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L’Eresia è una dottrina considerata come deviante da un’ortodossia alla cui tradizione si collega.

Il termine – peraltro – viene utilizzato anche fuori dall’ambito religioso, in senso figurato, per indicare un’opinione o una dottrina filosofica, politica, scientifica o persino artistica in disaccordo con quelle generalmente accettate.

E qui le cose iniziano subito a complicarsi: spesso la neutralità di questa voce è stata messa in dubbio, presentando – per sua stessa essenza di definizione – seri problemi contestuali di discussione.

Anche perché, dal punto di vista etimologico, “Eresia” deriva dal greco αἵρεσις, haìresis, derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, “afferrare”, “prendere” ma anche “scegliere” o “eleggere”).

Sia in greco antico sia in ebraico ellenizzato questo termine non possedeva dunque, originariamente, alcuna caratteristica denigratoria.

Con le Lettere del Nuovo Testamento la neutralità del termine viene meno: in 1 Corinzi 11:19, Galati 5:20, 2 Pietro 2:1, haìresis inizia ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la “separazione”, la “divisione” e la corrispettiva condanna.

Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di haìresis procede con l’analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.

In ambito ebraico avviene qualcosa di analogo: sempre nel I secolo e.v. (in corrispondenza con l’emergere dell’ebraismo rabbinico ortodosso) il termine ebraico min (מִין, pl. מִינִים, minim; corrispettivo del greco haìresis) assume dei connotati dispregiativi e viene utilizzato per indicare sia i cristiani sia gli gnostici.

Il termine da un significato neutro assume in un secondo momento un valore negativo e passa a indicare una dottrina o un’affermazione contraria ai dogmi e ai princìpi di una determinata religione, o potere di stato, ed è sovente oggetto di “condanna” o scomunica da parte dei rappresentanti di tale potere.

Non è il caso, qui, di ricordare tutti i sinodi volti a stabilire quali fossero le deviazioni dall’ortodossia e chi fossero veramente coloro che venivano considerati “colpevoli di eresia” (ovvero gli eretici).

Se eretico è dunque chi proclama con forza una propria scelta definitiva, “eresia” equivale pertanto a una scelta sia di credo sia di appartenenza, tra posizioni contrapposte, o spesso anche solo discordanti.

Un’altra possibile interpretazione, legata al significato di “scelta”, richiama il fatto che l’eretico è colui che “sceglie”, cioè accetta, solo una parte della dottrina “ortodossa”, rimanendo in disaccordo su altre parti.

In termini formali, il termine viene comunque usato per indicare un’opinione gravemente errata o comunque discordante dalla tesi più accreditata riguardo ad un certo argomento.

Naturalmente, a questo punto del ragionamento, nell’accezione negativa, il termine eresia è reciproco: pochi sarebbero disposti a definire le proprie credenze come eretiche, tendendo piuttosto a presentarle come l’interpretazione corretta di una determinata dottrina, e quindi come la visione ortodossa giudicata eretica da altri.

E, tra i due fronti opposti, statisticamente parlando, mediamente l’accusa più gentile che gli ortodossi rivolgono agli eretici è quella dell’ambiguità.

In sostanza, ciò che costituisce eresia è un giudizio, dato in funzione dei propri valori; si tratta dell’espressione di un punto di vista, relativo a una consolidata struttura di credenze, convinzioni, acquisizioni morali.

Blaise Pascal in Pensieri si sofferma più volte sul tema delle eresie.

Nel frammento 862 scrive:

[…] Dunque esiste un gran numero di verità, sia di fede sia di morale, che sembrano incompatibili e che sussistono tutte in un ordine meraviglioso. La sorgente di tutte le eresie è l’esclusione di alcune di queste verità, e la sorgente di tutte le obiezioni che ci fanno gli eretici è l’ignoranza di alcune delle nostre verità.

E di solito accade che, non potendo concepire il rapporto tra due verità opposte e credendo che l’accettazione di una comporti l’esclusione dell’altra, essi si attaccano all’una ed escludono l’altra, e pensano che noi facciamo il contrario. […]

Un altro esempio di verità e di contro verità è dato dalle tentazioni di Gesù descritte da Luca evangelista, quando Satana:

«Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano;

e anche:

Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”.

Gesù gli rispose: “È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Tuttavia, altrove, il lemma acquisisce un significato ben più ampio, configurandosi come, in una dogmatica universalmente o ufficialmente riconosciuta, la dottrina basata su interpretazioni personali in contrasto con la tradizione. Con buona pace degli enfatici e dei fanatici di ambo le parti.

Vi auguro di essere eretici, ha scritto Don Luigi Ciotti, …

Siate eretici perché eretico è colui che sceglie. …

Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa… Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze…

Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza… Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione…

E qui l’idea dell’eresia come scelta e la scelta stessa della verità (ma quale?) unitamente alle “virtù” dell’eresia, costituisce un ossimoro che già di per sé dovrebbe spaventare. 

Sull’altro fronte, gli fa eco opposto Gilbert Keith Chesterton: «Le eresie consistono sempre nell’indebita concentrazione su di una singola verità o mezza verità…».

E prosegue: «L’eretico (che è sempre anche fanatico) non è colui che ama troppo la verità; nessuno può amare troppo la verità…

Non gli piace veder finire il suo piccolo, prezioso paradosso, che si regge solo con l’appoggio di una ventina di truismi, nel mucchio della sapienza di tutto il mondo…».

Tutto ciò fa riflettere sulle opportunità infinite che abbiamo per esprimere il nostro sentire. 

E allora essere eretico, oggi, potrebbe voler dire amare la propria ombra, il femminile e l’ombra del pianeta, accoglierle come parti di noi, donando ciò che di più prezioso abbiamo: il nostro essere unici.

Essere eretico dunque significa non avere paura della propria ombra e non avere paura delle proprie idee, delle proprie azioni, significa anche vivere profondamente radicati nelle radici, rappresentate dai nostri antenati.

Dante, nel Decimo Canto dell’Inferno, incontra gli “eretici”, coloro che – nella sua visione – hanno perso il legame con la propria anima e, andando contro il dogma della religione, giacciono in sepolcri infuocati (il fuoco, secondo la consuetudine del tempo, rappresenta la purificazione) e sono condannati a morire costantemente nel torrido inferno.

Eppure anche Dante, cattolico che, se pur con alcune incertezze, condivideva il lavoro di Tommaso d’Aquino e di Sant’Agostino, esprimeva pericolose simpatie verso ipotesi filosofiche e religiose che in quel lontano periodo potevano odorare di eresia. 

Anche Dante si dovette presentare davanti al Tribunale dell’Inquisizione e fu più volte accusato di eresia. I suoi amici settari del Dolce stil novo, i Fedeli d’amore, ebbero anch’essi problemi con l’Inquisizione (come anche Petrarca, il cantore de’ casti amori), e fecero l’esperienza del rogo (come Cecco d’Ascoli il 26 settembre 1327).

Dante ghibellino, pur riconoscendo la Chiesa, voleva delimitarne il potere nel campo spirituale e lasciare all’Imperatore quello politico.

Se la chiave di lettura della Commedia (che è lo scritto più violento che il Medio Evo e anche la post Riforma abbiano prodotto nei confronti di Roma) non fosse andata perduta,  coloro che volevano sapere avrebbero probabilmente evitato di essere accusati di eresia.

Questa drammatica disconnessione dell’anima, spesso destrutturata, è presente anche oggi ma, con un segno contrario a quello dantesco, connota invece il malessere sociale di chi lamenta la perdita del legame con la spiritualità e con il divino.

Chi sono gli eretici oggi? Sono “condannabili” come eretici quanti cercano quel divino che è in ognuno di noi, quanti ricercano il legame con la natura e con le relazioni, anche tra uomini, certo, ma anche tra la materia e il cosmo?

Nuovi “roghi” vengono accesi, nuovi “tribunali” vengono istituiti, ma se essere eretici significa non aver perso lo stupore, la meraviglia dei bambini, se significa guardare il mondo con gli occhi dell’anima e lasciarsi ammaliare dalla bellezza, allora possiamo vivere come eretici guardando la nostra interiorità e il mondo con occhi nuovi.

Possiamo espandere la nostra coscienza, per portare nel mondo quell’autenticità che è propria della natura e quindi dell’uomo. Possiamo vivere ereticamente, concedendoci la libertà di essere e non di apparire.

Perché eretico è il suono dissonante, è la pausa che va celebrata e rispettata perché vi sia una melodia.

E così si naviga a vista, tra modelli negativi e icone positive, conflitti e ambiguità, riconoscimenti e sillogi dei principali modelli di relazione dall’una e dall’altra parte – con la speranza di una migliore comprensione della specificità dell’una e dell’altra, al fine di una comune assunzione di responsabilità reciproca, e di un contributo etico e spirituale nei confronti del mondo. 

Giordano Bruno, su cui si potrebbe riflettere all’infinito, nel suo Sigillus, in lingua latina, introduce le tematiche decisive del suo pensiero, quali l’unità dei processi cognitivi; l’amore come legame universale; l’unicità e l’infinità di una forma universale che si esplica nelle infinite figure della materia, e il “furore” inteso come senso di slancio verso il divino.

A Oxford non gradirono quelle novità, come testimoniò venti anni dopo, nel 1604, l’arcivescovo di Canterbury George Abbot, che fu presente alle lezioni di Giordano Bruno: «Quell’omiciattolo italiano […] intraprese il tentativo, tra moltissime altre cose, di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre in realtà era la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo».

Giordano Bruno sostiene l’infinità dell’universo poiché effetto di una causa infinita e – sapendo ovviamente che le scritture sostenevano tutt’altro – e cioè finitezza dell’universo e centralità della Terra, rispondeva alle accuse ne La cena de le ceneri: «Se gli dei si fossero degnati di insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di proporci la pratica di cose morali, io più tosto mi accosterei alla fede de le loro rivelazioni, che muovermi punto della certezza de mie raggioni e propriisentimenti».

E ancora, in Spaccio de la bestia trionfante: «Quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser principe o ricco, non è per mia colpa, ma per iniquità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo vegnate a purgar della forfantescapoltronaria, a fine che un tale non presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante».

Occorreva tornare alla semplicità, alla verità e all’operosità, ribaltando le concezioni morali che si erano ormai imposte nel mondo, secondo le quali le opere e gli affetti eroici erano privi di valore, dove credere senza riflettere era sapienza, dove le imposture umane erano fatte passare per consigli divini, la perversione della legge naturale era considerata pietà religiosa, studiare era follia, l’onore era posto nelle ricchezze, la dignità nell’eleganza, la prudenza nella malizia, l’accortezza nel tradimento, il saper vivere nella finzione, la giustizia nella tirannia, il giudizio nella violenza.

Insomma, di tutto un po’, per rendersi sgradito a tutti o quasi…

«Li nostri divi asini, privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o degli dei, o dei vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra legge che di que’ medesimi». In Cabala del Cavallo Pegaso ad un vescovo.

Ma anche, nel De minimo: i composti «non rimangono identici neppure per un attimo; ciascuno di essi, per lo scambio vicendevole degli innumerevoli atomi, si muta continuamente e ovunque in tutte le parti». 

E: «Chi potrà ritenere che gli strumenti diano misurazioni esatte dal momento che il fluire delle cose non mantiene un identico ritmo ed un termine non si mantiene mai alla stessa distanza dall’altro?».

 

Alla fine Giovanni Mocenigo presentò all’Inquisizione una denuncia scritta, accusando Giordano Bruno di blasfemia, di disprezzare la religione, di non credere nella Trinità divina e nella transustanziazione, di credere nell’eternità del mondo e nell’esistenza di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine.

 

Quel giorno stesso, la sera del 23 maggio del 1592, Giordano Bruno fu arrestato e condotto nelle carceri dell’Inquisizione di Venezia. Sappiamo come si svolse il tutto e con queste parole, alla fine, Giordano Bruno si rivolse ai giudici:

 

«Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam».

«Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla».

Ma la sua filosofia sopravvisse alla sua morte, portò all’abbattimento delle barriere tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero Giordano Bruno è quindi ritenuto un precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverso; per la sua morte, è considerato un martire del libero pensiero.

Chi ha paura oggi degli eretici? Molti.

Perché i nuovi eretici possono dare tanto nel campo della politica, della letteratura, dell’arte in genere, della filosofia, della scienza, sono curiosi, non irreggimentati, liberi mentalmente, diffidano delle classificazioni, sono “intempestivi”, oppure, chissà, troppo tempestivi.

Scrive l’immunologo, oncologo, etno farmacologo Maurizio Grandi di Torino, Responsabile del Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile, citando il filosofo Arthur Schopenhauer: «Tutte le verità passano attraverso tre stadi. Prima vengono ridicolizzate, poi vengono violentemente contestate e infine vengono accettate dandole come evidenti».

 

E ancora: gli eretici di oggi lavorano «per tutelare e promuovere la libertà umana, in tutte le sue espressioni, per esplorare i territori di confine, per mischiare le carte, richiamando l’esperienza del passato ma aprendo nuovi orizzonti per il futuro, per incuriosire, per cogliere nessi per argomenti apparentemente distanti…

… Come avviene nelle fiabe più belle, guardando con la scoperta della fisica oltre l’orizzonte conosciuto, è più semplice credere nell’impossibile che nell’improbabile…

… E Arte e Scienza mettono in comune la Creatività, che ha spinto Bernini a sapere dell’ellisse di Keplero, Galileo a sapere di musica, Bergson a conoscere le idee di Einstein, i futuristi a indurre la forza del movimento, per uscire da una dimensione geometrica euclidea…

… Con le intuizioni che fecero vedere a Pasteur i microbi prima di averli scoperti, a Marconi le onde prima di avere fatto il telegrafo senza fili, ai coniugi Curie l’energia nucleare…

E in ogni scoperta il mondo, come in un granello di sabbia. E la curiosità di porsi domande, di indagare, con inquietudine e impegno. 

Con stupore e, poi, quasi con riconoscenza, e con lo stimolo a proseguire».

Gli eretici, insomma, sono ostinatamente “irregolari”, nel “tempo della malafede”. 

 

Barbara de Munari

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