O MIA BELA MADUNINA – THE BLUES BUNKER SESSION

O MIA BELA MADUNINA – THE BLUES BUNKER SESSION

Come moltissimi italiani anche io ieri sera ero davanti alla tv a guardare “Musica che unisce”, l’intensa rassegna di cantanti italiani in diretta da casa a sostegno della Protezione Civile.

Il forte messaggio di unione e responsabilità in un momento di grande difficoltà per il nostro Paese (#iostoacasa è il refrain della serata; n.d.a.) è da lodare ed il monito di Favino e della Cortellesi da seguire in silenzio: “stai a casa…anche se hai voglia di uscire anche se hai voglia di vedere le persone che ami, voglia di abbracciare tutti. Stai a casa perché la fuori c’è qualcuno che sta lottando per te, (…) non li dimenticare; non dimenticarti di loro perché loro non dimenticheranno mai”. Gabbani, Masini, Amoroso, Elisa, Negramaro, Emma, Ferro, Bocelli, Cremonini, Cocciante (perfino) Mahmood sono alcuni degli ospiti della serata. Mentre si esibiva Ermal Meta mi arriva un whatsapp da Carletto Fumagalli, frontman della Blues4People (vedi Betapress.it – maggio 2017; n.d.a.) con un video… una canzone italiana in chiave blues… Brothers!

Qui mi fermo e vi esorto a guardare il video… Buona visione!

 

https://www.youtube.com/watch?v=LYz2i96TcOI

 

PERTH




LA MUSICA DA “GUARDARE”

In questi mesi siamo protagonisti, nostro malgrado, di un’emergenza sanitaria globale che rivoluzionerà il futuro del mondo per come l’abbiamo conosciuto finora.

Anche la musica subirà un profondo e, mi auguro radicale, cambiamento. A mio modesto parere, già oggi si stanno delineando due grandi areali: il primo in cui la persona è al centro ed il secondo in cui è sacrificabile.

Non essendo né un economista né un esperto di geopolitica evito di addentrarmi troppo in questo delicatissimo argomento, c’è un fattore però, legato ai nuovi contesti, che è sotto gli occhi di tutti e che, volenti o nolenti riguarda tutti.

L’imperialistico Regno Unito inneggia al darwinismo sociale mentre la Repubblica Popolare Cinese, lontana dalla democrazia e dai diritti umani, invia aiuti sanitari (negati in principio dagli “amici” dell’Europa; n.d.a.), denaro e personale medico e paramedico all’Italia, uno dei paesi maggiormente colpiti dall’epidemia.

Una tragedia globale come quella di oggi porterà a riflessioni profonde riguardanti l’intera umanità e questo è positivo, l’uomo dovrà tornare al centro e la musica avrà, a mio avviso, un ruolo fondamentale per la riscoperta dei veri valori.

I falsi profeti delle nuove correnti musicali (sostenuti dai talk show e dai talent), i profeti del cinismo, del becero ed irritante edonismo mediatico, del disprezzo delle regole sociali, lasceranno il posto a chi intonerà inni alla vita e alla morte e racconterà dell’uomo, della sua esistenza, della sua anima, del suo cuore, domande queste che portano ad un’unica vera riflessione: per cosa veramente vale la pena vivere? Tutto ciò, in modo straordinario è stato testimoniato in questi ultimi giorni: il “coinvolgimento digitale” di centinaia di artisti e musicisti noti (e sconosciuti) al grande pubblico che, rigorosamente dalle loro abitazioni, hanno lanciato un grido di solidarietà per vincere la guerra che ognuno di noi è chiamato a combattere.

Sangiorgi (Negramaro), Jovanotti, Bocelli, il Blasco Nazionale, Ligabue, Ferro, Sarcina (Vibrazioni), Agnelli (Afterhours), Britti, Pinguini Tattici Nucleari (intervistati da noi di Betapress a maggio 2019; n.d.a.) e moltissimi altri (che vi invito a vedere martedì 31 marzo alle 20.30 su RAI 1 ed in streaming; n.d.a.) hanno lanciato una campagna di raccolta fondi per il Sistema Sanitario Nazionale e per la Protezione Civile.

Il mondo dell’arte e della musica oggi ci stanno consegnando un messaggio forte di solidarietà: la persona al centro! Ridisegnare la mappa dell’intrattenimento musicale e della discografia sarà una sfida che ci auguriamo possa iniziare al più presto perchè il dramma che ci sta affliggendo non sia capitato invano.

Ma allora cosa serve veramente in questi giorni di isolamento? Qual’è il ruolo della musica in questo triste momento?

Quanto importante sarà la musica e l’arte in un futuro, speriamo prossimo, di ripresa? Chi guardare (ed ascoltare) allora? Dobbiamo guardare ed ascoltare artisti che ci tocchino il cuore, dobbiamo guardare a chi parla di me, di te, di quel che sono io, di quel che sei tu.

Una cara amica anni fa mi chiese di accompagnarla all’Alcatraz di Milano ad uno dei primi concerti da solista di Robert Plant (storico frontman dei Led Zeppelin; n.d.a.) e la cosa che mi colpì, oltre al sound devastante e l’incredibile presenza scenica, fu guardare ed ascoltare la straripante bellezza e la profondità dei pezzi proposti e cantati con una voce struggente. Alla fine lo incontrammo nel backstage per un breve dialogo e Plant ci accolse cordialmente rispondendo a tutte le nostre domande… un grande!

Il mio augurio è che in questo momento di autoisolamento domiciliare si possano riscoprire gli Artisti veri, quelli con la “A” maiuscola: Artisti, Cantanti, Musicisti… da guardare!

Vi lascio con un brano scritto pochi giorni fa “per me e per te”, per il dramma di tutto il popolo italiano, dal leader degli U2, Bono Vox: “Let Your Love Be Know”.

 

https://www.youtube.com/watch?time_continue=20&v=m8esAuYRyYI&feature=emb_logo

 

Perth

PERTH




GIOVANNI SUCCI: “CARNE CRUDA A COLAZIONE”

“Bazzico festival prestigiosi e circoli anonimi con progetti assurdi per chiunque altro”… questo è Giovanni Succi! Sacha Tellini lo ha intervistato in esclusiva per BetaPress.

Ciao Giovanni, il 20 Settembre scorso è uscito il tuo ultimo album di inediti, “Carne cruda a colazione”. Il titolo rappresenta molto lo spirito che hai messo nel realizzare i brani, crudi e decisamente amari, talvolta conditi con un pizzico di velata ironia. Come mai la scelta di un linguaggio così deciso per mettere nero su bianco i testi delle tue canzoni?

Mi fa piacere che si noti, scrivo così da vent’anni. Nei Bachi Da Pietra (Succi è cofondatore della band noise alternative; n.d.r.) porto il mio stile all’estremo, se ti piace te li consiglio.

L’uso di un linguaggio così graffiante è anche un modo per volersi distinguere dai testi di alcune canzoni che, al giorno d’oggi, risultano essere troppo spesso “accomodanti”?

Le canzoni accomodanti sono sempre esistite perché piacciono a tutti. Non si può dire lo stesso delle mie, ma non sono frutto di un brillante piano per distinguermi. Sono io.

Come nasce questo album?

Proprio dalla percezione che questi pezzi non rientravano nel mondo dei Bachi Da Pietra. Quindi insieme a Ivan Antonio Rossi abbiamo lavorato, come su “Con ghiaccio”, per fare in modo che la differenza fosse netta anche nella forma.

“Algoritmo”, seconda traccia del tuo album, propone un’invettiva contro le logiche che dominano le piattaforme odierne sulle quali è possibile ascoltare musica. Pensi che l’utente non abbia alcun potere decisionale rispetto a quello che è il consumo musicale?

Non è un’invettiva, è una fotografia, come nel video di Luca Deravignone. Penso che l’utente abbia pieni poteri, ma ci rinuncia volentieri, non ha più voglia di cercare, c’è troppa roba, lascia fare all’algoritmo che decodifica l’artista, lo giudica, lo etichetta, lo colloca. Proprio come fa con l’ascoltatore.

Qual è la tua visione del panorama musicale contemporaneo?

Dall’alto della mia collina in provincia di Asti, al centro del mondo, mi pare che il tutto conviva con il tutto, rigorosamente collocato dentro nicchie perfettamente etichettate. Se esposte al grande pubblico, le nicchie si gonfiano, durano per un po’, esplodono e

poi si ammosciano. Oppure diventano monumenti e la gente ai monumenti chiede solo che stiano fermi.

Come definiresti, da un punto di vista degli arrangiamenti musicali, il tuo ultimo lavoro?

Per onestà io lo definirei pop, ma mi dicono dalla regia che tutto quello che sfioro, anche solo di passaggio, diventa rock. Mi resta un’ombra di dubito. Allora mi mettono su uno dei Melliflui a caso e mi dicono: – ecco, senti, questo è pop! – Ah. Ok. Rock.

“Carne cruda a colazione” arriva dopo il tuo primo album,”Con ghiaccio”, pubblicato nel 2017. Quanto è cambiato Succi nel corso di questi due anni?

Non moltissimo, ma pensa che “Con Ghiaccio” arrivava dopo “Necroide” dei Bachi Da Pietra, per chiunque altro sarebbe follia. So bene che il pubblico premia chi conferma le certezze rimanendo sempre uguale. Nel mio caso la certezza è che posso portarti da Black Metal Il Mio Folk ad Algoritmo senza perdere la rotta.

C’è una canzone dell’album alla quale sei più affezionato? Se sì, qual è? Per quale motivo?

“Meglio di niente”, l’ultima nata del pacchetto Carne Cruda. Una canzone di cui sconsiglio l’ascolto, se non in determinate condizioni, tutte antisociali.

Chi è oggi, musicalmente parlando, Giovanni Succi?

Un grande.

Quali sono i tuoi progetti futuri in ambito artistico?

Campare almeno fino alla morte, poi si vedrà.

 

TRACKLIST

01_Povero zio

02_Algoritmo

03_Grazie per l’attesa

04_I melliflui

05_Cabrio

06_Arti

07_La risposta

08_Grigia

09_Meglio di niente

10_Balene per me *bonus track

https://www.youtube.com/watch?v=Qni4-DjXng4

 

Sacha Tellini




40.000 click per un video

Siamo oggi a fare quattro parole con il regista Roberto Vairano che ha girato un video musicale per Barbara Vagnini, esordiente nel mondo della musica POP, i cui video su Youtube in pochi mesi hanno superato le 40.000 visualizzazioni.

 

Ciao Roberto come nasce la tua passione per i video musicali?

Sono romano dal 1967, anno in cui vedo la luce per la prima volta e già da quell’anno ho visto il mondo attraverso una telecamera. I miei occhi hanno sempre “inquadrato” la realtà e visto il mondo come un grande palcoscenico pieno di interessanti scene da girare.

A cinque anni già usavo le dita incrociate a V V per vedere la realtà e tutto da quel momento è stato incentrato sulla fotografia.

Negli anni l’evolvere della tecnica e della tecnologia hanno mutato il modo di lavorare anche per la televisione, parliamo del passaggio dalla pellicola al digitale che ha fatto nascere tante società divenute poi fornitrici Rai, per la produzione e post-produzione dei programmi.

È qui che inizia la mia avventura lavorativa, da specializzato di ripresa a tecnico del suono, da organizzatore delle troupe ad ideatore di sigle e spot, oggi giunto alla regia di video musicali.

Una passione che viene dal piacere di ascoltare tutta la musica italiana e internazionale e dal mettersi in gioco.

Oggi essere una goccia in mezzo al mare è abbastanza usuale, ma il restare fermo a guardare non mi piace, preferisco fare, al meglio delle mie possibilità, indipendentemente dai mezzi tecnici ed economici, tentando di fare un prodotto comunque buono, godibile e poi chissà … l’arte non ha confini per nessuno e creare, è stimolo, è esser vivi, è vita

 

E’ il tuo primo lavoro come regista?

Si è il mio primo lavoro da regista per un video musicale, ma c’è tutta l’esperienza accumulata in tanti anni di collaborazione con programmi del calibro di Chi l’ha visto?, Samarcanda, La storia siamo noi, Linea Verde, Sereno Variabile, Telefono giallo, Duello, Storie maledette, Porta a Porta, Il divano in piazza.

Programmi che mi hanno dato modo di lavorare al fianco di importanti operatori e direttori della fotografia del panorama televisivo e del cinema: Piergiorgio Albertini, Bruno Di Virgilio, Riccardo Calamai figlio del primo operatore Rai e non per ultimi Sandro Grossi,  Nino Celeste, Paolo Maestrelli, Walter Ferrari, Maurizio Fulli, Stefano Bosco e l’elenco è ancora lungo, con loro tanti stupendi ricordi e tanta esperienza accumulata

 

La cosa più facile e quella più difficile durante le riprese?

Una persona non può far niente se non trova la collaborazione di tanta gente, con una buona suddivisione dei lavori e dei tempi, tante persone che hanno bisogno di essere guidate e dirette.

Ecco quindi il compito del regista, coordinare il tutto per far sì che il progetto riesca al meglio.

La difficoltà più grande è stato il tempo, cercare di non perdere tempo, perché lo stesso non ti basta mai.

Questo è stato l’handicap più insidioso, soprattutto quando fai un progetto da indipendente, anche se poi, uno dei punti di forza è proprio l’essere indipendenti, in quanto si è mossi dalla fede nel progetto, quindi le motivazioni sono maggiori.

 

Quanto tempo sono durate le riprese?

un paio di mesi.

Le riprese sono state effettuate nel mese di Luglio, c’era bisogno del sole, per registrare le immagini abbiamo scelto un luogo insolito, un luogo abbandonato da molto tempo, spazioso forse una fabbrica non me conosciamo la storia ne abbiamo parlato a lungo con Barbara prima di avventurarci lì dentro,  ma si cercava un luogo anche vicino al sentimento che la canzone vuole esprimere, il sole, infatti il sole c’è, per tutti, non fa distinzioni di razza lingua o religione, nessuno escluso,  una specie di inno alla vita, una canzone che vuole esprimere un augurio, che si ritrova nelle parole della canzone “ c’è un sole per te “.

È l’espressione di un sentimento di vicinanza rivolto a tutti nessuno escluso, come alle persone che hanno subito calamità naturali come il terremoto, in fondo il sole il simbolo di speranza, calore, Vita.

La cantate Barbara Vagnini è stata brava ad interpretare questa canzone con linearità senza essere troppo evidente, senza eccessi, al contrario, addirittura, accettando di non truccarsi, di avere non abiti di marca, di dare semplicità alla canzone con gusto senza esporsi, come la semplicità del quotidiano che viviamo senza dimenticare che dopo la tempesta torna sempre il sole.

 

Come mai la scelta di girare un video per un’esordiente, quindi senza budget?

La cosa più bella ed emozionante è quella di affiancare chi non ha molta esperienza come può essere un esordiente appunto,  affiancarlo con la mia professionalità per costruire un progetto da portare fino in fondo, consapevoli però che la musica oggi guarda, anzi ascolta, solo chi già è un po’ più in là, tipo chi ha già vinto talent show o  festival,  è una sfida, una scommessa,  che passa attraverso alle tante difficoltà che si incontrano quando sei al primo importante appuntamento, quando finalmente esci dal garage dove hai sempre suonato.

Io non sono nato per arrendermi davanti alle difficoltà, esattamente come quelle in cui si trova un esordiente, senza budget, senza un’etichetta discografica, che non potrà mai far ascoltare la propria musica, la propria creazione in nessuna radio; nessun giornale o rivista avrà attenzioni nei suoi riguardi,  facendo così,  neanche il pubblico può conoscere un esordiente, eppure basterebbe far fare un solo passaggio di queste canzoni alla radio per far conoscere al grande pubblico e far decidere a loro se dare un consenso favorevole o una bocciatura.

Penso che sia importante far scegliere al pubblico, ma la scelta nel mondo della musica viene fatta da altri al posto nostro, con una somministrazione quotidiana studiata a tavolino che non dà spazio a nessun povero esordiente.

Che peccato! E allora io voglio rompere il ghiaccio ed essere dalla parte di un esordiente, faccio il mio mestiere per dargli visibilità.

Voi da quale parte vi mettereste? Questo uno dei tanti motivi del perché collaborare con un’esordiente potete scriverlo con la e maiuscola? Ve ne sarei grato.

 

Collaborare con Barbara Vagnini come è stato?

Lei è una cantautrice, c’è un sole per te è un singolo che anticipa la creazione di un nuovo album che dovrebbe uscire nella prossima primavera, Lei è una persona solare dinamica, ha una grande passione per la musica  sa restare con i piedi per terra,  l’umiltà fa di lei una persona semplice capace di fermarsi a riflettere per trovare quel giusto equilibrio tra il cantare, interpretare muoversi sul palco o davanti a una telecamera, ha le idee chiare ed grintosa quanto serve, è una persona che non si risparmia quando lavora.

Quindi tutto il lavoro è stato fatto con armonia e spero che il risultato si veda.

 

Quali le figure che l’hanno ispirata per la creazione di questo video?

Che bella questa domanda, intanto a Barbara che comunque mi ha affidato questo lavoro e se sono riuscito a fare un qualcosa di positivo io debbo ringraziare un grandissimo della televisione, Piergiorgio Albertini, una persona che non è un personaggio pubblico perché è sempre stato come me,  da quest’altra parte, in quella nascosta, come si dice dietro la telecamera,  per me una persona davvero speciale,  che mi ha insegnato passo dopo passo, giorno dopo giorno, fotogramma per fotogramma, tutto quello che c’è da vivere e sapere di questo mestiere, a cui devo tantissimo, vero maestro di vita, visto che per ben oltre 25 anni siamo stati in giro per il mondo lavorando in tutti i tipi di situazioni in cui ci siamo trovati.

Una persona rigorosa e oggi so bene il perché, capisco perfettamente, ora è tutto più facile anche il difficile.

Poi se mi permettete vorrei fare dedicare questa mia prima regia a una persona per me speciale ad una donna, giornalista Rai, scomparsa a Cracovia il 29 luglio 2016 per un malore, Anna Maria Jacobbini, lo voglio fare con un sorriso, come i tanti che mi ha sempre regalato quando si lavorava insieme, Grazie Anna Maria sei stata un angelo e adesso lo sarai per sempre.

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=S3oQRlQjl7s&w=640&h=360]

la cantante Barbara nel suo video c'è un sole per te
la cantante Barbara nel suo video c’è un sole per te

c'è un sole per te il video clip musicale di barbara
c’è un sole per te il video clip musicale di barbara

il regista roberto vairano
il regista roberto vairano

il concerto di barbara vagnini
il concerto di barbara vagnini

 

 

 




SCOTT STAPP: The Space Between the Shadows

 

Non credo si possa coscientemente dire che oggi il Rock sia ancora del tutto vivo e vegeto, soprattutto quello degli anni ’90 legato a sonorità in netto contrasto con quelle del decennio precedente ma con una potenza di suono ed una lucidità di idee che ha portato band come BLACK STONE CHERRY (vedasi Betapress Music novembre 2018), NICKELBACK, ALTER BRIDGE e CREED a rivoluzionare la scena musicale alternative.

E non credo sia nemmeno possibile, facendo un breve tour tra le emittenti radiofoniche nazionali e locali, comprendere a fondo il motivo che spinge gli ascoltatori ad impantanarsi con (sedicenti) artisti che sono tra le cose più lontane dall’arte musicale.

L’Auto-Tune (Software per manipolazione audio che permette di correggere l’intonazione o mascherare errori ed imperfezioni della voce; n.d.a.) imperversa sovrano e la discografia non è in grado di proporre artisti giovani e creativi che possano “tenere viva la fiammella” del Blues, del Rock e del Pop, ma non voglio dilungarmi troppo in questioni oramai note.

Scott Stapp, ex leader dei CREED, è un esempio luminoso di come un artista possa continuare a ribadire come il Rock sia vivo, rifiutando di chinarsi ai dettami degli standard del mercato discografico.

The Space Between the Shadows è il terzo album solista di Stapp che si è rilanciato dopo due lavori opachi: The Great Divide e Proof of Life (quest’ultimo, a dire il vero, contiene un ottimo pezzo autobiografico: Slow Suicide; n.d.a.).

Ad aprire le danze World I Used To Know, che fa ben sperare i fans di Stapp (tra cui il sottoscrittto; n.d.a.), la successiva traccia Name e la traccia conclusiva Last Hallelujah sono due ballate potenti, due canzoni che si cantano a squarciagola con una buona dose di brividi. “I am a son without a father”è il refrain martellante di Name, quasi a richiamare l’attenzione sulla nuova vita artistica di Scott.

Immediatezza anche per il singolo Purpose For Pain con riff accattivanti, il groove incalzante rende assai difficile a questo punto dell’album non desiderare di poter vedere Stapp dal vivo.

La voce di Stapp rimane una sorpresa positiva, sembra non sia passato un giorno dai tempi di My Own Prison, Human Clay e Weathered (album dei CREED rispettivamente del 1997, 1999 e 2001; n.d.a.) ed il livello dei testi è assolutamente alto, degno di un grandissimo poeta.

Tornando a The Space Between the Shadows, le tracks Survivor, Red Clouds e Gone Too Soon sono pezzi assolutamente convincenti e qualora ci fossero ancora dei dubbi sulla qualità dell’album, Mary’s Crying li fuga tutti.

Le rimanenti song (Heaven In Me, Wake Up Call Inside, Face Of The Sun Side e Ready To Love) sono pienamente inserite nel lavoro di Stapp, con sonorità e melodie studiate a tavolino che ammiccano ai fans della “Post Grunge Generation”.

Concludendo vi posso dire che Stapp è finalmente tornato e con The Space Between the Shadows ha posto un solido paletto tra lui ed i suoi detrattori (quasi sempre adoratori di Myles Kennedy degli ALTER BRIDGE; n.d.a) e fa ben presagire per il futuro di questo artista, a cui tutto si può rimproverare ma non di aver trascurato l’amore per i fans ed il vero puro e glorioso Rock‘n’Roll!

 

Tracklist dell’album

  1. World I Used To Know
  2. Name
  3. Purpose For Pain
  4. Heaven In Me
  5. Survivor
  6. Wake Up Call Side
  7. Face Of The Sun Side
  8. Red Clouds
  9. Gone Too Soon
  10. Ready To Love
  11. Mary’s Crying
  12. Last Hallelujah

 

https://www.youtube.com/watch?v=wDRQXrRtE5M

 

Perth

 




UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.

 

Marghera (Venezia), mercoledì 31 luglio 2019 ore 18.30, Skardy mi indica il Bar accanto al palazzo del Municipio.

Ci sediamo in un tavolino nel dehor… “un the caldo, grassie” ordina alla cameriera.

Inizia così la lunga intervista con una delle leggende della musica italiana, anzi, venessiana.

L’ultima volta che ebbi la fortuna di bere un drink con Skardy era il lontano 1994 quando io, giovane universitario, mi dilettavo nell’organizzazione di concerti e di eventi live.

All’epoca la musica era veramente “da piazza” e quell’estate ricordo che Prato della Valle a Padova era gremita di persone.

Il lettore perdoni frasi e battute in dialetto veneto che indicano la genuinità di Skardy e che permettono una comunicazione più diretta.

PERTH: Ti ho richiesto questa intervista perché innanzitutto è un onore poterti rivedere dopo più di vent’anni e soprattutto perché, come pochi altri artisti, ti ritengo, un vero e proprio punto di riferimento nella scena musicale italiana, mi riferisco alla vera arte e libera creatività, oggi invece è come se la gente fosse drogata dalla falsità di proposte musicali costruite a tavolino, una grande mercificazione di talenti usa e getta. Puoi dire ai lettori di Betapress.it cosa ne pensi?

SKARDY: Fondamentalmente credo che il mondo dell’arte e dello spettacolo sia gestito in modo ignobile, la musica è degradata da una certa politica non solo a livello locale ma “dirìa a livèo mondial”, e non conoscendola fino in fondo l’arte, il potere riduce tutto a “fumo, lustrisini, pajette ma poca sostansa”, ecco, questo è quello che penso.

PERTH: Il Veneto è una Regione magnifica, ma a volte l’opinione pubblica, fomentata da una certa politica, mostra il popolo veneto come persone legate al denaro e ai propri interessi da difendere con la spada. Come la musica che tu hai proposto in tutta la tua carriera ha mostrato invece il vero spirito veneto?

SKARDY: Il genere umano sta dimenticando la propria umanità per correre dietro al mito della ricchezza e del lusso, perché di questo si tratta, non si tratta del benessere! Il Veneto, come l’Italia, è un Paese che ha conosciuto il benessere e l’ha gettato via nella speranza di ottenere qualcosa in più. Cosa si è ottenuto distruggendo un intero sistema sociale che, pur con tutti i suoi peccati e limiti era alla base dell’armonia tra le persone? Si è ottenuto un cambio di potere, si è insediato un sistema cannibale sia dal punto di vista economico che sociale: le categorie dei più ricchi si mangiano quelle dei più poveri e di conseguenza abbiamo un mondo che, anche senza essere in guerra fisica, però è in una sorta di guerra tra individui e tra popolazioni. Prova a pensare all’ostilità che c’è adesso non solo tra le Regioni del nostro Paese ma nei confronti di popolazioni di altre etnie, trent’anni fa questo discorso non stava in piedi, anzi chi veniva da altre parti del mondo veniva considerato come un’opportunità e una ricchezza da cui trarre vantaggio. La mia musica, declinata in dialetto veneto, ha sempre tentato di comunicare con ironia questa denuncia contro la diseguaglianza sociale. Sicuramente lo spirito veneziano mi è rimasto e cerco ancora di trasmetterlo perché vedo che sta perdendosi nella storia, quando io giro per Venezia sento la gente che non è più la stessa gente che io ho conosciuto quando ero ragazzino o bambino addirittura. Il veneziano che conoscevo io era un veneziano che nell’esprimersi era una barzelletta, era una persona che trasmetteva talmente tanti modi di dire e talmente tanto umorismo che ti segnava. Al giorno d’oggi la gente parla in maniera quasi “da ufficio”, le barzellette da bar sono morte da 20 anni, vuol dire che lo spirito umano, originario, non solo quello veneziano, ma proprio lo spirito umano ha avuto dei danni, come ha avuto dei danni questo pianeta per opera dell’uomo e l’opera dell’uomo ha prodotto dei danni anche all’uomo stesso.

PERTH: Incontri molti giovani, sia al lavoro (Skardy lavora come “bideo” in una scuola di Venezia; n.d.a.) che ai tuoi concerti, cosa chiedono alla musica i giovani? Solo divertirsi oppure c’è dell’altro, secondo te?

SKARDY: Il mondo dei giovani è molto variegato, ci sono figli di generazioni che hanno avuto educazioni musicali diverse, i figli dei rockettari hanno ancora una certa predisposizione ad ascoltare la musica prodotta da musicisti e strumenti “manuali”, chi è cresciuto senza una cultura musicale, una cultura alla “bellezza artistica”, con genitori interessati a discoteche o ambienti in cui la musica elettronica, ha sostituito il vero sound, è più ricettivo ai suoni sintetici e quindi a quella musica che io chiamo “musica chimica”, prodotta dal computer. La maggior parte dei ragazzi di oggi ascolta ed è più attratta dalla musica chimica che dalla musica suonata, questo è grave perché, per quanto sia prodotta bene e per quanto ci voglia bravura a produrla, la musica cosiddetta “chimica” non avrà mai lo stesso effetto di uno strumento naturale. (Rimango sempre impressionato da questo refrain che peraltro i lettori di Music conoscono molto bene. Tutti gli artisti veri e Skardy è uno di questi, hanno a cuore la musica vera, non il prodotto di un potere che annulla le coscienze propinando una musica “usa e getta”, una musica “chimica”; n.d.a.)

PERTH: La “musica chimica”, come la definisci tu, può essere definita arte?

SKARDY: Per quanto sia perfetta la musica chimica trasmetterà sempre freddo, non come la musica suonata, la musica che ha bisogno di musicisti capaci! Io cerco sempre di fare quest esempio: sappiamo tutti quanto è buona la pizza cotta nel forno a legna, se tu mangi la pizza preconfezionata è ugualmente buona, ma non come la pizza cotta nel forno a legna. E quindi la musica elettronica la musica “chimica” sta alla pizza surgelata, come la musica suonata sta alla pizza originale. Faccio un esempio sconcio: “el vibrator xè sempre duro, ma il casso xè de carne” (Qualche amico veneto direbbe: “pura poesia”; n.d.a.). Nel senso che la musica elettronica “gà el so spessor ma no gà el caòr che gà ea musica sonada”. Al giorno d’oggi ben pochi ragazzini recepiscono questa differenza, forse se ne renderanno conto quando avranno 40 anni e capiranno cosa può essere definita arte. Io verso i 40/50 anni ho iniziato a recepire questa differenza, molto pesante, tra la musica costruita negli ultimi vent’anni e quella che c‘era prima, che magari suonava peggio ma dava più calore. Una sera ero in auto di ritorno da un concerto con Elio, ascoltavo la radio e sento un brano di un trapper di oggi e mi dicevo: non mi piace ma senti che potenza di suono, cambia il brano e parte “Smells Like Teen Spirit” de Nirvana, che nemmeno mi piacciono tanto, eppure ho sentito subito che il sangue ribolliva… ho ripensato ancora una volta all’importanza della musica suonata.

PERTH: La tua storia artistica è molto lunga e piena zeppa di collaborazioni importanti con cui hai condiviso la tua musica “made in veneto”, ci racconti qualche aneddoto? Non so Elio e le Storie Tese, piuttosto che Paolo Belli

SKARDY: Con Elio e le Storie Tese ho fatto le ultime (e definitive, due anni fa; n.d.a.) quattro date. Penso che con la fine del loro gruppo sia finito l’ultimo dei veri grandi gruppi italiani, dei veri e propri “maestri”. Se li guardi tutti, uno per uno, sono grandissimi musicisti, gli ultimi, mi vien da dire, perché se si pensa ai musicisti di adesso per prima cosa non militano in band poi sono tutti cantanti con il DJ che sintetizza e masterizza dietro alla voce ed infine ci sono i musicisti che fanno i turnisti e che suonano di tutto e con tutti. E’ un disastro. Dal Rock &Roll agli anni ’90 c’è stato fermento, oggi la musica è un disastro. Elio inoltre ci ha insegnato soprattutto come si realizzano i dischi e come ci si rapporta con il mondo discografico, anche se gli aneddoti più curiosi risalgono ai tempi in cui i Pitura Freska neanche esistevano, perché andavo a “imbragarme zente che jera parechio in alto” nel senso ad esempio che siamo andati a battere sulla macchina di Jimmy Cliff (famoso cantante reggae giamaicano; n.d.a): c’era Jimmy seduto in auto che si allenava con i bonghi e noi siamo andati lì a battergli sulla macchina, a suonare con lui…a rompere i coglioni alla gente famosa. Inoltre mi piace ricordare personaggi che avevano una certa autorevolezza artistica e che per primi ci dicevano “guarda che quello che state facendo è bello, ha un valore!” Mentre il resto della “plebaglia” disprezzava quello che facevamo, c’erano persone tra cui pittori, scrittori, anche docenti universitari, professionisti del mondo dello spettacolo che ci dicevano: “Beo! Bravi! Continué!” anche se il resto del mondo, soprattutto la critica musicale, ci considerava sotto il livello… animale. Questa è una questione importante: quando cerchi di portare un gruppo o un cantante alla ribalta la prima cosa che ti arriva sono le bastonate, nessuno viene a domandarti: “Cossa ti xè drio fàr, fame scoltàr”, no, invece ti dice “sta roba ea fa schifo!” La gente all’inizio non accetta la novità.

PERTH: Però avete avuto parecchio successo!

SKARDY: Certo! Ma ce lo siamo conquistato sulla strada, non facendoci aiutare dalle Major o da grandi produttori, siamo stati attaccati anche dalla parte più povera della popolazione, che ci dava dei “venduti” pensando che fossimo oramai in mano alla discografia che conta. Invece no, siamo sempre rimasti indipendenti e siamo andati avanti per la nostra strada.

PERTH: Quale è stato il momento esatto in cui ti è stato chiaro che da Marghera avresti potuto calcare i palchi di tutta l’Italia?

SKARDY: A San Siro quando ho visto Bob Marley (the King of Reggae; n.d.a.), quando mi è venuta in mente questa equazione, che è stata semplicissima, fulminea e geniale. Mi ricordavo un po’ l’inglese, avendolo studiato alle scuole medie, avevo 20 anni, ero a San Siro a vedere un concerto di Bob Marley, quando mi sono reso conto che parlavano l’inglese allo stesso modo in cui noi veneziani parliamo italiano, ho pensato: questo genere musicale è perfetto se ci canto sopra in veneziano e lì è iniziato tutto. Chiaro che mi ci è voluto del tempo per imparare a scrivere, per modulare i testi a seconda della musica, però se ti piace ti viene automatico e quando sono riuscito a scrivere due, tre canzoni e le ho fatto ascoltare ad alcuni amici con cui suonavamo assieme, mi hanno detto “però… potrebbe funzionare!” Avevamo una sala in cui provavamo, con il bassista abbiamo iniziato a istruire un gruppetto, siamo riusciti ad esordire qui davanti in questa piazza (Piazza del Municipio di Marghera; n.d.a.) nella rassegna “Marghera estate” del 1985. E da lì è iniziato tutto, perché quando hanno visto che nelle piazze attiravamo un buon numero di ascoltatori, iniziavano a chiamarci in tutti i locali e dove andavamo facevamo il “pienone”. Nel 1987 siamo tornati qui in piazza a Marghera i bar quella sera hanno esaurito tutte le riserve alcoliche (ride).

PERTH: A Padova nel ’94 avete fatto 20.000 persone, ricordo che c’era il Comune molto preoccupato per la sicurezza. Mi hai già risposto per la gran parte, comunque cos’è la via di San siro nella quale sei stato illuminato un po’ come Joliet Jake Blues, alias John Belushi, nel glorioso film Blues Brothers? Forse quando ti sei imbattuto con il Re del Reggae?

SKARDY: Sì infatti, io avevo già preso una bella “spettenada” l’anno prima quando mi hanno invitato a vedere Peter Tosh (altra leggenda del Reggae giamaicano; n.d.a.) che non conoscevo. All’epoca il reggae non mi piaceva, ascoltavo Led Zeppelin, Deep Purple, Santana, Pink Floyd. Alcuni amici mi convinsero ad andare al concerto di Marley a Bologna, era il 1979. La Band si è presentata sul palco con 15 elementi, una mini orchestra. Mi è piaciuto! Era un misto tra un concerto di Santana, un concerto di Funky, un concerto di Rock, non capivo bene cosa fosse, però mi piaceva. La Band “pestava”, aveva un groove pazzesco, tremendo. Sono uscito contento e mi sono ricreduto sul Reggae, suonato così mi piaceva molto. Stessa cosa per il concerto di Bob Marley! Prima del concerto si esibirono dei gruppi che non ebbero grande successo (si beccarono “ortaggi” in faccia), la terza band fu quella di un tale di nome…Pino Daniele! Anche lui prese solamente qualche applauso ma quando uscì Bob Marley esplose lo stadio. Cos’è che mi ha fatto andare fuori di testa? Che rispetto ad altri concerti a cui ero stato qui la gente non era seduta al suo posto in posizione yoga a guardare un palco, qui la gente ballava, saltava, si muoveva, è diverso, capisci? Se io sono seduto qui e vedo a 20/30 metri una “fìa che me piase” difficilmente mi alzo e vado a sedermi vicino a lei, ma se sono in piedi e sto ballando, posso avvicinarmi e con una scusa fare conoscenza. Finito questo concerto uno di noi disse: “Fioi doman ghe xè i Led Zeppelin a Zurigo, nemo?!” Sono andato e tornando dal concerto dei Led Zeppelin ho pensato che se dovevo scegliere avrei scelto Bob Marley… notare che i Led Zeppelin mi piacevano molto!

PERTH: Volevo farti una domanda relativa ai Pitura Freska, da quello che so tu non hai mai avuto piacere di dire perché è finita, tranne quello che scrivi nel sito e nei vari blog, la verità è che era finita un’epoca con loro?

SKARDY: La realtà è che il gruppo aveva iniziato in una direzione e poi è stato portato in un’altra, perché essendo tanti musicisti, ognuno voleva dare al progetto una propria direzione, qual è il segreto, secondo me? Quando hai preso una direzione e sei su una linea, devi continuare a seguirla, perché i Rolling Stones sono ancora vivi? Perché a loro piace quel genere e continuano a proporlo.

PERTH: Grande Bidello a mio avviso è un vero capolavoro. Un’opera che, con la consueta ironia che ti contraddistingue annienta i reality, vedi Grande Fratello, farai un pezzo anche contro i Talent?

SKARDY: Ma non ci penso proprio, ormai considero la televisione come la preistoria dell’intelligenza umana. Quando accendo la televisione e vedo che vengono trasmessi film degli anni ’40 e ’50, mi sembra di tornare a quando ero piccolo negli anni ’60 e probabilmente la gente era più intelligente di adesso, di conseguenza non posso parlare male di una cosa che ormai per me è il male già in partenza, c’è ben poco che salvo della televisione. Una volta guardavo “BLOB”, ora nemmeno quello, perché una volta facevano vedere il meglio e il peggio, ora vedi solo il peggio e mi fa paura. Il meglio è nascosto.  Inoltre credo che non serva, perché ormai la gente è orientata a questa insulsa mentalità e se io vado a toccare questi idoli vuoti, sono un alieno.

PERTH: Nella canzone Firulì Firulà dici di sentirti di un altro pianeta, intendi questo essere un alieno?

SKARDY: Ritorno a quello che ho detto all’inizio, non trovo più l’umanità che trovavo 30/40 anni fa, perché ormai non contano più né le parole, né quello che trasmetti come persona, ma contano i like sul telefono, contano i social, internet e tutto il resto e di conseguenza uno si sente già estromesso dal mondo se non vive dentro questo schema, se ti faccio vedere il mio telefono costa 20 euro, è mezzo rotto e non me ne frega niente di social ecc…, ovviamente essendo artista ho chi lavora per me e li segue, perché devo essere presente altrimenti iniziano a pensare che io sia morto, ma queste cose non sono la mia priorità. Ritengo che internet non venga usato nella maniera corretta secondo lo scopo per cui era stato pensato, un po’ come per tutte le scoperte o le correnti filosofiche o di pensiero, nascono per un intento e poi ne viene modificato lo scopo, Cristo ha dato vita al Cristianesimo e poi ne hanno fatto un’arma di guerra, Marx ha pensato il comunismo e poi hanno dato vita invece a uno stato militare. E’ sempre così.. si parte da uno scopo buono, poi la corruzione dell’uomo distrugge tutto.

PERTH: so che stai pensando ad un nuovo disco e spero di poterlo recensire quanto prima ma parlando di uno dei tuoi ultimi lavori è stata la rivisitazione in chiave Raggae del famoso brano “Centro di Gravità Permanente” di Franco Battiato. Qual è per Skardy il “Centro di Gravità Permanente” che gli permette di stare di fronte alle situazioni che vediamo tutti i giorni e di cui hai appena accennato?

SKARDY: Speremo de inissiar el novo disco”… dovrebbero iniziare le registrazioni dopo l’estate. Per quanto riguarda il “Centro di Gravità Permanente”, è un bel problema perché mi sembra di essere diviso continuamente in due pianeti: c’è il pianeta in cui stai bene, fai quel che ti piace e il pianeta in cui sei costretto a fare cose che non vorresti fare; io ho 60 anni e sono ancora costretto a lavorare! A 60 anni hai oramai dato tutto quel che potevi! Questo è il pianeta che non mi piace. Qual è il mio pianeta, il mio “Centro di Gravità Permanente”? Stare a casa mia, ascoltare la mia musica, andare in giro a suonare, cucinare, mi piace cucinare e avendo la moglie straniera ho dovuto imparare se volevo mangiare come dalla mamma (ride).

PERTH: Rifarai “Menarosto” la rubrica di cucina?

SKARDY: No, preferisco dedicarmi alla musica, stimolare la gente ad avere ancora interesse per la musica “suonata”, perché ritengo che la musica faccia bene, sia salutare, anche se si dice che non dia beneficio immediato, io credo che permetta un beneficio psichico e credo che il motivo per cui la gente peggiora nei rapporti, nella vita, sia che manca il beneficio psichico che dà la musica. Forse oggi con te ho parlato un po’ da matto, perché salto da Mercurio a Plutone… il mio difetto principale è di non essermi mai adeguato ai tempi odierni, parlo ancora come fossi negli anni ’70, perché il mondo doveva migliorare, se è peggiorato non è colpa mia e non vado certo a peggiorarmi per adeguarmi al mondo. Siamo in una società che ha l’obiettivo del beneficio immediato e questo vale anche per la musica, la vera ricchezza si crea nel tempo, nell’immediato puoi solo far contento qualcuno… “desso vago casa che gò da cusinàr, ciao”.

PERTH: Skardy, ti ringrazio, ciao.

 

PERTH

Perth

https://www.youtube.com/watch?v=KsCdxXtgN9o




MODENA CITY RAMBLERS: “RIACCOLTI”.

Eccoci qua cari lettori. Non credo servano commenti quando si ha la fortuna di poter incontrare una Band che ha realmente fatto un pezzo di storia della musica italiana e sottolineo musica! Grandissimi musicisti che non hanno voluto piegarsi alle bieche regole dell’industria discografica ma leggiamo cosa ci raccontano Davide “Dudu” Morandi e Francesco “Fry” Moneti dei Modena City Ramblers.

PERTH

MODENA CITY RAMBLERS: “RIACCOLTI”.

1) Allora ragazzi, questo tour prende vita dal vostro ultimo lavoro, l’album “Riaccolti”, nato come vero e proprio omaggio al ventennale del vostro storico album acustico “Raccolti”. Com’è nata l’idea di incidere questo album e cosa rappresenta per voi ?

“L’idea di questo nostro lavoro non nasce, dal principio, per celebrare l’album “Raccolti”, motivazione che è arrivata in corso d’opera: avevamo voglia di fare qualcosa di veramente acustico, riproponendo quel suono che era una caratteristica di questo gruppo all’inizio della sua carriera. Dopo aver spinto per tanto tempo, sul palco, con chitarre elettriche e batterie, avevamo l’esigenza di “asciugare” il nostro suono, riproponendo qualcosa di diverso: visto che l’anno scorso era il ventennale di “Raccolti”, abbiamo quindi deciso di unire le due cose e di dar vita questo progetto. Ci siamo ritrovati allo Studio Esagono di Rubiera, uno studio che per molti anni è stata la nostra seconda casa e che ha riaperto da poco i battenti dopo un periodo di chiusura, e lì abbiamo cominciato a incidere il nuovo album. Sicuramente anche questo è stato un modo per riavvicinarci alle nostre origini.”

2) A cosa si deve la scelta di organizzare una campagna di crowfunding per la pubblicazione del cd? E come mai avete deciso di tornare nei live club per promuovere il vostro lavoro?

“Per quanto riguarda la scelta di utilizzare il crowfunding, non sentiamo di aver fatto niente di particolarmente nuovo: oramai viene ampiamente utilizzato anche in ambito discografico, anche se per noi è stata la prima volta. Ci è piaciuta l’idea di utilizzare questo strumento per fare qualcosa insieme ai nostri fan, oltre ad avere noi la possibilità di fare qualcosa che fosse, dall’inizio alla fine, completamente indipendente: finora ci era mancata soltanto la distribuzione dei nostri lavori, ma grazie a questa raccolta fondi, siamo riusciti a fare anche questo passaggio. Per quanto riguarda la dimensione dei club invece, noi in questo tipo di realtà ci siamo sempre stati, solo che, in genere, ci fermavamo dopo un tour estivo per ripartire a Marzo dell’anno successivo, in occasione delle feste di San Patrizio. Era molto tempo che non suonavamo quindi d’inverno, in special modo nei piccoli club, con 300/400 posti a disposizione: questa dimensione più intima ci mancava, quindi abbiamo deciso di riabbracciarla, facendo ritorno in quei club che ne offrono la possibilità. Oltre a questo, ci piace portare il nostro contributo a queste realtà con le quali siamo molto solidali, c’è molto bisogno, in Italia, di luoghi in cui poter fare musica dal vivo, però chi, al giorno d’oggi, decide di aprire un club, sa bene che non sono tutte rose e fiori. Oggi molte realtà di questo tipo stanno purtroppo chiudendo, soprattutto i club di medie e grandi dimensioni, un tempo il problema, almeno nelle grandi città, per una band, era quello di decidere dove andare a suonare, data la vastità dei posti disponibili. Ci dispiace, a questo proposito, dover ricordare come a Pordenone abbia da qualche anno chiuso un club storico che a noi ci ha ospitato tantissime volte, il Deposito Giordani, lasciando una città come Pordenone orfana di posti in cui potersi esibire dal vivo.”

3) Com’è cambiato, in generale, il rapporto che avete con la musica nel corso della vostra carriera ultraventennale ? A proposito della vostra carriera, come vede la vostra band, che di gavetta ne ha fatta tanta, i nuovi prodotti musicali partoriti oggi dalla televisione ?

“Beh, diciamo che siamo molto curiosi di seguire tutti i cambiamenti propri della sfera musicale, tutte le sue evoluzioni. Forti dei 27 anni di storia che abbiamo alle spalle, siamo coscienti del fatto che possiamo permetterci di sperimentare avendo sempre uno zoccolo duro di pubblico che ci segue e apprezza i nostri lavori. Se è vero che è cambiato il modo di fare e di proporre musica, è anche vero che è cambiato il modo di arrivare a fare musica: fra talent show, reality e altri format mediatici, un artista non viene più giudicato solo dal punto di vista del prodotto, che da questo punto di vista si ritrova ad essere “costruito”, per far fronte a tutta una serie di esigenze che certe trasmissioni impongono. Se si è perso l’attitudine a fare canzoni che siano rilevanti da un punto di vista politico e/o sociale, è anche perché per arrivare a scrivere determinati testi, devi necessariamente avere un certo percorso alle tue spalle . Ci sono, ovviamente, ancora tanti artisti che vogliono continuare a fare questo tipo di musica, però diventa difficile per loro, al giorno d’oggi, trovare dei posti in cui suonare: se ogni anno ci sono 70/80 artisti nuovi, è difficile riuscire a ritagliarsi il proprio spazio. E come riesci non appena l’hai ritagliato, rischi di essere già “vecchio”: basti pensare al fenomeno indie-rock, artisti importanti che qualche anno fa richiamavano ai concerti grandi numeri di spettatori, sono completamente spariti. D’altra parte, i fan hanno bisogno di essere “fidelizzati”, crescendo insieme a te: se un giorno diventi grande senza essere mai cresciuto, è difficile pensare di esserti costruito un solido rapporto con i tuoi fan (e questo rapporto è molto limitato nel tempo nel magico mondo dei talent show; n.d.r.).”

4) Quali sono gli ingredienti che contribuiscono ancora al vostro successo ?

“Questo non lo sappiamo. Cerchiamo di proporre qualcosa che, nel farlo, entusiasmi anche noi: se mentissimo, non saremmo affatto credibili, e chi ci segue presto se ne accorgerebbe. Non abbiamo nessuna formula magica da rivelare, anche perché, se così fosse, lo avremmo già fatto.”

5) Che cosa dobbiamo aspettarci da questo tour ?

“Sarà un tour acustico, e al tempo stesso, decisamente energico. Proporremo dei brani che è da qualche tempo che non facciamo più live, ma che ad ogni concerto ci vengono chiesti a gran voce: è arrivato il momento di riproporli. Ci sarà la nostra solita energia di sempre ad accompagnare i nostri concerti.”

6) Quali sono, per concludere, i progetti futuri della band dopo il tour ?

“Non abbiamo programmi per adesso, e, per fortuna, non siamo neanche costretti ad averli. Lavorando in un regime di totale indipendenza, possiamo più o meno fare ciò che vogliamo, senza dover rispondere a nessuna logica commerciale, a differenza di altri nostri colleghi. Ad esempio, una band che stimiamo e con la quale siamo molti amici, cioè i Negrita, dopo il festival di Sanremo non ha potuto decidere in autonomia cosa fare: c’è stato chi ha scelto per loro, e loro hanno dovuto eseguire. Quello che continueremo a fare è sicuramente tanta, tantissima musica, anche dal vivo: sono pronte alcune date estive che ai aggiungeranno a quelle già annunciate di questo tour, e che ci porteranno a giro per tutta Italia. Vi aspettiamo.”

PERTH e SACHA TELLINI

 

https://www.youtube.com/watch?v=yXkK_lnnTvU

MCR: Live presso lo Studio Esagono di Rubiera (RE) durante la registrazione di “Riaccolti”

 




Pinguini Tattici Nucleari: Noi, “Fuori dall’Hype” per vocazione.

Carissimi lettori, inizia oggi, venerdì 17 maggio 2019, la collaborazione esecutiva con Rockography, come già comunicato le scorse settimane. E’ un passo in avanti, è una storia tutta nuova fatta di musica, di informazione e innanzitutto di “amicizia operativa” con la redazione di Rockography e nello specifico con uno dei giovani giornalisti più promettenti: Sacha Tellini.

Recensioni, interviste approfondimenti e rivelazioni di tutto quel mondo musicale italiano ed estero che può definirsi ancora “ARTE”! Abbiamo abituato i lettori di MUSIC a dettagliati reportage e linee editoriali chiare con l’obiettivo di farvi conoscere il pensiero e la musica di molti Artisti (con la “A” maiuscola) lontani da tutta quella finzione commerciale che domina i social ed i media (la televisione in primis).

Abbiamo intervistato Riccardo Zanotti, leader e cantante dei Pinguini Tattici Nucleari prima del loro concerto all’Auditorium Flog di Firenze, una delle band più promettenti del panorama pop/indie italiano. Buona lettura.

PERTH

Pinguini Tattici Nucleari: Noi, “Fuori dall’Hype” per vocazione.

Allora, partiamo dalle origini: come nascono i Pinguini Tattici Nucleari ?

“Beh, probabilmente come sono nate tante altre band. Eravamo un gruppo di amici, che un giorno ha deciso di provare a fare questa esperienza. All’inizio dunque, tutto è partito per gioco, per divertimento: salivamo sul palco senza neanche sapere le canzoni che avremmo suonato davanti al pubblico, questo per darti l’idea di quanto fosse per noi, appunto, solo un gioco. Con il tempo, è diventata una cosa sempre più seria, anche se non eravamo minimamente preparati a questo: infatti, eccetto me, tutti gli altri componenti avevano fatto studi diversi rispetto alla musica, ed è così quindi, un po’ per caso direi, che sono nati i Pinguini Tattici Nucleari.”

A cosa si deve, invece, il nome della band ?

“Il perché di questo nome è un segreto che non posso dire, perché altrimenti il nostro manager Gianrico me la fa pagare cara!” (Nel frattempo abbiamo scoperto da nostra fonte la genesi del nome, ma per rispetto al nostro ospite non lo riveleremo; n.d.r.)

Non puoi darci neanche un indizio ?

“Neanche questo purtroppo, mi dispiace. Posso solo dirti che il pinguino è il nostro animale guida, e infatti è un elemento molto ricorrente anche nei nostri live: dal pupazzo che sale ad un certo punto dei nostri concerti sul palco ai visual, è una presenza davvero costante. Scusami davvero, ma è un segreto che proprio non posso rivelare.”

Dal vostro album di esordio “Il re è nudo” (2014), passando per “Gioventù bruciata” (2017), fino ad arrivare ad oggi, con il vostro ultimo lavoro, “Fuori dall’Hype”, come sono cambiati i Pinguini Tattici Nucleari ?

“Guarda, come ti dicevo prima, giorno dopo giorno ci siamo resi conto che stava diventando un lavoro vero e chiaramente la vita ti cambia, si sconvolge. Gli equilibri e le relazioni che hai con un “lavoro normale” vengono completamente stravolti. Con un lavoro come questo, non riesci più ad avere un orario normale in cui mangi e in cui vai a letto, e di conseguenza anche il tuo rapporto con ciò che hai muta, inevitabilmente. Io sono diventato una persona molto più paziente: ad esempio mi sono molto abituato ai viaggi lunghi, rispetto ai quali prima non lo ero affatto. Mi ricordo che quando abbiamo iniziato ad andare a Torino da Bergamo, mi sembrava che ci volesse tantissimo tempo; poi ho iniziato a vedere il tempo con una prospettiva diversa, proprio grazie a questo lavoro, e quella distanza, rispetto ad altre tratte che percorriamo oggi, mi sembra davvero molto breve. Nel nostro caso però, devo precisare che se tante cose sono cambiate, altre non sono cambiate affatto. Per esempio, lo spirito con cui ci approciamo ai concerti è ancora quello dell’inizio: suoniamo semplicemente per il gusto di farlo e per divertirsi, cercando ogni volta di dare il meglio di sé.”

Qual è stato il punto di svolta della vostra carriera ?

“Direi che ce ne sono stati tanti, come spesso succede se una carriera può essere definita sana. Ci sono infatti tanti steps, è difficile che ce ne sia uno soltanto: pensa che, in inglese, esiste un termine coniato appositamente per definire tutte quelle band che dopo aver fatto una sola canzone spariscono dalla circolazione: le band in questione vengono definite one hit wonder, ed è in questo caso che si può parlare di un solo punto di svolta. Le cose nel nostro caso fortunatamente sono diverse: abbiamo macinato palco dopo palco, abbiamo scritto tante canzoni, segno di un lavoro graduale, costante e progressivo. Posso forse identificarti un punto di svolta che sia stato più forte degli altri: questo coincide con la scrittura di una nostra canzone, ossia Irene, che per prima ci ha fatto rendere conto di quella che sarebbe stata la nostra nuova vita di musicisti.”

Veniamo dunque al vostro ultimo album, “Fuori dall’Hype”: come nasce questo lavoro e che cosa rappresenta per voi ?

“Nasce tra una data e un ritorno a casa in furgone, nel senso che è nato on the road, mentre eravamo in giro per fare concerti. Abbiamo pensato molto al nome dell’album, e penso che ne abbiamo trovato uno davvero appropiato per noi. Volevamo dargli un titolo che ci permettesse di collocarci fuori da un certo modo di intendere la musica, che è appunto quello dell’Hype, nel senso che il percorso di carriera che vogliamo per noi stessi non è qualcosa che finisce senza nemmeno aver avuto il tempo di cominciare: vogliamo qualcosa che sia più graduale, proprio come ti ho accennato prima. Non vogliamo essere una one hit wonder per intendersi.”

Avete all’attivo 20 milioni di streaming e oltre 7 milioni di visualizzazioni su Youtube, e “Fuori dall’Hype” ha già superato il milione di ascolti su Spotify: quanto ha influito sul vostro successo la possibilità di fruire attraverso queste piattaforme della musica ?

“Tanto, tantissimo, come succede per quasi tutte le band di oggi! Non dimenticherei, oltre agli strumenti a cui hai accennato tu, i social media, che a mio avviso rivestono un ruolo molto importante. Se Spotify e Youtube permettono di fruire come mai prima di un prodotto finito, che è appunto la canzone, i social media, indipendentemente da quali essi siano, permettono di dare visibilità e fare luce su tutto quello che è il processo che porta alla scrittura di una canzone piuttosto che di un album: dalla sala prove alle ore di registrazione in studio, passando per altri grandi piccoli aneddoti legati alle fasi pre pubblicazione, si ha modo di costrutire una narrazione, di raccontare la storia che sta dietro un particolare processo creativo. Tutto questo, ha la forza di far avvicinare, e magari appassionare, le persone al tuo lavoro: ci piace l’idea di dare visibilità a tutti gli sforzi che sottendono ai nostri lavori.”

Quali saranno, dopo la fine del tour, i vostri progetti ?

“Sicuramente ci riposeremo molto. Personalmente mi dedicherò molto alla mia famiglia e al mio cane, e magari nel tempo libero perché no, cominciare a lavorare al prossimo album.”

 

PERTH & SACHA TELLINI




La Musica come non l’avete mai letta prima…

Rockography & BetaPress insieme per un nuovo punto di vista sul mondo musicale

 

Rockography, blog di promozione musicale fiorentino, e BetaPress, periodico di cultura e attualità di origini marchigiane, hanno deciso di dare vita ad una collaborazione volta ad arricchire il racconto dell’universo musicale.

Il taglio giornalistico permetterà anche di capire retroscena e situazioni che normalmente non vengono rappresentati ai lettori, spesso per motivi di opportunismo commerciale.

Interviste, recensioni di concerti, approfondimenti, reportage: dagli artisti più blasonati fino alle band emergenti, la nuova rubrica darà spazio a tutti i fattori che contribuiscono a dare vita a questa splendida arte chiamata musica.

L’universo della musica si arricchisce quindi di una nuova collaborazione, volta a dare il proprio contributo alla narrazione che viene fatta sulla musica, fortemente convinti di ciò che a suo tempo ebbe a dire Friedrich Nietzsche: “Senza musica la vita sarebbe un errore.”

 

Rockography & BetaPress




Sono tornati i Beatles, ma si chiamano Beatbox!

Milano, Teatro Nazionale, i Beatles sono tornati, si chiamano Beatbox.

Durante un’entusiasmante serata i Beatles sono tornati per raccontare a loro storia, tre ore di canzoni dagli esordi fino al triste momento della separazione.

Uno spettacolo emozionante che scorre sulle note delle canzoni che durante un decennio hanno emozionato milioni di persone.

Mauro Sposito, Riccardo Bagnoli, Federico Franchi, Filippo Caretti sono bravissimi, sia musicalmente che nel rappresentare l’essenza della band anche e sopratutto durante le loro performance.

Il teatro era tutto esaurito a dimostrazione non solo della bravura dei quattro ragazzi, ma anche del fascino che ancora i Beatles rappresentano per tutte le generazioni, un fascino indiscusso, eterno ed immortale.

Inutile ripercorrere i motivi che hanno reso i Beatles eterni, ma c’è qualcosa nel loro sound che colpisce il nostro dna musicale, una sorta di riconoscimento naturale delle armonie da loro create, una identificazione emotiva innata a cui pochi sono immuni.

Lo spettacolo dei Beatbox è proprio una prova del DNA che riconosce in chi vi partecipa la vicinanza genetica a quel codice musicale che ti fa scattare in piedi a cantare Love me do, o Help, senza nemmeno accorgersene.

Ottima l’ambientazione e la scenografia, i costumi e la maniacale ricerca del dettaglio, perfetta la scelta delle canzoni, anche se la mancanza di qualche classico è stata notata dal pubblico in uscita, ma la cosa veramente simpatica è stata la consapevolezza di tutti, terminato lo spettacolo, di aver visto i Beatles suonare.

Per me i Beatles hanno significato la musica dei miei anni “verdi” quando ancora il vento della vita ti fletteva ma non ti spezzava, quando ancora le tue forze ti convincevano di poter andare avanti senza paura e senza timori, la loro musica mi faceva vedere il futuro come un mondo che stava diventando migliore.

Oggi è rimasta la loro musica come il segno di una possibilità ancora da sfruttare, forse non più da me, ma di certo da quei giovani che ancora sentono il dna dei Beatles, voglia di cambiare in meglio senza paura, che ancora hanno il privilegio di credere di poter essere e fare la differenza.

I Beatbox mi hanno riportato il ricordo di una speranza che ha mosso la mia anima giovanile, mi hanno ricordato che guardando avanti, correndo per le strade della vita vedevo qualcuno fermo che mi incitava a proseguire, oggi quel qualcuno devo essere io, dobbiamo riprendere quella gioia di vivere e trasmetterla ai giovani di oggi affinché loro possano continuare a correre.

Grazie Ragazzi.