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Una società non può vivere e raggiungere il suo scopo, il bene comune, senza una disciplina interna, che è appunto l’ordinamento delle sue parti al tutto, la subordinazione del particolare all’universale, la convergenza di tutte le attività al bene comune: essa perciò è condizione di unità e garanzia d’ordine nella vita sociale. Si direbbe che la disciplina è imposta, prima ancora che da leggi scritte, da quella sorta di coscienza collettiva che guida gli uomini dall’intimo secondo le esigenze della convivenza. Si tratta di tradurla in forme storiche, di attuarla e difenderla contro le forme della disgregazione sociale.

Va subito aggiunto, però, che la disciplina non significa blocco monolitico senza varietà di funzioni, esperienze, espressioni vitali. Nemmeno l’organismo animale e umano si trova in tale condizione, ma è un insieme vario e unitario di membra, di organi, di apparati, che svolgono funzioni distinte e convergenti. Così in una società ordinata al bene comune in modo vitale, la disciplina non può essere intesa come annullamento del pluralismo di opinioni, attività e organizzazioni, che esprime la dignità e libertà delle persone.

Sul piano politico, non può significare livellamento o ammassamento di tutto sotto il dominio incontrastato di un regime totalitario dello Stato.

Nemmeno è ammissibile, per gli uomini d’oggi che la disciplina venga imposta in nome di uno dei tanti miti – la nazione, la razza, la costruzione del socialismo in senso comunista ecc. – che proprio perché sono degli assoluti indiscutibili e spesso creati come espressioni di forze e tendenze irrazionali, generalmente travolgono nel disastro le masse che li hanno accettati o subiti. Altra cosa è che in caso di guerra o di marasma politico si esiga una più stretta unione di tutti intorno ai responsabili della vita di un popolo o di più popoli, come avvenne spesso nella storia, specialmente quando un’alta carica di sentimento faceva palpitare gli spiriti per una grande causa. In questi casi il “fascio” può diventare simbolo di unione e di disciplina, imposta dall’alto ma sentita anche come un bisogno e condivisa con una certa convinzione dagli strati della popolazione che bramano l’ordine e vogliono la comune salvezza.

Ma anche a prescindere dal giudizio sulla bontà della causa, è noto che oltre certi limiti e passate certe circostanze, la disciplina troppo rigida e monolitica, specialmente se imposta in forma dittatoriale, ma anche quando è solo eccessivamente autoritaria, si rivela innaturale, e in ogni caso ripugna e suscita reazioni e rivolte specialmente nei popoli più avanzati nell’evoluzione civile. Ben presto, anzi, una disciplina di coazione diventa esosa, oppressiva, irrazionale e quindi mortificatrice della persona e disintegratrice del corpo sociale. Una vera disciplina non può non rivelarsi come una proiezione costante e necessaria della stessa coscienza sociale.

 

 

Necessità dell’autorità

 

Il carattere razionale e vitale della disciplina, e quindi delle leggi, non esclude però, anzi esige per il retto funzionamento della società, un’autorità efficiente come principio d’ordine, mezzo di unificazione e di socialità e quasi personificazione della coscienza attiva, oggettiva e vincolante del popolo. Questa coscienza postula l’ordine, secondo l’interpretazione che l’autorità dà ai suoi dettami più profondi, in funzione del bene comune. Non è dunque un pregio ma un vizio fatale per un ordinamento politico l’indebolimento dell’autorità. Tale debolezza infatti si risolve prima o poi nella disfunzione degli organi responsabili della vita sociale, incapaci sia di guidare e coordinare le forze operative del bene comune, sia di difendere la società dallo scardinamento e dalla disgregazione che conseguono al prevalere degli interessi di parte.

 

Forse negli ordinamenti democratici è necessario, oggi, prendere nuova coscienza del ruolo imprescindibile dell’autorità in funzione della disciplina e come baluardo contro il disfattismo.

 

 

Compiti dell’autorità

 

 

L’autorità avendo il ruolo di coordinare le attività dei cittadini al bene comune in un modo vitale, non può essere autocratica, monopolistica, prevalentemente coercitiva, ma deve favorire e suscitare al massimo il libero espandersi al massimo delle forze sociali. Specialmente in un ordinamento politico che abbia come presupposto la maggiorennità civica e politica dei membri della società, all’autorità spetta promuovere:

 

a) la massima partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica;

 

b) l’educazione dei cittadini alla vita civica e alla responsabilità della cosa pubblica;

 

c) la selezione dei dirigenti mediante la formazione civica e politica, l’esperienza graduale delle cariche pubbliche (cioè a raggio comunale, provinciale, regionale, nazionale), l’individuazione dei competenti nei singoli rami capaci di occupare posto di responsabilità specifiche, in modo da assicurare il buon funzionamento degli organi della società in ordine al bene comune. Come è ovvio, la selezione e la graduale selezione dei dirigenti alla responsabilità degli organi ed enti pubblici, può effettuarsi già nella direzione di associazioni e corpi intermedi, come sindacati, partiti, movimenti, associazioni culturali e religiose ecc.: anzi normalmente non si dovrebbero conferire responsabilità politiche di alto livello a persone impreparate, la cui improvvisazione potrebbe costare molto cara alle popolazioni.

 

 

Validità dei gruppi sociali

 

 

IL funzionamento dei gruppi sociali è di grande importanza nella vita politica moderna, nella quale gli individui isolati non possono affermarsi ed avere influsso nella realtà sociale caratterizzata dalla forza imponente delle masse o da quella altrettanto efficace delle nuove èlites ben articolate, attive, agguerrite. Anzi gli stessi enti ed istituti di diritto pubblico per svolgere la loro funzione hanno bisogno dell’azione propulsiva dei raggruppamenti che liberamente si formano secondo l’impulso spontaneo della società insito nella natura umana. Del resto tra i diritti naturali dell’uomo rientra quello di associazione e quindi di appartenere e di esprimersi in gruppi sociali, ai quali spetta di integrarsi e sviluppare sempre più la loro libera e responsabile azione nella vita sociale, in ordine al bene comune.

LO statalismo e la tecnocrazia che soffocano o ignorano questo movimento vitale della società, violano la dignità della persona umana e sono in contrasto con la natura stessa della società.

L’umanesimo sociale cristiano valorizza questo vitalismo della società, sostenendo il rispetto e la difesa delle libere associazioni, la creazione delle condizioni necessarie al loro sviluppo e l’intervento dei pubblici poteri solo nei limiti delle esigenze, obbiettivamente accertate, dal bene comune: è il principio di sussidiarietà.

 

 

Preparazione dei cittadini all’autogoverno

 

 

L’espansione sociale degli individui e dei gruppi può raggiungere il livello di vere responsabilità direttive quando vi sia nei cittadini una adeguata formazione alla competenza professionale nei vari campi, a cominciare da quello economico. Il problema è di aiutare tutti i cittadini, specialmente nel periodo della formazione intellettuale e morale, a prendere coscienza della dimensione sociale della propria attività, proprio in funzione del pino sviluppo della personalità, e di agevolare quelli che si rivelano più dotati ad assumere ruoli e responsabilità di capi, come nel campo del lavoro e della cultura, così in quello politico e sociale.

La stessa complessità dei problemi della società moderna e l’ampiezza e verità dei compiti che richiede il bene comune, esigono la partecipazione responsabile di tutti i cittadini alla vita sociale e quindi la loro formazione al dovere civico e politico, all’esercizio dei propri diritti, al senso del bene comune, alla collaborazione sociale.

Tale formazione deve mirare all’acquisizione della virtù che San Tommaso chiama “prudenza politica”, cioè la virtù dell’inserimento vitale nella società e del comportamento giusto e responsabile in ordine al bene comune.

Purtroppo oggi si denota ovunque la decadenza delle “virtù politiche”, perché è venuta meno la stessa concezione della politica come attività morale altissima, sono stati accantonati i principi ideali della convivenza politica, si è perso il senso della gerarchia dei valori e dei fini propri della comunità politica.

La vera crisi della politica moderna è nella mancanza del senso morale come guida e ispirazione del comportamento. La rivalutazione della politica come virtù, sia nelle autorità sia nei cittadini, oggi più che mai è necessaria la vita sociale.

 

 

Don Walter Trovato

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