IL SONNO DELLA RAGIONE

 

C’è una parola, che dovrebbe appartenere al frutto acquisito della Storia, trasparente e matura, di cui oggi si fa abuso: si tratta della parola «Libertà».

Peccato che molti non stiano parlando della stessa «cosa», o meglio, che non si attribuisca a questa parola lo stesso significato, in sostanza, lo stesso valore.

Che cosa è andato storto?

Come è possibile che un improvviso velo oscuro sia calato sulle menti, ottenebrandole?

Come è possibile che quel dono fragile, umile, prezioso, ineliminabile, sia improvvisamente andato in frantumi – disperso in mille pezzi?

E fa male, è doloroso, leggere con quanta disinvoltura la parola «Libertà» sia usata, trascurandone – non si sa se volontariamente o per ignoranza – le valenze e le implicanze, perché la Libertà, come la Memoria, è «cosa» preziosa, fragile, delicata e importante. 

 

Da Socrate e Platone in poi, si ragiona sul concetto di «Libertà».

Abbiamo capito che si tratta non di un concetto assoluto ma di un concetto relativo: esiste la «libertà da…», la «libertà di…»;  abbiamo imparato che la libertà si deve eticamente rapportare con il mondo e, in questo mondo, ciascuno è, o dovrebbe essere, responsabile delle proprie scelte e delle proprie azioni.

Plotino, va oltre, e riconduce la libertà del volere non a un impulso, bensì «al retto ragionamento e alla giusta tendenza».

 

La libertà è, di solito e a ragione, invocata a proposito delle rivendicazioni e delle difese dei «diritti» dell’essere umano: diritto alla vita, alla salute, all’istruzione, alla comunicazione, all’informazione, alla proprietà, al muoversi e all’associarsi, al difendere le proprie opinioni, al praticare il proprio culto religioso, e così via.

Meno di frequente, anzi mai, in questo periodo, la libertà è messa a confronto con la «Responsabilità»: responsabilità di fronte alle azioni compiute; responsabilità di fronte alle scelte fatte o da fare; responsabilità sulla verità di quello che si dice e sulle testimonianze che si rendono; responsabilità come dovere di rispondere delle proprie azioni, semplicemente e arrogantemente non rispondendo alle domande e alle richieste di quanti rimangono delusi, stupefatti, indignati, o rispondendo deviando, o cercando di deviare, l’attenzione su falsi problemi.

Si rimane toccati e coinvolti, o anche solo più consapevoli, attoniti di fronte alla totale mancanza di coerenza.

Ci si sente come traditi, nel profondo del nostro essere, delle nostre anime.

E assistiamo al dilagare dell’ignoranza, della mancanza di una cultura, anche minima, e dell’abuso di potere.

 

L’abuso dei poteri è prassi: fatti più o meno gravi sono volutamente ignorati: non se ne parla, o se ne parla il meno possibile, sperando che ci se ne dimentichi in fretta.

Se, per caso, si denunciano situazioni grottesche, ben oltre il limite del ridicolo, ci si difende dicendo: «È tutto un equivoco. Avete frainteso. Non mi avete capito».

Dobbiamo avere ben presente che la libertà è violata e impedita ogni volta che si ostacolano i diritti, e questo può essere fatto in tante forme, dalle più aperte e manifeste, a quelle più nascoste e insidiose.

A fronte di determinate situazioni e pur di preservare la propria sfera, il proprio «cortile dietro casa», spesso al singolo non interessa partecipare, preferisce rinunciare, tacere.

 

Ed è qui, in questa frattura, che altri si inseriscono abilmente.

Abilmente e senza scrupoli.

Il singolo è indotto a dimenticare che ognuno di noi è responsabile anche nei confronti di chi c’era prima, di chi c’è ora, e di chi ci sarà dopo. 

Perché la storia non comincia da me.

Prima di me dovrebbe esserci sempre «l’altro» che mi interroga, a cui sono chiamato a rispondere.

Perché è in questa «tensione verso l’altro» che dovrebbe orientarsi l’agire umano, guidato da princìpi che, per quanto possibile, se pur relativi, tendano all’universalità.

 

In un libro di Hannah Arendt,  «Tra passato e futuro», si considera la crisi in vari settori dell’agire umano, determinata da una lacuna (o frattura) nell’agire, che interrompe qualsiasi solco etico e morale sia stato tracciato dalla tradizione.

Hannah Arendt coglie questo aspetto, evidenziandolo con l’aforisma del poeta René Char «La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento», per indicare che il filo della tradizione si è spezzato e manca di continuità.

Ciò rappresenta un aspetto importante poiché permette di scoprire che cosa, e perché, è andato perduto nella voragine attuale, tra passato e futuro.

Negli ambiti in cui ognuno si muove e agisce, questa voragine rende ogni giorno di più qualcuno vittima e, se da questa voragine si «deve» uscire, in questa voragine, invece, qualcun altro sembra muoversi a proprio agio.

 

Barbara de Munari in supporto alla redazione di Betapress




OPERA D’ARTE: IL PREZZO RAPPRESENTA IL VALORE? (di Paolo Battaglia La Terra Borgese)

Come avviene nel mercato dell’automobile piuttosto che del tonno in lattina, realmente il valore economico dell’opera d’arte non è mai veramente proporzionale alla dote estetica e al dato qualitativo.

Le leggi dell’economia per le contrattazioni dei beni regolano la fruizione e trattano l’opera come un prodotto qualsiasi, per poterne budgettizzare le singole voci e arrivare alla determinazione del prezzo finale tenuto conto del sistema globale.

Dai Sofisti a Platone fino all’Aesthetica del filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten, il problema del Vero rispetto al Buono e al Bello afferisce all’opera d’arte nel senso più largo delle nozioni, e Socrate avvertiva “Non necessariamente ciò che non è bello e buono è brutto e cattivo”; ma sarà Vero e reale, c’è da chiedersi?

Puro no di certo, se si parla di soldi.

Nel sistema dell’arte a noi contemporaneo, e forse da sempre, l’opera – abbiamo detto – è sottomessa ad un vero e proprio marketing come qualsiasi prodotto in vendita.

È ampiamente accettata valida a tal proposito l’esemplificazione del noto critico d’arte italiano Achille Bonito Oliva, secondo cui l’artista crea, il critico riflette, il gallerista espone, il mercante vende, il collezionista tesaurizza, il museo storicizza, i media celebrano, il pubblico contempla.

Oggigiorno la strutturazione internazionale dell’attività artistica si edifica su rapporti ascendenti il tramaglio mondiale delle gallerie e il tramaglio mondiale delle istituzioni culturali.

La distesa culturale dove si opera con valutazioni lo studio del bello e le piazze mondiali dell’arte dove vivono le negoziazioni e le alienazioni delle opere, combinano sinergicamente la determinazione del valore degli artisti e delle loro opere; Francesco Poli docet.

Si comprende bene che, decidendo di cosa musealizzare, anche le preferenze di direttori e conservatori di museo intervengono conseguentemente sulla determinazione del valore artistico; e ancorché queste scelte siano dettate dalle finanze a disposizione esse influenzeranno inevitabilmente il mercato stesso.

Per dirla alla Oscar Wilde: oggigiorno si conosce il prezzo di tutto, ma non si conosce il valore di niente.

Testi critici, libri monografici, bibliografia, sitografia, cataloghi commentati, mostre in residenze pubbliche o prestigiose, fiere, opere musealizzate, collezionisti che contano, quotazioni ufficiali certificate da esperti di chiara fama, battute e aggiudicazioni d’asta, reference galleries e vastità dei territori di distribuzione concorrono a costituire il coefficiente di quotazione dell’artista, valore, questo, indispensabile per calcolare il prezzo esatto delle sue opere, ferme restando le variabili che incidono a seconda dei supporti utilizzati e delle capacità tecniche ed estetiche espresse nel dato degli elementi contestualizzati in ogni singolo lavoro.

Per dirla con le parole di uno degli artisti attualmente più pagati negli Stati Uniti, Jeff Koons: «l’arte non consiste nel fare un quadro, ma nel venderlo», alias: il problema non è fare il quadro ma venderlo.

Il grosso problema discrasico del collezionista d’appartamento risiede invece nella volontà di tesoreggiare la creazione dell’artista, dunque nel comprare in certezza di qualità e garanzia di mantenimento di valore – quasi stesse lui acquistando una lavatrice che continui a funzionare nel tempo – separando il problema del bello dal problema dell’uomo, come rilevava Giovanni Paolo II riferendosi però agli artisti moderni.

Baudelaire, Dante e anche Eliot avvertivano che per creare il bello l’uomo deve prima cercare in tutte le forme delle manifestazioni in natura, uomo compreso, per poterne attingere.

Il collezionista commette l’errore di voler considerare l’acquisto di un’opera d’arte quale trasformazione di risparmio in capitale (opera d’arte), ma l’investimento – per sua nozione – può rivelarsi sia buono quanto sbagliato, e l’investimento giusto per definizione è collega dei prodotti per la ricrescita dei capelli: non esiste.

Perfino le grandi organizzazioni di lobbisti museali internazionali, le principali gallerie di importanza mondiale e le principali case d’asta – veri mercanti di oggi – potrebbero fallire puntando su taluni o talaltri artisti.

E l’acquisto giusto?

Il migliore affare è indubbiamente quello che fa coincidere il prezzo dell’opera col suo valore economico reale del momento.

Rivolgersi sempre a un critico d’arte di chiara fama è buona regola per verificare la legittimazione degli autori a quella fascia di prezzo e sulla possibilità nel mercato di opere di altro artista di eguale valore qualitativo ma di valore commerciale ben diverso.

Oltretutto è facile incappare in artisti che spessissimo propongono ingenuamente le loro opere al potenziale compratore a prezzi privi di qualsiasi fondamento: in termini di sottocultura, questi autori sono stati convinti dagli sfruttatori degli artisti dilettanti, a credere in una intima relazione fra quantità di mostre, numero di pubblicazioni e valore delle proprie opere.

Si tratta di galleristi ai quali non occorre nessuna competenza artistica in quanto non hanno loro nessun obiettivo di scelta e di vendita, ma hanno semplicemente il fine di affittare lo spazio dei propri locali ad artisti sprovveduti che anelano di esporre in pubblico le proprie opere, e magari vincere qualche premio; e si tratta inoltre di editori di cataloghi e libri d’arte dove gli artisti possono essere inseriti comunque a fronte di un pagamento, indipendentemente da ogni capacità vera e reale.

Per onestà di cronaca corre il dovere di segnalare che a fronte di tali attività operano nel mercato alcune gallerie impegnate realmente in un serio lavoro culturale, come pure fanno quei mercanti che sono una vera e propria garanzia per i collezionisti di una certa raffinatezza.

È qui utile infine segnalare all’artista le fiere importanti.

Casomai ritenesse opportuno parteciparvi egli sappia che la più antica è la kunstmesse di Colonia, in Germania; che oltre al noto mercatone di quadri e affini che si svolge a Venezia sotto il nome di Biennale, in Italia quella più importante e alacre in assoluto è la Fiera di Bologna, seguita per il buon livello di qualità da Artissima di Torino.

Oltre che a Colonia fuori dall’Italia nel mondo sono importanti Internationale kunstmesse di Basilea, Frieze di Londra, Armory Show a New York, ARCO a Madrid e Foire Internationale d’Art Contemporain di Parigi, e ancora in Italia Miart a Milano, oltre a fiere che si tengono ad Amsterdam, Chicago, Dubai, Francoforte, Los Angeles, Nizza, Shanghai e Stoccolma.

Da segnalare anche Manifesta per la sua peculiarità di edizione itinerante.

 

PAOLO BATTAGLIA LA TERRA BORGESE




Il Bandecchismo II parte.

 

Nel precedente articolo dal titolo “Il Bandecchismo” abbiamo iniziato a trattare un fenomeno politico e sociale a cui il grottesco Sindaco di Terni ha dato vita sin dalle elezioni del Maggio 2023 e che ha colorato con i toni delle drammaticità che non hanno risparmiato attacchi ai diritti civili,  frasi sessiste,  banalizzazione dei femminicidi, fino ai reati di aggressione fisica e verbale.

Una parodia grottesca che ha trovato il culmine nelle dimissioni annunciate il 7 febbraio 2024 e poi ritirare appena due giorni dopo senza apparenti ragioni politiche: qualche screzio con il proprio partito ma nessun rimpasto di giunta, nessuna modifica del programma politico, nulla, in sintesi, che giustifichi il siparietto  delle dimissioni revocate.

In realtà, come ho sostenuto in diversi occasioni, il Sindaco Bandecchi si è dimesso il 7 febbraio allo scadere del termine dei 180 giorni entro i quali il Prefetto di Terni avrebbe dovuto esprimersi rispetto agli esposti ad iniziativa popolare ex art 70 Tuel presentati da cittadini lo scorso 7 e 8 Agosto 2023 e relativi alla incompatibilità alla carica di primo cittadino del manager Bandecchi che era già stata dichiarata da un Parere del Ministero dell’Interno già pubblicato il 3 Agosto e trasmesso al Prefetto di Terni che tuttavia resta nel Suo silenzio impenetrabile.

Il tema della incompatibilità nasceva per il fatto che Bandecchi era al tempo stesso patron della Ternana Calcio e (quindi titolare dei terreni sui quali sarebbero dovuti sorgere il Nuovo Stadio di Calcio ed una Clinica privata convenzionata con il SSN)   Sindaco della Città (che aveva già definito opere pubbliche i due interventi e ne avrebbe gestito la realizzazione) .

Una situazione nella quale il nostro simpatico Sindaco si sarebbe trovato nel ruolo scomodo e illegale di commissionario e committente.

In realtà il Sindaco Bandecchi mise in essere una serie di operazioni societarie che apparentemente rimossero il conflitto d’interessi ma solo apparentemente perché Bandecchi è in realtà l’UBO Ultimate Beneficiary Owner del Gruppo Unicusano e delle sue consociate estere, quindi colui che ne assicura con continuità il governo nazionale ed internazionale.

Vero, altresì, che un pronunciamento del Prefetto anche tardivo in favore della incompatibilità riaprirebbe un dossier scomodo per il Sindaco di Terni che si troverebbe magari a dover chiarire i movimenti societari posti in essere nella galassia di aziende del suo gruppo: un caso per tutti la Nuova Ternana Calcio venduta nel 2023 all’imprenditore Guida che gestisce, tuttavia, con un modesto  5% del capitale sociale che sarebbe, altresì, detenuto concentrato nelle mani di una Holding denominata N21 completamente schermata…

Con la revoca delle dimissioni, ed è questo l’oggetto dell’articolo,  Bandecchi si allontana dal dibattito dissolvendosi dal passato dal presente e dal futuro della comunità politica e civile.

Quello che oggi deve essere indagato e scardinato, dunque, finito Bandecchi è il “bandecchismo”, l’attitudine cioè a tollerare, a non censurare, a  perdonare le manifestazioni politiche del Sindaco sia d’indirizzo amministrativo  nella attività di giunta sia nelle esternazioni fatte pubblicamente In molte occasioni.

Una comprensione che sposta il focus dal Sindaco alle Istituzioni  democratiche, alle forze politiche ad al ceto elettorale.

In primo luogo bisogna chiedersi cosa aspetti il Prefetto di Terni ad intervenire sulla questione descritta e ciò non soltanto in forza degli esposti presentati e rimasti ancora senza risposta ma anche alla luce dell’utilizzo personale che il Sindaco di Terni ha fatto delle Istituzioni rappresentative in violazione di qualsiasi normativa e regola, anche, di buon senso.

Inutile ricordare che l’art 53 del Tuel non prevede in alcun modo una dimissione del Sindaco immotivata e sostenuta da propositi mendaci né una revoca sostenuta da motivazioni razziste: avrebbe revocato le dimissioni per non lasciare il Governo della città alle opposizioni definite come “animali”.

In secondo luogo ci sono tracce di bandecchismo nella reattività delle opposizioni  consiliari che appaiono lente ed ossequiose rispetto all’assunzione di strategie  di contrasto forti  ed incisive.

Basti ricordare che uno degli esposti al Prefetto in ordine alle incompatibilità del Sindaco è stato presentato dai consiglieri di centro destra.

Dare seguito, nei confronti del Prefetto, a quell’esposto darebbe un segno importante alla città.

In terzo luogo il bandecchismo, nonostante le sue mille contraddizioni, delude nei sondaggi nazionali ma resta a forte a Terni, una città stretta da agonia del passato industriale, chiusura delle attività commerciali ed il vuoto di un progetto di rilancio mai realizzato.

Il popolo di Bandecchi sembra sostenerlo malgrado tutto e gli altri, la maggioranza, anche quelli che non lo votarono o non andarono alle urne restano assenti, distanti, forse ci ridono su o forse no, restando a guardare come merli su un ramo.

 




NATO O DIFESA EUROPEA… CHI PAGA?

I trentuno Stati aderenti alla NATO hanno, in termini aggregati, investito nelle forze armate il 1,8% del PIL nel 2022.
Questo viene presentato all’opinione pubblica come un sostanziale rispetto dell’accordo sancito nel 2014 in Galles.
Esso prevedeva che i singoli Stati membri investissero nella difesa il 2% del loro PIL.
I due numeri non parlano fra loro e, a dire il vero, si fa anche assai fatica a comprendere come sia stato calcolato quel 1,8%, ancor più escludendo dal calcolo gli Stati Uniti.
Stato che in spesa per la difesa investe 876.943.200.000, pari al 3,45% del PIL, numero che sposta in alto il calcolo complessivo degli investimenti ma che dimostra, ulteriormente, se inserito nel calcolo, come molti Stati membri facciano i “furbi” e scarichino sugli americani i loro costi per tutelare i loro confini.
Alcuni esempi di Stati UE27 per aiutarci a comprendere la sproporzione.
La Germania ha investito nel 2022, ultimo dato noto, in armamenti 55.759.747.827 pari al 1,39% del PIL, la Francia 53.638.748.769 pari al 1,94%, la Spagna 20.306.570.633 pari al 1,47%.
Dati assai facilmente riscontrabili con una banale ricerca sul web da fonti ufficiali.
L’Italia, sempre nel 2022, dichiara di aver speso in armamenti 33.489.705.251.
Una ulteriore suggestione per confutare la mia tesi che i membri della NATO, ancor più gli europei assai preoccupati dal confine russo, abbiano amato dal 2014 ad oggi scaricare una importante quota delle loro responsabilità di difesa sugli USA potrebbe essere questa.
Gli Stati Uniti spendono in difesa circa 2.617 dollari per abitante, la Germania, la nazione con più abitanti d’Europa, 670 euro, l’Italia 567 euro circa.
Numeri che parlano!
A fronte di questi dati leggiamo che il Premier polacco, Donald Tusk, in risposta alla provocazione del Presidente Trump sulla NATO, ha dichiarato che è necessaria “una nuova Nato accanto alla vecchia”.
Affermazione per nulla banale che può avere molte interpretazioni ed altrettante diverse soluzioni ma che, certamente, apre ad un percorso di superamento dell’attuale Nato.
Organizzazione molto agognata da tanti militari italiani soprattutto per gli interessanti stipendi esenti dalle tasse nazionali.
Il Segretario Generale della stessa NATO, Jens Stoltenberg, dopo le affermazioni di quel cattivone di Trump e le elucubrazioni di Tusk, si sta agitando assai.
L’ultima sua dichiarazione è che “diciotto dei trentuno Stati aderenti alla NATO nel 2024 raggiungeranno l’obiettivo di investire in spesa per armamenti il 2% del PIL”.
Fino al 2023 erano undici, dal 2014 dovevano essere trentuno a causa dell’accordo firmato fra i capi di Stato in Galles.
Tanto per raccontarla tutta nel 2014 l’obiettivo lo raggiunsero solo in tre, ed uno dei tre erano proprio gli Stati Uniti d’America che, già allora, erano quelli che chiedevano agli altri Stati membri di investire maggiormente in difesa.
Mi chiedo quanto sia facile vivere firmando accordi senza rispettarli?
Mi chiedo se chi pretende il rispetto degli accordi sia “pazzo” o sia uno “serio”?
Ognuno si dia la propria risposta e si domandi, almeno io me lo chiedo, come si possa essere sicuri nei nostri confini senza una forza armata che possa seriamente dissuadere da azioni offensive contro i nostri confini.
Allo stesso tempo mi chiedo con quali soldi l’Unione Europea intenda creare una seria forza armata comune dati gli, assai preoccupanti, dati che non ultimo pochi giorni fa il Commissario Europeo Gentiloni ha fornito sull’andamento economico dell’Unione Europea.
La UE27 ha una estesa pari a circa 4milioni di kmq su cui vivono 447 milioni di persone. L’estesa Statunitense è di circa 9 milioni su cui vivono, questo il dato ufficiale, 331 milioni di persone, c’è chi ritiene 335 milioni.
I numeri parlano sempre e, soprattutto, riducono assai lo spazio alle chiacchiere.
La NATO è strategica all’Unione Europea perché le permette di investire molto meno in spesa in armamenti.
Allorquando, però, si fa pagare ad altri il conto della nostra sicurezza ed allo stesso tempo si strizza l’occhio all’avversario di chi ti protegge, per esempio alla Cina, quando dovesse arrivare alla Casa Bianca quel “cattivone” del Presidente Trump è molto facile credere che presenterà il conto.
Non perché ha lanciato una “provocazione” in campagna elettorale, banalmente perché non sembra aver voglia di farsi prendere in giro.
Un conto assai salato.

Ignoto Uno

19/02/2024
da ettore lembo news




Eresia

L’Eresia è una dottrina considerata come deviante da un’ortodossia alla cui tradizione si collega.

Il termine – peraltro – viene utilizzato anche fuori dall’ambito religioso, in senso figurato, per indicare un’opinione o una dottrina filosofica, politica, scientifica o persino artistica in disaccordo con quelle generalmente accettate.

E qui le cose iniziano subito a complicarsi: spesso la neutralità di questa voce è stata messa in dubbio, presentando – per sua stessa essenza di definizione – seri problemi contestuali di discussione.

Anche perché, dal punto di vista etimologico, “Eresia” deriva dal greco αἵρεσις, haìresis, derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, “afferrare”, “prendere” ma anche “scegliere” o “eleggere”).

Sia in greco antico sia in ebraico ellenizzato questo termine non possedeva dunque, originariamente, alcuna caratteristica denigratoria.

Con le Lettere del Nuovo Testamento la neutralità del termine viene meno: in 1 Corinzi 11:19, Galati 5:20, 2 Pietro 2:1, haìresis inizia ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la “separazione”, la “divisione” e la corrispettiva condanna.

Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di haìresis procede con l’analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.

In ambito ebraico avviene qualcosa di analogo: sempre nel I secolo e.v. (in corrispondenza con l’emergere dell’ebraismo rabbinico ortodosso) il termine ebraico min (מִין, pl. מִינִים, minim; corrispettivo del greco haìresis) assume dei connotati dispregiativi e viene utilizzato per indicare sia i cristiani sia gli gnostici.

Il termine da un significato neutro assume in un secondo momento un valore negativo e passa a indicare una dottrina o un’affermazione contraria ai dogmi e ai princìpi di una determinata religione, o potere di stato, ed è sovente oggetto di “condanna” o scomunica da parte dei rappresentanti di tale potere.

Non è il caso, qui, di ricordare tutti i sinodi volti a stabilire quali fossero le deviazioni dall’ortodossia e chi fossero veramente coloro che venivano considerati “colpevoli di eresia” (ovvero gli eretici).

Se eretico è dunque chi proclama con forza una propria scelta definitiva, “eresia” equivale pertanto a una scelta sia di credo sia di appartenenza, tra posizioni contrapposte, o spesso anche solo discordanti.

Un’altra possibile interpretazione, legata al significato di “scelta”, richiama il fatto che l’eretico è colui che “sceglie”, cioè accetta, solo una parte della dottrina “ortodossa”, rimanendo in disaccordo su altre parti.

In termini formali, il termine viene comunque usato per indicare un’opinione gravemente errata o comunque discordante dalla tesi più accreditata riguardo ad un certo argomento.

Naturalmente, a questo punto del ragionamento, nell’accezione negativa, il termine eresia è reciproco: pochi sarebbero disposti a definire le proprie credenze come eretiche, tendendo piuttosto a presentarle come l’interpretazione corretta di una determinata dottrina, e quindi come la visione ortodossa giudicata eretica da altri.

E, tra i due fronti opposti, statisticamente parlando, mediamente l’accusa più gentile che gli ortodossi rivolgono agli eretici è quella dell’ambiguità.

In sostanza, ciò che costituisce eresia è un giudizio, dato in funzione dei propri valori; si tratta dell’espressione di un punto di vista, relativo a una consolidata struttura di credenze, convinzioni, acquisizioni morali.

Blaise Pascal in Pensieri si sofferma più volte sul tema delle eresie.

Nel frammento 862 scrive:

[…] Dunque esiste un gran numero di verità, sia di fede sia di morale, che sembrano incompatibili e che sussistono tutte in un ordine meraviglioso. La sorgente di tutte le eresie è l’esclusione di alcune di queste verità, e la sorgente di tutte le obiezioni che ci fanno gli eretici è l’ignoranza di alcune delle nostre verità.

E di solito accade che, non potendo concepire il rapporto tra due verità opposte e credendo che l’accettazione di una comporti l’esclusione dell’altra, essi si attaccano all’una ed escludono l’altra, e pensano che noi facciamo il contrario. […]

Un altro esempio di verità e di contro verità è dato dalle tentazioni di Gesù descritte da Luca evangelista, quando Satana:

«Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano;

e anche:

Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”.

Gesù gli rispose: “È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Tuttavia, altrove, il lemma acquisisce un significato ben più ampio, configurandosi come, in una dogmatica universalmente o ufficialmente riconosciuta, la dottrina basata su interpretazioni personali in contrasto con la tradizione. Con buona pace degli enfatici e dei fanatici di ambo le parti.

Vi auguro di essere eretici, ha scritto Don Luigi Ciotti, …

Siate eretici perché eretico è colui che sceglie. …

Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa… Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze…

Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza… Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione…

E qui l’idea dell’eresia come scelta e la scelta stessa della verità (ma quale?) unitamente alle “virtù” dell’eresia, costituisce un ossimoro che già di per sé dovrebbe spaventare. 

Sull’altro fronte, gli fa eco opposto Gilbert Keith Chesterton: «Le eresie consistono sempre nell’indebita concentrazione su di una singola verità o mezza verità…».

E prosegue: «L’eretico (che è sempre anche fanatico) non è colui che ama troppo la verità; nessuno può amare troppo la verità…

Non gli piace veder finire il suo piccolo, prezioso paradosso, che si regge solo con l’appoggio di una ventina di truismi, nel mucchio della sapienza di tutto il mondo…».

Tutto ciò fa riflettere sulle opportunità infinite che abbiamo per esprimere il nostro sentire. 

E allora essere eretico, oggi, potrebbe voler dire amare la propria ombra, il femminile e l’ombra del pianeta, accoglierle come parti di noi, donando ciò che di più prezioso abbiamo: il nostro essere unici.

Essere eretico dunque significa non avere paura della propria ombra e non avere paura delle proprie idee, delle proprie azioni, significa anche vivere profondamente radicati nelle radici, rappresentate dai nostri antenati.

Dante, nel Decimo Canto dell’Inferno, incontra gli “eretici”, coloro che – nella sua visione – hanno perso il legame con la propria anima e, andando contro il dogma della religione, giacciono in sepolcri infuocati (il fuoco, secondo la consuetudine del tempo, rappresenta la purificazione) e sono condannati a morire costantemente nel torrido inferno.

Eppure anche Dante, cattolico che, se pur con alcune incertezze, condivideva il lavoro di Tommaso d’Aquino e di Sant’Agostino, esprimeva pericolose simpatie verso ipotesi filosofiche e religiose che in quel lontano periodo potevano odorare di eresia. 

Anche Dante si dovette presentare davanti al Tribunale dell’Inquisizione e fu più volte accusato di eresia. I suoi amici settari del Dolce stil novo, i Fedeli d’amore, ebbero anch’essi problemi con l’Inquisizione (come anche Petrarca, il cantore de’ casti amori), e fecero l’esperienza del rogo (come Cecco d’Ascoli il 26 settembre 1327).

Dante ghibellino, pur riconoscendo la Chiesa, voleva delimitarne il potere nel campo spirituale e lasciare all’Imperatore quello politico.

Se la chiave di lettura della Commedia (che è lo scritto più violento che il Medio Evo e anche la post Riforma abbiano prodotto nei confronti di Roma) non fosse andata perduta,  coloro che volevano sapere avrebbero probabilmente evitato di essere accusati di eresia.

Questa drammatica disconnessione dell’anima, spesso destrutturata, è presente anche oggi ma, con un segno contrario a quello dantesco, connota invece il malessere sociale di chi lamenta la perdita del legame con la spiritualità e con il divino.

Chi sono gli eretici oggi? Sono “condannabili” come eretici quanti cercano quel divino che è in ognuno di noi, quanti ricercano il legame con la natura e con le relazioni, anche tra uomini, certo, ma anche tra la materia e il cosmo?

Nuovi “roghi” vengono accesi, nuovi “tribunali” vengono istituiti, ma se essere eretici significa non aver perso lo stupore, la meraviglia dei bambini, se significa guardare il mondo con gli occhi dell’anima e lasciarsi ammaliare dalla bellezza, allora possiamo vivere come eretici guardando la nostra interiorità e il mondo con occhi nuovi.

Possiamo espandere la nostra coscienza, per portare nel mondo quell’autenticità che è propria della natura e quindi dell’uomo. Possiamo vivere ereticamente, concedendoci la libertà di essere e non di apparire.

Perché eretico è il suono dissonante, è la pausa che va celebrata e rispettata perché vi sia una melodia.

E così si naviga a vista, tra modelli negativi e icone positive, conflitti e ambiguità, riconoscimenti e sillogi dei principali modelli di relazione dall’una e dall’altra parte – con la speranza di una migliore comprensione della specificità dell’una e dell’altra, al fine di una comune assunzione di responsabilità reciproca, e di un contributo etico e spirituale nei confronti del mondo. 

Giordano Bruno, su cui si potrebbe riflettere all’infinito, nel suo Sigillus, in lingua latina, introduce le tematiche decisive del suo pensiero, quali l’unità dei processi cognitivi; l’amore come legame universale; l’unicità e l’infinità di una forma universale che si esplica nelle infinite figure della materia, e il “furore” inteso come senso di slancio verso il divino.

A Oxford non gradirono quelle novità, come testimoniò venti anni dopo, nel 1604, l’arcivescovo di Canterbury George Abbot, che fu presente alle lezioni di Giordano Bruno: «Quell’omiciattolo italiano […] intraprese il tentativo, tra moltissime altre cose, di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre in realtà era la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo».

Giordano Bruno sostiene l’infinità dell’universo poiché effetto di una causa infinita e – sapendo ovviamente che le scritture sostenevano tutt’altro – e cioè finitezza dell’universo e centralità della Terra, rispondeva alle accuse ne La cena de le ceneri: «Se gli dei si fossero degnati di insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di proporci la pratica di cose morali, io più tosto mi accosterei alla fede de le loro rivelazioni, che muovermi punto della certezza de mie raggioni e propriisentimenti».

E ancora, in Spaccio de la bestia trionfante: «Quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser principe o ricco, non è per mia colpa, ma per iniquità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo vegnate a purgar della forfantescapoltronaria, a fine che un tale non presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante».

Occorreva tornare alla semplicità, alla verità e all’operosità, ribaltando le concezioni morali che si erano ormai imposte nel mondo, secondo le quali le opere e gli affetti eroici erano privi di valore, dove credere senza riflettere era sapienza, dove le imposture umane erano fatte passare per consigli divini, la perversione della legge naturale era considerata pietà religiosa, studiare era follia, l’onore era posto nelle ricchezze, la dignità nell’eleganza, la prudenza nella malizia, l’accortezza nel tradimento, il saper vivere nella finzione, la giustizia nella tirannia, il giudizio nella violenza.

Insomma, di tutto un po’, per rendersi sgradito a tutti o quasi…

«Li nostri divi asini, privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o degli dei, o dei vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra legge che di que’ medesimi». In Cabala del Cavallo Pegaso ad un vescovo.

Ma anche, nel De minimo: i composti «non rimangono identici neppure per un attimo; ciascuno di essi, per lo scambio vicendevole degli innumerevoli atomi, si muta continuamente e ovunque in tutte le parti». 

E: «Chi potrà ritenere che gli strumenti diano misurazioni esatte dal momento che il fluire delle cose non mantiene un identico ritmo ed un termine non si mantiene mai alla stessa distanza dall’altro?».

 

Alla fine Giovanni Mocenigo presentò all’Inquisizione una denuncia scritta, accusando Giordano Bruno di blasfemia, di disprezzare la religione, di non credere nella Trinità divina e nella transustanziazione, di credere nell’eternità del mondo e nell’esistenza di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine.

 

Quel giorno stesso, la sera del 23 maggio del 1592, Giordano Bruno fu arrestato e condotto nelle carceri dell’Inquisizione di Venezia. Sappiamo come si svolse il tutto e con queste parole, alla fine, Giordano Bruno si rivolse ai giudici:

 

«Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam».

«Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla».

Ma la sua filosofia sopravvisse alla sua morte, portò all’abbattimento delle barriere tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero Giordano Bruno è quindi ritenuto un precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverso; per la sua morte, è considerato un martire del libero pensiero.

Chi ha paura oggi degli eretici? Molti.

Perché i nuovi eretici possono dare tanto nel campo della politica, della letteratura, dell’arte in genere, della filosofia, della scienza, sono curiosi, non irreggimentati, liberi mentalmente, diffidano delle classificazioni, sono “intempestivi”, oppure, chissà, troppo tempestivi.

Scrive l’immunologo, oncologo, etno farmacologo Maurizio Grandi di Torino, Responsabile del Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile, citando il filosofo Arthur Schopenhauer: «Tutte le verità passano attraverso tre stadi. Prima vengono ridicolizzate, poi vengono violentemente contestate e infine vengono accettate dandole come evidenti».

 

E ancora: gli eretici di oggi lavorano «per tutelare e promuovere la libertà umana, in tutte le sue espressioni, per esplorare i territori di confine, per mischiare le carte, richiamando l’esperienza del passato ma aprendo nuovi orizzonti per il futuro, per incuriosire, per cogliere nessi per argomenti apparentemente distanti…

… Come avviene nelle fiabe più belle, guardando con la scoperta della fisica oltre l’orizzonte conosciuto, è più semplice credere nell’impossibile che nell’improbabile…

… E Arte e Scienza mettono in comune la Creatività, che ha spinto Bernini a sapere dell’ellisse di Keplero, Galileo a sapere di musica, Bergson a conoscere le idee di Einstein, i futuristi a indurre la forza del movimento, per uscire da una dimensione geometrica euclidea…

… Con le intuizioni che fecero vedere a Pasteur i microbi prima di averli scoperti, a Marconi le onde prima di avere fatto il telegrafo senza fili, ai coniugi Curie l’energia nucleare…

E in ogni scoperta il mondo, come in un granello di sabbia. E la curiosità di porsi domande, di indagare, con inquietudine e impegno. 

Con stupore e, poi, quasi con riconoscenza, e con lo stimolo a proseguire».

Gli eretici, insomma, sono ostinatamente “irregolari”, nel “tempo della malafede”. 

 

Barbara de Munari




ETICA SUI RAPPORTI SOCIALI

ETICA SUI RAPPORTI SOCIALI    -PRIMA PARTE-
 
Il discorso etico sui rapporti sociali non può prescindere dalla considerazione della realtà esistente nel mondo in cui si svolge. Mondo che, negli ultimi due secoli, è stato dominato da due sistemi ideologico-politici tuttora operanti attraverso partiti e movimenti organizzati: il liberalismo e il socialismo, ai quali si possono riportare altre tendenze e correnti di minore rilievo, salvo il discorso da fare- a suo tempo – sui tentativi di sintesi, purtroppo basati su principi sbagliati e condotti in maniera aberrante, da parte di sistemi che miravano alla combinazione del socialismo col nazionalismo, senza trascurare alcuni elementi della tradizione liberale.
Sembra opportuno fare, in via preliminare, una presentazione almeno sommaria dei sistemi accennati, esaminandoli a un duplice livello: quello ideologico (includente i valori filosofici e religiosi) e quello politico (includente i valori economici e sociali). Ad entrambi i livelli, si notano alcune convergenze di pensiero tra la dottrina sociale cristiana, che è la nostra, e i due sistemi ideologico-politici; ma ancor più si notano i contrasti, per non dire, su alcuni punti fondamentali, la contraddizione.
Qui confronteremo, con la dottrina cristiana, naturalmente con rapidi cenni e in modo riassuntivo, anzitutto il liberalismo, e poi il socialismo nella sua versione marxista.
Questo secondo confronto è di maggiore e più bruciante attualità-anche se il marxismo è oggi in piena crisi- per rapporto al primo, poichè si può dire che nelle presenti condizioni storiche il liberalismo ha perduto la sua forza e il suo mordente, specialmente nelle masse ( che in realtà non ne sono mai state toccate, anche se le popolazioni sono state coinvolte nella politica liberale), ed in oltre ha subito  e sta ancora subendo un processo di decantazione e di rinnovamento (non sempre riuscito), che modifica sensibilmente la sua formula classica.
IL LIBERALISMO
Aspetto ideologico
Il liberalismo nasce da un duplice filone ideologico: l’illuminismo (esaltazione dell’autonomia della ragione e quindi della coscienza) e il positivismo (riduzione della conoscenza a ciò che è sperimentabile). Di fronte ai valori universali ed eterni e specialmente alla rivelazione (Cristianesimo) e alla religione in genere, lo spirito moderno, nutrito di illuminismo e positivismo, rivendica la propria libertà (assoluta) di non aderire, di non accettare, di mantenersi agnostico, di coltivare il dubbio e l’incertezza.
E data questa posizione di autonomia e incertezza sul piano intellettuale, è facile capire che sul piano pratico e operativo si passa pure alla massima affermazione e rivendicazione della libertà: di pensiero, di coscienza di stampa di attività economica e politica. E’ il perno ideale del liberalismo, che si diffonde ampiamente nell’Ottocento e influisce fortemente sulla organizzazione e sulla attività dello Stato, che deve ridurre al massimo il proprio ambito di intervento, a vantaggio della libertà e quindi della iniziativa individuale dei cittadini, sia a livello economico-politico, sia a livello morale-religioso.
Per ciò che riguarda in particolare la religione, lo Stato liberale incarna l’indifferentismo verso le verità cosiddette “astratte”, e quindi verso le rivelazioni, le religioni, i culti, che, per quanto compete allo Stato, sono da ritenersi tutti uguali. Lo stato liberale si proclama laico, cioè estraneo alla problematica religiosa e tendenzialmente ostile alle Chiese e alle istituzioni religiose che, di loro natura, necessariamente hanno una incidenza sulla vita sociale, e, specialmente se sono “rivelate”, non possono prescindere da un certo dogmatismo, per il quale pretendono il monopolio della verità cercando di imporla alla società e allo Stato. Per il liberalismo la religione -come l’etica- è e deve rimanere un affare esclusivamente privato: una fatta di coscienza e, tutt’al più, di sacrestia; la Chiesa deve essere separata dallo Stato: magari rispettata ma tenuta fuori della struttura sociale e ridotta nell’ambito delle società private che non rientrano nelle istituzioni di diritto pubblico.
In sintesi, si può dire che vi è un fondo comune nel liberalismo che, nonostante le diversità di tendenze che esso ha preso nei vari Paesi e nei diversi settori della vita (economico, politico, religioso), sempre affiora in ogni sua  realizzazione storica: ed è principio antropologico, che si può identificare con l’individualismo, ossia con la massima esaltazione, spinta persino all’idolatria, dell’individuo e della sua ragione, come sorgente unica di conoscenza e regola d’azione (razionalismo), della sua bontà naturale (naturalismo) e quindi della sua libertà.
Il che implica un ancor più fondamentale ottimismo sull’uomo, la sua natura, le sue facoltà, le sue possibilità di azione, auto-redenzione, progresso e conquista, che porta alla celebrazione continua delle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità, allargamento illimitato degli spazi della libertà riconosciuta agli uomini, alla affermazione della uguaglianza di tutti…
Aspetto politico
Bisogna subito osservare, qui, che in molti casi il liberalismo è stato poco coerente, in politica, con i principi idolatrati della libertà, dell’uguaglianza e dell’agnosticismo in materia ideologica e religiosa. In realtà gli Stati liberali sono stati i più acri nella lotta contro la religione, non solo come istituzione (Chiesa, Ordini religiosi, Associazioni pie ecc.), ma anche come idea, violando gravemente la libertà di culto, di associazione, di pensiero, di coscienza, che il liberalismo afferma così solennemente.
Anzi, sul presupposto dell’agnosticismo in materia religiosa lo Stato liberale ha non solo preteso di essere laico, ma ha creato una specie di religione del laicismo, diventando come sistema di fede (la religione dell’anti religione),da cui è stata improntata la vita politica, la cultura, la scuola, e in nome del quale si è svolta una azione soffocatrice ed eversiva delle istituzioni di carità e assistenza che specialmente la Chiesa aveva liberalmente eretto, diretto e mantenuto a favore dei più poveri.
Sul piano politico-sociale, inoltre; vanno fatte alcune altre considerazioni che permettono di vedere il rapporto di contrasto tra valori liberali e valori cristiani, anche nei riflessi sulle situazioni storiche determinate dall’ideologia e dalla politica liberale.
Genesi del liberalismo
Abbiamo già detto che nell’insieme di attori di vario ordine che costituiscono il carattere originale, profondamente innovatore e addirittura rivoluzionario, dell’età moderna, ciò che prevale è tutta caratterizzata è l’individualismo che si afferma in contrasto col senso medioevale del bene comune e dell’oggettività, come pure col senso rinascimentale dello Stato e del potere assoluto. Senza poter approfondire, qui, questo punto, né seguire tutto il suo sviluppo storico, osserviamo però che già sul piano religioso l’individualismo si afferma con Lutero e il protestantesimo (libero esame, ispirazione privata, valore determinante della coscienza personale); sul piano filosofico, col soggettivismo, il matematicismo antimetafisico, l’interiorità anti comunitaria, sul piano politico, come abbiamo detto, col liberalismo, che nasce dall’illuminismo e dal positivismo e viene tenuto a battesimo dal volontarismo rousseauiano, che sostituisce la così detta “volontà generale”  al posto della ragione oggettiva; sul piano economico, con l’individualismo di Smith, che sostiene il non-intervento dello Stato in campo economico, dove domina la legge dell’interesse e dell’egoismo.
Agli inizi del secolo XIX, avvenuta ormai la piena scissione della morale nell’attività economica, cardine di questa attività è il profitto (guadagno monetario tratto dalla altezza dei prezzi nei confronti dei costi).
Espressione giuridica di tale concezione del mondo è la famosa legge Le Chapelier, votata alla Costituente francese nel 1791, che porta all’abolizione di ogni organo intermedio tra l’individuo e la società, in nome della libertà e uguaglianza di tutti: non ci deve essere nessun corpo sociale che rafforzi gli uni a danno degli altri. Il che è contro la vitalità della società, che si esprime nei corpi intermedi.
Questo è il quadro nel quale l’ideologia liberale, che, come abbiamo visto, s’impernia sulle idee di liberà e uguaglianza, si traduce in regimi politici (democrazia liberale), nei quali i problemi socioeconomici vengono affrontati in base al principio dell’individualismo, e quindi a danno sia dell’uguaglianza, sia della libertà.
Riconosciamo che non è mancato, in quei regimi, un elemento positivo: la valorizzazione dell’uomo, dell’iniziativa, della capacità personale, come pure la lotta al privilegio di nascita e di posizione sociale. Ma è stato determinante come elemento negativo l’individualismo sfrenato e scatenato, per cui il debole è rimasto indifeso di fronte al più forte, anche se in teoria veniva affermata la libertà e l’uguaglianza di tutti. Aumentarono così i dislivelli e le sperequazioni. E come reazione e antitesi al liberalismo si ebbe il socialismo.
Infatti, la mancanza di quegli organi associativi, aboliti dalla legge Le Chapelier in Francia e ben presto negli altri Paesi, che potevano difendere i lavoratori; la mancanza di legislazione “sociale”, l’impostazione dei rapporti economici sulle leggi del profitto e della concorrenza, e la proibizione di contrattare a nome di tutta la professione, portavano all’esasperazione le masse, che si erano formate sotto la spinta del processo di industrializzazione, costituendo il cosiddetto proletariato.
Formazione delle masse
E’ un fenomeno tipico dell’età moderna, che consiste essenzialmente nel fatto di un numero sempre maggiore di nullatenenti, la cui esistenza dipende dal lavoro concesso da altri, ossia da un lavoro esecutivo in dipendenza da altri come unico mezzo di sussistenza, ma con una continua incertezza del domani; e spesso da un lavoro inumano: faticoso, depressivo, in ambienti mal sani. Si aggiungono le difficoltà per la vita familiare; l’esclusione dalla cultura e dalla vita pubblica, e si capirà che nelle masse non poteva non delinearsi un atteggiamento psicologico.
  a) di insoddisfazione e di protesta circa l’ordine economico-sociale esistente;
  b) di pretesa di cambiamenti.
In queste condizioni, dunque, per reazione al tipo di regime socioeconomico liberale, si presenta la realtà della massa: uomini che valgono come quantità più che come qualità; conformità nel pensare, sentire, giudicare, vivere; inautenticità personale, sotto la pressione di tecnicismo, industrialismo, materialismo, pubblicità, propaganda, tensione dinamica del lavoro e della vita, ma soprattutto a causa delle condizioni economico-sociali dei lavoratori, dei quali sono ormai uniformi la giornata, l’orario di lavoro, il livello del salario, la condizione della vita nel vitto, negli alloggi nel divertimento, ecc. Di qui una conformazione psicologica sempre più uniforme, caratterizzata da insoddisfazione, ribellismo aspirazione comune a miglioramenti, ricorso agli stessi mezzi somiglianza di tutti sul piano psicologico e morale, e a volte persino su quello fisico somatico.
Si può dire che vi è stato un duplice processo: dalla macchina alla produzione di massa; dalla produzione di massa alla formazione delle masse umane. dalla macchina alla merce standard; dalla merce standard all’uomo-massa.
Così il terreno è preparato per una organizzazione nuova della massa: il movimento operaio, nel quale ebbe gran parte appunto il socialismo.
Confronto con i valori cristiani
E’ abbastanza comprensibile la disapprovazione del liberalismo da parte della Chiesa sia per una ragione di legittima difesa sul piano politico (anche a prescindere dal problema particolare del potere temporale dei papi in Italia, che il liberalismo combatteva a morte), sia soprattutto per delle ragioni di principio, che però dal piano etico-religioso si riflettevano anche su quello socio-economico.
Soprattutto queste ultime ci interessano qui, trattandosi di un confronto tra i valori cristiani e i valori liberali.
L’esame dei documenti papali circa il liberalismo, da Pio IX a Giovanni Paolo II, ci fa constatare che i punti di contrasto con la dottrina cristiana e anzi con lo stesso spirito evangelico, sono soprattutto i seguenti:
  1) l’eccesso di individualismo in contrasto con la concezione cristiana della persona, che certo è il valore supremo nel mondo, fatta ad immagine di Dio e destinata al dialogo con Lui, ma nell’ambito della società e in comunione, solidarietà e collaborazione con gli altri.
  2) razionalismo di base, che riconosce nella ragione umana l’unica sorgente della verità e rigetta la rivelazione.
  3) il naturalismo, in contrasto con la dottrina cristiana del peccato originale.
  4) l’estremismo e assolutismo nella concezione della libertà come valore supremo e incondizionato.
  5) l’utopismo della uguaglianza, illusorio e fonte di inganni e delusioni.
  6) il mito del progresso indefinito e incessante, smentito dalla storia e dal realismo di una concezione dell’uomo nella sua condizione terrena, che il Cristianesimo presenta senza cadere negli eccessi nè dell’ottimismo nè del pessimismo.
  7) il primato attribuito al benessere, all’economia, alla produttività, al profitto, a favore dell’iniziativa privata e dell’arricchimento individuale a scapito della solidarietà che deve accomunare gli uomini nella società e nel lavoro in vista del bene comune integrale…
Se poi si pensa che il liberalismo e il capitalismo si richiamano e quasi si fondono sul piano economico e finanziario, si vede che la riprovazione del primo è inclusa in tutta la dottrina sociale della Chiesa circa i rapporti giustizia e di carità che devono legare gli individui e le classi sociali, e circa la funzione moderatrice, compensatrice e sussidiaria dello stato nel mondo dell’attività economica.
Bisogna però aggiungere che negli ultimi decenni il liberalismo ha fatto notevoli passi verso un’apertura alla società, specialmente con Roepke e, in Italia con Einaudi, sicchè il giudizio su tale sistema, e sulla sua ideologia, dal punto di vista storico può forse essere meno negativo, anche s e rimangono intatte le ragioni del contrasto di fondo con i valori cristiani e le riserve di ordine etico-religioso ed etico-politico.
Si può concludere dicendo che nel liberalismo storico si ha un caso tipico di “verità cristiane impazzite”, come diceva Chesterton, cioè squilibrate e portate all’estremismo, in tal caso si tratta di valore squisitamente cristiano della dignità della persona umana, della coscienza, della libertà.
Don Walter TROVATO
18/02/2024



Etica in cammino

Oggi parte una importante collaborazione tra Barbara de Munari e Betapress rappresenta un punto di incontro fra due mondi intellettuali profondamente impegnati nella disseminazione della cultura etica e morale nella società contemporanea.

Barbara de Munari, con la sua vasta esperienza come giornalista, editrice, e direttrice editoriale di ETICA A.C., si distingue per la sua profonda conoscenza della storia del pensiero filosofico, politico e religioso, specializzandosi in tematiche etiche e storiche.

La sua carriera è segnata da un impegno costante verso l’esplorazione di come i principi etici possano essere intrecciati nella trama della vita quotidiana e nel discorso pubblico, puntando a sollevare la consapevolezza su come l’etica influenzi decisioni e comportamenti.

Corrado Faletti, d’altra parte, porta nella collaborazione una prospettiva complementare, essendo un giornalista investigativo, storico e sociologo.

La sua ricerca si concentra sull’analisi della società attraverso il prisma della storia e della sociologia, esplorando come le dinamiche sociali e storiche modellino i valori morali e etici delle comunità.

La sua abilità nel connettere eventi passati con tematiche attuali fornisce una lente critica attraverso cui interpretare i cambiamenti nella percezione dell’etica e della morale.

Insieme, Barbara e Corrado hanno intrapreso un viaggio intellettuale con l’obiettivo di raccontare l’etica e la morale non solo come concetti astratti, ma come strumenti vivi e dinamici per navigare le complessità della vita moderna.

Attraverso la loro collaborazione, hanno sviluppato un progetto editoriale che mira a rendere la filosofia etica accessibile e rilevante per un pubblico ampio.

Questo progetto si propone di dimostrare come l’etica non sia solamente un insieme di norme da seguire in maniera rigida, ma un cammino di riflessione e scelta che accompagna l’individuo in ogni fase della sua esistenza.

Il fulcro della loro narrazione si concentra sull’importanza di integrare l’etica nella quotidianità, evidenziando come decisioni apparentemente banali possano avere implicazioni etiche significative.

Attraverso esempi concreti, storie di vita, analisi di eventi storici e dibattiti filosofici, Barbara e Corrado invitano il lettore a considerare come i principi etici possano servire da bussola nelle situazioni di incertezza, conflitto e cambiamento.

La loro opera si rivolge a chiunque sia interessato a comprendere meglio se stesso e il mondo circostante attraverso una lente etica, offrendo spunti di riflessione su come vivere una vita moralmente consapevole e impegnata.

La collaborazione tra Barbara de Munari e Betapress rappresenta quindi un esempio luminoso di come il giornalismo, la filosofia e le scienze sociali possano confluire in un dialogo fecondo, generando nuove vie per esplorare e comunicare l’importanza vitale dell’etica e della morale nella società contemporanea.

Questo progetto non solo arricchisce il dibattito pubblico su questi temi fondamentali, ma offre anche strumenti pratici per chi cerca di vivere in modo eticamente riflessivo e responsabile.




Genio Eterno: Arte come Emblema della Maestria Umana e Finestra sull’Infinito

Dopo l’accordo di Betapress con Ettore Lembo per parlare di politica, situazione internazionale e società, nasce la collaborazione tra Betapress e Paolo Battaglia La Terra Borgese, che rappresenta un affascinante incrocio di percorsi e competenze diverse, che si incontrano nel terreno comune dell’arte e della genialità umana.

Questa rubrica esplora la concezione dell’arte come massima espressione del potenziale umano, un ponte tra il reale e l’ideale, tra il temporale e l’atemporale.

“Genio Eterno” allude alla perpetua rilevanza del talento creativo e innovativo dell’uomo, che attraverso l’arte riesce a trasmettere messaggi, emozioni e visioni che rimangono attuali attraverso i secoli.

“Arte come Emblema della Maestria Umana” sottolinea l’idea dell’arte come simbolo della capacità umana di eccellere, di superare i limiti del conosciuto e del possibile, riflettendo la profondità del pensiero, la complessità delle emozioni e la grandezza della visione che solo l’essere umano può esprimere.

Questa frase intende valorizzare l’arte come testimonianza della continua aspirazione dell’uomo alla perfezione, alla scoperta e all’espressione del sé.

“Finestra sull’Infinito” evoca l’aspetto più trascendentale e universale dell’arte, la sua capacità di collegare gli individui con concetti e sentimenti che superano i confini del tempo e dello spazio, toccando l’essenza stessa dell’esperienza umana in una ricerca di significati ultimi.

L’arte diventa così una via per esplorare e connettersi con l’eterno, un mezzo attraverso il quale l’umanità può avvicinarsi alla comprensione di verità universali e alla condivisione di un senso di comunione con il tutto.

In conclusione, questo titolo mira a riflettere su come l’arte, nella sua espressione più elevata, sia un linguaggio universale capace di superare le barriere culturali e temporali, fungendo da testimone della ricerca umana di superamento, bellezza e trascendenza.

L’arte, in questa visione, è vista non solo come creazione ma come un dialogo continuo tra l’individuo e l’infinito, tra l’umanità e il suo eterno desiderio di esplorare, comprendere e comunicare l’ineffabile.

Questa alleanza intellettuale è particolarmente stimolante per il modo in cui intreccia saperi e visioni differenti, creando un dialogo multidisciplinare che va oltre i confini tradizionali dell’arte, della tecnologia e della critica.

Corrado Faletti, con il suo background di tecnologo, saggista e giornalista di indagine, apporta alla collaborazione una prospettiva unica sul ruolo che la tecnologia e l’innovazione giocano nella società contemporanea.

La sua expertise permette di esplorare come gli strumenti tecnologici possano essere utilizzati per creare nuove forme d’arte, ampliando le possibilità espressive e comunicative dell’essere umano.

La visione di Faletti sull’integrazione tra tecnologia e arte suggerisce un futuro in cui l’innovazione tecnologica non solo facilita la creazione artistica ma ne diventa un elemento costitutivo, spingendo i confini di ciò che consideriamo arte.

Paolo Battaglia La Terra Borgese, d’altra parte, con la sua esperienza di critico d’arte, sceneggiatore e mediatore culturale, introduce una prospettiva profondamente radicata nella storia e nella teoria dell’arte.

La sua capacità di analizzare e interpretare le opere d’arte attraverso il prisma della critica storica e culturale arricchisce la collaborazione, fornendo le basi per comprendere come le nuove forme d’arte si inseriscano nel continuum storico dell’espressione umana.

Paolo Battaglia La Terra Borgese, con la sua sensibilità verso le dinamiche culturali e sociali che influenzano l’arte, offre un’importante chiave di lettura per interpretare il significato e l’impatto delle innovazioni tecnologiche nel campo artistico.

La collaborazione tra Faletti e Paolo Battaglia La Terra Borgese è quindi un’esplorazione del connubio tra arte e realtà, arte e futuro.

Attraverso il loro lavoro congiunto, indagano come l’arte possa fungere da ponte tra l’umano e il tecnologico, tra il passato e il futuro.

Esplorano le potenzialità dell’arte come mezzo per riflettere sul mondo contemporaneo e immaginare futuri possibili, dimostrando come la creatività umana possa adattarsi e rispondere alle sfide poste dall’evoluzione tecnologica e sociale.

In sintesi, la collaborazione tra Corrado Faletti e Paolo Battaglia La Terra Borgese rappresenta un dialogo fecondo tra due menti creative che, pur provenendo da ambiti diversi, condividono un interesse profondo per le intersezioni tra arte, tecnologia e società.

Il loro lavoro insieme mette in luce come l’arte non sia solo una testimonianza del suo tempo, ma anche un veicolo per interrogare e comprendere la complessità del mondo in cui viviamo, aprendo nuove prospettive sul ruolo dell’arte e dell’innovazione nella definizione del futuro umano.




Punti chiave del futuro

L’industria dell’Information and Communication Technology (ICT) è in continuo sviluppo, caratterizzata da un’evoluzione rapida e dinamica che riflette sia i cambiamenti tecnologici che quelli socio-economici.

Oggi, le tendenze emergenti nel settore dell’ICT non solo delineano il futuro immediato della tecnologia ma anche quello a lungo termine, influenzando profondamente vari aspetti della vita quotidiana, il mondo del lavoro, l’educazione e oltre.

 

Intelligenza Artificiale (AI) e Machine Learning (ML)

L’AI e il ML continuano a dominare le tendenze tecnologiche, con applicazioni che vanno dall’automazione dei processi aziendali all’assistenza sanitaria personalizzata.

La capacità di queste tecnologie di apprendere dai dati, migliorare le prestazioni nel tempo e automatizzare compiti complessi è fondamentale per il loro successo.

Inoltre, l’integrazione dell’AI in dispositivi IoT (Internet of Things) sta portando a sviluppi significativi nell’ambito delle smart cities, della gestione energetica e della produzione industriale.

Edge Computing

L’edge computing emerge come complemento e, in alcuni casi, come alternativa al cloud computing.

Questa tecnologia prevede l’elaborazione dei dati vicino alla fonte di generazione piuttosto che in un data center centralizzato, riducendo la latenza e migliorando la velocità di elaborazione.

L’edge computing trova applicazione in settori critici come il manufacturing, l’automotive e l’healthcare, dove i tempi di risposta rapidi sono essenziali.

 Blockchain e Sicurezza dei Dati

La blockchain continua a guadagnare terreno oltre il settore finanziario, offrendo soluzioni innovative per la sicurezza, la trasparenza e l’integrità dei dati.

Le sue applicazioni si stanno espandendo in campi come la supply chain, la gestione dei diritti digitali e la sicurezza delle identità digitali, promettendo di rivoluzionare il modo in cui vengono gestiti e protetti i dati.

Realtà Aumentata (AR) e Realtà Virtuale (VR)

Le tecnologie AR e VR stanno trasformando l’esperienza utente, offrendo nuove modalità immersive di apprendimento, intrattenimento e lavoro a distanza.

Mentre la VR crea un ambiente completamente artificiale, l’AR sovrappone elementi digitali al mondo reale, ampliando le possibilità di interazione con l’ambiente circostante.

Queste tecnologie trovano applicazione in settori come l’educazione, il retail e il turismo.

5G e Oltre

L’implementazione della tecnologia 5G promette di accelerare notevolmente la velocità di trasmissione dei dati, ridurre la latenza e aumentare la connettività.

Questo avrà un impatto significativo su IoT, veicoli autonomi, telemedicina e streaming di contenuti ad alta definizione.

Allo stesso tempo, si guarda già oltre il 5G, con la ricerca che inizia a esplorare le potenzialità del 6G.

Sfide e Implicazioni

Le tendenze sopra descritte offrono immense opportunità ma presentano anche sfide significative.

La privacy e la sicurezza dei dati rimangono preoccupazioni primarie, specialmente con l’aumento dell’uso di AI, ML e IoT.

La necessità di competenze tecnologiche avanzate solleva questioni relative alla formazione e all’istruzione, mentre l’accessibilità e la digital divide continuano a essere temi cruciali per garantire che i benefici delle innovazioni ICT siano equamente distribuiti.

 

Le ultime tendenze del mondo dell’ICT stanno plasmando un futuro in cui la tecnologia è sempre più intrecciata con ogni aspetto della vita umana.

Mentre ci avventuriamo in questo futuro, è fondamentale affrontare proattivamente le sfide che emergono, garantendo che lo sviluppo tecnologico proceda in modo etico, sicuro e inclusivo.

La comprensione e l’adattamento a queste tendenze richiederanno un impegno congiunto da parte di governi, industrie e comunità, sottolineando l’importanza della collaborazione interdisciplinare nel mondo sempre più connesso dell’ICT.

 

 

STRATEGIA GLOBALE E LA CRESCITA DIGITALE

Le professioni più richieste dall’industria 4.0

I Rischi del 5G, cosa può fa paura agli Stati.




Il Bandecchismo

Le dimissioni di Stefano Bandecchi dalla carica di Sindaco di Terni, la città una nota come città dell’acciaio e dell’amore per aver dato sepoltura a San Valentino, rappresentano un fenomeno politico che deve essere guardato con attenzione e preoccupazione.

In primo luogo occorre guardare alla salita al potere del manager Stefano Bandecchi …(costruita sull’acquisizione della squadra di calcio locale con le immancabili promesse di successi crescenti e sul progetto di realizzare una clinica convenzionata  all’interno del complesso edilizio che avrebbe ospitato il nuovo stadio di calcio…) come  un fenomeno nuovo che pone al centro del dibattito l’anti-politica, la muscolarità  e la rudezza degli atti d’intervento.

L’anti politica non è un fenomeno nuovo. Il Movimento 5 Stelle ne aveva già fatto dal 2012 un costume della competizione elettorale e della gestione del potere.

Bandecchi è andato oltre creando il “bandecchismo”, un approccio cioè che non si limita ad introdurre nel gioco democratico iniezioni crescenti di politica immediata e umorale ma che svuota consapevolmente e premeditamene    l’azione politica  relegando ogni azione al mantenimento di un sistema improduttivo di opzioni o di atti di indirizzo politico il cui unico fine è la ribalta mediatica del suo fondatore e la copertura dei suoi interessi economici ed imprenditoriali.

Un ‘anti-politica, quindi, che ha  come unico scopo quello di servire sé stessa.

Un ricerca di consenso che schiva avvisi di garanzia, esposti per incompatibilità, sequestri della Guardia di Finanza fino agli insulti della gente comune.

Disarmante, a tal proposito, la risposta data ad un cittadino in occasione dell’ultima convocazione del Consiglio Comunale: 《Bandecchi Lei non è il mio Sindaco…!》, 《bene, Lei non è un mio cittadino!》, la replica del Sindaco dimissionario.

Una risposta che tradisce il vuoto che riempie la gestione del potere che il bandecchismo ha posto in essere e che frantuma l’idea di Stato, di appartenenza, di Polis, di comunità civile e sociale dove il Sindaco non è più un “Primus inter Pares” ma un “Padre Padrone” di lembi di civiltà strappati alla democrazia nei quali il dissenso esclude, emargina, travolge e rende opachi i conflitti d’interesse e le pratiche a filo di illegalità, come quando a ridosso del Natale scorso il Sindaco ha inviato in qualità ovviamente non di primo cittadino ma di imprenditore, 600 pacchi di Natale, di adeguato valore (si parla di oltre 200 euro) a “tutti” i dipendenti pubblici, ponendo in essere la più grande operazione di acquisizione del consenso posta in essere nel settore pubblico.

In secondo luogo non può sfuggire che il bandecchismo è un modello di conquista e gestione del potere pubblico attraverso leve e strumenti fortemente mediatici (l’acquisto delle squadre locali di calcio, la gestione di scuole e centri di formazione, l’utilizzo di numerose liste civiche associate ai candidato alle elezioni…) che è esportabile.

Bandecchi, attraverso il Partito, Alternativa Popolare di cui è Segretario nazionale e animatore, ha esportato e conta di esportare il suo modello in tutte le competizioni elettorali, in Umbria ma anche fuori regione.

Certo finora non sempre il nuovo baraccone della politica politicante ha mostrato di funzionare .

Nel distretto di Reggio Calabria, dove probabilmente Bandecchi cercherà di ottenere l’elezione a parlamentare europeo, il suo tentativo di comprare simpatia e consensi attraverso l’acquisto della squadra di calcio locale, la Reggina, non è riuscito nel suo scopo ed è stato anche rinviato al mittente l’assegno di centomila euro che il manager aveva deciso di regalare alla squadra nel corso di una sua convention in presenza del suo  partner locale Massimo Ripepi.

In terzo e ultimo luogo deve essere considerata la struttura di interessi conflittuali a cui il bandecchismo offre un riparo confortevole.

L’affarismo in Italia dai tempi di tangentopoli è sempre presente.

Oggi la gestione di interessi privati coltivati all’interno di procedure e risorse pubbliche rischia di trovare una cornice di legittimità che passa inosservata anche agli occhi delle Istituzioni locali e della magistratura.

Un cancro per la democrazia e lo Stato Liberale.

Il 7 febbraio scorso, probabilmente per far decadere gli esposti ad iniziativa popolare relativi alla incompatibilità di Bandecchi alla carica di Sindaco (già confermati da un Parere del Ministero dell’Interno datato 3 Agosto 2023) presentati il 7 e 8 agosto 2023 dai cittadini di Terni, rispetto ai quali il Prefetto, decorsi i 180 giorni previsti dalla legge 241/90, non avrebbe potuto diluire ulteriormente una risoluzione formale, il Sindaco Bandecchi si è dimesso dando vita ad un balletto di posizioni che talora confermano le dimissioni talora sembrano volerle smentire.

Mancano 14 giorni ai termini oltre i quali le dimissioni diventeranno effettive.

La Comunità di Terni che ha un dissesto finanziario di oltre 49 milioni di euro dovrà tornare a votare con costi importanti per il deficit pubblico.

Bandecchi cadrà sui stessi errori o forse travolto dalle indagini di Guardia di Finanza e magistratura o sulla diffusione dei “Cipro Papers”  relativi alle attività off shore del Gruppo industriale del manager che ormai in molti pensano siano prossimi alla pubblicazione.