AVRIL LAVIGNE

Una persona molto speciale mi ha chiesto di raccontare di un’artista a lei molto cara ed eccoci qua.

Sì caro lettore ho promesso a mia figlia Sara di scrivere dell’artista canadese Avril Lavigne e delle canzoni che lei ama.

Con Amy Lee (EVANESCENCE), Shirley Manson (GARBAGE), Sandra Nasić (GUANO APES) e la mitica Gwen Stefani (NO DOUBT), Avril Lavigne è una delle voci più incisive e versatili del panorama Rock, Pop-Punk ed Alternative femminile.

Ho apprezzato quasi tutte le canzoni del primo album “LET GO” ed in particolare la prima track “Losing Grip” e la sesta “Unwanted” ma è la seconda track “Complicated” (30 milioni di copie vendute; n.d.a.) che più mi ha emozionato e fra poche righe capirete il perché.

Ho seguito l’evoluzione artistica di Avril con “UNDER MY SKIN” del 2004, “THE BEST DAMN THING” del 2007, “GOODBYE LULLABY” del 2011 (che non ho apprezzato particolarmente a causa del cambio di direzione verso sonorità più leggere) ed “AVRIL LAVIGNE” del 2013.

E’ infine di pochi mesi fa l’atteso annuncio di Avril, in merito al sesto lavoro, sul suo profilo Instagram: “Sono molto contenta di annunciarvi che sto lavorando a nuova musica e che pubblicherò un nuovo album nel 2017. A questo punto della mia carriera e della mia vita, mi sento come se fossi rinata. Ho affrontato molte sfide emotive, ma ogni processo creativo è stato terapeutico”.

Avril si è fatta attendere quasi un lustro a causa di una insidiosa malattia: la “malattia di Lyme” che ha debellato definitivamente (“la malattia di Lyme” è una malattia infettiva la cui causa è un batterio che infesta le zecche che lo trasmettono agli animali e all’uomo e si manifesta con un tipico eritema cutaneo “ad occhio di bue” sfociando poi in artrite, spossatezza costante, dolori muscolari e meningite; n.d.a).

Ritengo di poter dire senza essere smentito e con ragionevole certezza che il prossimo album sarà un lavoro più maturo, consecutio temporum dell’omonimo del 2013.

Sta di fatto che Avril da quel lontano 2002 (anno di pubblicazione dell’album di esordio, appunto “LET GO”; n.d.a.) ne ha fatta di strada ed ogni produzione ha raggiunto un gran successo di fans e di critica. Ma veniamo a “Complicated”.

Da due anni mia figlia partecipa (audite audite!) al “Talent della Festa di Fine Anno” della sua scuola che con il Talent c’entra veramente poco o nulla.

Non ci sono giudici né giurie e non c’è competizione, solo una grandissima voglia di divertirsi assieme, professori, genitori e ragazzini valorizzati per le qualità e per il desiderio di esibire i propri Talent…i.

L’anno scorso (ovazione del pubblico; n.d.p.=nota del papà) Sara cantò “Someone Like You” di Adele, che, per chi non conoscesse il pezzo (da ascoltare assolutamente), ha alcune parti vocali veramente difficili.

Quest’anno Sara ha deciso di preparare “Complicated” ed un paio di settimane fa l’ho sentita cantare il pezzo… i brividi hanno lasciato posto ai lacrimoni.

Eh sì caro lettore, anche se Sara fosse stonata come una campana solo per il fatto di cantare al papà una canzone mi sarei commosso, ma sentire una performance praticamente perfetta… non c’è paragone!

Avril Lavigne è stata sposata dal 2006 al 2009 con il leader dei SUM 41 Deryck Jayson Whibley e dal 2013 al 2015 con Chad Kroeger frontman dei NICKELBACK una delle Band Post Grunge più incidenti degli ultimi vent’anni, con cui continua a collaborare ancor oggi, perfino nel nuovo lavoro che uscirà a breve.

Chad Kroeger è co-protagonista con Avril Lavigne di un duetto in una bellissima ballata, “Let Me Go” (allego in calce la traduzione del testo e il video del pezzo; n.d.a.), quinta traccia dell’album “AVRIL LAVIGNE”.

Con Sara abbiamo provato a cantarla assieme… direi proprio niente male… e se il prossimo anno al Talent della Scuola la cantassimo assieme?

STAY TUNED!

 

Lasciami andare

L’amore che una volta era appeso al muro

prima significava qualcosa, ma ora non significa più nulla

L’eco non c’è più nel corridoio

ma ricordo ancora, il dolore di dicembre

Oh, non è rimasto proprio niente per te da dire

mi dispiace è troppo tardi

Sto scappando da questi ricordi

devo lasciarli andare, lasciarli andare

ho detto addio

ho dato fuoco a tutto

devo lasciarli andare, lasciarli andare

Sei dovuta tornare indietro per capire che me ne ero andato

e che il posto è rimasto vuoto, così come il buco che è stato lasciato in me

come se non fossimo mai stati nulla

Non si tratta di quello che tu significavi per me

anche se eravamo fatti l’uno per l’altro

Oh, non è rimasto proprio niente per te da dire

mi dispiace è troppo tardi

Sto scappando da questi ricordi

devo lasciarli andare, lasciarli andare

ho detto addio

ho dato fuoco a tutto

devo lasciarli andare, lasciarli andare

Ho lasciato tutto alle spalle e ora conosco

una nuova vita, questa favola è dura

tu sai sempre dove c’è il giusto

quindi questa volta, io non lascerò perdere

C’è solo un’ultima cosa da dire

l’amore non è mai in ritardo

Sto scappando da questi ricordi

devo lasciarli andare, lasciarli andare

e i due addii, ti prestano questa nuova vita

non lasciarmi andare, non lasciarmi andare

non lasciarmi andare…

non ti lascerò andare…

non ti lascerò andare…

 

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=AqajUg85Ax4&w=640&h=360]

Perth

 

 

 




BLUES4PEOPLE

«Se proprio “Tribute” deve essere, almeno sia della sana ed autentica Musica per cui possa valere la pena di scrivere un articolo!»

Questa non è una citazione tratta da una Fanzine di musica “Indie”! E’ farina del mio sacco!

E’ il pensiero di chi vi scrive, che sicuramente troverà plauso tra i lettori della rubrica MUSIC di BetaPress.it.

Vi voglio parlare infatti di una delle più importanti band italiane tributo ai leggendari “Blues Brothers”: la BLUES4PEOPLE! Ogni anno la B4P Band porta in tour il “verbo del Blues”, calcando i palchi di tutta la penisola dal Trentino, la Lombardia, la Valle d’Aosta fino alla Puglia e alla Sicilia, ma è in Veneto, e nello specifico a Padova, che poco più di dieci anni fa vi fu un concerto molto… particolare.

Ma andiamo con ordine.

Chi non ricorda il film “The Blues Brothers”, diretto magistralmente da John Landis? Ancor oggi, dopo più di 35 anni, è saldamente in testa alla “Top Ten” della mia personale classifica.

I protagonisti, Jake “Joliet” Blues (John Belushi, purtroppo scomparso all’età di soli trentatrè anni; n.d.a.) ed Elwood Blues (Dan Aykroyd), sono stati veri e propri idoli della mia infanzia ed hanno contribuito ad accrescere in me la passione per il Blues.

Ho amato tutto dei Blues Brothers: le canzoni, i Rayban neri, i cappelli neri, i vestiti neri, il loro modo di ballare sul palco, le loro battute esilaranti ed i musicisti che li accompagnavano.

Vi ricordate del sassofonista “Blue Lou” Marini? Nel film lavorava con Matt “Guitar” Murphy nel locale della “moglie” di Matt, Aretha Franklin che magistralmente cantava “Think” accompagnata appunto da “Blue Lou” e dal suo inseparabile sax. Dieci anni or sono ho avuto il privilegio di conoscere “Blue Lou” Marini, presentatomi dal caro amico Carletto “Joliet Jake” Fumagalli, leader assieme a Marco Enrico “Elwood” Ricotti della B4P Band.

Negli anni ho incontrato più volte Lou nei suoi viaggi in Italia, a cui è molto legato, e siamo diventati amici (il nonno di “Blue Lou” Marini, Candido Marini, è originario di Darzo, frazione di Storo in Trentino Alto Adige. Nel 2004 “Blue Lou” ha ricevuto dalla Giunta Comunale di Storo la cittadinanza onoraria; n.d.a.).

Una sera dell’agosto del 2008 “Blue Lou” e la B4P Band suonavano al “The Barge”, famoso locale “irish” riminese, e con alcuni amici ero andato a vedere lo show. A serata conclusa (successo di pubblico, serata veramente grandiosa! N.d.a.), nei tavolini del dehors del “Barge”, ricordo che Lou ci intrattenne con alcuni aneddoti sui grandi artisti internazionali con cui aveva suonato.

Frank Zappa, Dionne Warwick, Aretha Franklin, James Taylor, Stevie Wonder, i Rolling Stones, Eric Clapton e perfino gli Aerosmith! Tra una battuta (rigorosamente “Blues”) ed una birra (rigorosamente ghiacciata) feci una sparata: «What do you think about playing with the original Blues Brothers Band in the Jail of Padua?» immediatamente disse: «Yes of course!» Lo invitai a suonare a Padova con la Blues Brothers Band originale.

Dove? Ma ovvio no? Nel Penitenziario di massima sicurezza di Padova! (Sarei stato un pazzo a proporre un concerto in uno dei posti più “blindati” d’Italia, se non avessi avuto la certezza di poter arrivare al cospetto del Direttore del Carcere che si dimostrò entusiasta).

Iniziai dal giorno successivo ad organizzare lo storico evento con “Joliet Jake” Carletto e la sua B4P Band, che avrebbero integrato magistralmente la Blues Brothers Band targata USA!

Permessi internazionali, permessi nazionali, documenti di identità, lista attrezzature, liberatorie audio e video, casellari giudiziali, registrazione dei passaporti ed indagini minuziose su ognuno degli ospiti, insomma una radiografia vera e propria fatta ad ogni persona e cosa che fosse entrata in quel giorno al “Due Palazzi” (la Casa di Reclusione di Padova appunto è al civico 35 di Via Due Palazzi, da questo il nome; n.d.a.).

La data era fissata: 12 dicembre 2008, ed oltre a “Blue Lou”, John Tropea, Steve Cropper, Eric Jonathan Udel era con noi il mitico Alan “Fabulous” Rubin, trombettista di fama mondiale. Vi ricordate? Nel film “The Blues Brothers” era il maître del ristorante di lusso dove i fratellini “Blues” mangiarono e bevvero di tutto (non proprio osservando il galateo; n.d.a) per convincere “Fabulous” a tornare con la Blues Brothers Band.

Già malato da tempo, quello di Padova fu, ahimè, per “Fabulous” l’ultimo concerto, esecuzione magistrale di un Bluesman che non ha paragoni! Subito dopo lo spettacolo volle tornare in fretta a Malpensa per riprendere il volo per New York, ad accompagnarlo fu mio fratello Alberto che si commosse molto a seguito del dialogo avuto con “Fabulous”, ricordo che mi disse: «…quest’uomo ha fatto la storia della musica ed è di una semplicità e nello stesso tempo di una grandezza umana affascinante!».

Il concerto nel Carcere di Padova fu un successo! Oltre all’entourage della “BBBand ITA-USA” il pubblico era composto da “guardie e ladri”, da secondini e detenuti che dopo la prima mezz’ora ballavano assieme al ritmo di “Everybody Needs Somebody, “Do You Love Me”, “Sweet Home Chicago” ma principalmente di… “Jailhouse Rock”!

Ricordo che poco prima di salire sul palco “Blue Lou” mi disse: «It’s the second time that I play in a jail, the first was only a pretense this time it’s all for real! Let’s hope that the people closed inside this jail can enjoy the show» – «E’ la seconda volta che suono in un carcere ma la prima volta (scena finale del film di John Landis; n.d.a.) era solo finzione, qui è tutto reale! Speriamo che le persone chiuse qui dentro possano divertirsi con noi». Beh… eccome se si sono divertite!

La BLUES4PEOPLE Band continua ancor oggi a far ballare mezza Italia a ritmo di Soul e Blues. Gli amici Carletto “Joliet Jake” Fumagalli e Marco Enrico “Elwood” Ricotti sono stati tra gli ideatori del “Brianza Blues Festival”, punto di assoluto riferimento per appassionati di sano e mitico… BLUES! Ah, quasi dimenticavo di segnalare che la BLUES4PEOPLE Band con “Blue Lou” Marini ed altri musicisti della scena Blues newyorkese hanno inciso un bellissimo album di canzoni popolari italiane in chiave Blues dal titolo emblematico: ‘O SOUL MIO.

Tratta dall’album ‘O SOUL MIO desidero salutarvi con: “O Mia Bella Madunina”.

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=6rPpByXjVAI

 

 




BACCHIGLIONE BEAT

BACCHIGLIONE BEAT

Non tutti sanno che negli anni sessanta la città di Padova pullulava di complessi musicali (oltre 150) e veniva definita la Liverpool d’Italia.

Lungo il fiume Mersey a Liverpool erano centinaia i locali che ospitavano band legate alla Beat Generation e “Bacchiglione Beat” (il Bacchiglione è il fiume che attraversa la città di Padova; n.d.a.) era la scena musicale patavina che imitava il “Mersey Beat” da cui tutto cominciò.

Ho raggiunto il caro amico Giordano Melchiorri uno degli storici “eroi” della “Padua British Invasion” che di Beat se ne intende parecchio.

PERTH: Ciao Giordano, hai fatto un prezioso lavoro di ricerca sul Beat padovano il cosiddetto “Bacchiglione Beat” vuoi spiegare il fenomeno e donde trae il nome?

GIORDANO: Negli anni sessanta quando i Beatles erano in piena ascesa, nella citta di Liverpool uscì il “Mersey Beat”, una rivista che prendeva il nome dal fiume Mersey che per l’appunto attraversa la città. Un giornalista padovano di quegli anni scrisse un articolo e coniò il nome “Bacchiglione Beat”. Padova a quel tempo era considerata la Liverpool italiana avendo un proliferare di gruppi, molti di grande valore.

PERTH: Dagli anni sessanta ne è passato di tempo ma il “Bacchiglione Beat” riscuote ancor oggi un notevole successo, qual è secondo te la ragione?

GIORDANO: Il tempo passa ma i musicisti patavini sono gli stessi, con qualche acciacco in più e con i capelli grigi ma con il cuore multicolore di quegli anni, forse è questa la ragione del perché il tempo pare essersi fermato: il cuore vibra ancora per la musica che hanno amato ed amano.

PERTH: Il fermento giovanile di quegli anni era omogeneo in Italia perché proprio Padova ha avuto il soprannome di Liverpool italiana?

GIORDANO: Il fenomeno non era legato principalmente alla città di Padova, era distribuito in molte città d’Italia ma qui da noi l’impatto mediatico della generazione musicale di quegli anni è stato notevole e la ribellione musicale dei giovani, pur essendo distribuita equamente, ha portato alla ribalta internazionale “geni” musicali che hanno lasciato un segno indelebile ed ancor oggi sono molto apprezzati.

PERTH: Ho avuto modo di assistere ad alcuni concerti di band italiane (rimescolate) che hanno resistito ai gloriosi anni sessanta. Quali sono i gruppi padovani secondo te che più hanno lasciato un’impronta nel panorama musicale italiano?

GIORDANO: I gruppi che sono emersi in quegli anni che più ricordo sono “I Delfini” “Gildo Fattori e gli Strangers”, “I Ragazzi dai Capelli Verdi”, “Giuliano Girardi”, “I Ranger Sound”, “I Royals”, “The Puppys”, “The Holls” nato dai “The Rubber Soul” e molti altri.

PERTH: Hai glissato su “The Rubber Soul” e su “The Holls” perché sei discreto ed umile ma “The Holls”, nato dai “The Rubber Soul” alla fine degli anni sessanta, comprendeva un certo… Giordano Melchiorri alla batteria, Dori Bartolomei al basso, Giacomo Andreozzi alla chitarra ritmica e Alfredo Caruto alla chitarra solista. Avete fatto da “support band” a Rita Pavone ai Rokes, ai Giganti, a Mina, a Gaber e Ombretta Colli… pochi possono vantare live di questo “calibro”.

GIORDANO: Ma… hai detto tutto tu… (ride; n.d.a.)

PERTH: Le produzioni discografiche erano nei primi anni sessanta determinate dai live o viceversa i live traevano linfa dalle produzioni discografiche?

GIORDANO: Negli anni sessanta c’era (per fortuna; n.d.a.) la “gavetta” dei live. I gruppi prima si formavano tra amici, nei bar, nelle spiagge, nelle scampagnate sui colli (Euganei; n.d.a), poi ci si ritrovava in qualche buio sottoscala o in qualche garage dove pochi possedevano strumenti musicali propri, molti li noleggiavano. Si provava per suonare nelle sale da ballo, spesso solo estive, perché d’inverno la gente stava ancora chiusa in casa. Se si era notati da qualche personaggio dell’ambiente dello spettacolo, allora c’erano le prime audizioni e solo i migliori entravano nel mondo discografico.

PERTH: Quali erano i sogni della “Beat Generation”?

GIORDANO: Emulare i Beatles, i Rolling Stones, gli Animals di Eric Burdon, partecipare a Festival internazionali come Voodstock. Questi erano i nostri sogni e cercavamo di viverli imitando la moda, i comportamenti e le bizzarre vite dei nostri beniamini.

PERTH: Oggi è cambiato l’intero meccanismo discografico, rispetto agli anni sessanta quale differenza trovi con il movimento musicale attuale “schiacciato”, a mio avviso, dalle produzioni televisive?

GIORDANO: Il cambiamento è stato notevole, la televisione a quei tempi era principalmente indirizzata verso programmi di massa tipo “Lascia o raddoppia”, il “Festival della canzone italiana di Sanremo”, “Il musichiere”, il compianto Mago Zurlì dello “Zecchino d’oro” e poi nei pieni anni sessanta “Il Cantagiro” o “Il festival di Ariccia”, ora credo che tutto lo show business sia indirizzato ad un prodotto mediatico “mordi e fuggi”.

PERTH: Dopo un decennio post bellico il desiderio di essere felici ha influenzato la composizione delle band dell’era Beat. A tuo avviso ora la nostra società che tende al nichilismo e personalismo ha generato composizioni (ed artisti) superficiali?

GIORDANO: La musica italiana di quegli anni è da paragonare solo con quella americana o inglese e, per fortuna, il personalismo di cui parli è un fenomeno abbastanza recente. Non so se le composizioni di oggi siano superficiali o no ma storicamente non è mai stato così ed il Beat, che ho vissuto da vicino, ne è la testimonianza. Noi italiani, in molti generi, siamo stati dei precursori e molto prima del fenomeno Beat la musica italiana è nata dalla bellezza per l’arte. I primi geni musicali furono italiani, il primo pianoforte fu costruito da un padovano (Bartolomeo Cristofori nel 1698; n.d.a.), la musica come intrattenimento di gruppo fu organizzata per la prima volta in orchestra da Vivaldi. Non credo che oggi possa essere cancellata tutta questa storia centenaria, ed è innegabile che l’Italia ha contribuito in modo fattivo all’evoluzione musicale nel mondo… anche se il Beat in Inghilterra prima e poi in Italia è stato per me l’inizio di un’avventura indimenticabile che continua anche oggi con il “Bacchiglione Beat”.

PERTH: Grazie Giordano allora tutti al “Bacchiglione Beat”!!!

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=Y-YOU8AOKCQ&w=640&h=480]

 




Morgan e Maria: lo show è mio e lo gestisco io!

 

Caro lettore, non amo particolarmente la musica dei BLUVERTIGO tranne alcuni indiscussi capolavori come “Fuori dal tempo” e “Altre forme di vita” di “Metallo non metallo” del 1997 e “La Crisi” tratto dall’album “Zero – ovvero la famosa nevicata dell’85” del 1999 ma sicuramente amo la musica e gli artisti veri!

Morgan, personaggio controverso, eclettico e versatile musicista, produttore, cantautore e direttore artistico, nonché ex leader appunto dei BLUVERTIGO, certamente è un ARTISTA VERO!

Il “Padrino” (nel senso filmografico del termine e non ho volutamente scritto “Madrina”; n.d.a.) di Mediaset e cioè Maria De Filippi con un’imbarazzante e sentimentale comunicato stampa ha escluso dal programma “Amici” Morgan.

Mossa perfetta che porrà sicuro rimedio al lampante calo dello share, infatti non si è fatta attendere molto la reazione del rocker (che riporto integralmente in fondo all’articolo).

Dopo aver seguito nei giorni scorsi la vicenda su social e media ho deciso di informarmi direttamente su come fosse realmente andata. Ho telefonato ad alcuni amici musicisti vicini all’ex leader dei BLUVERTIGO (primo tra tutti Daniele Dupuis in arte “Megahertz”, componente storico della band di Morgan; n.d.a.), e tutti mi hanno confermato quanto penso oramai da anni e cioè che i meccanismi dei Talent con la musica quella con la “M” maiuscola c’entrano poco, anzi nulla!

Morgan ha dichiarato più volte di avere sempre accettato i ruoli di giudice dei vari Talent per il continuo bisogno di denaro… beata sincerità!

La sua esclusione da “Amici” porterà un ulteriore impoverimento dal punto di vista artistico ad un programma che è abile nel plagiare e condizionare più che scoprire e lanciare i giovani artisti!

La solita musica!

 

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Voglio dire che sono stato offeso e trattato male, tutto qui.

Che la lite coi ragazzi è sceneggiatura televisiva ma è l’unica cosa a cui potevano appigliarsi di fronte alla paura che hanno. La loro paura è fondamentalmente basata sull’enorme divergenza di stile: io credo nella qualità, nella cultura e nella comunicazione sana e intelligente, nell’arte e nel servizio pubblico, nell’istruzione.

Loro nella televisione spicciola, nel mercato, nel denaro, nel mantenere bue il popolo e ben salde le poltrone. Hanno paura. Tutto qua.

Io ho offerto loro molte proposte molto impegno e molta passione e molta professionalità loro mi hanno linciato. Un ambiente dove avviene un linciaggio è normale? No, ovviamente.

Il vero mio errore è stato credere che potessero essere genuinamente in grado di un risveglio, ma così non è stato e la mia ingenuità se la sono sbranata come han potuto. Vi ricordo che nonostante i loro disperati tentativi di massacrarmi, anche da fuori, nella gara rimango in vantaggio!!!

Forza bianchi!

Gli ho dato talmente tante assegnazioni e materiale che come canzoni possono vivere di rendita per qualche mese.

Ribadisco che non è vero delle divergenze coi ragazzi, è roba costruita, i ragazzi devono eseguire tutti i loro ordini peggio che militari. Io che so perché ci siamo guardati negli occhi e sussurrati “sono con te” non vedo l’ora di riabbracciarli quando saranno fuori dall’incubo. Fossi nei loro panni me la farei addosso letteralmente.

Morgan

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HENRY PADOVANI: THE SECRET POLICEMAN

HENRY PADOVANI: THE SECRET POLICEMAN

 

 

STING! Chi non ha mai sentito parlare dell’istrionico “milkman son”?

Gordon Matthew Thomas Sumner in arte STING è nato a Wallsend, nella periferia a nord di Newcastle in Inghilterra il 2 ottobre 1951, da Audrey Cowell, una parrucchiera, ed Eric, appunto, un lattaio.

La sua vita, le sue hit, il suo percorso musicale sono noti a tutti (o quasi) ma la storia di STING per me rimarrà legata indissolubilmente ai (soli!) sei anni di attività (e cinque meravigliosi album ufficiali in studio! N.d.a.) che vanno dal 1977 al 1983 rispettivamente nascita ed ahimè morte dei POLICE!

Chi, come vi scrive, ha imparato a suonare la chitarra con “Message in a bottle”, “Roxanne” e “Synchronicity II” non può fare a meno di provare una stretta al cuore al pensiero che una delle band più innovative del panorama Rock abbia avuto una vita così breve. Un veloce test per confermare quel che sto dicendo: provate a canticchiare “Soul Cake” di STING. Fatto? Ok! Provate ora a canticchiare “Every Breath You Take”! Evidente no?

I POLICE sono una delle band che ha influenzato migliaia di artisti  e che ha influenzato sicuramente anche il sottoscritto e più ancora mio fratello Alba che, oltre a suonare la batteria con me da più di vent’anni, è anche il “primo sacerdote del tempio di Copeland” (Stewart Armstrong CopelandAlexandria, 16 luglio 1952, drummer e cofondatore dei POLICE; n.d.a.).

Il favoloso trio viene completato dall’innovativo e talentuoso chitarrista Andy Summers (Poulton-le-Fylde, 31 dicembre 1942) che ha plasmato l’originale stile dei POLICE caratterizzando in particolare le sonorità “taglienti” e “reggae-oriented” di molti brani della band. Cofondatore e primo ispiratore dei POLICE nel 1977 fu però Henry Padovani (Bastia, 13 ottobre 1952).

Con i POLICE Henry suonò meno di un anno registrando il singolo “Fall Out/Nothing Achieving” uscito per l’etichetta Illegal Records gestita dal fratello di Stewart Copeland (Miles, futuro manager del gruppo) e già con la prima intensa canzone di chiara matrice Punk, iniziano a prefigurarsi le grandi capacità vocali del giovane Sting.

Seguendo la scia di fermento giovanile della Londra di allora, nel 1977 i POLICE si esibiscono in numerosi concerti distribuendo ai fans energia pura, ma Sting, a differenza di Henry, mal sopportava il Punk ritenendolo una musica troppo modesta per la sua ampia vena compositiva che prendeva ispirazione dal Jazz.

Henry, con l’entrata nella band di Andy Summers, uscì in punta di piedi nell’agosto 1977 rispettando così il volere degli altri “poliziotti” di poter creare un nuovo tipo di musica più “colta”.

Ma lui non si fermò, il Rock che scorreva nelle sue vene lo portò a fondare i WAYNE COUNTY AND THE ELECTRIC CHAIRS, poi i mitici THE FLYING PADOVANIS (band con la quale ancor oggi calca energicamente le scene; n.d.a.) ed ancora divenne scrittore, editore, promotore, compositore, songwriter e nel 2011 perfino giudice di X-Factor-France.

Con la IRS Records (etichetta fondata nel 1984 assieme a Miles Copleand; n.d.a.) produce band planetarie del calibro di REM, THE CRAMPS, THE LORDS OF THE NEW CHURCH, THE ALARM, THE FLESHTONES, WALL OF VOODOO, THE GO-GO’S e molte altre.

Ma l’artista che deve di più ad Henry Padovani è il “nostro” Zucchero Fornaciari che tra il 1995 ed il 2000 proprio da Padovani viene lanciato verso il grande successo in Europa in uno dei generi, quello del Blues, dominato da soli angloamericani.

Provo grande simpatia per Henry Padovani perchè il suo legame di amicizia con Sting e Stewart (due “ego” mastodontici che con le tensioni personali hanno mandato in pochi anni in frantumi i POLICE – a tal proposito consiglio di vedere lo splendido documentario basato sulle video-memorie di Andy Summers: “Can’t stand losing you_Surviving the Police”; n.d.a.) è riuscito a tenere ben saldo quel sottile trait d’union tra i due “litiganti”: “quando registrai una canzone nel 2006 (“Welcome Home”; n.d.a.) avevo bisogno di un batterista e chiesi a Stewart poi chiamai a cantare Sting, poco dopo i POLICE erano in tour”.

Henry, do it again!!!

 

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=4Av29Jp8Ryk&w=640&h=480]

 

 




TRENCHES

Trenches 

 

Ho accolto con grande entusiasmo l’invito dell’amico (e Direttore Responsabile di BetaPress.it) Corrado Faletti di dare un mio personale giudizio al primo lavoro degli STOLEN APPLE: “Trenches”.

 

E lo ringrazio pubblicamente per avermi fatto scoprire questo progetto che è arrivato come una boccata d’aria fresca! Prima di ricevere il cd da parte dell’Ufficio Stampa della band mi sono informato ed ho letto “di-tutto-e-di-più” sugli STOLEN APPLE, ho ascoltato alcuni dei brani di “Trenches” disponibili nelle pagine web ma ho voluto pronunciarmi solo dopo aver studiato il disco a fondo.

“Trenches” è una “promessa”, un progetto poliedrico, un disco torrenziale che (per fortuna!) non è inquadrabile in generi conosciuti anche se il flusso che attraversa le dodici “tracks” è imbottito di molteplici contaminazioni. Il disco della band fiorentina ha un corpo innovativo che già al primo ascolto disegna perfettamente gli ambiti della scrittura e della ricerca sonora, un disco autentico, genuino, senza fronzoli, che arriva subito al cuore (questo il grande merito di “Trenches”: far vibrare il cuore! N.d.a.).

Dal punto di vista tecnico il disco è suonato tutto di un fiato, “così com’è” (e come deve essere!) ed ogni brano mantiene una sua identità che lascia fuori dalla porta “diavolerie elettroniche” e fastidiose “overdubs” (“sovraincisioni” utilizzate spesso in modo esasperato da inetti “artisti mediatici”; n.d.a.).

I registri utilizzati sono molteplici: si passa da momenti grintosi ad altri più rarefatti ma sempre ricchi di tensione e drammaticità.

Dissonanze armoniche che mi hanno lasciato con il fiato sospeso, con gli occhi sbarrati e soprattutto con le orecchie tese.

“Trenches” è un progetto straordinario che costringe a cambiare rotta, è una lampada che ha riacceso in me luci del passato che erano spente.

L’apporto dei singoli membri degli STOLEN APPLE ha un peso specifico rilevante nel disegno globale di “Trenches”: Riccardo Dugini (voce e chitarre), Luca Petrarchi (voce, chitarre, mellotron, organo e synth), Massimiliano Zatini (voce, basso e armonica), Alessandro Pagani (voce, batteria, piano e percussioni) sono il contesto florido di tecnica ed idee che ha potuto dare vita ad un lavoro sperimentale mai scontato che affascina per la fattezza dei brani.

Il primo brano a colpire per immediatezza, forse il più orecchiabile ed accessibile, è “Red Line”: la vera promessa di tutto l’album!

La traccia nr. 2 “Green Down” è una canzone che ogni musicista dovrebbe avere nel suo iPod, una song che se ne sbatte dei “canoni radiofonici” portando all’estremo le chitarre con il solo che prima grida, poi invoca ed infine sussurra: spettacolo! “Fields of Stone” un capolavoro: intima e… Grunge! Avrei voluto sentirne una mezza dozzina come “Fields of Stone”! La psichedelia di “Pavement” è stilisticamente fascinosa e ricorda i RADIOHEAD di “OK Computer”.

L’incessante martellato soft-punk di “Falling Grace” sembra essere nato dalla penna del compianto Joe Strummer (Ankara, 21 agosto 1952Broomfield, 22 dicembre 2002, storico leader dei CLASH; n.d.a.).

In “Falling Grace” quel “All my friends my friends are gone, my friends are gone, my friends are gone” è stato come uno squarcio, forse l’apice dei bellissimi testi dell’album. E poi “Living on Saturday” che mi ha fatto balzare alla mente “The Joshua Three” degli U2, l’attraente ballata “Mystery Town” e la limpida “Something in my Days”.

Segue al posto nr. 9 “More Skin”, forse l’unica vera pop-song dell’album. “Daydream” ha la sofficità di un piumone, “Sold Out” è un concentrato di Brit-Pop, Punk e New Wave ed infine la ballata “In the Twilight” che con la sua dolce melodia chiude l’album.

Caro lettore l’intensità di questo disco è qualcosa che si fa fatica a descrivere, ogni traccia è stata un’emozione, un frammento di ricordo, memorie di casa, flashback di gioia e malinconia e ricordi che sono riaffiorati dal passato.

Questo è “Trenches”: un’inaspettata promessa che gli STOLEN APPLE hanno mantenuto!

 

 

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=lhwZnDfIyOM&w=640&h=360]

 

 

 




WHAT’S YOUR FAVORITE COLOUR?

WHAT’S YOUR FAVORITE COLOUR?

 

Mi sono laureato in Antropologia con una tesi in paleontologia umana pubblicata in varie riviste del settore e non ho mai provato imbarazzo nell’uso della parola “negro”.

Purtroppo negli ultimi secoli i cugini d’oltralpe e più in su gli snob “cockney” hanno dato a questo termine, che in sé non ha nulla di offensivo, un significato dispregiativo.

Per quanto ai nostri giorni il “politicamente corretto” possa negarlo, nel genere umano esistono razze, sottorazze ed etnie con palesi e meravigliose differenze fisiche, genetiche, ambientali ed infine anche culturali.

Genotipo (corredo genetico di un individuo) e fenotipo (insieme dei caratteri che un individuo manifesta) hanno “lavorato” nei millenni identificando la subspecie (o razza) del Genere “Homo” e della Specie “Homo Sapiens” che si declina in: caucasoide, mongoloide, amerindioide, australoide ed appunto negroide!

Caro lettore arrivo al punto, non preoccuparti, non hai sbagliato Rubrica di BetaPress.it… sei su MUSIC!

Con questa premessa però ti voglio parlare di una delle band più innovative degli ultimi vent’anni: i LIVING COLOUR!

Quattro straordinari musicisti negri responsabili di una delle più incisive rivoluzioni della musica rock degli ultimi vent’anni: Corey Glover alla voce, Vernon Reid alla chitarra, Muzz Skillings, poi sostituito da Doug Wimbish, al basso e Will Calhoun alla batteria. Formatisi alla fine degli anni 80 per volere di Vernon Reid, i LIVING COLOUR segnano sin dal primo album “Vivid” del 1988 (da ascoltare assolutamente la prima traccia “Cult of Personality” e la brevissima “What’s Your Favorite Color?”) la nascita di una nuova deriva del rock pesante.

Una combinazione esplosiva di diversi generi (Hip-Hop, Funk, Hard Rock) che ha catechizzato band del calibro di FAITH NO MORE, KORN, RAGE AGAINST THE MACHINE, SEVENDUST etc.

Il secondo album “Time’s Up” del 1990 (imperdibile “Love Rears Its Ugly Head“) conferma il grandissimo spessore tecnico ed artistico della band neyorkese ma la consacrazione definitiva è “Stain” del 1993 dove, a mio avviso, c’è uno dei capolavori indiscussi di tutta la musica Hard Rock del ventesimo (e ventunesimo: n.d.a.) secolo: “Leave it Alone”.

A causa di screzi interni la band si scioglie nel 1995 e bisognerà attendere quasi 10 anni per la pubblicazione di “Collideøscope” che lancia il gruppo verso un nuovo corso artistico senza tralasciare però le origini. L’album contiene due cover: “Back in Black” degli AC/DC e “Tomorrow Never Knows” dei Beatles, degne di nota “Flying” ed “In Your Name”.

Nel 2009 esce “The Chair in the Doorway” dove l’anima jazz e blues di Reid e del “pacchetto” Wimbish-Calhoun emergono con il supporto del soul di Glover. Infine l’atteso EP “Mixtape”, uscito il 9 settembre dello scorso anno che contiene una personale versione di “Who Shot Ya” di Notorius B.I.G. ed alcuni remix della stessa (l’EP prende ispirazione dal dilagare della violenza tramite l’uso di armi da fuoco e verso le persone di colore da parte della polizia americana; n.d.a.).

Ho seguito i LIVING COLOUR sin dagli inizi, li ho visti dal vivo due volte, ho seguito perfino un live “estremo”  denominato “Suoni dallo Spazio” dove Reid, durante la pausa solista, si cimentava in manipolazioni di effetti sonori di ogni sorta e vi assicuro che è difficile vedere ancor oggi uno show così “micidiale”.

Amo questi quattro straordinari musicisti ne(g)ri che hanno modificato lo sterile assunto di derivazione “white trash” e cioè che per essere una Hard Rock Band bisogna essere necessariamente bianchi!

E allora… what your favorite color? LIVING COLOUR!

 

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Festival di San Remo, ultima fortezza del monopolio della Musica!

 

Ma com’è possibile che ancor oggi continui ad esistere “il Festival della Canzone Italiana”, detto comunemente “Festival di Sanremo”?

Una domanda che mi pongo da anni, dal lontano 1975!

Lo storico britannico Eric J.E. Hobsbawm (1917-2012), nel suo celebre volume Age of extremes The short twentieth century, 1914- 1991 (1994) ha definito il secondo dopoguerra in Italia una nuova «età dell’oro», mettendo in evidenza che si trattò di anni di «straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità» (trad. it. Il secolo breve, 1995, p. 18).

Straordinaria trasformazione sociale che ha favorito pure la nascita del Festival di Sanremo in cui la canzone italiana ha iniziato ad emergere dal sottosuolo e tutto  questo è andato pure bene nel decennio 50-60 ma poi avrebbe dovuto arricchirsi, cambiare continuamente, sperimentare, veder crescere nuovi talenti ed invece? Nulla di tutto ciò!

Non annoierò il lettore con la lista di presentatori, presentatrici e vallette di turno che si sono avvicendate nel corso delle edizioni del Festival di Sanremo (complici di aver permesso uno scempio artistico di dimensioni apocalittiche; n.d.a.) perché non potrei esimermi dall’avviare una personale controversia su MUSIC in merito a personaggi “limite” come Luciana Littizzetto, diavoletto antipatico, neanche troppo comico, intriso di sarcasmo elitario da “radical chic”; non ritengo infatti la nostra rubrica lo spazio appropriato.

Non tedierò nemmeno con la striscia di vincitori del Festival dal 1951 al 2016 ma citerò alcuni artisti che hanno fatto la storia della “Canzonetta” italiana ed altri che risultano dei prodotti “in vitro” dell’industria discografica “mordi e fuggi”. 

“Grazie dei fior”: Nilla Pizzi con questo pezzo vinse il primo Festival (1951) bissando l’anno successivo con “Vola Colomba”, grande Nilla, onore ai primi!

Claudio Villa (1957): “Corde della mia chitarra”… grandissima voce, ho riascoltato il pezzo… non male!

Domenico Modugno nel 1958 (Feat. Johnny Dorelli): “Nel blu dipinto di blu”.

Ecco… questo pezzo ha fatto la fortuna di centinaia di migliaia di intrattenitori e, non me ne voglia il maestro e amico Filippo Segato (peraltro uno dei pochi musicisti ed intrattenitori che si eleva dalla massa di assoluti cialtroni; n.d.a.) se parlo male di quelle tipologie di ectoplasmi in cerca di successo, dilettanti della musica,  pianisti o cantanti falliti che arrotondano qualche euro in bettole sconosciute dell’hinterland delle piccole e grandi città: i “karaokisti”!

Categoria quella dei “karaokisti” che, mi si permetta di dire, hanno contribuito ad abbassare il livello culturale, già molto basso, della musica in Italia e pure all’estero (quante volte in zone balneari è capitato di rabbrividire udendo indecorose orde germaniche in preda all’alcool sbraitare “…nel plu dhippinto di plu”; n.d.a.).

Gigliola Cinquetti: “Non ho l’età” (1964), “Zingara” (1969) di Bobby Solo, Toto Cutugno, il “Totone” nazionale, che con “Solo noi” del 1980 vive ancor oggi ed ancora i Ricchi e Poveri che nel 1985 vincono il Festival con “Se m’innamoro”.

Poi Ramazzotti vincitore nel 1986 con “Adesso tu” (ricordo di essermi inizialmente vergognato a comperare il 45 giri di questa canzone da regalare ad una ragazza che era perdutamente innamorata di Eros! Ma vi assicuro che furono soldi ben spesi! N.d.a.).

Vogliamo parlare dei vincitori dell’anno seguente (1987)? La premiata ditta Morandi-Ruggeri-Tozzi che con “Si può dare di più” sanciva la nascita della Nazionale Cantanti.

Poteva forse non arrivare prima la canzone che ne sarebbe  diventata l’inno? Subdola operazione!

E poi Anna Oxa, Fausto Leali, i Pooh, Luca Barbarossa, Massimo Ranieri, Riccardo Cocciante, Ron e Tosca (non si sa dove sia sparito Ron, figuriamoci Tosca!!!), la straziante “montatura mediatica” di Annalisa Minetti, la cantante non vedente.

E ancora Marco Masini (il “santo protettore” dei maniaci depressivi!).

E poi l’anno della “svolta”: il 2009, l’anno dell’impronta “Talent-Oriented”. A parte Vecchioni e gli Stadio inizia dal 2009 la pletora dei bimbiminkia: Marco Carta Valerio Scanu, Emma, Marco Mengoni, Arisa, il Volo.

Continuum spazio-temporale di “Amici”, “X-Factor” ed altri tristi programmi televisivi simili, i poveri giovani dementi vengono spremuti fino all’osso da parte delle case discografiche, celebrati per una sola stagione ed infine sbattuti in TV.

Senza ripetermi (si vedano i miei articoli in archivio MUSIC di BetaPress.it; n.d.a.) prendo a prestito un frammento di uno splendido pezzo del 2014 di Claudio Milano, collaboratore di OndaRock: “Sanremo è l’ultimo, disperato avamposto Siae, una delle poche possibilità per il monopolio di alcune «label» di tirare i remi in barca in piena crisi, ma anche e proprio per questo, in una nazione così pigra come la nostra e disposta esclusivamente a lasciarsi indottrinare da un suono che attraversa senza (apparentemente) lasciar traccia, un ritrovo voyeurista attorno ai pochi pregi e ai tanti difetti del nostro nevrotico e scoraggiante “essere/ apparire/ sperare d’essere riconosciuti a guisa di una proiezione ideale di sé”.

Due grandi fortune ha avuto negli anni il Festival di Sanremo: la prima è l’immensa ignoranza in cui imperversa il nostro paese completamente dipendente da TV e radio in cui artisti come Ricchi e Poveri da una parte e Scanu e Mengoni dall’altra sono talmente “spinti” e “video esposti” dalle produzioni discografiche che è quasi impossibile non conoscerli a dovere; la seconda fortuna del Festival è stata quella di ospitare artisti internazionali sul palco dell’Ariston che hanno fatto “schizzare in alto” gli share d’ascolto durante le loro esibizioni sanremesi.

Barry White, Tina Turner, i REM, Peter Gabriel, i mitici KISS, la splendida Whitney Houston (unica artista nella storia del Festival ad eseguire un bis; n.d.a.), «sua maestà» Madonna, i Def Leppard, i Saxon, i Van Halen, i Queen, i Duran Duran, Sting.

E… per fortuna che c’erano i Big internazionali! Altrimenti che pena!

Tornando alle canzoni italiane ebbene sì caro lettore quelle che mi sono piaciute di più negli ultimi quarant’anni di Festival si contano sul palmo di una mano e neanche tutte vincitrici. “Tracce di Te” di Francesco Renga del 2002 classificatasi all’ottavo posto (primi i Matia Bazar con “Messaggio d’amore”; n.d.a.) è a mio avviso, un vero e proprio capolavoro: “Venderei a pezzi la mia vita per essere un minuto come vuoi…”, parole che commuovono e che hanno reso immortale il rapporto con la madre, scomparsa di leucemia quando lui non aveva neanche vent’anni.

Il brano fu singolo d’esordio del fortunato album Tracce, che, uscito subito dopo il festival aprirà a Francesco, cantante e co-fondatore degli storici Timoria, le porte del pop più commerciale.

E’ curioso che, la canzone giunta ottava al Festival, diventi la “title-track” del suo primo disco di… platino! Altro dito del palmo della mia mano: Giorgia vincitrice nel 1995 con “Come saprei”, indubbiamente splendida voce e buon testo.

Ma la mia preferita (anch’essa non arrivò al podio; n.d.a.), pur non essendo un ammiratore del rocker di Zocca, è di Sanremo 82: “Vado al Massimo” di Vasco Rossi.

il pezzo ruppe con lo schema metrico tradizionale e, magistralmente interpretata, liberò tutta quell’ironia e quella rabbia tipica del “Blasco Nazionale” che il pubblico celebrerà da allora fino ai giorni nostri.

Per il resto, il Festival di Sanremo è stata (ed è; n.d.a.) la solita musica: canzonette & potere mediatico… uno schiaffo a tutti quegli artisti che di giorno sono camerieri e di notte scrivono pezzi nuovi, belli autentici!

Caro lettore esci dal mondo dorato di “Sanremo-Matrix” e, come diceva il mitico Morpheus: “…pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai ancora a… Sanremo!”

 

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EDDIE VAN HALEN

EDDIE VAN HALEN

 

10 ottobre 2004: matrimonio del sottoscritto (PERTH N.d.R. 😉 ).

La Chiesa (una delle più belle d’Italia): gli “Eremitani”, limitrofa alla “Cappella degli Scrovegni”, dove i capolavori di Giotto hanno segnato la storia del 1300 in Italia (e nel mondo!).

La festa a Villa Molin (sempre a Padova). 350 gli invitati, 35 i tavoli ed ognuno con un nome diverso, tutti chitarristi: il tavolo nr. 1 Tony Iommi (BLACK SABBATH), il 2 Kirk Hammett (METALLICA), il 3 Angus Young (AC/DC), il 4 Randy Rhoads (OZZY OSBOURNE), fino ad arrivare a Zakk Wylde (BLACK LABEL SOCIETY), passando per Jimmy Page (LED ZEPPELIN), Dave Murray (IRON MAIDEN), Jimi Hendrix (JIMI HENDRIX EXPERIENCE), Slash (GUNS N’ ROSES) e Ritchie Blackmore (DEEP PURPLE) fino ad arrivare a… EDDIE VAN HALEN! Il tavolo degli sposi! Il MIO tavolo! Uno dei chitarristi più grandi di sempre! Al suo nome è accostata la tecnica chitarristica del “tapping”.

Edward “Eddie” Lodewijk Van Halen comincia dal pianoforte, si accosta alla batteria ma è all’età di dodici anni che incontra il suo grande amore: la chitarra. Ama i CREAM di Eric Clapton, i BEATLES ed i LED ZEPPELIN.

Si racconta che il chitarrista dei futuri VAN HALEN abbia “creato”, per così dire, il tapping, proprio durante lo studio di un brano di Page e non riuscendo a farlo proprio, avrebbe cominciato a battere con entrambe le mani sulla
tastiera della chitarra, ottenendo quella serie di intervalli ampi e febbrili, di cui si dice che il musicista olandese sia stato l’inventore: il tapping appunto! Intorno al 1975, dopo l’incontro con il bassista Michael Anthony e con il cantante David Lee Roth, nascono i VAN HALEN, scoperti da Gene Simmons dei KISS che li mette in contatto con la WARNER. Nel 1978 esce il loro primo album, ad oggi il più bello della storia della band.

Si intitola semplicemente “VAN HALEN”, e contiene alcuni dei brani che hanno reso celebre Eddie, come “Eruption”, nel quale lo stile innovativo del tapping la fa da padrone.

Successo istantaneo! I VAN HALEN hanno cambiato cantante più volte (David Lee Roth, Sammy Hagar – MONTROSE, Gary Cherone – EXTREME) ma Eddie è stato, è e sarà sempre i VAN HALEN!!!

Leader di una band che mi ha ipnotizzato sin dai tempi di “Eruption”, capolavoro chitarristico di tutti i tempi, Eddie, campione di eccessi è il talento che più ha influenzato schiere di chitarristi dal 1975 in poi (e che, ribadisco con forza, ha ispirato il sottoscritto! N.d.a.).

Questa è una esternazione di Eddie… non serve dire molto di più: “Se io sono un “dio” – come dite voi – della chitarra, mio figlio sarebbe Gesù, giusto? Ciò significa che nel prossimo tour cammineremo sulle acque”.

Signore e signori: Eddie Van Halen!

 

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I FAVOLOSI ANNI 70

I FAVOLOSI ANNI 70

 

Questo mio articolo nasce da un dialogo con un caro amico rocker che, proprio oggi è diventato papà del secondogenito Antonio.

Quale migliore dedica ed augurio….

AUGURI NINNO!!!

Difficile stilare un elenco di artisti italiani ed internazionali che hanno solcato il decennio 71-80: i favolosi anni ‘70.

Ne citerò alcuni tenendo presente che molti di essi (alcuni ahimè, sono deceduti proprio lo scorso anno; n.d.a.) sono giunti seppur malconci fino ai giorni nostri.

In Italia Lucio Battisti, i Pooh, Fabrizio De André, Antonello Venditti, Matia Bazar, Adriano Celentano, Mina, Francesco De Gregori, Premiata Forneria Marconi, Roberto Vecchioni, Lucio Dalla, Riccardo Cocciante, Claudio Baglioni, Renato Zero, Angelo Branduardi, hanno imperversato con motivi che, parlavano di amore, di pace ma anche di politica e di ribellione fino a giungere (soprattutto per i cantautori; n.d.a.) alla vita dell’uomo comune con i suoi problemi e le sue conquiste.

In Inghilterra e negli States la facevano da padroni Elton John, David Bowie, The Who, Bee Gees, Roxy Music, Emerson, Lake & Palmer, Bob Dylan, Jim Croce, The Queen, Chicago, Mike Oldfield, Donna Summer, Carlos Santana, Fleetwood Mac, Rod Stewart, John Travolta & Olivia Newton John con lo splendido musical Grease fino ad arrivare ai Sex Pistols di Never Mind the Bollocks e a tutte quelle band che hanno rinnovato il Rock’n’Roll iniziandoci ai generi più duri.

Gli anni ‘70 infatti sono stati anni in cui si sono definiti nuovi generi, o meglio in cui si sono perfezionate le sfumature che dalla metà dei ’60 in poi hanno rotto gli argini che stringevano gli stili definiti alla fine del decennio precedente.

Molto complesso analizzare i cambi epocali dal punto di vista musicale e, tralasciando il nostro paese che ha generato, a mio avviso, poche novità di rilievo nel decennio preso in esame (tranne alcune band legate soprattutto al Rock Progressivo e stimatissimi a livello internazionale per l’alta qualità tecnica dei componenti: PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Area, Le Orme etc. n.d.a.), mi limito a citare alcuni esempi di artisti e band oltre manica e oltre oceano che fanno parte della mia storia e che non ho mai negato essere a me molto care.

Partirei dal maestro Jimi Hendrix che proprio nel decennio in questione ha ridisegnato un nuovo modo di fare blues, facendo parlare, piangere e lamentare il suo “ferro”, donando una potenza tutta nuova alle solite scale pentatoniche minori (le tipiche scale blues; n.d.a.).

Bisognerà attendere i primi anni ’80 con Edward Van Halen per trovare un cambiamento “epocale” nel modo di suonare la “sei corde”, ma di questo “mostro sacro” parleremo in modo esclusivo nelle prossime settimane.

Altre Band hanno tracciato le nuove strade ed i nuovi sound dei “settanta”: i Deep Purple, “accusati” di aver creato l’Hard Rock, i Led Zeppelin che hanno “frullato” assieme Rock’n’Roll, Soul & Rock Blues donandoci ritmiche e sonorità inconfondibili ed emulate ancor oggi da centinaia di Band, i Black Sabbath, iniziatori dal punto di vista sia musicale che a livello lyrics di quello che secondo molti diventerà Black/Gothic Metal e secondo chi vi scrive dell’ottimo Hard Rock. Ed ancora: Jethro Tull con l’introduzione del flauto traverso nella classica formazione basso/chitarra/batteria tipica del Rock, i mitici ZZ Top, capaci di innovarsi di album in album fino ad arrivare agli anni ’80 con un sound arricchito con synth e tastiere e capaci con il loro South Rock Blues di conquistare intere generazioni di audiofili, ed ancora i Kiss che con il loro Rock melodico ed il favoloso make-up facciale che, pur influenzando dal punto di vista estetico band “mascherate” come Slipknot, Lizzy Borden e pure il chitarrista Wes Borland (Limp Bizkit) hanno creato un fenomeno difficilmente ripetibile.

Poi ci sono i Boston, gli Asia, i Kansas, i T-Rex, i Nazareth, Iggy Pop, Alice Cooper, i mitici Motörhead, artisti che hanno a volte innovato a volte confermato ma in modo originale le linee di Rock’n’Roll derivate dagli anni ’60, per non parlare infine degli sperimentatori quali King Crimson, Van Der Graaf Generator, i già citati Emerson Lake&Palmer, Caravan e Camel etc.

La particolarità di quegli anni è stata proprio l’innovazione!

La musica negli anni ’70 ha avuto una dignità ed un peso artistico che oggi, stretta tra “social” e “talent”, purtroppo è inimmaginabile.

Voglio soffermarmi sugli AC/DC (sono di parte è vero! Avevo 7 anni quando ascoltai la prima song della band australiana – She’s Got Balls; n.d.a.) ai quali si deve la creazione del “muro del suono” con le chitarre dei fratelli Young unite ad un potentissimo basso/batteria ed un cantato stridente e aggressivo che proprio a partire dai primi anni ’70 hanno lasciato una impronta personalissima ed indelebile al Rock Blues in 4/4 che è arrivata fino ai nostri giorni. Chi poi non conosce i versi e l’interpretazione scenica basati sullo stereotipo del “ragazzaccio” vestito da scolaretto del mitico Angus Young alzi la mano!

Forse sono il gruppo musicale con più fans al mondo, emblematica la vicenda di un noto Dj che, pensando di avere risposte favorevoli durante un evento di musica “Techno” disse: “AC/DC? …una delle band più supervalutate della storia del Rock”. Evidente l’immediata reazione del “suo” pubblico, figuriamoci fosse stato un pubblico di “rockers”!

Caro lettore vorrei lasciarti con un famoso brano (presente nella versione australiana ma non in quella mondiale; n.d.a.) tratto dall’ indiscusso capolavoro del 1976 “Dirty Deeds Done Dirt Cheap”: Jailbreak.

Buon ascolto e viva i Seventies!!!

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=TXXO9_3gb3o

 

 

perth