Il Ministro nordio accoglie il beato giudice Livatino

Al ministero della Giustizia il 20 gennaio 2023 è giunta la reliquia di Rosario Livatino, magistrato siciliano dichiarato beato dalla Santa Madre Chiesa.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha accolto la reliquia nella sala ministeriale dedicata al Giudice.  Nordio ha ricordato Rosario Angelo Livatino con queste parole : “ Le spoglie, l’esperienza e la tragica fine ci dimostrano che anche in questo mondo c’è spazio per coniugare la fede nell’uomo con la fede nella giustizia  divina”.

Il Ministro Nordio accoglie il beato Livatino
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Il giudice ragazzino: Rosario Livatino

Rosario Livatino
Rosario Livatino
Reliquia di Rosario Livatino
Reliquia di Rosario Livatino

Al ministero della Giustizia il 20 gennaio 2023 è giunta la reliquia di Rosario Livatino, magistrato siciliano dichiarato beato dalla Santa Madre Chiesa.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha accolto la reliquia nella sala ministeriale dedicata al Giudice.  Nordio ha ricordato Rosario Angelo Livatino con queste parole: “ Le spoglie, l’esperienza e la tragica fine ci dimostrano che anche in questo mondo c’è spazio per coniugare la fede nell’uomo con la fede nella giustizia  divina”.

Parole importanti soprattutto se si tiene conto del fatto che Livatino è il primo magistrato riconosciuto e dichiarato beato dalla Chiesa Cattolica. Papa Giovanni Paolo II lo definì “martire della giustizia e indirettamente della fede”.  La Sua reliquia è stata esposta nel ministero della Giustizia per volontà della Venerabile Arciconfraternita Maria Odigitria dei Siciliani in Roma, che ne ha curato l’esposizione.

La “Peregrinatio Beati Rosarii Livatino – Fidei et Justitiae Martyris”, ossia la sua  reliquia, è costituita da una teca contenente la camicia che Livatino indossava il giorno in cui fu ucciso dalla mafia mentre si recava a lavoro il 21 settembre 1990.

Livatino è noto come il “giudice ragazzino”,così definito dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, un testimone della storia italiana che ha donato la sua vita per la legalità e per la giustizia.  Livatino era un giudice sicuro di sé, capace di condurre inchieste “scomode” e percorrere strade sconosciute (come quella che ha portato alla confisca dei beni ai mafiosi).  Estremamente credente, rispettoso delle regole e con una visione del mondo della criminalità e politica corrotta molto ampia. Riponeva grande fiducia nel corpo della Guardia di Finanza in quanto capace di coniugare sia l’attività investigativa economico finanziaria sia applicare la legge.

Rosario Livatino nacque a Canicattì nel 1952. Dopo gli studi classici, si laureò nel 1975 in giurisprudenza a Palermo. Vinto il concorso in magistratura, nel 1979 divenne sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e qui prestò servizio fino al 1989.

Criminalità organizzata, tangenti e corruzione: furono questi i nemici che Livatino combatté in questi anni. Dopo aver compreso il forte legame tra la politica siciliana e la mafia, diede vita, insieme ai magistrati Cardinale e Saieva, a indagini a tappeto su tutto il territorio agrigentino. Queste poi portarono al maxi-processo contro i mafiosi di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Siculiana e Rivera; il maxi processo si concluse con quaranta condanne e Livatino stesso interrogò gli onorevoli Bonfiglio, Di Leo e Mannino.

La sua tenacia, gli ideali e il suo coraggio spaventarono sia la politica corrotta sia i mafiosi siciliani che decisero di mettere a tacere il “giudice ragazzino”. Così, fu ucciso il 21 settembre 1990 sulla ss640 Caltanissetta – Agrigento da quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina.

La stampa: omicidio del giudice
La stampa: omicidio del giudice

Infatti, dopo averlo speronato dall’auto dei killer, il giudice iniziò a scappare nella campagna limitrofa ma uno degli inseguitori gli sparò un primo colpo ad una spalla.

Nonostante questo, Livatino continuò la sua fuga ma dopo poche decine di metri fu ucciso con un colpo di pistola. Tra i primi che accorsero sul luogo del delitto vi furono Elio Spallita, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

La stele sul luogo dove il giudice martire è stato colpito a morte, lungo la statale Caltanissetta-Agrigento
La stele sul luogo dove il giudice martire è stato colpito a morte, lungo la statale Caltanissetta-Agrigento

L’omicidio di Livatino mise in luce una ferita nel rapporto tra  Stato e magistratura: la solitudine. I magistrati dispongono di un grande potere nella lotta alla mafia quando sono nell’esercizio delle loro funzioni, ma dopo il lavoro sono soli, abbandonati e privi di alcun tipo di protezione.  Per questo motivo, dopo l’omicidio del giudice, Roberto Saieva e Fabio Salomone, magistrati e suoi colleghi,  denunciarono lo Stato di aver abbandonato tutti i magistrati nella lotta alla mafia. Stessa cosa fece il giudice Francesco Di Maggio che all’Unità disse “ Dietro la bara di Livatino non può nascondersi tutta la magistratura”.

Le sue parole tuonarono come accusa verso lo stato e provocarono numerose polemiche.

Con la sua vita, con il suo lavoro e con la sua passione Livatino ci ha mostrato cosa significa essere uomini rispettosi delle leggi e buoni cristiani.

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