School of Rock

School of Rock
La musica oggi è così intrisa di elementi commerciali che scegliere un brano è come scegliere i cereali dagli scaffali del supermercato: sei convinto di prendere quelli che più ti piacciono ma in realtà stai obbedendo alle subdole leggi della propaganda commerciale!
Mi capita spesso di vedere fanciulli (alcuni in età da asilo nido! N.d.a), strappare di mano lo smartphone alla mamma e chiedere prepotentemente di cliccare su Youtube “Andiamo a comandare” ed ancora infanti non passati al cibo completamente solido ballare al ritmo di “Vorrei ma non posto” scimmiottando improbabili mosse di danza.

Partendo dal presupposto che un tormentone estivo non è altro che un tormentone estivo, la domanda è: cosa fanno quelle mamme? Quei papà?

Come si fa a non desiderare con passione un’educazione all’arte musicale per i propri figli?

Sapete qual è il problema?

Che oggi sono finiti i brividi lungo la schiena, oggi vi è un’assoluta atarassia musicale, piccoli e grandi che vivono in uno stato di lobotomia permanente.

E se il Rock potesse aiutarci? Ebbene sì cari genitori, credo che il Rock faccia al caso nostro!

Senza falsa modestia credo di essere riuscito nel tempo ad educare mia figlia e a guidarla nel vasto panorama musicale nazionale ed internazionale cercando di farle scoprire il bello della Classica, del Pop, del Jazz ma soprattutto del Rock!

Azioni meticolose (e a volte subdole) di carattere educativo e preventivo che hanno portato i loro frutti!

Sin dai tre anni infatti ci siamo divertiti a concepire testi e melodie che cantavamo assieme e che scemavano quasi sempre in un tremendo mix tra rock demenziale alla “Elio e le Storie Tese” e “Baby Dance” da Villaggio della Valtur, il tutto finiva in una fragorosa risata.

Con l’andare del tempo ci siamo focalizzati sugli “urlatori” ondeggiando a ritmo del 4/4 del puro e genuino Rock’n’Roll soprattutto la mattina, breve ma intenso momento esclusivo concesso a padri e figli nel tragitto casa-scuola.

Neanche sapeva ben parlare ma Sara ripeteva nitidamente la strofa ed il ritornello di Basket Case (dall’album Dookie – Green Day; n.d.a.)

Cantavamo di tutto e soprattutto a squarciagola sia le canzoni dei più piccoli (Due Coccodrilli, La Giraffa Raffella, l’Anaconda e molte altre) sia dei più grandi che il papà (rocker irremovibile) proponeva costantemente (ecco il carattere subdolo ma benefico!): band dagli anni 70 fino ai giorni nostri, dai Deep Purple e Led Zeppelin ai Black Stone Cherry e Three Days Grace passando per Mötley Crüe, Police e P.O.D.

Dallo specchietto retrovisore (il seggiolino di mia figlia era fissato nella parte posteriore destra) adocchiavo il sorriso eccitato alla partenza di un esplosivo assolo in pentatonica minore di Angus Young (Lead Guitar degli AC/DC) o il movimento della sua testolina che iniziava a battere il tempo sulle note ritmate di “Nookie”, grandissimo brano di quel discolaccio di Fred Durst dei Limp Bizkit (ascoltatissimo anche oggi in forma remix; n.d.a.).

Già… il Rock!

Quel Rock che, sembra impossibile, è stato per me l’educazione al bello!

Quel Rock tanto temuto in passato ma unico in grado di manifestare a chiare lettere il “non accontentarsi mai”! Anche di fronte ai più grandi eccessi (leggendario il mito del “Sex Drugs and R’n’R”; n.d.a.) il Rock con tutte le sue Star ha urlato al mondo il proprio desiderio di felicità di giustizia, di bellezza, di verità!

Il Rock infatti non ha mai negato la rabbia, la tristezza e la frustrazione, soprattutto la tristezza che è una delle componenti del sentimento umano che mi piace di più!

La tristezza dice no alla omologazione della nostra Società così ambigua ed infida nel negare in tutti i modi (anche con un certo tipo di musica! N.d.a.) l’esistenza della tristezza stessa, cercando in ogni modo di sigillare la ferita che ognuno di noi si porta nel cuore attraverso banalità e superficialità disarmanti!

Il Rock è tutto questo!

Il Rock è stato l’alfabetizzazione musicale di Sara, quel nostro momento insieme. Nel rapporto con lei è passato, non so neanche bene come, l’amore per tutta la musica, per gli strumenti musicali e per le melodie ed armonie ben fatte, per le canzoni “capolavoro” che vengono suonate da decenni. La capacità di distinguere nitidamente ogni singola componente degli strumenti a corda, a fiato a percussione, i riff di chitarra, le rullate di batteria, il groove del basso/grancassa apprezzando la musica nei suoi vari generi senza preclusione è motivo di grande orgoglio per il suo papà!

Oggi che Sara è più grandicella (quasi dodici anni) è una bimba con una bella e squillante voce che mi auguro, assieme allo studio del pianoforte, coltivi nei prossimi anni.

Oggi ha i suoi gusti, musica che a me non piace molto (ahimè vede pure Sanremo… discutendone però con passione e competenza; n.d.a.) ma ho notato che la “prevenzione” è riuscita, che la musica che abbiamo ascoltato ed assaporato insieme resterà un ricordo indelebile in lei.

Per inciso se chiedo a Sara: “chi è Slash (Guns N’ Roses, Velvet Revolver etc…)?” mai mi risponderà: “un tasto del computer!”

E per fortuna nei Gb del suo iPod non ho ancora visto dischi di Gigi D’Alessio!!!

Per concludere mi permetto di dare un consiglio a tutti i genitori, rockers e meno rockers: avete visto (uno dei film prediletti da Sara) “School of Rock”? in cui il protagonista, il mitico ed insuperabile Jack Black invece di insegnare le materie scolastiche insegnava ai ragazzi a suonare il Rock?

Fidatevi di me, guardatelo assieme ai vostri figli!

Uno splendido esempio di rapporto educativo! Uno splendido esempio di bellezza su cui meditare, genitori e figli insieme… uniti dal dio del ROCK!
PERTH

 




LA “MUSICA” ALLA RADIO: SCELTA O IMPOSIZIONE?

LA MUSICA ALLA RADIO: SCELTA O IMPOSIZIONE?

C’è stato un tempo in cui scegliere la musica era possibile.

Un tempo in cui le emittenti radiofoniche trasmettevano i talenti, gli artisti, quelli veri che con semplicità raggiungevano gli ascoltatori.

Le canzoni piacevano oppure no, gli artisti avevano il giusto successo oppure sparivano dalle scene.

Tutto questo oggi non ha più senso.

Ognuno di noi ha programmato nello stereo in auto, nel pc in ufficio, nel Hi-Fi Dolby Surround a casa almeno 6 o 7 stazioni radio appartenenti a network radiofonici a diffusione nazionale più che conosciuti: Radio 105, Radio Capital, Radio 24, Radio Deejay, R 101, Radio Dimensione Suono, RTL 102,5, Radio 24 e, per i più “Rock”, la mitica Virgin!

Sono innumerevoli e popolari pure i network più locali che hanno una programmazione di base legata al territorio e dove a volte la professionalità degli speakers è più legata all’idioma che alla cultura musicale.

Partendo da un’ipotesi (assunto per chi scrive; n.d.a.) che la cultura musicale oggi in Italia sia frutto di un assillante procedimento di desensibilizzazione da parte dei Media, la Televisione in primis (vedasi anche: http://betapress.it/index.php/2016/09/09/x-factor-x-rock/) e la Radio poi, ho deciso di esaminare qualche giorno fa i palinsesti di alcune emittenti nazionali.

Quale migliore occasione dell’autostrada nel tragitto Ancona-Milano?

Ho sintonizzato i 16 canali dello stereo ed ho cominciato la mia analisi. Pubblicità a parte, che ho notato essere praticamente concomitante a tutte le stazioni, ho contato circa una sessantina di canzoni in onda nell’arco di poco più di tre ore, di queste una decina erano presenti a ripetizione in ogni singola emittente.

Ad un orecchio poco “allenato” queste dinamiche possono sfuggire ma con un pizzico di pazienza ed attenzione ci si rende conto dell’imposizione cui siamo indotti.

Non voglio assolutamente inoltrarmi in discussioni sterili circa le “opere” di artisti nostrani “pluri-decorati”: Rockers, Poppers e Sweeters. Ho colto fin troppo bene negli anni il sistema imbarazzante che gira attorno agli “attempati talenti” che con i passaggi radio e le fastidiose interviste promuovono il lavoro del momento, credo inoltre sia chiaramente visibile a tutti la condizione di mesmerizzazione in cui versano e con cui vengono tenuti costantemente in vita dalle rispettive Label .(Il mesmerismo  è una terapia, non riconosciuta ufficialmente, per malattie o disfunzioni, basata sulle teorie di Franz Anton Mesmer, medico tedesco del Settecento, che prevedeva di curare i pazienti con elettro-calamite. NDR).

Voglio invece puntare il dito sulle solite canzonette all’ultima moda udite durante il mio viaggio: canzonette legate a personaggi che di talentuoso hanno ben poco e soprattutto il dito (medio; n.d.a.) lo voglio puntare verso i contorti e distorti meccanismi discografici e radiofonici.

Siamo in un regime totalitario dove il singolo ascolto è finalizzato esclusivamente ad una mera questione economica, prerogativa di chi produce e commercializza musica, senza nessuna regola e senza proposizione alcuna.

Profetica la frase nel pezzo del 1992 “Atti Osceni” dei Timoria (una delle mie band preferite; n.d.a.) in cui Francesco Renga confessava: “…spacci musica e lo fai pure bene (…)”.

Vorrei rivolgere anche al lettore incuriosito alcune domande che mi sono posto: “…perché si sentono in radio sempre le stesse cose? Perché i nomi del mondo della musica e dello spettacolo sono quasi sempre gli stessi? Perché ci sono artisti che hanno tanta visibilità pur non meritandosela? Perché artisti che offrono proposte di effettiva qualità hanno difficoltà a trovare spazio?

La risposta è arrivata da un caro amico discografico: “Music Control”! Music Control è il mezzo di rilevazione dei passaggi radiofonici (l’esatto meccanismo è alquanto complesso per cui non mi dilungherò nella spiegazione tecnica) il cui scopo è quello di conoscere l’effettiva airplay di un brano sul territorio nazionale.

Da qui nasce la classifica dei brani più ascoltati, della permanenza di un artista nella hit etc. Stesso discorso vale per la promozione: la presenza di un artista in Music control garantisce la diffusione totale di un prodotto nella radiofonia nazionale e condiziona notevolmente gli altri media, soprattutto giornali che scrivono dei soliti noti ed emittenti televisive che invitano sempre gli stessi artisti.

Music Control è lo strumento attraverso cui le Majors riescono ad influenzare i Network Radiofonici e viceversa.

I Direttori Artistici delle radio, unici veri signori e padroni del palinsesto, oggi sono in grado di “barattare” con le case discografiche loro “brani da far passare” a vantaggio di “investimenti sulle proprie frequenze”.

Si entra così in una spirale pericolosa che sintetizzo: scarsa qualità musicale proposta – competizione tra artisti più e meno brillanti inesistente o finta (il programma “Amici” della De Filippi ne è un esempio) – omologazione globale – GAME OVER!

E la ricetta? Difficile combattere contro questi meccanismi ben oliati! Troppi interessi, troppi legami indissolubili, troppa falsità, non c’è una ricetta!

Ma possiamo e dobbiamo iniziare ad educarci (innanzitutto noi!) e ad educare soprattutto le giovani generazioni, dobbiamo favorire la crescita di sensibilità verso la Musica con la “M” maiuscola!

Dobbiamo favorire l’ascolto di programmi in emittenti con amplia cultura musicale e possibilmente fuori dagli sporchi giochi del business dei Network, dobbiamo tornare ai Concerti ed ai Festival dove artisti propongono la loro musica, dobbiamo favorire pure i social e la rete: quest’ultima entrata prepotentemente nella filiera della discografia.

Dobbiamo in sintesi conoscere e far conoscere la vera arte!

Quella che non muore mai quella che non è mai morta.

Ah, a proposito di arte, notiamo: se per caso qualcuno di voi NON conosce “Another Brick In The Wall”… scagli la prima pietra!
PERTH

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libera la radio che c'è in te
libera la radio che c’è in te




X FACTOR o X ROCK?

X FACTOR o X ROCK?
Ho avuto modo di assistere (in prima fila) al Concerto degli Afterhours, il 06 agosto scorso, durante la data trevigiana del tour “Folfiri o Folfox”, dall omonimo album (undicesimo della band capitanata da Manuel Agnelli).

Sono passati più di vent’anni dall’ultimo concerto che vidi degli Afterhours, per lo più per impegni e sfortunate coincidenze. L’album in promozione era “Germi” ed io, allora giovane universitario amante del Hard Rock degli States, avevo trovato in questa band “indie” milanese una valida alternativa “nostrana” agli idoli d’oltreoceano.

Con i Timoria di Pedrini/Renga, i primi Litfiba di Pelù/Renzulli ed i Karma di Moretti-Juan Mordecai/Viti (quest’ultimo divenuto poi per un decennio bassista proprio degli Afterhours), ho amato (ed amo tuttora! N.d.a.) la premiata ditta “Agnelli & Co”, l’unica tra le sopracitate peraltro ad arrivare ai giorni nostri!

Ora, chi è “abbonato” alle profezie letterario-musicali di Manuel, troverà abbastanza famigliari e neanche in modo troppo velato, citazioni sulla “musica spazzatura”.

Ma allora che ci fa Manuel Agnelli sulla cattedra di X Factor?

Che ci fa il leader di una delle rock band italiane più importante degli ultimi vent’anni, capace di superare le generazioni e che ancora oggi sa conquistare i ragazzi come faceva negli Anni Novanta accanto a Fedez, Arisa e (mi sono dovuto informare su quest’ultimo) Alvaro Solar?

Pur rispettando chiunque decida di avvelenare il proprio palato musicale con i Talent, personalmente ho sempre rifiutato la visione di programmi come “Amici”, “X Factor” e pure “Italia’s Got Talent”.

Penserete che chi scrive è un nazi-rocker o un grunger nostalgico ultra quarantenne.

Nulla di tutto ciò! Mi fa male!

Puro e lancinante dolore fisico!

Innanzitutto per le giovani “scimmiette” che si esibiscono credendo al successo.

E poi perché ritengo un peccato mortale rendere pubblico attraverso il piccolo schermo l’immorale scempio della regina delle arti.

Di musica il mitico Red Ronnie se ne intende un bel po’, in una sua intervista per Fanpage pochi mesi or sono esplicitava con parole molto forti e chiare la sua avversione nei confronti del meccanismo dei talent show musicali: <<… il Talent finisce per soffocare la musica e spinge i veri talenti a cambiare mestiere, è solo un business televisivo, le cui prime vittime sono i partecipanti, ragazzi sfruttati e sacrificati sull’altare per 60-70mila copie vendute, e poi “fuori dai coglioni”, che finiscono a firmare autografi nei centri commerciali>>.

Giudici popolari ricchissimi che diventano ancora più popolari e sempre più ricchi! Icone (?) del POP, del R’n’B, del RAP che sfruttano il mezzo principe di comunicazione di massa ed i suoi occulti meccanismi di costruzione di audience per accrescere la propria notorietà.

Altro che amore alla musica ed aiuto ai giovani talenti!

Se Agnelli facesse l’Agnelli degli Afterhours sarebbe puro spettacolo! Voglio fidarmi!

Voglio dar credito alle confessioni rilasciate al magazine Rolling Stone: <<… gli altri tre firmano autografi e stringono le mani e io non so che cazzo fare, nessuno mi caga di quel pubblico lì>>.

Avendo ancora una vecchia “tubo catodico” con decoder esterno mi incollerò al vetro sintonizzando il telecomando su X Factor!

E’ una sfida per me e anche per Manuel!

Riuscirà il nostro eroe ad aiutare i VERI talenti a non essere bruciati dallo show-business?

A mostrare una strada diversa?

A pieni polmoni rimarrò in attesa di una boccata d’aria nuova… e allora che talent show sia!
PERTH

 

x factor o x rock
x factor o x rock




Uno sguardo oltre il buio.

“Uno sguardo oltre il buio” è la sintesi di un disco che ci ha colpito: Southland.

Chi come noi conosce da tempo le preferenze musicali di Walter Gatti – giornalista, critico musicale di lunga esperienza, chitarrista – per il suo album di esordio si sarebbe aspettato un bel concentrato di rock sudista, ben sapendo quanto il nostro ami bazzicare questi luoghi musicali ma anche geografici e quanto sia devoto di Lynyrd Skynyrd, fratelli Allman, Marshall Tucker & Co. Scoprendo in anteprima il titolo dell’album Southland, ne abbiamo ricavato un ulteriore, infallibile presagio.

Aggiungiamo pure che trattandosi del primo cd “waltergattiano”, ci sembrava molto difficile che l’autore sarebbe riuscito a sfuggire all’ansia da prestazione virtuosistica, annoverando peraltro tra i sideman (se avete il coraggio di chiamarli così!) musicisti del calibro di Greg Martin, Greg Koch, e addirittura Chris Hicks (The Marshall Tucker Band, Outlaws, Hicks Band & Friends…).

Le nostre convinzioni sono andate in frantumi al primo ascolto.

Niente schitarrate in parallelo, zero assoli travolgenti, date per disperse le citazioni sudiste.

In compenso atmosfere dylaniane, e non solo in All Along The Watchtower, sonorità in libera uscita con sconfinamenti country e brani in italiano.

Otto tracce su dieci con parole e testi dell’autore.

E il Sud allora?

Il Sud c’è, fidatevi. Ma non con i suoi stilemi. Ce n’è un bel po’ di profondo Sud nel “mood” che attraversa le magnifiche canzoni di questo album. Brani che ti si stampano nella mente senza lasciarti “tranquillo”. Melodie che unite ai testi ti scavano dentro ed un dispendio di signori musicisti che oltre ai citati americani aggiungono italianità ad un disco che potrebbe nascere e vivere in Georgia, in Tennessee, in Kentucky. Gazich, Priviero, Costola, Gaffurini, Pavesi, sono nomi che hanno scritto meravigliose pagine della storia musicale in Italia.

Southland è un disco all’insegna dello “slow hand”, della misura, quasi che una volta tanto i silenzi valessero come le note.

E così Gatti ci regala un’epica Your Time, il gospel blueseggiante dell’ingegnosa Lifelong Blues, tanto tanto feeling con Take Me As I Am, brano che faticherete a scrollarvi di dosso, accenti country in Groomy Witness, ma anche l’intenso intimismo nella final track Dove sei.

Un cd all’insegna dello storytelling e delle amicizie che si intuisce dai corposi credits. Ultimo appunto per la voce tagliente, nasale, imperfetta, vissuta di Walter. Che funziona! Come tutto l’album. Walter Gatti, il giornalista e critico, come musicista ha fatto centro al primo colpo “…uno sguardo oltre il buio”!
https://www.facebook.com/southland.vg/

southland walter gatti

 

 

 

 

 
PERTH




Nostalgia di “Grunge”

Che fine ha fatto Seattle, Patria del Grunge? Una domanda che in molti si stanno ponendo, per lo più quarantenni che hanno vissuto quegli anni ’90 ma anche i figli di quella generazione, la mia generazione. Quello “strano” stile musicale divenuto vero e proprio movimento di massa, riuscendo a coinvolgere intere folle giovanili. Un fenomeno dilagato in Europa prendendo piede anche da noi e riuscendo ad influenzare il panorama rock e a dominare pure il mondo della moda e quello dell’arte. Non a caso la rivista Vogue dedicava la copertina alla nuova moda che avanzava da Seattle, moda giunta fino ai giorni nostri. Osannato anche dal cinema, che con il film “Singles” mostrava attraverso la splendida interpretazione di Matt Dillon tutto il sottobosco culturale da cui traeva origini questo fenomeno, il Grunge ha avuto tra i suoi capostipiti i giovani musicisti di Seattle, Andrei Wood e i suoi Malfunkshun in primis. Pearl Jam, Mother Love Bone, Soundgarden, Alice in Chains, Skin Yard, Coffin Break, Mudhoney sono solo alcune delle bands nate nei garages della cittadina della West Coast ma quando si parla di Grunge a tutti viene in mente il “teen spirit” per eccellenza: Kurt Cobain dei Nirvana. Canzoni come “Smells Like Teen Spirit” sono suonate ancora oggi dalle radio, dalle Tribute Band e pure dalle discoteche condite in salse “techno-mix”. Suicidatosi nella sua villa di Seattle a soli 27 anni (oggi ne avrebbe 49; n.d.a.), Kurt ha interpretato coerentemente fino all’ultimo l’inquietudine e la rabbia gridate in ogni suo pezzo. Le sue ultime righe: “Meglio andarsene con una vampata, che morire giorno dopo giorno (…)” Come i “Mods”, il “Punk” ed altri fenomeni giovanili del passato il Grunge è rimasto oggi nel cuore di pochi irriducibili. D’altronde la nostra è un’epoca dove tutto viene bruciato in pochi attimi e il tempo non risparmia certo gli Stones di Jagger o i Pink Floyd di Gilmour. Anche quelle chitarre incazzate farcite di camicioni felpati, scarpe slacciate e jeans rigorosamente corti, elementi necessari della divisa ordinaria di ogni “grunger” che si rispetti, sono durati poco più di un lustro. Oggi è tutto diverso, oggi si conusmano canzonette propinate dal piccolo schermo in quantità industriali. Oggi i “talent” stanno uccidendo la musica. Oggi il Grunge sarebbe deriso… troppa rabbia da gridare! Chris Cornell, amico di Kurt e leader dei Soundgarden in una storica intervista a Rockstar alla domanda che fine avesse fatto il Grunge, afferma: “…cambiando è già ora di cambiare!”, zittendo così tutti quelli che per capire ciò che accade loro attorno cercano di catalogare ogni cosa, per poterla conoscere o, meglio ancora, usare. Ma per fortuna il Grunge non è stato una bella definizione da vocabolario e come la fine dei Jam di Paul Weller ha portato necessariamente la fine dei Mods, la morte di Kurt ha definitivamente chiuso il capitolo Grunge… thanks teen spirit!

 

Nostalgia di Grunge