Meritocrazia
-Pubblichiamo la sintesi di un lungo articolo, consultabile in allegato, sulla “Meritocrazia” nelle varie declinazioni nella Pubblica Amministrazione.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Miriam Pane Funzionario di Alta Qualificazione Professionale Della Corte dei Conti-
“Le varie declinazioni della meritocrazia nella Pubblica Amministrazione”
Il concetto di meritocrazia, come tutti ben sanno, ha suscitato e continua a suscitare interessanti e profonde riflessioni da parte di esimi giuristi e di coloro che gravitano nel mondo della pubblica amministrazione.
Il merito rappresenta ancora un valore irrinunciabile affinché la nostra Pubblica amministrazione possa apparire più attrattiva sia per i giovani che per tutti coloro che già vi operano all’interno, e possa essere dotata di quelle competenze e di quelle motivazioni adeguate volte a contribuire al raggiungimento degli obiettivi prefissati con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Il principio del “sistema del merito” ispira in particolare la materia della scelta del personale da assumere. In tale direzione si muove l’art. 97, comma 4 della Costituzione, in virtù del quale «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
Nel corso degli anni la pubblica amministrazione, in virtù del suo ruolo speciale nell’ambito dell’apparato statale, è stata oggetto di diversi processi di riforma che hanno profondamente inciso sia sulla sua natura giuridica, che, conseguentemente, sulla sua disciplina applicabile, andando ad impattare sulla selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, sul riconoscimento di meriti e demeriti, sulla selettività e sulla valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, unitamente all’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico e del contrasto alla scarsa produttività ed all’assenteismo.
La lunga stagione dei cambiamenti che ha investito la pubblica amministrazione nel suo complesso, condizionata dalla diffusione del modello del New Public Management, è stata alimentata anche dall’apporto innovativo della riforma “Bassanini”, la cui base principale si rinveniva nel perseguimento dell’efficienza e della semplificazione amministrativa.
Ma un intervento rivoluzionario si è avuto sicuramente con la “riforma Brunetta”, il d.lgs. 150/2009, il quale intendeva operare nell’apparato pubblico con un approccio volto alla valorizzazione del merito e dell’efficienza, attraverso l’adozione di un sistema generalizzato di valutazione delle performance individuali e di gruppo, proponendo nuovi strumenti manageriali in grado di incentivare l’organizzazione del lavoro nella pubblica amministrazione, al fine di ottenere adeguati livelli di produttività, anche attraverso un meccanismo che consentisse di riconoscere i meriti e i demeriti.
Proprio in ordine a tale tematica si deve rievocare la deliberazione della Corte dei conti n. 62 del 2024, la quale pone in evidenza una serie di criticità sull’effettività del Sistema di misurazione e valutazione della performance dei dipendenti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 150/2009. Dal controllo condotto dai magistrati contabili sulle premialità riconosciute ai dipendenti delle PA centrali, nel triennio 2020-2022, emerge una pratica diffusa volta a stabilire obiettivi particolarmente bassi e autoreferenziali, oltre alla scelta di indicatori di performance poco sfidanti, con il conseguente “appiattimento verso l’alto delle valutazioni del personale, la conseguente attribuzione di premialità senza adeguati presupposti meritocratici e l’insufficiente efficacia del sistema di misurazione e valutazione, inidoneo a determinare in maniera uniforme e pienamente adeguata la qualità delle prestazioni dei dipendenti pubblici”.
Il sistema di valutazione del personale pubblico, in verità, ha generato un diffuso malcontento tra gli stessi lavoratori sin dalle sue prime applicazioni, in quanto di sovente sono stati utilizzati parametri non uniformi tra i diversi uffici appartenenti ad una stessa Amministrazione o appartenenti ad Amministrazioni differenti, generando il concreto rischio di valutazioni annuali non congrue e arbitrarie, soggettive e fiduciarie, tali da impattare negativamente sull’assegnazione dei premi di produttività, sulle prospettive di carriera orizzontale e sull’ottenimento di sensibili aumenti di salario.
Un significativo passo in avanti in tal senso è stato compiuto con la direttiva firmata il 28 novembre 2023 dal Ministro per la Pubblica amministrazione, la quale è orientata al progressivo superamento della semplice valutazione gerarchica e unidirezionale cui sono soggetti i dipendenti pubblici. La direttiva, dunque, assume la funzione di “bussola” per i dirigenti delle amministrazioni pubbliche ai fini della valorizzazione dei lavoratori nel loro contesto organizzativo.
Il dirigente pubblico, di talché, nel sistema di misurazione e valutazione della performance individuale cambia veste ed assume un ruolo di primaria importanza nel processo di trasformazione delle amministrazioni pubbliche, diventando soggetto responsabile non soltanto del presidio tecnico delle attività di sua competenza, ma soprattutto della valorizzazione del capitale umano che gli è assegnato.
Nonostante la direttiva focalizzi l’attenzione sull’aspetto formativo del personale pubblico, il quale ora può avvalersi del nuovo portale “Syllabus” del Dipartimento della funzione pubblica – che offre un ampio catalogo formativo in modalità e-learning su tematiche afferenti alla transizione digitale, ecologica e amministrativa e allo sviluppo delle così dette “soft skills” – certamente uno sforzo maggiore, a giudizio di chi scrive, deve essere compiuto per quanto concerne, in particolare, la formazione del dipendente in materia di lingua inglese, dando la possibilità a ciascuna amministrazione di attivare corsi base o avanzati di apprendimento della lingua sviluppati sulla base delle esigenze proprie dei singoli settori di appartenenza. Ciò, al fine di consentire ai pubblici dipendenti di accrescere il proprio bagaglio culturale anche in una ottica di avanzamento di carriera, considerando che, ormai, in tutti i concorsi pubblici superiori è richiesta una conoscenza avanzata della lingua.
Tradizionalmente, di meritocrazia si parla anche sotto il profilo dell’accesso dei dipendenti nell’apparto pubblico, che avviene attraverso lo strumento del concorso pubblico, il quale rappresenta la forma generale ed ordinaria di reclutamento del personale pubblico, di cui al citato articolo 97, comma 4 della Carta costituzionale, posto, dunque, a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione amministrativa, onde evitare di privilegiare categorie più o meno ampie di persone.
Ciononostante, è stato sostenuto che non sempre la fondamentale disposizione di cui al quarto comma dell’articolo 97 Cost., unitamente ai connessi principi costituzionali di eguaglianza (ex art. 3 Cost.) e di parità di condizioni tra cittadini (ex art. 51 Cost.), ha trovato piena applicazione da parte delle amministrazioni pubbliche.
Per quanto concerne la modalità di reclutamento del personale dirigenziale attraverso il corso-concorso bandito dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione, innovato recentemente attraverso le linee-guida del 2022, si potrebbe forse considerare l’opportunità di rivedere alcuni criteri, in ordine ai quali si consente di accedere alla carriera dirigenziale, all’esito delle diverse prove concorsuali, anche a coloro che non hanno mai gravitato nel mondo della pubblica amministrazione. Ciò, in considerazione del fatto che l’accesso a tale procedura è ammesso anche ai candidati forniti della sola laurea specialistica o magistrale o del diploma di laurea unitamente ad un titolo post-laurea, senza aver mai prestato servizio nella pubblica amministrazione, favorendo pertanto l’accesso ai più giovani. A parere di chi scrive, la preparazione nozionistica delle materie oggetto delle prove concorsuali è sicuramente di fondamentale importanza, ma è pur certo che la competenza gestionale e l’esperienza lavorativa maturata sul campo, specialmente in settori particolarmente delicati dell’apparato pubblico, è altrettanto necessaria e non si acquisisce in via teorica o attraverso dei quiz situazionali o attraverso la risoluzione su carta di casi pratici.
In tema di meritocrazia, occorre soffermarsi anche sulle criticità legate al conferimento degli incarichi dirigenziali ai sensi dell’art. 19, comma 6 del d.lgs. 165 del 2001, che rappresenta un sistema eccezionale di reclutamento del personale dirigenziale, in quanto non effettuato attraverso il concorso pubblico, bensì attraverso l’attribuzione da parte delle pubbliche amministrazioni di incarichi dirigenziali a soggetti esterni privi della qualifica dirigenziale, subordinando tale facoltà a limiti ben precisi, tra cui la particolare e comprovata qualificazione professionale dei soggetti individuati non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione tra il personale dirigenziale. Tale norma è stata oggetto di diversi interventi legislativi e anche la Corte dei conti si è espressa più volte in materia, precisando che ai fini del conferimento di tale tipologia di incarico dirigenziale ad un dipendente della medesima amministrazione, non inserito nei ruoli dirigenziali, sono necessari “severi requisiti di eccellenza professionale previsti dalla stessa norma, che considera come assolutamente eccezionale l’affidamento di funzioni dirigenziali a soggetti che non abbiano superato il prescritto percorso di qualificazione per l’inserimento nel ruolo dirigenziale”.
Tale istituto, in verità, è utilizzato di frequente nella pratica dalle pubbliche amministrazioni, nell’esercizio di un’ampia discrezionalità di cui godono, per posizionare personale strettamente fiduciario secondo criteri che, pertanto, stridono con il principio meritocratico, sulla base del quale l’incarico dirigenziale di cui al succitato art. 19, comma 6 dovrebbe essere conferito a soggetti dotati di particolare e comprovata qualificazione professionale. Inoltre, chiunque sia addentrato nel mondo della pubblica amministrazione sa benissimo che spesso tali incarichi vengono reiterati negli anni dai vertici amministrativi, nonostante si proceda con il meccanismo dell’interpello, che in via teorica dovrebbe garantire una procedura comparativa, e adeguatamente motivata, tra i diversi candidati, all’esito della quale individuare il soggetto più “meritevole”.
Tale stato di cose, spesso, scoraggia il dipendente pubblico che ambisce a ricoprire il ruolo di direzione, creando uno stato di frustrazione molto pericoloso e che influisce direttamente anche sulla qualità del lavoro espletato.
Ulteriori problematiche che si sono sviluppate attorno al concetto di meritocrazia attengono sicuramente allo sviluppo delle carriere dei dipendenti virtuosi. In tale contesto, con il decreto-legge n. 80, del 9 giugno 2021 – dopo il fallimento negli anni precedenti della mancata attuazione dell’area della vice dirigenza – si è cercato di rivalutare le professionalità medio-alte, troppo spesso schiacciate tra il ruolo preminente della dirigenza e quello generale delle altre categorie non dirigenziali. Tale provvedimento, infatti, prevede all’interno delle singole amministrazioni, sulla base delle proprie esigenze organizzative, l’individuazione di aree di “Elevate Professionalità”, con cui conferire attraverso procedura concorsuale incarichi di considerevole autonomia decisionale e responsabilità, permettendo di avvicinare alcuni funzionari alla posizione della dirigenza. In molte Amministrazioni tale sistema però è ancora in fase di definizione.
Sin dai tempi della riforma Brunetta i dipendenti pubblici sono stati oggetto di gogna giornalistica e mediatica, che hanno gettato discredito all’intera categoria, additati spesso come dei veri e propri “fannulloni”. Tale stigmatizzazione da parte poi dell’opinione pubblica nei confronti dei dipendenti pubblici è strettamente connessa al ruolo che gli stessi ricoprono in quanto servitori dello Stato, legati ad un dovere costituzionale e contrattuale di produrre per la collettività e di rendere servizi primari, basilari e indispensabili.
Orbene, è innegabile che all’interno dell’apparto pubblico sussistano profonde criticità che rendono il pubblico dipendente attaccabile e colpevole di negligenza, ma è pur vero che non sempre le problematiche che pressano la pubblica amministrazione hanno origine dai dipendenti che vi prestano servizio, in quanto l’efficienza di una struttura amministrativa è funzione sia della qualità dell’organizzazione che dell’impegno di chi vi è addetto e per apportare dei miglioramenti è necessario agire su entrambi i fronti.
A tal proposito, il prof. B.G. Mattarella ha osservato che “Per assicurare la correttezza dei comportamenti dei funzionari, occorre far funzionare correttamente le istituzioni presso le quali essi operano”. Si aggiunga, altresì, che affinché si abbia una pubblica amministrazione plasmata dal principio meritocratico è fondamentale che quest’ultimo si applichi non solo al sistema di accesso del pubblico impiego, ma soprattutto al percorso delle carriere, così come più volte sostenuto dal prof. Cassese.
Molti passi in avanti sono stati fatti in tale ambito grazie ad una serie di interventi normativi che si sono succeduti nel tempo, ma tanto ancora rimane da fare per creare un’amministrazione moderna ed efficiente, caratterizzata da norme e procedure snelle e semplificate, al fine di adeguarle alle esigenze dei cittadini e delle imprese. Si tenga presente, infine, che la riforma della pubblica amministrazione rappresenta anche uno degli obiettivi inseriti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Occasione, dunque, da cogliere pienamente per dare concretezza alla meritocrazia nelle sue varie declinazioni e per dare nuovo lustro alla pubblica amministrazione ed a tutti coloro che sono fieri di lavorare nello Stato e per lo Stato.
Miriam Pane
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