Battere le streghe della nostra psiche

Come un Gattino con gli Occhi Azzurri e uno Stivaletto Bianco, può insegnarti ad essere più forte delle Streghe Cattive che incontri nella tua Vita

Gobbolino era un gatto tutto sbagliato.

Era nato gatto di strega ma aveva il manto nero macchiato da uno stivaletto bianco e gli occhi azzurri.

In più, aveva un grande desiderio: voleva essere gatto di casa.

Tutte queste anomalie costrinsero Gobbolino a scappare e andare alla ricerca di una casa che volesse accoglierlo.

Ma oggi non sono qui per raccontarvi l’intera storia di Gobbolino 

ma solo un episodio.

Solo l’episodio che mi è utile.

Quella volta Gobbolino aveva trovato adozione come gatto di una grande nave: la Mary Mood.

Arriva il giorno della partenza e la nave salpa alla volta di terre lontane.

Ad un certo punto il cielo si fa scuro e il mare si fa grosso.

La Mary Mood viene sballottata da una parte e dall’altra.

Le vele si strappano e, vicino l’albero maestro, tra i lampi e le nuvole scure, si vede agirarsi una strega.

La sagoma nera in groppa alla scopa vola e la megera canta senza sosta:

“la Mary Mood affonderà,

Con tutti i suoi uomini affonderà,

Nessuno più di salverà,

Perché la mary mood affonderà”.

Più canta più il cielo si fa nero.

Più vola e più il mare si fa grosso.

L’equipaggio recita le sue ultime preghiere.

Alla fine Gobbolino getta la maschera, decide di svelare il suo segreto e corre a fare quello che solo un gatto di strega può sapere.

Si arrampica sull’albero maestro fino al punto più vicino alla strega.

In equilibrio, scosso dalle onde, balza da una parte all’altra verso la strega e urla in modo che lei lo senta:

“BAZZECOLE!

BAZZECOLE!!!”

La strega sente la formula magica 

smette di cantare e si allontana sconfitta.

Il mare si calma e il cielo si apre.

La Mary Mood è salva.

Quanto a Gobbolino, nessun marinaio vuole un gatto di strega sulla propria nave così è di nuovo costretto a riprendere la sua ricerca disperata.

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Questa cosa si trova in varie culture.

La stregoneria devastante si annienta non credendoci.

Non è una formula magica oscura a salvare la Mary Mood e tutto il suo equipaggio.

È una parola semplice e ripetuta: “bazzecole!”

Lo stesso vale per noi.

Non c’è niente di oscuro in quello che ci capita,

non ci sono forze del male che tengano,

non ci sono sortilegi malvagi in grado di resistere al potente diniego.

Al non crederci.

Spesso ci lasciamo influenzare dalle maledizioni degli altri novelli stregoni:

“non ce la farai” diranno,

“non è affare per te”

“non sei buono”

Con tutti loro bisogna usare il segreto di Gobbolino.

Bisogna raggiungerli dove sono loro, guardarli in faccia e urlare loro fortissimo affinché tutti sentano: “BAZZECOLE! BAZZECOLE!!!”

E allora streghe e stregoni saranno annientati e scapperanno via senza poter più fare del male per quella volta.

Non si scappa davanti al maleficio

ma lo si affronta e gli si urla contro “BAZZECOLE!”

Non c’è forza che tenga contro il deciso diniego.




La differenza tra storia e teatro

Poco dopo il 500 a.C., Erodoto creava un metodo storiografico basato sulle testimonianze dirette.

Secondo lui, la storia, per essere fedele e veritiera, doveva essere raccontata da chi aveva davvero vissuto i fatti e poteva, con prove concrete, dimostrare quello che raccontava.

Poco dopo il 1900 d.C., Bertolt Becht, creava un nuovo stile di fare teatro chiamato alienazione.

Secondo questa tecnica, quando l’attore è sul palco non deve recitare le battute come se fossero davvero sue ma, nella sua mente, prima di ripetere le battute deve dire: “ed egli disse”; questo per sottolineare l’impersonalità dell’informazione.

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Tutto questo per dire che ancora oggi,

quando un evento viene raccontato dai diretti protagonisti,

si chiama STORIA .

Quando viene riportato da altri (fidàti, amici, fonti certe, ecc…), si chiama TEATRO.

 




L’Eterna connessione

Come in alto, 

così in basso.

Come dentro,

così fuori.

Come è il piccolo, 

così è il grande.

Chi è fedele nelle piccole cose,

è fedele nelle grandi.

Chi riesce a dire una piccola bugia, non esiterà nel dirne una più grande

Chi calpesta un sentimento piccolo, non esiterà a non riconoscere l’umanità.

Così, 

di contro.

Chi dona una carezza potrà salvare una vita

chi mantiene una promessa insignificante è la persona a cui affidare il futuro.

L’uomo è un animale simbolico che rappresenta sé stesso e l’universo

Discipliniamoci nelle piccole cose per poterne fare di grandi.




Le incomprensioni ci rendono poveri

Il sempre caro, 

allora anziano e 

ormai defunto 

Raimundo Panikkar 

diceva che, prima di imbastire qualunque dialogo con qualsivoglia interlocutore, è importante mettersi d’accordo sul glossario da usare.

È bene infatti che entrambi i soggetti dichiarino esplicitamente il significato che hanno per loro le parole che useranno per scegliere quindi assieme le parole migliori.

Questo perché una parola che per me ha un senso preciso,

Un senso costruito sulla base della definizione di un vocabolario, dalla mia esperienza personale, delle mie aspettative e riflessioni…

Può assumere un significato differente rispetto a quello elaborato dal mio interlocutore 

Ecco alcuni esempi di parole controverse:

– felicità 

– religione

– amicizia

– normalità 

– verità 

– amore 

– famiglia 

– relazione 

-…

Quello che sarebbe quindi utile fare prima di iniziare qualunque confronto, è dichiarare il significato che hanno per noi le parole che useremo 

O finiremo per trasformare quello che doveva essere un confronto costruivo in uno sterile scontro.

Il rischio, altrimenti, è quello di trovarsi a parlare due lingue diverse.

Ed è un peccato.

Perché quando troviamo una persona che ci apre il suo cuore e ci vuole parlare di sé, è un peccato rovinare tutto per una incomprensione ottusa.

Quando qualcuno ci parla e capiamo che ci sta dicendo molto di più di quello che appare, anche se non ci siamo prima accordati sul glossario, facciamo noi autonomamente lo sforzo in più dell’amore 

Questo è lo strumento che abbiamo per comprendere ciò che altrimenti non capiremmo.

Abbiamo troppo da perdere per rinunciare a farlo.

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Tratto dal dialogo tra un uccellino e una donna umana: 

“- come faremo a capirci se parliamo due lingue diverse?

– sarà l’amore a renderci complici”

Da il Libre de amic i amat 

di Raimundo Lullo. 

1232 – 1316




La mafia culturale

Noi siciliani la mafia l’abbiamo in testa e lo sforzo più grande che facciamo quando capiamo questa cosa, è distinguere i comportamenti mafiosi dai comportamenti umani.

Ma ci vuole tempo,

ci vuole frequenza.

Noi siciliani la mafia l’abbiamo nello sguardo,

quando guardiamo con superiorità chi ci sta di fronte e accettiamo la sfida di mostrare chi è più forte.

Noi siciliani la mafia l’abbiamo nell’incedere,

quando passiamo avanti e crediamo che tutto ci sia dovuto.

Quando non sbagliamo e sbagliano sempre gli altri.

Quando chi sbaglia paga ma l’errore è opinabile.

E ci vuole tempo

ci vuole frequenza.

Noi siciliani la mafia l’abbiamo nell’amico dell’amico

quando risolviamo problemi e accettiamo lo scambio.

Noi siciliani la mafia l’abbiamo nella strafottenza,

quando pensiamo che le regole degli altri non valgono per noi.

Quando il vanto è il privilegio.

E ci vuole tempo,

ci vuole frequenza.

E noi li abbiamo avuti

Abbiamo avuto secoli e secoli in una società incomprensibile per tutti fuorché per noi.

Siamo corrotti e compromessi.

Abbiamo la mente lurida di mafia e ormai non dormiamo la notte.

Ma proprio per questo

noi siciliani siamo avvantaggiati

Perché abbiamo avuto tempo

perché abbiamo avuto frequenza

e anche se tutto quello che abbiamo vissuto ha fatto schifo, ora abbiamo il dovere di non rendere tutto inutile.

Adesso, chi ci ha fatto attenzione, arriva prima;

chi è cresciuto circondato, oggi può scegliere e ha il dovere morale di avvisare gli altri.

E così noi siciliani la mafia la vediamo prima e la riconosciamo in fretta.

La riconosciamo ai primi posti agli eventi mondani,

nelle tribune d’onore,

nei biglietti al botteghino e nei nomi in lista.

La riconosciamo nel sorriso ammiccante e nel favore disinteressato … e sappiamo che disinteressato non lo sarà mai veramente.

Nel delirio di onnipotenza e nel sorriso astuto, quello che nessuno vede tranne noi.

Noi siciliani la mafia la riconosciamo anche nel ringraziamento di chi crede di aver ricevuto un favore e invece si è compromesso.

E ci dispiace per loro.

Noi siciliani la mafia la vediamo nella promessa del potere e nella sua ostentazione,

nel gesto di onnipotenza e nella spavalderia.

Nell’onore che deve essere protetto.

Nell’arroganza che diventa legge.

Riconosciamo il rumore dei soldi che vendono l’umanità e ne siamo addolorati.

Noi siciliani la mafia la sentiamo all’olfatto perché riconosciamo l’odore e sappiamo che puzza.

E abbiamo e sentiamo il dovere di dirvelo,

di mettervi in guardia.

Ma che ne sarà altrimenti di voi che la incontrerete senza riconoscerla?

Di voi che cercate compagnia agli angoli delle strade cercando l’amore nel posto sbagliato?

La mafia è una prostituta che si improfuma per nascondere l’olezzo nauseabondo.

È malata e contamina ogni cosa che tocca.

Che ne sarà di voi sempliciotti quando la incontrerete e vi sedurrà?

La mafia scappa da chi può riconoscerla e condannarla e cerca rifugio in chi non la conosce ancora e ha sete di fama e potere.

Badate

Badate.




Rincorrere sé stessi

La professoressa di Italiano ci aveva insegnato a cercare in ogni cosa, in ogni argomento, in ogni analisi, tre cose positive e tre cose negative.

È un grande esercizio di imparzialità, soprattutto se inizi a farlo da adolescente.

Sempre da adolescente ho deciso lucidamente che sarei stata felice e da allora mi sono impegnata sistematicamente a vedere il buono anche dove non c’era.

Ne sono soddisfatta.

La crescita però è fatta di tante fasi e sono sempre più raffinate.

Ad un certo punto bisogna essere pronti a chiudere la fase dell’”abbraccio incondizionato” e ad iniziare la fase del dissenso.

Capire quando esercitare questo diritto è facile: ci si basa sull’esperienza diretta e sull’ascolto.

Quando scegli di trovare sempre il buono e di farti piacere le situazioni a tutti i costi, rischi di trovarti anche in situazioni sbagliate che vanno contro il tuo essere.

Ed è giusto va fatto.

E poi bisogna smettere.

A lungo andare, inizi a sentire una crepa dentro di te e questa crepa mina l’integrità il tuo IO che piano piano minaccia di crollare.

Se nel corso della vita ti sei anche impegnato ad essere la persona che volevi essere, la tua concentrazione è su di te e le bricioline poi diventano una “spina nel fianco” che non ti fanno dormire la notte e così capisci che devi uscire da quella situazione e abbandoni relazioni, incarichi e luoghi.

Va bene, è come deve essere,

si tratta dell’unico modo per costruire esperienze.

Bisogna però fare attenzione a non crollare prima di andare via perché in quel caso, si resterà corrotti.

Sulla base dell’ascolto di noi e delle esperienze raccolte, ad un certo punto della nostra vita, è importante iniziare a dire “no a priori”, perché ormai sappiamo cosa ci piace e cosa no e cosa ci fa bene e cosa no.

Così io da oggi divento un po’ più intollerante.

Dico no alle forme urlate, ai camuffamenti, alle bugie, alle furbizie, alle scorciatoie, alle aggressioni, ai pettegolezzi, alle parole non mantenute, alle licenze poetiche, alle paure e alle minacce, a ciò che mi è scomodo, lontano e opposto.

Non vuol dire che siano in assoluto sbagliate, ma che non mi piacciono e quindi non mi ci avvicinerò facilmente e non mi farò avvicinare.

Senza giudizi universali, solo personali.

Da oggi mi avvicino più velocemente a me e metto da parte le esperienze già fatte.

Vi auguro, come capita a me, di avere tante persone che vi vogliano bene, che la pensino in modo diverso da voi ma che rispettino sempre la vostra opinione pur non abbandonando la propria.




La verità ha tante bocche

– Oh… Come è bello… Come hai detto che si chiama?

– Oceano 

– … Oceano… E hai detto che lo hai inventato tu?

– Propriamente 

– … Che meraviglia… Ma come hai fatto?

– Ho studiato, ho viaggiato molto, ho fatto esperimenti sulla mia pelle.

Quindi ho creato l’oceano.

– Oh… 

– Non è stato facile sai?

Questo oceano è unico.

– Una volta però ho sentito parlare di qualcosa del genere… Non ricordo bene… è possibile?

– Certo che no. 

– Eppure… Mare… Si chiamava così…

– Ah il mare… Ma quello lo conoscono tutti e oltre a non essere niente di speciale è pure tutto sbagliato.

– Tutto sbagliato? Che vuol dire?

– Vedi, tu adesso sei qui con me e stai osservando l’oceano. 

L’oceano è una enorme distesa di acqua salata che io ho alimentato goccia dopo goccia inserendo pesci di vario tipo, alghe e crostacei di ogni forma

– Capisco 

– Per non parlare dei coralli e dei molluschi, riesci a vederli?

– Bhé non riesco ad avere una visione di insieme perché è la prima volta che mi trovo davanti all’oceano ma è senza dubbio impressionante.

– Beh imparerai a conoscere l’oceano col mio aiuto e vedrai che ho ragione:

dietro questa massa d’acqua c’è proprio un gran lavoro.

– Ok, ma qual è la differenza tra questo è il mare?

– Hai detto che non hai mai visto il mare?

– Mai 

– Ma ne hai sentito parlare?

– Sì ma non ricordo bene, in modo confuso

– Bene, il mare è una enorme distesa di fango marrone, ha acqua salmastra e non ha vita al suo interno. 

Le acque sono torbide e se provi a bagnarti vai incontro a morte certa.

 

– Davvero?!

– Davvero.

– Io però avevo capito che il mare era bello e faceva pure bene, ti dirò che dalle descrizioni me lo immaginavo anche un po’ come questo oceano…

– Ti hanno ingannato! 

Venditori di fumo. 

La verità l’hai davanti ai tuoi occhi: questo è l’oceano e l’ho fatto io. 

Il mare è un abbaglio per allocchi e tu stai cadendo nella trappola di chi ti vuole ignorante.

– Povero me 

– Sí povero te, ma ci sono qua io e c’è l’oceano. 

Vuoi fare un bagno?

– Posso?

– Ma certo.

– Come è bello e come fa star bene, mi sento leggero e posso fare cose che non ho mai fatto.

– Vero, ma devi stare attento; ci sono delle regole per nuotare ed io te le insegnerò.

– Come fai a conoscere queste regole?

– Le ho create io quando ho creato l’oceano.

– Sono stato proprio fortunato a conoscerti 

– Puoi dirlo forte.

E ora lascia che ti racconti con la mia voce la verità… Bada però: non avrai anche tu intenzione di creare l’oceano?

– No, in verità… E poi mi è parso di capire che l’hai inventato tu…

– Proprio così infatti…

E ora siediti qui senza muoverti e ascolta la mia verità.

—–

Racconto fantatico ispirato a chi vuol far credere di aver inventato l’Oceano e vuol metterci paura del mare.




Il dolore che annienta

A metà degli anni sessanta, Martin Seligman e un allegro gruppo di altri psicologi sperimentali, hanno fatto un esperimento simpatico come il pizzicotto sulla guancia da parte dello zio ridanciano quando eri piccolo.

Il curioso gruppetto, mise un cane in una grande gabbia e ne elettrificò una parte.

In poco tempo il cane capì il trucco è si spostò sul lato opposto.

Una volta che il cane aveva capito, invertirono i settori di elettrificazione 

ma il cane, che non era stupido e sapeva che doveva scappare dalle scosse, 

sì riadattò sull’altra parte della grande gabbia.

Gli psicologi non erano ancora contenti ed elettrificarono l’intera prigione.

Non trovando scampo, il cane si rassegnò e si sdraiò adattandosi al dolore.

A questo punto, il gruppetto di scienziati aprì la porta della gabbia aspettandosi che il cane sarebbe fuggito spinto dall’istinto di sopravvivenza.

Ma non fu così.

Abituato al dolore, il cane si era arreso e non cercava più scampo.

——–

Ed ecco

alle volte capita pure a noi.

Alle volte ci troviamo in una gabbia 

e ci sbattiamo tanto per trovare il punto in cui non ci arrivano le torture.

Lo troviamo e lo ritroviamo ogni volta 

finché poi però non esiste più punto franco

e ci rassegnamo.

Tanto che quando possiamo fuggire non lo facciamo.

Questo succede quando siamo vittime di un lavoro che non ci soddisfa,

quando stiamo con una persona che ci maltratta,

quando vogliamo stare con amici che ci tradiscono.

Su di noi nessuno fa esperimenti 

ma qualcuno vuole fare prove di forza.

Non permettiamogli di vincere.

Non adattiamoci al dolore ma vegliamo sempre e stiamo reattivi in attesa della possibilità di fuga.

Non c’è vergogna nel lasciare una gabbia




In memoria di Sandro Musco

“Cchiu longa è ‘a pinzata,
Cchiu grossa è ‘a minchiata”

Trad. “più a lungo ci si sofferma a rimuginare su una decisione,
più è facile che questa porti delle conseguenza avventate e sprovvedute”.

Caro Sandro la versione originale era uno delle tue frasi più note.
In questo periodo di profonda riflessione e di paure da bambini, ti riprendi il mio pensiero.
Ti ho sognato e mi dicevi come ti si confaceva: “tu devi fare quello che ti dico io e basta”
E “Oggi” è il tempo di obbedirti.

Caro Sandro,
ci sono voluti anni per riconciliarci
e non perché dovessi riconciliarmi con un uomo controverso come te che, comunque, era “solo un uomo”, ma per riconciliarmi con me che ero una bussola impazzita con un Nord enorme ma non ancora ben tarato che si confondeva con le altre direzioni.

Sono stata la tua più grande delusione e tu il mio boccone più amaro.
Non ci siamo perdonati
per tanto tempo.
Non mi hai capita, non ti ho capito fino alla fine.

Ma alla fine ha senso.
Il figlio ha il dovere di deludere suo padre se vuole essere un individuo indipendente.

In quei giorni si giocavano le nostre vite.
La mia per lo meno.
E te l’ho sempre rimproverato.
Ma oggi so che in realtà è stato tutto perfetto (molto doloroso ma perfetto).
Oggi che siamo passati sulle nostre carcasse, vedo che su ogni cosa esiste ciò che i tuoi filosofi chiamano “spirito immortale” e ha l’aspetto di un grosso filo rosso.

Caro Sandro, in questo momento in cui o si salta o si sprofonda, mi ricordo che “Cchiu longa è ‘a pinzata, cchiu grossa è ‘a minchiata” e … niente, è chiaro così… e non a caso oggi è il tuo compleanno




Eneide nello spirito

Dopo i lunghi viaggi e le grandi avventure, spesso iniziate al primo vagito,

dopo le digressioni e gli errores 

distraenti e devianti,

alla fine della fiera, 

il desiderio dell’eroe è quello di tornare a casa propria.

Sintomatico e notevole è 

che la caratteristica dell’eroe sia riconoscere la casa propria.

Beato chi guarda il proprio cuore e vi riconosce l’approdo.