Fallire educa. Lo dice anche il capitano Kirk.
Come possono i docenti essere d’aiuto per preparare gli studenti e le studentesse ai test d’ammissione all’università?
La prima cosa da fare è aiutarli a vincere la parte ansiogena che inevitabilmente questo tipo di prova porta con sé.
C’è un’ansia di fondo in chi si prepara ad affrontare un test, soprattutto nel caso in cui le materie non siano perfettamente conosciute o magari nemmeno finite.
Cito uno studio di Betapress.it, l’80% delle défaillance nei test d’ammissione non è dovuta alla mancanza di preparazione, ma all’ansia che subentra in fase di esame.
Questo è quindi il primo aspetto sul quale intervenire.
Partendo dal fornire ai giovani alcuni metodi di studio.
La nostra memoria è regolata dal sistema limbico che ci permette di apprendere grazie a quello che viene definito l’imprinting.
Una delle prime regole è capire che l’apprendimento avviene per pressione e memorizzazione (imprinting) all’interno del sistema nervoso centrale di quello che i ragazzi e le ragazze studiano in quel momento.
Applicarsi solo in una materia e di seguito solo in un’altra è, per esempio, un errore grave in fase di apprendimento.
Tant’è che i programmi dei licei sono interattivi e dispersi sugli anni.
Questi sono tutti temi da affrontare e integrare in una didattica particolare.
Quando cerchiamo di aiutare i giovani ad affrontare le prove, dobbiamo tenere presente che il ragazzo o la ragazza sono sottoposti a un meccanismo ansioso collegato a tanti fattori, in primo luogo la preparazione, ma anche l’ansia di prestazione.
E questo stato non permette loro di essere sereni durante il compito.
La scarica di adrenalina attiva tutte le funzioni fisiche (per esempio il battito cardiaco), ma spesso abbassa il ragionamento del cervello e ne attiva la funzione difensiva e tutto questo non permette alla persona di essere performante durante i test.
Bisogna quindi aiutare i ragazzi a programmare lo studio perché una corretta pianificazione consente loro di essere più calmi e interagire con la fase di stress durante il test.
È molto importante anche spiegare bene ai ragazzi come funzionano i test, come sono composti, che tipo di esperienza si troveranno a vivere perché per loro è una prima volta.
Bisogna aiutarli a capire la semantica dei test, non tutti sanno per esempio che questi quesiti sono costruiti secondo algoritmi, secondo una semantica che, se conosciuta, permette ai ragazzi di affrontare il test e ragionare sulla domanda in tempi più brevi.
Un consiglio ai docenti, in questa direzione, è quello di preparare i compiti in classe a guisa di test d’ingresso.
Scomponendo la materia e “costringendo” gli studenti ad affrontarla in modo diverso, magari anche su risposte multiple, il compito in classe diventa un valido aiuto in vista dei test.
È un modo per farli studiare in maniera più logica e con una diversa semantica dello studio.
Per fare tutto questo, durante l’anno scolastico, diventa opportuno programmare attività di laboratorio.
Passando invece a una seconda fase, dobbiamo insegnare ai ragazzi e alle ragazze a gestire un eventuale fallimento.
Come?
Convertendolo in una strategia di successo per scegliere la propria strada.
Insegnando ai ragazzi che non c’è fallimento quando si sceglie, perché la scelta presuppone l’errore e l’errore, a sua volta, è un aiuto per affinare la scelta.
Facendo loro capire che il percorso individuale è importante.
La scelta è una componente del percorso che ogni ragazzo o ragazza fa. Insegnare ad accettare lo sbaglio può essere un metodo educativo.
Nel mio lavoro spesso mi capita di andare a supporto dei docenti e spesso metto in pratica la pedagogia dell’errore perché i giovani di oggi non sono abituati.
In questo approccio la famiglia ha un peso incalcolabile, nel momento in cui capiamo come si comportano i genitori possiamo ritarare il nostro approccio pedagogico-educativo nell’obiettivo del bene dell’alunno.
Ed è un percorso che si fa insieme, studenti, docenti, genitori, psicologi. Lo psicologo ha un ruolo importantissimo ma non deve essere lasciato da solo, ci deve essere una rete intorno che fa sentire i giovani sicuri nel loro percorso.
Gli studenti di oggi che a noi sembrano così sicuri di sé sono in realtà i più insicuri, la depressione giovanile è aumentata del 120% negli ultimi dieci anni, i suicidi in età giovanile del 180% negli ultimi vent’anni.
Sono dati tragici.
Per questo serve un cerchio, l’organicità dell’azione.
La preparazione ai test d’ammissione può diventare la prima occasione per portare questi ragazzi e queste ragazze a sperimentare il fallimento.
Porto un esempio: ho somministrato in varie classi un test molto complesso, l’ho chiamato il test di Star Trek perché ho preso il concetto dal noto telefilm.
Il test della Kobayashi Maru, introdotto nell’universo di “Star Trek”, rappresenta un esemplare punto di riflessione sia nel contesto narrativo che nell’ambito della formazione del carattere e della leadership.
Questo scenario simulato, impostato nell’Accademia della Flotta Stellare, è stato concepito come un test di comando irrisolvibile, destinato a valutare le reazioni dei cadetti di fronte a una situazione senza via d’uscita, dove il fallimento è inevitabile.
L’obiettivo principale di questo test non è tanto la soluzione del problema presentato, quanto piuttosto l’osservazione delle modalità di gestione dello stress, delle decisioni etiche e della leadership sotto pressione estrema.
La Kobayashi Maru è una nave civile senza armi, che, nel contesto del test, invia un segnale di soccorso da una zona controllata dal nemico.
Il cadetto in prova deve decidere se infrangere il trattato di pace per tentare un salvataggio quasi certamente fallimentare, mettendo a rischio la propria nave e l’equipaggio, oppure lasciare la Kobayashi Maru al suo destino.
Il test è truccato per assicurarsi che ogni possibile azione porti a un esito negativo, esplorando così la capacità del cadetto di affrontare una situazione senza speranza.
Il test della Kobayashi Maru insegna una lezione fondamentale sull’accettazione del fallimento come componente inevitabile della vita e, in particolare, della leadership. In un mondo che spesso premia solo il successo, il test offre una prospettiva realistica e umile sulla possibilità di incontrare sfide insormontabili.
Il modo in cui un cadetto reagisce al fallimento – con integrità, coraggio e preservando i valori etici – diventa così importante quanto ottenere la vittoria.
Questo approccio incoraggia la resilienza, la capacità di affrontare le avversità mantenendo un comportamento etico e morale.
Attraverso l’esplorazione dei limiti personali e dell’accettazione del fallimento, il test della Kobayashi Maru funge anche da catalizzatore per la crescita personale e la ricostruzione della personalità.
Confrontandosi con la propria impotenza, i cadetti hanno l’opportunità di valutare e rafforzare il proprio carattere, le proprie priorità e i valori fondamentali. Il test sfida i futuri leader a riflettere sulla natura delle decisioni difficili e sulle qualità necessarie per guidare con saggezza e compassione anche nelle situazioni più disperate.
Il caso di James T. Kirk, il solo cadetto noto per aver “superato” il test modificando il suo programma per renderlo vincibile, introduce un ulteriore strato di complessità all’interpretazione del test della Kobayashi Maru.
Kirk rifiuta di accettare il fallimento come unica conclusione possibile, dimostrando sia la sua ineguagliabile audacia che una potenziale mancanza di accettazione dei limiti imposti dalla realtà.
Questo comportamento solleva interrogativi sulla natura dell’innovazione e della leadership: fino a che punto è giustificabile alterare le regole per raggiungere il successo?
La decisione di Kirk riflette un approccio non convenzionale ai problemi, enfatizzando l’importanza dell’adattabilità e dell’ingegnosità.
Il test della Kobayashi Maru, quindi, va oltre una semplice valutazione delle capacità di comando, trasformandosi in uno strumento pedagogico profondo per l’indagine sulla natura umana, sull’etica della leadership e sulla gestione delle crisi.
Attraverso l’accettazione del fallimento e la ricostruzione della personalità, il test mira a preparare individui capaci non solo di guidare con competenza, ma anche di fare i conti con le proprie vulnerabilità e limiti, promuovendo così un modello di leadership più umano e riflessivo.
Nelle classi in cui abbiamo introdotto questo esperimento, ovvero un test irrisolvibile salvo truccare il test, è risultato che solo il 15% dei ragazzi è stato in grado di gestire correttamente il fallimento al test, dato abbastanza deprimente, nessuno ha pensato di truccarlo e la maggior parte dopo il fallimento ha minimizzato l’errore dicendo che tanto era il test che era sbagliato.
Gestire il fallimento è una componente fondamentale dello sviluppo personale, specialmente nei giovani.
Il fallimento non solo è inevitabile nella vita di tutti ma offre anche opportunità uniche per l’apprendimento e la crescita personale.
Aiutare i ragazzi a gestire il fallimento, ed a capirlo, richiede un approccio olistico che coinvolga educatori, genitori e la comunità nel suo complesso.
Alcune strategie basate su principi pedagogici, psicologici e di sviluppo personale possono essere così riassunte:
A. La creazione di un ambiente sicuro e di supporto è essenziale. I giovani dovrebbero sentirsi liberi di esplorare, sperimentare e fallire senza timore di giudizio o punizione. Un ambiente che celebra il tentativo tanto quanto il successo incoraggia i giovani a uscire dalla loro zona di comfort e a vedere il fallimento come parte del processo di apprendimento.
B. La resilienza, ovvero la capacità di rimbalzare indietro dopo il fallimento, è una skill cruciale. I ragazzi possono essere istruiti sulla resilienza attraverso esempi storici, letterari o contemporanei di individui che hanno affrontato e superato fallimenti significativi. Le discussioni in classe o le attività di gruppo possono concentrarsi su come questi individui hanno gestito le loro situazioni, sottolineando l’importanza della perseveranza e della flessibilità mentale.
C. Insegnare ai giovani a valutare i propri fallimenti in modo costruttivo è fondamentale. Questo implica incoraggiarli a riflettere sulle cause del fallimento, su cosa hanno imparato e su come possono migliorare in futuro. L’autocritica costruttiva dovrebbe essere equilibrata con il riconoscimento delle proprie capacità e successi, per mantenere l’autostima e la motivazione.
D. L’intelligenza emotiva, la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri, è cruciale nel processo di gestione del fallimento. Attraverso il dialogo aperto e le attività di gruppo, i ragazzi possono imparare a esprimere le loro frustrazioni in modo sano e a offrire supporto ai coetanei che affrontano difficoltà simili.
E. Le abilità di problem-solving possono aiutare i ragazzi a vedere il fallimento sotto una nuova luce. Invece di percepire il fallimento come un vicolo cieco, possono imparare a vederlo come un problema da risolvere. Questo approccio li incoraggia a cercare soluzioni creative e a vedere il fallimento come un’opportunità per apprendere nuove strategie.
F. Il supporto dei genitori e della comunità è fondamentale per rafforzare il messaggio che il fallimento è un aspetto normale e utile del processo di apprendimento. I genitori possono essere incoraggiati a condividere le proprie esperienze di fallimento e recupero con i figli, fornendo modelli di resilienza e ottimismo. La comunità, comprese le scuole e le organizzazioni giovanili, può offrire risorse e programmi dedicati a sviluppare competenze di vita che aiutano a gestire il fallimento.
In definitiva, aiutare i ragazzi a gestire il fallimento richiede un approccio multiplo che incoraggi l’accettazione del fallimento come parte integrante dell’apprendimento e della crescita.
Promuovendo la resilienza, l’autocritica costruttiva, l’intelligenza emotiva, e il problem-solving in un ambiente di supporto, possiamo preparare i giovani ad affrontare le sfide della vita con fiducia e ottimismo.
Questo processo non solo li aiuta a gestire il fallimento ma li equipaggia con le competenze necessarie per prosperare in un mondo in continua evoluzione.