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I media europei, ancor più quelli italiani, si sono repentinamente “innamorati” di Kamala Harris.

 

In realtà questi “soldati innamorati” sono gli stessi “giornalisti” ed “opinionisti” che durante questi anni di amministrazione Biden dichiaravano che la Harris fosse una vera e propria palla al piede nell’attuazione dell’agenda politica del tuttora attuale inquilino della Casa Bianca.

 

Un Biden “messo da parte” perché incapace di reggere alle fatiche del ruolo a causa di evidenti problemi di salute.

 

Problemi di salute che erano già “evidenti” nei primi mesi del suo mandato allorquando cadeva per terra con una certa “facilità” e “frequenza”.

 

Un inquilino che, durante le primarie per incoronare il candidato alle prossime presidenziali statunitensi del suo partito, ha stravinto.

 

Primarie alle quali, utile sottolinearlo, la Harris non ha nemmeno partecipato.

 

Un Biden che, questo ne consegue, è stato ritenuto dagli iscritti al partito democratico adeguato a continuare la sua azione politica per un secondo mandato nel caso avesse vinto le prossime presidenziali di novembre.

 

Loro, gli iscritti al partito, questo hanno detto andando a votarlo in quindici milioni.

 

La famiglia Obama, pero, non la pensava nello stesso modo.

 

Elemento che ha determinato il futuro politico di Joe Biden.

 

I “padroni del partito democratico”, gli stessi che avevano identificato Joe Biden come candidato nel 2020, lo hanno “posato”.

 

Sono stati Barak e Michelle Obama ad “incoronare” Kamala Harris, non gli iscritti al partito democratico americano.

 

Questi, gli iscritti, veniamo informati dal Corriere della Sera, “prendevano appunti” durante la convention.

 

È Barak Obama a dare due forti messaggi.

 

Il già iconico per la stampa occidentale “yes, she can” e un preoccupante “se mentono su Kamala noi dobbiamo fare qualcosa”.

 

Se questa frase la avesse detta quel “cattivone” di Trump i nostri liberi giornalisti avrebbero gridato allo scandalo e si sarebbero strappate le vesti in tutela della “democrazia”.

 

Michelle Obama lancia la candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti con queste parole “per anni Donald Trump ha fatto tutto ciò che era in suo potere per far sì che la gente avesse paura di noi”.

 

La ex First Lady che, questo dicono i bene informati, ha a lungo agognato di poter “correre” personalmente e avrebbe voluto essere la prima “presidente donna”, ritenuta questa opzione troppo pericolosa, ha “lanciato” nella corsa Kamala Harris con queste assai sibilline parole “se mentono su Kamala, e lo faranno, noi dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo superare ogni tentativo di sopprimerci”.

 

Non nascondo che mi sarebbe piaciuto vedere qualche “giornalista ben pensante” chiedere, magari in modo ficcante, alla Obama quanto le “dispiacesse”, alla Garbatella a Roma si direbbe con maggiore incisività “le rodesse”, dover “cedere il passo”.

 

Non nascondo che mi sarebbe piaciuto vedere qualche “giornalista ben pensante” elucubrare su quei “fare qualcosa” e “sopprimerci”.

 

In democrazia si “vota”, la norma prevederebbe “un cittadino, un voto espresso direttamente dallo stesso”, e non si ragiona in termini di “soppressione” dell’avversario politico.

 

In realtà è proprio Trump che rischia in continuazione di essere escluso dalla “corsa alla Casa Bianca” con mezzi e sistemi che, allorquando sono stati usati contro Navalny da quell’altro “cattivone” di Putin, fecero urlare i “soliti giornalisti ben pensanti” al “colpo di Stato”.

 

In realtà, solo per precisione, Navalny non aveva ancora vinto niente conseguentemente l’allocazione era assai “eccessiva”.

 

Pesi e misure “diverse”.

 

Come non ricordare la famosa affermazione “per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”.

 

Affermazione che, in termini estensivi, può essere applicata a molti concetti.

 

Per “l’amico Obama” si parla di “re del partito democratico”, per il “nemico Trump” si preferisce il termine di “dittatore del partito repubblicano”.

 

Con buona pace del fatto che Trump ha partecipato a delle primarie ove si sono candidati in altri cinque mentre Obama ha “incoronato” la Harris che non ha nemmeno partecipato alle primarie del suo partito.

 

Obama, il “puparo” prima di Joe Biden ed ora di Kamala Harris, il “re” è lui per l’appunto, può spacciarsi come colui che “porta la pace nel mondo”.

 

Pace che Obama ha “portato” prima direttamente e, in seguito, attraverso il suo “proxy”, noi diremmo “prestanome”.

 

Obama che può dichiarare fra gli applausi dei “soliti benpensanti” che Trump porta alla “guerra civile gli Stati Uniti”.

 

A dire il vero “l’esportatore” di “guerre civili” nel mondo è stato proprio lui.

 

Utile ricordarsi l’Ucraina nel 2014 e le tante “primavere arabe” che hanno rovesciato sistemi politici stabili in medio oriente spesso determinando caos e morte.

 

Ancor più utile ricordarsi la fine di Gheddafi in Libia voluta proprio dalla Presidenza Obama con “l’aiutino” di Sarkozy e di Napolitano.

 

Le “primavere arabe”, la guerra in Ucraina che sarebbe potuta finire ad Istanbul dopo quindici giorni con una assai intelligente dichiarazione di “neutralità” di quello Stato rispetto ai due schieramenti, la guerra in medio oriente dovuta ai doppi giochi dell’amministrazione Biden in quello scenario, in primis con l’Iran, queste le eredità in politica estera del “proxy” Joe Biden e della sua Vice Kamala Harris.

 

Ovviamente i “benpensanti” non “ricordano” e, tantomeno, ne fanno menzione.

 

“Mentre parlava Michelle Obama, c’era chi tra il pubblico prendeva appunti, chi ripeteva le sue parole come in un sermone in una chiesa gospel”, questo scrivono i media nostrani.

 

Gli stessi che denigrano i sostenitori di Trump come degli “invasati”.

 

Ancora, la Harris è stata presentata, sempre dagli Obama che i ben informati reputano miliardari, come “una donna della classe media, come lo è la maggior parte degli americani che non hanno il lusso di ricchezze accumulate per generazioni”, anche qui una frase assai sibillina.

 

Trump si è costruito totalmente da solo la sua fortuna.

 

A chi si riferiva l’intoccabile Michelle Obama?

 

“Nessuno ha il monopolio su cosa significhi essere americano” ha dichiarato il “re” del partito democratico.

 

Affermazione assai condivisibile, anche da un italiano innamorato della storia americana come sono io, a patto che “nessuno” includa anche il Re e la Regina del partito democratico, Barak e Michelle Obama.

 

Sono gli elettori, quelli veri, a decidere.

 

Ignoto Uno

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