MET E LOUVRE. DIALOGHI DI ARTE ANTICA TRA PARIGI E NEW YORK

Iran du Sud-Ouest Vers 3000 av. J.-C Taureau sauvage agenouillé tenant un vase à bec Argent New York, The Metropolitan Museum of Art, Department of Ancient Near Eastern Art, Joseph Pulitzer Bequest, 1966, inv. 66.173 Achat, K. Rabenou Ltd, New York, 1966
MET E LOUVRE Dialoghi di arte antica tra Parigi e New York
Il Dipartimento di Antichità Orientali del Louvre di Parigi ospita dal 29 febbraio 2024 al 28 settembre 2025 dieci importanti opere provenienti dal Dipartimento di Arte Antica del Vicino Oriente del Metropolitan Museum of Art (The Met) di New York.
Il MET è attualmente chiuso per lavori di ristrutturazione.
Tutto ciò ha dato inizio alla mostra The Met au Louvre.
In collaborazione con il Louvre e il Metropolitan Museum of Art (The Met), 10 importanti opere d’arte antica dall’Asia centrale alla Siria sono esposte nelle gallerie delle Antichità Orientali del Louvre.
La collezione include reperti provenienti dalle antiche civiltà dell’Asia centrale, come le culture mesopotamica, egiziana e greca.
Intorno a queste opere si instaura un dialogo unico tra le due collezioni nelle sale dedicate all’Oriente antico del Museo del Louvre.
Datati tra il IV millennio a.C. e il V secolo d.C. i dieci capolavori del museo newyorkese presentano straordinarie corrispondenze con le collezioni del Louvre.
Tali opere di consentono di scoprire o riscoprire in modo diverso queste opere millenarie e le storie di cui sono testimoni.
Dialogues d’antiquités orientales, è una mostra inedita che mette in dialogo tra loro le antiche opere dei due importanti musei datate tra la fine del IV millennio a.C. e il V secolo d.C. e
Il Louvre e il Met hanno creato un dialogo unico tra queste due collezioni, che sono esposte nelle gallerie permanenti del Louvre fino a settembre 2025.
Queste opere d’arte “ospiti speciali” del Met, risalgono alla fine del IV millennio a.C. e al V secolo d.C. e mostrano alcuni collegamenti notevoli con la collezione del Louvre.
In alcuni casi, una coppia di oggetti viene riunita per la prima volta.
In altri invece i pezzi si completeranno a vicenda in virtù delle specifiche caratteristiche storiche delle rispettive collezioni.
Rappresentando l’Asia centrale, la Siria, l’Iran o la Mesopotamia, il dialogo tra collezioni e opere d’arte introduce i visitatori a questi straordinari manufatti e alle storie che raccontano.
I curatori della mostra sono Ariane Thomas, direttrice del Dipartimento di antichità del Vicino Oriente e Vincent Blanchard, curatore capo del Dipartimento di Antichità del Vicino Oriente, Museo del Louvre.
Siti mesopotamici
Le collezioni del Louvre sono ricche di opere risalenti al III millennio a.C., alcune delle quali provengono dai siti mesopotamici.
Stele in lingua sumera
Esposta in mostra la Stele detta “Ushumgal” e Shara-igizi-Abzu»
Questa stele di pietra, incisa in rilievo, è ricoperta di iscrizioni cuneiformi in lingua sumera.
Il testo racconta una transazione terriera tra Ushumgal e sua figlia Shara-igizi-Abzu, accompagnati dai loro testimoni.
Entrambi sono raffigurati più grandi degli altri.
Risalente all’inizio del III millennio a.C., questa stele utilizza i codici di rappresentazione delle figure umane propri delle città sumere della Mesopotamia.
Si notano in particolare la somiglianza tra gli abiti e le acconciature dei personaggi di questa stele e quelli indossati da altri individui raffigurati nelle statue esposte nella stessa sala, nella vetrina attigua.
Questo tipo di stele prefigura quello che sarebbe diventato, più di un millennio dopo, i kudurrus, atti di donazione di terreni incisi nella pietra.
Il kudurru era una stele utilizzata come pietra di confine e come registro delle concessioni di terra ai vassalli dei Cassiti nell’antica Babilonia tra il XVI e il XII secolo a.C.
La parola in lingua accadica significa “frontiera” o “confine”.
I kudurru sono le sole opere d’arte rimaste del periodo di dominazione dei Cassiti in Babilonia, con esempi esposti al Louvre e al Museo Nazionale Iracheno.
I kudurru registravano le concessioni di terra dal re ai vassalli come memoria della sua decisione.
L’originale veniva conservato in un tempio mentre la persona a cui era concessa la terra riceveva una copia di argilla da usare come pietra di confine per confermarne la proprietà legale.
I kudurru potevano contenere immagini simboliche di divinità che proteggevano il contraente e il contratto, maledicendo la persona che avesse rotto il contratto.
Alcune di queste opere avevano anche un’immagine del re che concedeva la terra.
Nella stessa stanza e nelle vicinanze, opere in risonanza probabilmente dal sito di Umma in Iraq, come la placca d’oro.
L’Orant offerto dal principe Ginak riproduce un personaggio vicino a quello raffigurato sulla stele del Metropolitan Museum of Art: stessa barba e acconciatura, stessa gestualità e stesso costume, chiamato kaunakes.
Figure analoghe si trovano anche sul Rilievo di Ur-Nanshe che, come la cosiddetta Stele dell’Avvoltoio, presenta la stessa disposizione della stele del Metropolitan Museum of Art, con figure disposte in registri e associate a testi in scrittura cuneiforme e in lingua sumera.
La testa sumerica del Metropolitan museum
La testa del Metropolitan Museum of Art è eccezionale perché rappresentazioni in metallo a grandezza naturale di questa qualità sono in gran parte scomparse.
Per lungo tempo mal collocato nel tempo e nello spazio, questo pezzo unico ha tuttavia un riscontro nel museo del Louvre.
Il Louvre infatti conserva un frammento di turbante, esposto nella stessa teca, corrispondente esattamente a quello indossato dalla testa di metallo. Si tratta senza dubbio un elemento dell’altare reale.
Rinvenuto durante gli scavi di Tello e ben datato, consente di ritenere che anche la testa del Metropolitan Museum of Art provenga dalla Mesopotamia, alla fine del III millennio a.C.
In questa sala, altre rappresentazioni reali indossano una sorta di berretto a tesa larga: quello di Ur-Ningirsu e le numerose rappresentazioni di suo padre Gudea, sovrani di Girsu, l’attuale Tello.
Collane sumeriche
Mesopotamia, Dilbat?
(Iraq, l’attuale Tell el-Deylam?)
Intorno al 1800-1400 a.C.
Il nascondiglio cosiddetto “Dilbat”:
pendenti per collane, set di perle, sigilli cilindrici, tappi e prodotti di gioielleria grezzi
Oro, agata, corniola, feldspato
New York, The Metropolitan Museum of Art, Dipartimento di Arte Antica del Vicino Oriente, Fletcher Fund, 1947,
inv. 47.1a-i, 47.1k-m, 47.115.1 e 47.115.3-4
Probabilmente acquistato da Ernst Herzfeld, vicino a Tell el-Deylam (l’antica Dilbat) intorno al 1911; Collezione Frida e/o Georg Hahn, Berlino, circa 1914; acquisto, Charlotte Weidler, New York, per conto di Georg Hahn, 1947 (gioielli); regalo, Georg Hahn, 1947 (sigilli cilindrici)
Il cosiddetto nascondiglio “Dilbat”: pendenti per collane, set di perline, sigilli cilindrici, tappi e prodotti di gioielleria non finiti
Provenienti dalla regione di Babilonia, questi oggetti dovevano appartenere a un gruppo più ampio, sepolti in una giara, secondo una tradizione ben nota in Mesopotamia.
Presentato a lungo come collana, il set è qui mostrato come sarebbe stato nascosto.
Alcuni di questi oggetti fanno riferimento a divinità mesopotamiche.
I medaglioni a rosetta evocano probabilmente Ishtar, dea dell’amore e della guerra, il medaglione a sette raggi simboleggia il dio del sole Shamash, il pendente a forma di fulmine rappresenta Adad, dio delle tempeste e della fertilità, e quello a forma di mezzaluna rappresenta Sin, il dio della luna.
Le due figure femminili rappresentano probabilmente Lama, una divinità protettrice minore, e riecheggiano una coppia di pendenti d’oro praticamente identici esposti in una teca di vetro vicina (5b).
Unghia di fondazione a forma di leone
Immagine di forza e potenza, il leone è un animale simbolico.
Nel regno di Urkesh, nella Siria settentrionale, la rappresentazione della sua forza diventa protettiva.
Con la bocca aperta e i potenti artigli protesi, l’animale tiene sotto le zampe una specie di tavoletta, la cui iscrizione è quindi sotto il suo controllo.
Questa dimostrazione di forza scaturisce anche dallo stile che fonde realismo e dinamismo. La parte posteriore dell’animale è retratta e condensata a forma di unghia. Così incastonati nel terreno, l’animale e ciò che protegge ancorano l’edificio, le cui fondamenta adornano per l’eternità.
Mentre la tavoletta del Metropolitan Museum of Art è troppo corrosa per poterne decifrare l’iscrizione, quella del Louvre indica che il felino garantisce l’integrità del tempio costruito per Nergal, dio degli Inferi, dal re Tish-atal.
Scritta esclusivamente in lingua hurrita, questa è la più antica attestazione conosciuta fino ad oggi.
Nella stessa finestra, un’opera risonante
Il Louvre ospita nelle sue collezioni il fratello gemello del leone del Metropolitan Museum of Art.
Le due opere sono sicuramente dello stesso periodo e della stessa provenienza e raffigurano un leone ruggente.
Le zampe anteriori sono appoggiate su una lastra di rame recante un’iscrizione in caratteri cuneiformi.
Il leone del Louvre ha conservato la tavoletta di alabastro incisa, il cui testo riproduce il doppio di quello della placca di metallo tenuta dal leone.
L’iscrizione in lingua hurrita (popolo delle regioni settentrionali della Mesopotamia, del Kurdistan e degli Zagros) è una richiesta di protezione per un tempio dedicato al dio degli inferi Nergal, probabile equivalente del dio hurrita
Siti persiani del I secolo ac
Rytons
Uno degli oggetti su cui si posa il nostro occhio è il Rhytons ossia un vaso per versare a forma di corno con protome (parte anteriore)
I prodotti di origine animale sono caratteristici della produzione iranica del I secolo a.C. Venivano utilizzati durante i banchetti per versare il vino. Il caracal, una specie locale di pantera, l’edera e la vite qui raffigurati erano opportunamente associati al dio greco del vino Dioniso, il cui culto si era ampiamente diffuso in Medio Oriente dopo le conquiste di Alessandro Magno (356-323 a.C.).

Vers 150-50 av. J.-C., époque parthe
Rhyton à protomé
de caracal
Argent partiellement doré
New York, The Metropolitan Museum of Art, Department of Ancient Near Eastern Art, Harris Brisbane Dick Fund, 1970, inv. 1979.447 a, b
Achat Manouchehr Malekzadehmokri,
Isak Antiques, New York, 1979
Alla corte dei re o dei principi, i rhyton erano spesso realizzati in argento e offrivano ai fabbri l’opportunità di mostrare tutto il loro virtuosismo. Il realismo e la posa dell’animale che salta sono il risultato dell’influenza delle opere greche sulle produzioni iraniane.
Il Louvre possiede anche alcuni rhytons, realizzati in argento o ceramica, destinati alle fasce meno abbienti della società.

Vers 500-400 av. J.-C.
3l Vase en forme de corne (rhyton)
décoré d’un avant-train (protomé) de cerf
Argent partiellement doré
Le rhyton décoré d’un protomé d’animal est un type de vase très répandu dans l’empire achéménide et diffusé jusqu’en Grèce.
Ici, les bois du cerf ont disparu.
Horn-shaped vessel (rhyton) with
Un esemplare in ceramica è visibile nella stessa custodito in una teca
Piatti e caccia dei sassanidi
L’antico tema orientale della caccia al re fu ripreso dai Persiani del periodo sasanide (224-651) per esaltare il valore guerriero del sovrano e il suo ruolo simbolico nel mantenimento del buon ordine del cosmo.
Gli attributi stereotipati (alone, nastri) ci permettono di riconoscere i re sasanidi e una diversa corona composita era specifica per ciascuno di loro.
La corona merlata con la luna crescente ci permette di identificare qui Yazdgird (399-420).
Piatti lussuosi venivano realizzati nelle botteghe reali e poi offerti dai re persiani ai grandi signori o ai sovrani stranieri per diffondere la loro immagine.
Anche due oggetti provenienti dal Louvre, esposti in questa sala nella vetrina 5, testimoniano la qualità della produzione di argenteria di quell’epoca.
Il toro d’argento di epoca protoelamita. 3000 a.C.
Questa statuetta d’argento rappresenta un uro, un toro selvatico diffuso in Iran a quel tempo. Secondo il Paleontologisk Museum dell’ Università di Oslo gli uri si evolsero in India circa due milioni di anni fa, migrando verso il Medio Oriente ed altre regioni dell’Asia e raggiunsero l’ Europa circa 250.000 anni fa.
Il Periodo proto-elamico, noto anche come Susa III, è una fase storica dell’Elam che va dal 3100/3050 al 2900 o, al più tardi, 2700 a.C.
In termini archeologici, corrisponde al tardo periodo Banesh ed è riconosciuto come quello della più antica civiltà in Iran.
Elam è il nome convenzionale con cui si fa riferimento a una civiltà sviluppatasi dal III al I millennio a.C.nell’area corrispondente all’attuale Iran occidentale, nelle regioni del Khuzistan e del Fars. I due centri di riferimento furono Susa, nell’estensione sud-orientale del bassopiano mesopotamico, e Anshan, identificato con il sito di Tall-i Malyan, nella piana di Marvdasht (a nord-est di Shiraz), la stessa in cui più tardi fu costruita Persepoli.
I geografi greci la conoscevano con il nome di Susiana, dal nome del grande centro elamico e poi achemenide, Susa, il più importante centro della satrapia detta “Susiana“
Insieme all’alluvio mesopotamico, la Susiana fu uno dei grandi centri della prima urbanizzazione[11]: i suoi inizi sono documentati archeologicamente almeno dalla fine del IV millennio a.C. La storia dell’Elam fu condizionata dalla vicinanza con le civiltà mesopotamiche (che influenzeranno in modo significativo la religiosità elamica[3]): l’Elam rappresenterà per millenni una fascia di mediazione e compromesso tra le tradizioni dell’altopiano iranico e quelle dell’alluvio mesopotamico. La ricostruzione della storia dell’Elam rimane piuttosto frammentaria, anche perché si basa principalmente su fonti esterne mesopotamiche.
Segue un periodo detto “proto-elamico” (3100-2700 a.C.), corrispondente al Bronzo Antico I.
L’uso dell’argento e la tecnica impiegata illustrano il talento dei metallurgisti iraniani della fine del IV millennio a.C.
Questo oggetto testimonia anche l’originalità dell’arte del periodo protoelamita (3300-3000 a.C.), in cui le scene di vita quotidiana erano incarnate da animali e non da esseri umani.
Qui l’uro è inginocchiato con la gonna e tiene un vaso tra gli zoccoli, un atteggiamento devozionale comune.
Questa posizione riecheggia anche quella di diversi oranti o figure in preghiera più antiche, esposte in questa sala nella vetrina attigua.

un vase
Albâtre
Epoque d’Uruk récent
Vers 3300 avant J.-C.
Riempito di ciottoli, l’uro è stato interpretato come uno strumento sonoro utilizzato durante il culto.
Si tratta forse di una testimonianza di pratiche rituali ancora poco note per l’Iran protoelamita,
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