pace dell’Onu e all’Università della Tuscia (Cattedre di Criminologia Clinica e Psicologia Forense).

E’ specializzata in Criminologia Applicata  e  Psicologia Forense; Mediazione Penale Minorile; Medicina Legale. Competenze e Servizi Giuridici in Sanità, nonché in Scienze Assicurative.

 

Il suo libro più recente porta un titolo del tutto particolare, persino nuovo, il che, nell’ampia gamma delle pubblicazioni di ogni tipo, è certamente una novità: “l’ARCANO ED IL MONSTRUM: tra folklore e psicopatologia”: vuole dirci qualcosa in merito?

Amo l’ignoto, lo strano, il mistero, la magia…l’esoterico! Da che io ne abbia memoria! Fin da bambina ero molto curiosa, i miei genitori hanno accentuato questa mia curiosità, raccontandomi ogni stranezza storica o inerente al loro lavoro, come ad esempio malattie rare che possono essere la causa di leggende e racconti popolari (sono due medici specialisti, con la passione per l’archeologia). Crescendo, li ho sempre più ricercati in solitaria, questi racconti straordinari, o in testi latini e greci (ho una formazione classica) o in ciò che rientrava nelle materie inerenti al mio percorso di Laurea: così mi sono addentrata nella criminologia clinica storica ma anche “esoterica”, come mi piace chiamarla. Unendo questo mio interesse, alla passione per la scrittura, è nato questo libro, pensando di rendere questi aspetti in un modo gradevole per chiunque.

 Da quando si è accorta di questa sua vena artistico-creativa, letteraria?

Direi fin dalla frequentazione dei primi corsi scolastici: molto presto quindi. Ho sempre amato scrivere e soprattutto fantasticare, sognare. Questa mia vena artistica, sgorgava prorompete, incontrollata, per così dire, nelle ore di italiano, specie ogni volta che dovevo cimentarmi con un tema di letterario. In seguito, all’università, non senza sofferenza, ho dovuto accantonare tale vena, poiché dovevo concentrarmi nello studio di materie impegnative, che mi assorbivano ogni energia. Per fortuna sono riuscita a riprenderla una volta conseguita la laurea: dapprima attraverso le tesi dei miei vari master e poi indirizzandola nello svolgimento di saggi e fantasy.

 Il suo, é un hobby o la considera un’attività a tempo pieno?

 È un fuoco sacro interiore. È qualcosa di ‘ben oltre’, di ‘altro e diverso’,  non rientra in queste due categorie, è trascendentale: è come se avessi un qualcosa dentro che deve uscire ad ogni costo e quindi esprimersi… E proprio la stesura del mio libro è il suo manifestarsi palese. Naturalmente vorrei che rientrasse nelle categorie “a tempo pieno”: fare della propria passione, della propria vena artistico-letteraria il metodo di vita quotidiana… credo che lo vorrebbe chiunque.

C’è un tema particolare che predilige ?

In generale io amo la “magìa”, sia nel mondo reale, che nel fantasy: ergo, tutto ciò che “sa” di antico, mistico, arcano, strano, esoterico, inquietante, lo adoro e mi affascina oltremodo! Per fare un esempio concreto, posso citare i Misteri Eleusini, o le leggende popolari, i miti e quant’altro.  Nel mio scrivere, i temi che prediligo, poiché suscitano in me curiosità oltre che attenzione, sono quelli correlabili alle c.d. ‘malattie rare’ – poiché è stato davvero interessante studiarle e approfondirle -, nonché i resoconti di fatti strani accaduti nel mondo.

 Posso chiederle qual è la sua visione sull’essere umano?

 Domanda complessa. Da una parte ho una visione molto creativa, in potenza molto positiva. Dall’altra – guardando la realtà dei fatti – è davvero negativa: non credo nel cambiamento radicale delle persone, credo, però, che esse possano migliorare, e soprattutto migliorarsi interiormente, soprattutto se dotati della preziosa scintilla dell’intelligenza. Il fatto è volerlo, dato che, ovviamente, tale processo, richiede un notevole impegno e l’utilizzo di molte energie. Al momento, vedo una mancanza di ideali, un finto buonismo, un moralismo inutile, un eccesso esagerato comportamentale, nessuno che voglia più fare fatica in nulla, né prodigarsi per qualcosa. Infine, prendo purtroppo atto che le istituzioni non vogliono più formare un ‘libero pensatore’, bensì un burocrate da controllare, dandogli quelle poche nozioni, spesso incomplete, utili solo a “renderlo contento”, senza andare in profondità. Forse, oserei dire, che manca la consapevolezza di sé, in quest’era… ma anche la voglia o capacità di assumersi delle responsabilità.

Ultimamente l’abbiamo vista presente a diverse manifestazioni, ama lArte?   

 Adoro l’arte. Soprattutto la corrente artistica del neoclassicismo e del romanticismo.

Amo tutto ciò che è antico, dagli antichi popoli al rinascimento…Non ho una gran passione per l’Illuminismo, invece, come pure per l’arte moderna o contemporanea.

Per me l’arte, è intesa proprio alla latina: “ARS”, ovvero qualcosa di ispirato direttamente dal dio, quindi superiore a ciò che si può fare con la “tekne”.

Per me, arte è sinonimo di bellezza, di divino. Paradossalmente, sempre per me, è arte anche un bel make-up, fantasioso e accurato: dove capacità, estro e fantasia si fondano in un tutt’uno.

 Impegni attuali e prossimi?

 Abbiamo appena fondato l’università “Upsi”, associata all’Università della Tuscia e a quella della Pace (Onu), con altri validissimi collaboratori, e sono stata incaricata nelle cattedre di “psicologia forense” e “criminologia clinica”. Ho da poco passato l’esame per diventare giornalista al Wrep Eu. E mi sto prodigando molto sia nella libera professione, sia per l’associazione, no-profit e pro-veritate, “Edward Jenner”, di cui sono presidentessa.

Nel breve futuro mi hanno proposto di partecipare a una serie di video tematici incentrati sulla criminologia, che andranno in onda su diverse piattaforme – spero anche su delle reti televisive – e, per la prossima estate, uscirà un mio nuovo libro: questa volta un romanzo fantasy, il primo di una vera e propria saga.

Considerato tutto ciò, le rimane tempo per un hobby o altro?

Sono una grandissima appassionata di equitazione, monto dall’età di 5 anni. Fino ai 12 anni facevo salto ostacoli, poi sono passata alla monta Americana. Dapprima ho iniziato con i trekking e qualche lavoro in mandria, e poi, man mano, mi sono innamorata del Reining.

Al momento ho 4 bellissime bimbe (chiamo così le mie cavalle): 3 Quarter Horse, con cui sono agonista in questa disciplina appunto, ed un’Araba, che ormai è al mio fianco da 16 anni. È stata la mia più cara amica, colei con cui ho condiviso ogni momento e gli anni difficili dell’adolescenza. Mi diverte gareggiare, è più il completamento di un percorso, però.

Loro sono i miei amori più grandi, moltissime scelte di vita, le ho fatte in base a loro, per l’appunto, e non mi immaginerei mai di vivere senza.

Grazie a Denise Barone per questa intervista, e complimenti per questo suo excursus crimimologico, teso all’analisi della figura del ‘monstrum’: inteso quale fenomeno eccezionale, dai chiari toni oscuri, persino criminali. “Lo strano, l’ignoto, gli esseri, sono raccontati da un punto di vista antropologico e storico, folkloristico e mistico, criminologico e psicologico, oltre che da un punto di vista squisitamente esoterico. Esoterismo, criminologia, e folklore, saranno dunque le chiavi di lettura principali per studiare altri fenomeni, quali: streghe, vampiri, licantropi, fantasmi, demoni e creature di ogni sorta”.

 




IL MOSTRO È SERVITO: ORA SIAMO A PANDEMONIO…

Pandemonio, è l’immaginaria capitale dell’inferno dove i diavoli tengono concilio, ben descritta nel 1667 da John Milton nel suo poema ‘Paradiso Perduto’.

Ecco che, in questi ultimi mesi la fantasia diviene la peggiore delle realtà: poiché pare che tutti i diavoli del mondo si siano dati appuntamento per distruggere l’umanità, la civiltà, spingendo i detentori del potere a imporre una serie di ‘suicidi’, per ultimo un ‘suicidio atomico’; dapprima inconcepibile, ma via via ‘edulcorato’ dai ragionamenti (sic!) – soprattutto tramite i canali d’informazione (stampa, TV, web, siti di studi strategici, ecc.) – in base ai quali ci si avventura ormai in calcoli particolari per stabilire quanti morti produrrebbe l’esplosione di una bomba atomica di X Kltoni nella città Y, piuttosto che non sull’isola W, di quali sarebbero le conseguenze del primo colpo, quelle del colpo di reazione, e via dicendo.

E di fronte a questo, che è già un assurdo in termini, si è mobilitata la platea di quei cittadini che ne trattano con gli amici al bar, mentre gustano un caffè: facendo fioccare ipotesi, cifre, nomi di città da distruggere – sullo stile dell’antica Cartagine e dell’invettiva romana Cartago delenda est! – e partigianerie varie. Come se invece di vite, si parlasse di calcio, o di altre amenità persino insensate.

E il mostro, i mostri, quindi, chi sarebbero? Le notizie delle ultime ore, provenienti da quel fronte orientale dove le armi non tacciono, e dove la lista dei morti e dei danni si allunga sempre più, ci mettono in contatto con atti di terrorismo – crudeli, contro civili: come civile era la giovane Dugina, fatta saltare in aria da una carica di C4 alle porte di Mosca -, spingendo continuamente per l’utilizzo di armi atomiche (l’alibi dialettico: sarebbe un attacco preventivo, per evitare il peggio.

Una quisquiglia dai pessimi contenuti: utilizzare l’atomo per attacchi preventivi! Degno di gente sciocca e scervellata, senza morale, con il cervello pericolosamente fuso ovvero colpito dal virus dell’onnipotenza, con un odio profondo verso tutti gli esseri umani, poiché se oggi si dovesse verificare la deflagrazione di un ordigno atomico, le reazioni farebbero sì che non ci sarebbero più città o continenti al sicuro).

È questo che dei pazzi scatenati perseguono? Sperano di diventare padroni di un mondo reso arso e invivibile, popolato da poverissimi superstiti? È attraverso le risposte militari, le reazioni devastanti (del tipo: vince chi tira l’ultima bomba), che si può mettere fine a un conflitto che NON AVREBBE DOVUTO iniziare?

Ma a ben pensarci, checché suggerisca la cronaca spicciola, ormai il discorso non è più neanche questo, tanto è riduttivo pur nella sua drammaticità: ma ogni cosa, anche la peggiore, anche la più nauseante e sconvolgente, ha un limite.

E temo che il limite, la sottile ‘linea rossa’ oltre la quale non si può tornare indietro, possa essere presto superato. E il brutto è che tutti sono – o lo sono già stati – coinvolti: ormai non ce n’è più uno che possa dire, giustificandosi, ‘io non c’entro’ o ‘non sapevo’ o ‘non credevo’ o ‘ma mi avevano detto che’.

Tutti con le mani sporche di marmellata, tutti coinvolti, tutti ingiustificabili: quantomeno nell’ottica dei popoli e delle genti comunque coinvolte, cui viene sempre fatta bere la parte amara del calice.

Cosa è importante, alfine? Cosa è preminente? Cosa possono fare i popoli e le genti d’Europa o d’America o dell’Asia?

Dare una risposta non è semplice, specie di fronte a una gran parte di umanità vessata da quei satanassi dagli gnomi dell’economia e della finanza che, con una certa abilità iniziale – oggi divenuta arrogante spavalderia – ha costruito l’inferno che stiano vivendo.

E che sta facendo di tutto affinché, qualora il loro piano pluriennale non dovesse andare in porto, dietro di loro lascino tali e tante macerie da rendere più che difficile la ‘ricostruzione’ a chi dovesse venire dopo di loro.

I demoni che sempre più numerosi e satolli si incontrano a Pandemonio, stanno pascendosi delle anime peggiori, blandite, circuite, fagocitate da un Male rabbioso, del tutto inumano, ma che ha potuto allignare anche grazie alla pochezza di quanti, ignavi, si sono posti ‘alla finestra’, non solo aspettando ma anche contando che qualcun altro togliesse le castagne dal fuoco, per loro: così contribuendo a far incancrenire le cose.

Rinnovo l’interrogativo: cosa è importante, alfine? Cosa è preminente? Cosa possono fare i popoli e le genti?

Dobbiamo solo ‘armarci’ delle armi del pacifismo concreto lo stesso che trovò in Gandhi il suo precursore, mobilitandoci pacificamente per la PACE. Chiedendola a gran voce, pretendendola, obbligando chi governa ad abbandonare percorsi di morte, di povertà, di fame, di distruzione morale e materiale, di miseria morale oltreché materiale, per riappropriarsi di quella DIGNITA’ che è ingrediente indispensabile nella struttura concettuale e pratica della parola LIBERTA’, e senza la quale anche la DEMOCRAZIA sarebbe mero e inconcreto enunciato.

«Non sappiamo che cosa ci sta accadendo, ed è precisamente questo che ci sta accadendo»

La frase di José Ortega y Gasset, riassume perfettamente la nostra condizione in questo tempo storico.

La nostra incapacità nella comprensione del presente, dipende da una crisi del pensiero o da una sorta di abulia generalizzata?

La risposta è solo dentro di noi, dentro ciascuno di noi. Non aspettiamo l’imbeccata da altri, perché potrebbe essere anch’essa tossica. Costruiamo la nostra realtà, costruiamo la nostra vita, costruiamo la nostra quotidianità: mondandola dalle tossine e dalla corruttela che l’hanno pervasa!

 

 

 




Anno nuovo, problemi vecchi, soluzioni nuove?

Ripartono gli incontri di Diritto Scolastico.

Chiara Sparacio intervisterà gli avvocati Maurizio Danza del foro di Roma e Andrea Caristi del foro di Messina e affronterà con le problematiche del diritto scolastico.

Nella prima puntata si parlerà dello stato dell’arte del riconoscimento in Italia delle abilitazioni all’insegnamento conseguito all’estero.

Al di là delle simpatie e antipatie personali, cosa dice la legge? Come agisce il Ministero?

Diritto Scolastico è una trasmissione di informazione che vuole essere una bussola super partes in grado di sostenere docenti, dirigenti e tutto il personale scolastico che desidera conoscere e far valere i propri diritti.

 

Chiara Sparacio chiede agli avvocati Andrea Caristi e Maurizio Danza quali sono i diritti e i doveri di chi lavora nel mondo della scuola

Segui la puntata di oggi

Abilitazioni all'estero stato dell'Arte
Abilitazioni all’estero stato dell’Arte

Siamo in Europa ma il MIUR non è d’accordo

Messina contro Google, la disfatta del colosso americano.




Dante poeta immortale muore ogni giorno…

“Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, questo è forse uno dei versi danteschi più conosciuti.

E, senza ombra di dubbio, uno dei più frequenti utilizzati dagli studenti ed appeso sulla porta dell’aula, per suggerire, con simpatica ironia per loro e malcelato sarcasmo per i prof, di non varcare quella soglia, perché, dentro, dietro quella porta, ci potrebbe essere una situazione scomoda o per segnalare attività od iniziative che potrebbero essere inutili o di difficile successo, definendo il tutto “senza speranza”.

Stasera, annichilita dalla maestosità del film “Dante” di Pupi Avati, mi sono vergognata, come italiana, dello scempio fatto alla figura di Dante, non dalla storia contemporanea al Sommo Poeta, ma da noi, suoi connazionali, a più di 700 anni dalla sua morte.

Dante è morto il 4 settembre 1321 a Ravenna. Noi siamo ad ottobre 2022, sempre in Italia.

Dante è stato davvero un profeta, un grande visionario della grandezza e della miseria della nostra nazione.

“Ahi serva italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”.

Quanta amara verità e quanta sublime lungimiranza esprimono le parole scritte da Dante più di sette secoli fa.

Il film di pupi Avati è uno squarcio nell’anima, per chi, come la sottoscritta, è cresciuta a pane e Dante.

Figlia di insegnanti ed ora a sua volta docente, deve ammettere che, non solo la politica, ma persino la cultura contemporanea, non rendono merito a Dante.

Povera Italia in cu,i oscurantismo cattolico e propaganda politica, si abbinano a faziosità vuote di senso.

Povera Italia, ex-Patria, in cui volti e nomi vendono la loro immagine al posto di dire la loro voce.

Povera Italia, in cui Dante è sempre più scomodo e, dunque, insegnato poco e male nell’attuale scuola italiana.

Ai tempi di mio padre, professore di lettere nelle medie, Dante veniva insegnato insieme a Petrarca, Boccaccio, Foscolo, Manzoni e Leopardi. Io, dunque, da bambina, a tavola, lo sentivo recitare a mena dito interi canti della Divina Commedia, sentivo parlare di Virgilio, Caronte, Minosse, Paolo e Francesca, Farinata, Pier delle Vigne, Ulisse, il conte Ugolino, come se fossero delle persone reali, quasi dei vicini della porta accanto.

Diventata studentessa alle medie, ho sentito parlare di Dante, ma niente di più. E’ stato poi, al liceo, che ho avuto la fortuna di studiare e di apprezzare Dante.

Perché il viaggio nell’oltretomba di Dante è allegoria del viaggio sulla terra di noi comuni mortali.

Ed insegnare e studiare Dante, significa apprendere a vivere.

Adesso che sono io insegnante, con quasi 35 anni di esperienza nelle scuole medie e superiori italiane, vi posso garantire che Dante è morto e sepolto nella nostra scuola.

Sì, qualcuno al liceo, lo studia ancora, ma non come dovrebbe.

Anche ai miei tempi la versione scolastica di Dante era un poco diversa e molto meno umana e psicologica di quella fornita dal film di Pupi Avati. Ma almeno, tutti o quasi tutti, sentivano parlare di Dante.

Ed indipendentemente da censo e cultura, i valori danteschi scendevano nell’animo delle future generazioni. Erano un po’ come dei semi che, in terreno fertile, potevano dare grandi frutti.

Ma il diritto all’istruzione, sancito dall’art. 34 della nostra Costituzione, ed il successivo percorso di democratizzazione della scuola italiana, anziché, finalmente, portare la cultura al popolo, hanno mancato l’obiettivo.

Ora per chi, come la sottoscritta, la scuola, la vive dal di dentro e per davvero, Dante è ogni giorno morto e sepolto nel nostro sistema scolastico.

Scuola italiana che ha inflazionato la cultura, svenduto il diploma, imbrogliato l’utenza. La scuola dei fondatori della nostra Patria, credeva in Dante e ne avvalorava il messaggio. La scuola del “finalmente aperta a tutti”, credeva nella possibilità di formare le nuove generazioni trasmettendo loro i principi illuministici di liberté, égalité e fraternité.

Bene, la nostra attuale scuola, per tutti ed a qualunque costo, è diventata un sanatorio sociale, un riformatorio adolescenziale, un babysitteraggio gratuito. Ed un cavallo di battaglia politico.

Per questo il film “Dante” di Pupi Avati, la versione umana di Dante, ma anche e soprattutto il suo messaggio universale dovrebbero farci riflettere e pensare “Fu vera gloria? (quella di Dante) “Ai posteri, l’ardua sentenza”.

Per questo il film di Pupi Avati mi ha lasciato annichilita.

Firenze ha mandato in esilio Dante, vivo, il 10 marzo 1302.

L’Italia, nella sua pseudo cultura e nella sua vergognosa politica lo manda in esilio, da morto, ogni giorno sempre più nel 2022.

Ma, l’importante, è, che, a scuola, nessuno ci apra gli occhi…

 

 




DANTE

Oggi parliamo tanto di fan, di influencer, tifosi, di popolo dei social, ma nulla di tutto questo è paragonabile alla grandezza, all’assoluta impronta nella storia, alla innegabile e sconfinata bellezza intellettuale di Dante.

Boccaccio, forse il primo vero fan della storia, colui che, credo pochi sanno, aggiunse l’aggettivo divina all’opera di Dante, che inizialmente si chiamava solo Commedia.

Firenze, la città intellettuale per eccellenza, la culla della cultura rinascimentale, una sorta di brodo culturale primordiale che favorì la nascita dell’italico idioma e fu asilo delle più grandi opere rinascimentali.

Questi sono i tre personaggi in cerca di autore che Pupi Avati ha voluto fare suoi per raccontare quel Dante che pochi di noi hanno nel cuore.

Il film Dante è bello, ottimo, con qualche libertà nella regia, ma forte, di impatto, ma allora, direte voi, corriamo a vederlo; ed invece qui si apre una prima nota critica, che non vuol essere una colpa, ma piuttosto una riflessione.

Il film è, a nostro avviso, una favola letteraria raccontata magistralmente, ma richiede allo spettatore una buona conoscenza delle basi del mondo che racconta.

Ma è Dante, direte voi, tutti lo conoscono!

E no cari amici, non basta citare “nel mezzo di cammin di nostra vita” per poter dire di conoscere le basi per apprezzare questo lavoro.

Questo è un film a strati e si resta affascinati solo quando si arriva al quinto strato, o meglio, quando si riesce ad arrivare al quinto strato, in quel momento il film diventa una sorta di dimensione poetica che ci avvolge, ci culla, richiama alla nostra mente emozioni scritte nel nostro DNA culturale, ci riporta nella nostra identità culturale facendoci attraversare una foresta endecasillaba, ebbra di ricordi intellettuali del nostro passato e carica di ombre della nostra attuale cultura, persa nella giovanile piattezza aritmica.

Chi vedrà questo film lo apprezzerà, qualcuno lo boccerà, ma sicuramente chi lo capirà non potrà non amarlo, profondamente, pienamente consapevole che la ricchezza della nostra storia culturale è il più grande patrimonio italiano.

Boccaccio, nel suo viaggio per ritrovare la figlia dell’Alighieri e darle una sorta di ricompensa per l’esilio da Firenze del Padre, ripercorre le tappe salienti della vita di Dante, come frammenti di ricordi delle persone che lo hanno incontrato, lasciando allo spettatore il compito di ricucire il vuoto tra un quadro e l’altro, come se ci fosse un filo tra un ricordo ed un altro che lo spettatore deve tenere perché suo, perché implicito nell’essere italiano.

IO mi sono identificato in quel Boccaccio sullo schermo che ricercava lo sguardo puro, la bellezza di quella figura che “sapeva i nomi di tutte le stelle”, mi sono ritrovato in quella necessaria completezza della poesia e della lingua, in quel grande sapere, IO mi sono ritrovato nel sentimento più puro che in poche parole semplici DANTE ha reso immortale “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio”, amicizia, amore, lealtà, patria, tutto in un solo incipit “Guido, i’vorrei…”.

Dante si strugge per la sua Firenze, centro fermo dei mille disii, a cui assegna un valore simbolico, universale, a cui sembra voler dedicare la sua opera, come se tutto da lui fosse stato scritto per poter tornare nel grembo materno dalla sua città.

Chi lo capirà trarrà da questo film un’esperienza profonda, emotiva, insuperabile.

IO sono rimasto in sala dieci minuti dopo la fine, quasi a non volermi staccare da quel momento, e ricordavo continuamente mio nonno che nel suo studio mi raccontava di Dante, Petrarca, Boccaccio, Cavalcanti,  Guinizzelli, e di molti altri che, ora mi rendo conto, sono il mio DNA culturale da italiano.

 




La bellezza può davvero salvare il mondo?

È possibile spiegare la bellezza attraverso le parole?

No, perché la bellezza è ineffabile: non può essere descritta attraverso le parole.

Le parole, però, possono aiutarci a capire la bellezza mostrando cosa i popoli intendevano per bellezza quando usano una parola piuttosto che un’altra.

Questo è stato il tema dell’intervento di Chiara Sparacio, caporedattore di Betapress.it all’interno dell’VIII edizione dell’Ischia e Napoli festival internazionale di filosofia: la Filosofia, il Castello e la Torre.

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Il festival, ideato e diretto da Raffaele Mirelli, è uno straordinario evento culturale che ogni anno, sempre più, coinvolge realtà importanti del panorama nazionale ed estero.

Lo scopo del festival internazionale della filosofia di Ischia

Lo scopo del festival, ci spiega Mirelli, è

“far uscire il filosofo dalle sue roccaforti, dalle Torri e di metterlo in dialogo con il pubblico.

La filosofia dovrebbe iniziare a ripensare sé stessa in modo sostanziale: smettendo di essere uno studio a sé stante ma accompagnando tutte le altre discipline universitarie.

La filosofia, la sua istituzione, ha bisogno di rimodellarsi per restare nel presente e creare reali possibilità di lavoro per chi la sceglie”.

Il festival è un evento grande e articolato che ogni anno, da otto anni a questa parte, dona nuova luce alla già bellissima isola di Ischia proponendo per ogni edizione un tema diverso e coinvolgendo realtà culturali sempre più ampie.

Ad oggi sono state intessute relazioni l’università di Toronto, l’Università di Bonn, l’Università degli studi di Palermo e tantissimi altri poli culturali che seguono e sostengono il progetto con lo scopo di modellare quello che sarà l’approccio disciplinare nel futuro.

Se quest’anno si è parlato della Bellezza e ci si è chiesti se davvero può salvare il mondo, nel corso delle precedenti edizioni si è parlato de gli Universi, il tempo, dio, la natura umana, i Valori, l’utilità della Filosofia…

Il tema del 2023

Il tema del 2023 sarà il desiderio:

“Un tema di rilievo per le nuove generazioni che del desiderio esperiscono una mancanza tenace e duratura. Sarà un modo per riflettere sull’impatto che i social media operano sul nostro essere umani”

ci dice Mirelli.

Chi vorrà partecipare alla prossima edizione potrà visitare il sito del festival e seguire le indicazioni.

Cosa è il festival internazionale di filosofia La Filosofia, il Castello, la Torre

Nel corso delle edizioni, il festival ha preso sempre più spazio fisico e temporale arrivando ad un intero mese di eventi suddivisi per intenzione e pubblico ecco come oggi è il festival internazionale di filosofia di Ischia

Come è articolato il festival.

Ecco le sezioni del festival

Young Thinkers festival: Il festival dei giovani.

È la parte il festival che mette a confronto filosofi junior e senior: si tratta di un evento nell’evento che vede la partecipazione di diverse scuole italiane in cui i ragazzi sono chiamati in prima persona a tenere conferenze.

Quest’anno sono arrivati ad Ischia circa 1500 studenti da tutta Italia.

Summer school of humanities:

tre giorni di formazione e scambio critico per un approfondimento teorico assieme a studiosi affermati.

Eticit(t)à:

una serie di campagne di carattere etico volte alla sensibilizzazione sociale che, dice Raffaele Mirelli è “un modo di vedere un’isola differente che per noi assurge a filosofia pratica, a una rivolta verso il consumismo odierno”.

Un esempio è il mese del senso civico all’interno del quale sono state organizzate le domeniche di stop motori che trasformano le vie principali in vere e proprie piazze di interazione dove tantissime persone si riversano per partecipare alle numerose attività proposte dalle associazioni del terzo settore coinvolte.

Oppure la mostra Il Corpo del reato che espone le opere vincitrici del contest fotografico che ha coinvolto i ragazzi dei licei facendoli riflettere sul rapporto col corpo imparando ad amarsi al di là delle apparenze.

Serate al castello:

un ciclo di lectiones magistrales che quest’anno ha ospitato Benedetta Barzini docente presso l’università di Urbino; Stefano Zecchi, filosofo e scrittore; Milovan Farronato docente presso l’università di Urbino.

Talk:

conversazioni e relazioni di più di 150 studiosi tra professori, filosofi, linguisti, fisici, architetti, esperti in comunicazione, artisti, storici, psicologi e psicanalisti dall’Italia e dall’estero.

Mostre e concerti:

attività che rendono palpitanti i luoghi più suggestivi dell’isola come il Castello Aragonese, i Giardini La Mortella, Torre Guevara, la biblioteca antoniana, la chiesa di santo spirito…

Ricordiamo tra le mostre Matateli di Marco Cecchi e tra i concerti quello del duo façade Jole Barbarini e Antonio Coiana e del Coro polifonico della Pietrasanta

 

Le persone che rendono possibile il festival

Ideatore e direttore Scientifico: Raffaele Mirelli

Condirettore: Andrea Le Moli

Direzione in loco evento: Sara Trani, Marco Ciarlone

Direttori di sessione: Francesco Impagliazzo, Ramon Rispoli, Giulia Castagliuolo, Graziano Petrucci, Giorgio Espugnatore

Interviste: Mariafrancesca De Martino

Fotografe: Melania Buonomano, Caterina Castaldi, Livia Pacera

Assistenti in loco: Carmine Stornaiuolo, Angelica Lo Gatto, Angela Mazzella, Marianna Castaldi

Direzione mese del senso civico: Adriano Mattera

Accoglienza; Felicetta Ammirati

Video: Eleonora Sarracino, Emanuele Rontino – the Motherfactory

Ufficio Stampa: Pasquale Raicaldo




Brava Giorgia, adesso occhio allo spoils system!

Dopo una vittoria così netta, almeno per fratelli d’Italia, verrebbe facile lasciarsi andare alla più sfrenata gioia, ebri di una ubriacatura da potere acquisito.

E’ successo a tanti, a quasi tutti, e spesso questa “ubriacatura” era accompagnata dalla convinzione che avendo vinto si era pronti a fare tutto ed a gestire tutto.

Ebbene il passato ci insegna che non è così!

Come abbiamo già avuto modo di ricordare in precedenti articoli (i partiti … ed i rimasti), l’Italia è un paese dalla difficile governabilità, e l’unico modo ora di governare correttamente per la destra è essere impopolare.

Lo so, non piace a nessuno, ma la prima operazione a cui stare attenti oggi è il cosiddetto spoils system; ma non quello incardinato nella Legge n.145 del 15 luglio 2002, ma bensì nella più ampia gestione delle posizioni della media ed alta dirigenza della pubblica amministrazione, in cui inevitabilmente risiede la macchina organizzativa del nostro governo.

Come dicevo prima, l’errore che si compie è quello di pensare di saper gestire una macchina organizzativa come lo stato italiano, complesso ed imperfetto come pochi altri, e di conseguenza non fare caso ai “manovratori”, ovvero a quel sottobosco di dirigenti che in realtà muovono e decidono i processi organizzativi.

Proprio all’interno di quella fascia dirigenziale si muovono, appunto, i meccanismi operativi delle scelte politiche e proprio quella fascia dirigenziale ha il potere di rallentare qualsiasi scelta che l’organismo politico faccia.

O, anche, se non peggio di trasformare qualche piccolo cavillo in ostacolo insormontabile.

Cari lettori voi ora vi starete chiedendo “ma possibile che politici navigati non stanno attenti a questa cosa?”, ma ci stanno attenti benissimo, e ci sono stati attenti per anni, ma stranamente quando la destra prende il potere questo aspetto lo sottovaluta.

Lo sottovalutò Berlusconi, come altri, ma soprattutto a differenza della sinistra, la destra, quando anche è riuscita a prestarvi attenzione, ha sempre considerato lo spoils system come un sistema di remunerazione degli amici, lasciando così posizioni importanti in mano a persone inesperte sia tecnicamente che “politicamente”.

In effetti in quella fascia di controllo dello stato l’ideale sarebbe mettere tecnici con esperienza operativa, leali, e comunque non influenzabili, cosa non facile effettivamente, ma quello serve.

Sarebbe necessario creare un think tank, ovvero un’importante laboratorio di idee e di soluzioni, pescando a mani basse dal mondo dell’accademia, dei manager, dei tecnici, possibilmente persone che abbiano dimostrato lealtà all’idea e non le solite banderuole che si adattano a chi c’è, al fine di non restare senza teste valide da mettere nelle posizioni chiave, e soprattutto sarebbe necessario avere l’umiltà di capire chi mettere rispetto all’obiettivo, che è quello di riuscire a governare il paese.

Non tutti quelli candidati nei collegi sono poi adatti a ricoprire ruoli tecnici, questo sarebbe un passo importante da metabolizzare al fine di non sbagliare questo momento importante.

Ricordo di un noto politico che aveva formato un gruppo di coordinamento dei capi di gabinetto di tutti i ministeri, controllando in questo modo una grossa fetta dell’attività dello stato.

Ne parleremo in altro articolo.

In ogni caso complimenti ancora, Giorgia, ma occhio allo “spoils system”.