Politicamente scorretti unitevi

“Acerbi mi ha detto ‘va via negro’” queste le parole dello “scandalo”.

Ennesimo scandalo mediatico sul nulla italiano.

Parole dette all’orecchio da un giocatore dell’Inter ad un giocatore, Juan Jesus, del Napoli durante una partita del campionato di serie A.

Il difensore si è rivolto all’arbitro per denunciare il fatto.

Capisco di essere “politicamente scorretto”, sono assai felice di esserlo, ma a me tutto questo mi sembra un comportamento da “asilo mariuccia”.

Quando andavo all’asilo vi era sempre un altro bambino, più frequentemente bambina, che si rivolgeva alla maestra e, sempre ad alta voce per attirare l’attenzione dei compagni di classe, dichiarava “maestra lui mi ha detto brutto”.

Avevo tre anni, oggi ne ho assai di più e questi comportamenti, il perdere tempo dietro a questi aneddoti, mi annoiano moltissimo.

“Mi ha detto negro”, tutti coloro che scendono in un campo per partecipare ad una partita di un qualsiasi gioco di squadra sa benissimo che i “colpi sotto alla cintura” sono costanti, fa parte del gioco.

“Figlio di ….”, “pezzo di ….”, recentemente un giocatore in modo furbesco ha stretto i gioielli ad un avversario, calci e sgambetti, gomitate, di tutto accade durante una partita.

Quasi nella totalità dei casi alla fine della partita ci si stringe la mano e finisce tutto lì.

Fa parte del gioco, appunto.

Da “politicamente scorretto” quale mi onoro di essere, sono addirittura Trumpiano, incredibilmente penso che gli accordi di pace si devono fare sedendosi al tavolo con il nemico per trattare, anche se si chiama Putin.

Penso, infatti, che “vivere all’asilo” non aiuti a costruire un futuro prospero della nazione.

Quanto mi manca l’ironia di quel immenso attore che fu Gigi Proietti e quel momento di vera comicità sulla rete televisiva pubblica che lo stesso rappresentò.

Momento di cabaret che terminava con la romanesca affermazione “a fr…”!

Oggi non si può più trasmettere, anche film cult come “Amici miei” c’è chi li vorrebbe addirittura distruggere.

In fondo c’è chi abbatte le statue di Cristoforo Colombo!

Oggi i ben pensanti ci costringono a vivere con il loro “politicamente corretto”, reale perbenismo dato che la corruzione morale in Italia, e non solo, è ovunque.

Gli italiani, rimaniamo nel nostro recinto, debbono stare attenti al linguaggio, il sistema paese, però, si guarda bene dallo sradicare il malcostume delle tangenti, dei concorsi pubblici addomesticati, degli appalti pubblici gonfiati.

Meglio parlare di Acerbi e della sua frase all’orecchio in un campo di calcio.

Oggi dobbiamo seguire le notizie del “dossieraggio” da parte di organi dello Stato a Perugia.

Vi sono, fatto ancor più grave, i servizi pubblici, sanitari in testa, troppo spesso eccessivamente inadeguati e speriamo che il “problema” si limiti ad inadeguatezza.

Come non notare gli “affari” che girano sul traffico di migranti?

“Affari” da codice penale, non da “asilo mariuccia”, non da “maestra mi ha detto cattivo”.

Quanto è bello e facile per i ben pensanti spostare su fatti che i dotti definirebbero “inezie” l’attenzione mediatica!!!

Quanto anelo il poter tornare senza eccessivi rumori di sottofondo dei ben pensanti al linguaggio politicamente scorretto e, al contempo, alla capacità, e volontà, di sradicare tanto malaffare.

Oikofobia si definisce in dottrina medica, in psichiatria, l’avversione, fino alla paura, per il proprio ambiente domestico.

Sia nel concreto che in modo figurato.

In politica si riferisce al ripudio della propria cultura e delle proprie tradizioni per lodare gli altri.

Fermare per un giorno il percorso didattico di un plesso scolastico per permettere di seguire gli adempimenti del Ramadan, non far più svolgere le tradizionali recite del Santo Natale o non permettere che venga esposto un presepe, sono solo alcuni fra i tanti esempi di questa patologia nel sistema sociale italiano.

Il rispetto delle culture altrui parte dal conoscere e rispettare le nostre.

Il rispetto degli altri richiede il contestualizzare i fatti.

Un esempio.

In una recentissima partita internazionale di una squadra di calcio della nostra capitale i tifosi della stessa, presenti nella curva dedicata agli stessi, hanno esposto il seguente striscione “la Regina Elisabetta faceva i b…….”.

Frase triste sempre, ancor più se riguarda una defunta nonché regina amatissima dai tifosi dell’altra squadra in campo.

Frase pubblica, non sussurrata all’orecchio di un avversario in campo che, ne sono certo, durante una partita usa tutti i trucchi del mestiere per far saltare i nervi all’avversario anche lui.

Leggo sui giornali, io di questo capisco assai poco, che Acerbi rischia una squalifica durissima ma nulla, se non poche righe, su questo fatto, forse perché gli addetti ai lavori ricordano quel dissacrante striscione in un Verona Napoli di tanti anni fa che recitava “Giulietta è una zoccola”, al tempo si misero a ridere tutti e si chiesero quale sarebbe stata la “risposta” veronese durante la partita di ritorno.

Quanto mi farebbe piacere un rapido tornare alla concretezza ed alla normalità.

Propongo un “gioco”, proprio in ossequio a tanta durezza dei ben pensanti su ogni inezia, l’obblio dalle facezie e il ritorno ai problemi veri sui media.

Per esempio, rubare una frase ad un personaggio pubblico quale Platinette e costringerlo alle scuse pubbliche io lo definisco “ostracismo”.

Tutto qui, niente di più, niente di meno.

Per questo l’occidente si sta dividendo, gli ostraticizzati, noi politicamente scorretti, iniziamo a renderci conto che dobbiamo contarci e dire la nostra.

Per questo noi ostraticizzati guardiamo con attenzione a quel pericolosissimo generale che ha onorato l’Italia rischiando la sua pelle negli scenari più pericolosi nel mondo.

Quanto è bello quel “Mondo al contrario” che rompe il pensiero unico!

Non è neanche così importante condividerne tutti i contenuti, va ringraziato solo per il fatto che scrive quello che tanti pensano ma pochi hanno il coraggio di affermare pubblicamente.

Chi non ha la necessità di uno psichiatra perché non soffre di oikofobia non può che sperare di poter tornare a sentire un attore dire quello che vuole circoscrivendo il suo dire al suo ruolo, sia se si chiama Platinette, sia se si chiama Litizzetto.

A chi scrive, entrambi, non fanno ridere, ma auguro loro libertà di parola.

La auguro a loro tanto quanto vorrei che fosse augurata a me, cattivo Trumpiano politicamente scorretto.

Ignoto Uno




Putin vivo e vegeto

Sono giorni che i media italiani dedicano ore a dimostrare che le elezioni politiche della Federazione Russa sono una farsa.

Premesso che la Federazione Russa è la diretta discendente dell’Unione Sovietica e che, conseguentemente, è pensabile che sia ancora assai presente in quella terra l’idea di controllo della nazione attraverso una oligarchia che sia in grado di mantenere, anche con strumenti “persuasivi”, il potere, il messaggio che ci arriva da quel 88% è forte e chiaro.

Con questo messaggio faremo i conti nei prossimi anni.

Putin è a capo di un sistema che ha il controllo del suo Paese.

La propaganda funziona allorquando conferma l’opinione ed i valori che il popolo vuole sentire e, attraverso questo, si possa confermare in se stesso.

Putin ha vinto perché l’oligarchia che ha alle sue spalle ha compreso che la maggioranza del popolo russo si sente sicura se lui è il punto di visibilità di un sistema complesso che governa la loro nazione.

I media italici, assai ossequiosi al potere a cui devono dare conto, in caso contrario sarebbero degli stolti e non lo sono, raccontano che Putin è un uomo solo al comando, un despota che in solitudine dispone della vita di un intero popolo, che decide in autonomia le sorti di una delle tre superpotenze al mondo.

Vere baggianate. Mi permetto di definirla “propaganda da dilettanti impreparati”.

Alla grande maggioranza del popolo russo Putin va bene e, conseguentemente, il sistema di potere russo lo sostiene.

Questa la causa che ha fatto fallire i tentativi di facilitare la sua caduta attraverso azioni dall’interno che hanno visto la regia, sempre, nel nostro occidente.

I colpi di stato, più o meno camuffati, richiedono il consenso interno.

La “marcia su Mosca” del capo della Wagner fallì, fu una vera farsa a cui per qualche ora solo in occidente potevano crederci, o far finta di crederci, perché l’assunto su cui si basava era errato.

L’assunto fu che il popolo si sarebbe schierato con il “liberatore” Evgenij Prigožin.

Il popolo russo non ne sentiva la necessità, la “marcia” si trasformò in “passeggiata”, tutto finì con una chiacchierata incredibile a favore di telecamere di generali dell’esercito russo seduti su un muretto con lo stesso Prigožin in cui i primi davano “consigli” al secondo di lasciar perdere.

La “marcia” iniziò e fini nella stessa giornata.

Putin è un autarca? Certamente sì, come molti altri, anche in Europa.

In Italia è impossibile creare nuovi partiti che possano presentarsi alle elezioni a causa di leggi votate da tutti i partiti seduti in Parlamento, questo è un fatto.

Le differenze di azione politica fra i governi di diverso colore sono assai ridotte rispetto ai roboanti proclami delle campagne elettorali, questa la causa delle sempre più risibili percentuali di presenti al seggio rispetto agli aventi diritto.

“Votare non serve a niente, tanto sono tutti uguali” questo dicono gli italiani.

Autarca Putin, sistema autarchico il nostro.

Questo parrebbe pensare il popolo italiano.

“È vivo il re, viva il re” questo ci arriva dal voto russo, con questo “re” le cancellerie occidentali tutte e la NATO dovrà fare i conti, non solo per quanto concerne l’Ucraina.

Come non notare che Stati Uniti e Stati europei tutti sono “debitori” mentre la Federazione Russa è “creditore”?

La Federazione Russa ha un sistema economico basato su numeri piccoli rispetto all’estesa ed alla popolazione ma, in costanza della guerra, esporta materie prime strategiche, grano compreso.

Quel 1.000% in più di importazione di grano da parte del sistema Italia dalla Federazione Russa nel 2023 non necessità commenti.

Salvo il “nuovo Napoleone”, Emanuel Macron, che vuole inviare formalmente e pubblicamente i suoi militari in Ucraina, molto probabile già oggi la presenza di soldati degli Stati aderenti alla NATO nello scenario, senza di essi l’esercito ucraino non esisterebbe, le cancellerie occidentali non sembrerebbero voler mettere in atto tale “follia” per tutta l’umanità. Dichiararla una “follia” è un cortese ed educato eufemismo.

Felici e rassicurati abbiamo letto quanto, con sempre maggiore forza e chiarezza, dichiara sul tema il Santo Padre.

Identiche emozioni causano le “strutturate” e “stabili” parole del Presidente Mattarella a Cassino del 15 marzo scorso.

Putin, da parte sua, nel discorso di ringraziamento al suo popolo dopo la vittoria nella tornata elettorale, ha aperto a logiche post belliche sull’Ucraina, concetto che il portavoce dello stesso leader russo Peskov aveva già messo sul tavolo il 13 giugno del 2023.

Al tempo lo scenario era assai meno favorevole all’esercito russo.

Ancor di più dopo le elezioni in Russia la necessaria, non solo auspicabile, pace in Ucraina si raggiunge con il pragmatismo.

Dallo stato dei fatti, e non dalla propaganda occidentale, bisogna partire per costruire una nuova stabilità.

In questo scenario noi occidentali dobbiamo ricordare la presenza del popolo ucraino, molto di più che di Zelensky e della sua oligarchia.

Sono certo, però, che anche il popolo ucraino desideri tornare ad una vita in pace con tutti.

Per questo l’idea delle aree cuscinetto sono un passo, probabilmente, nella direzione giusta.

Certamente assai più interessante a quella della guerra nucleare.

Se le nostre cancellerie non hanno la capacità del cambio di passo noi europei non possiamo fare altro che sperare nelle elezioni presidenziali americane di novembre.

Dobbiamo sperare che Donald Trump vinca ed il progetto MAGA riparta.

Make America Great Again potrebbe essere utile anche alla nostra Italia, ad alcuni Stati europei meno, ma mi chiedo quanto questo debba essere importante per noi italiani.

A Giugno si vota per l’Europa, forse agli italiani converrà “mandare in Europa” chi vorrà andarci con una postura più “da italiano”, postura di chi vuole realmente tutelare i nostri interessi, che piuttosto di chi ritenga che sia necessario in Europa una continuità attraverso un secondo mandato alla Von der Leyen.

I “ponti” in politica si costruiscono fra “simili”, simili per davvero non a chiacchiere elettorali.

Ignoto Uno




I saggi non sono al governo…

Dopo che il Santo Padre ha parlato delle crisi nel mondo anche il Presidente della Repubblica italiano si è espresso.

Permettetemi una battuta irriverente, “quando il gioco si fa duro, i saggi (non i duri) scendono in campo” ed è una fortuna per i popoli occidentali.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlando il 15 marzo, a Cassino, durante la cerimonia commemorativa dell’ottantesimo anniversario della distruzione della città, ha dichiarato che l’art 11 della Costituzione afferma che “l’Italia repubblicana ripudia la guerra sia come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli sia come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, frase riportata dall’agenzia Ansa.

Questo è avvenuto il 15 di marzo, sarà un caso, ma è una data particolarmente evocativa essendo il giorno delle Idi di marzo.

Giorno, quello delle Idi di marzo, in cui veniva festeggiato il dio della guerra Marte ma non solo, dato che è entrata nella storia forse ancora di più, perché vide l’assassinio di Giulio Cesare, dittatore e pontefice massimo del tempo.

Tempi e leaders diversi quelli di allora, ma il desiderio del “fare da soli” a Roma non è mai mancato.

“La nostra Costituzione ci chiede, e questo resta il ruolo dell’Italia, di costruire ponti di dialogo, di collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo perché la guerra non sa arrestarsi sulla soglia della barbarie”  dichiarato dal Presidente a Cassino.

Affermazioni di taglio opposto rispetto a quelle del leader francese Macron.

Ad essere onesti, parole assai diverse anche a quelle della Premier Meloni rispetto al ruolo dell’Italia nel mondo, scenario ucraino incluso.

Postura interventista quella della Premier, postura più “strutturata” quella del nostro Presidente.

Parole assai più sagge quelle del Presidente Mattarella, parole di un uomo politico che, in questa occasione, ha dimostrato di essere adeguato a gestire con esperienza e saggezza le attuali, pericolosissime, complessità internazionali.

Correttamente il presidente della Repubblica, attraverso le sue parole, non nasconde la preoccupazione per le sempre più alte tensioni fra la Federazione Russa e l’occidente, senza dimenticare l’altro grave scenario mediorientale.

Due situazioni di guerra che dovevano, e potevano, essere evitate, gestite assai meglio.

Chiare le colpe della politica dell’amministrazione Biden in entrambi i fronti.

Una amministrazione “ideologica” e non “pragmatica” quella statunitense di oggi.

Una amministrazione cinica e molto interessata a rilanciare l’interventismo americano nel mondo ed ad esportare un predefinito modello democratico, forse anche interessata a rilanciare certi affari da sempre legati agli scenari di guerra.

A qualcuno questo non piacerà leggerlo, ma è un fatto che la stabilità regnava in tutto il mondo prima che Biden entrasse alla Casa Bianca e rivoluzionasse la politica estera statunitense tornando a quelle logiche Obamiane di cui molti in occidente non sentivano la necessità.

Stabilità che portava serenità e benessere non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa.

Eppure i rapporti fra l’amministrazione Trump e le altre due superpotenze, Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, erano assai complessi.

Trump, colui che viene definito da molti radical chic l’amico di Putin, non ridusse mai le sanzioni verso la Russia pur ritenendo che dovessero essere sostituite da nuovi e stabili accordi bilaterali fra le due potenze nucleari.

Altrettanto dure furono le politiche dell’amministrazione americana a guida repubblicana nei confronti della Cina finalizzate a ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalla produzione industriale del paese asiatico, in particolare modo rispetto a farmaci ed alte tecnologie strategiche.

Da italiani non possiamo che apprezzare la diversa cifra delle parole del Presidente italiano rispetto a quelle del presidente francese, Emmanuel Macron, che ha voluto drammatizzare lo scontro proponendo l’invio di truppe occidentali in Ucraina.

Parole pericolose, parole dal sen fuggite e mal ponderate quelle di Macron, fortunatamente isolate in Europa.

Dichiarazioni che hanno permesso al ministero degli Esteri di Mosca di sbeffeggiarlo attraverso queste parole: “folli sogni paranoici”.

Da “grandeur francese” diremmo noi che dai cesari, e non dai Galli, proveniamo, appunto.

Per fortuna, almeno su questo dossier, gli italiani possono contare sul “pragmatismo siciliano”.

Terra complessa la Sicilia, terra piena di influenze e culture diverse, terra di templi greci e case arabe … e non solo.

Sarà per questo che in Sicilia la “complessità” non è altro che una parte del tutto.

Ed oggi il “tutto” va gestito perché, proprio come si dice in quella terra del mediterraneo “tutto si tiene”.

Ignoto Uno




GOI: elezioni senza eletti?

Gent.mi Lettori,

ho ricevuto l’incarico dal nostro Direttore di seguire la sempre più intricata matassa delle elezioni del GOI, che sembrano essere ormai romanzo d’appendice.

Nei giorni scorsi, infatti, BETAPRESS ha pubblicato interventi, di AA diversi, incentrati sulle elezioni tenutesi in Italia in seno al GOI Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.
Le notizie si sono accavallate con una intensità e un ritmo persino frenetici e contenuti “involontariamente” contraddittori.
Per offrire un contributo in linea con la correttezza complessiva dell’informazione, così emendando quanto fin qui pubblicato, abbiamo il piacere di porgere alla Vs. cortese attenzione l’odierno articolo apparso oggi sull’apprezzato e ben conosciuto sito “Hiram.be”.
Articolo che fa
il punto definitivo, forse?, sulla vicenda.
Buona lettura!

L’élection du nouveau GM du Grand Orient d’Italie contestée
Publié par Géplu
Dans Dans la presse

Ainsi que le relate le site Italy24.press, le Grand Orient d’Italie connait quelques tensions après l’élection du successeur de Stefano Bissi, qui s’est déroulée le dimanche 3 mars. Alors que les premières estimations donnaient le challenger Leo Taroni vainqueur, la Commission électorale a finalement déclaré élu – avec seulement 26 voix d’avance sur près de 14 000 votants – le Frère Antonio Séminario, Grand Maître Adjoint de Bissi, qui le soutenait. Des recours devant la justice interne et la justice profane ont été annoncés par Taroni. Ce dernier avait axé sa campagne sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges.
La proclamation officielle des résultats doit avoir lieu lors de la Grande Loge de Rimini prévue les 5 et 6 avril. Rappelons qu’à la différence de la France et de la Belgique, en Italie le Grand Orient est l’obédience dite « régulière », reconnue par la Grande Loge Unie d’Angleterre, et que l’obédience libérale est la Grande Loge d’Italie.
Au terme d’une vive polémique et d’une nuit de recomptages par la Commission électorale nationale, Antonio Séminario a été élu Grand Maître du Grand Orient d’Italie, la principale organisation maçonnique italienne. C’est la première fois qu’un Calabrais est élu à la tête du Goi.
La victoire a été obtenue par seulement 26 voix et le verdict a annulé un précédent décompte – officieux – résultant de la somme des voix dans les différentes régions, qui attribuait la victoire par seulement 15 points à Leo Taroni, un entrepreneur de Ravenne, qui, à la tête de la liste “Nous ensemble”, il avait axé sa campagne électorale sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges.
Aujourd’hui, à 5 heures du matin, après une nuit de travail, la Commission électorale centrale a attribué 6.369 voix à Seminario, soit 46,09 pour cent du total. 6.343 voix ont été validées en faveur de Taroni, soit 45,90 pour cent ; et dans la région de Bari Pasquale La Pesa 688 voix, soit 4,98 pour cent.
Soutenu par le Grand Maître sortant, le Toscan Stefano Bissi, Seminario occupait déjà le poste de Grand Maître Adjoint du Goi. Né à Crosia, dans la province de Cosenza, le 5 février 1958, il réside à Rossano, où est basée sa loge, le “Francesco Galasso”. Il convient de noter qu’environ la moitié des voix qu’il a obtenues ont été recueillies précisément en Calabre et en Sicile, tandis que Taroni a été le plus voté en Sardaigne et dans tout le centre-nord, à l’exception de l’Ombrie. La proclamation de la victoire du Seminario a cependant provoqué de vives réactions de la part des partisans de Taroni, au point que l’ouverture de longues procédures de recours internes semble désormais évidente, alors que de nombreuses voix réclament une scission du Goi. La liste “Nous ensemble” annonce en effet un recours immédiat à la justice interne de l’association, mais aussi un recours à la justice ordinaire, sur la base de l’article 700 du Code de procédure civile, pour tenter d’obtenir d’urgence la suspension de la proclamation et l’annulation de l’élection. Certains partisans de Taroni n’excluent même pas de recourir à la justice pénale.




Guerra o Pace

 

La guerra in terra di Ucraina è un elemento di visibilità di un ben più ampio scontro geopolitico.

Scontro i cui attori strategici sono ovunque meno che in Ucraina, tantomeno sono ucraini.

Questo è un fatto.

Fatto che non viene rappresentato, a mio avviso, correttamente ai cittadini europei.

Temi questi che rappresentano i reali elementi di difficoltà per superare il conflitto e raggiungere una pace accettabile da tutti gli attori in campo.

Fatto plasticamente dimostrato dalla risposta all’appello del Santo Padre alla televisione svizzera da parte del portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa.

Questo funzionario ha dichiarato che “Il presidente Biden ha grande rispetto per Papa Francesco e si unisce a lui nelle preghiere per la pace in Ucraina che potrebbe essere raggiunta se la Russia decidesse di mettere fine a questa guerra ingiusta e non provocata e ritirasse le sue truppe dal territorio sovrano dell’Ucraina”.

Lo stesso funzionario ha continuato dicendo che “Sfortunatamente continuiamo a non vedere alcun segno che Mosca voglia mettere fine a questa guerra e per questo siamo impegnati a sostenere Kiev nella sua difesa contro l’aggressione russa”.

“Impegnati a sostenere” dichiara l’amministrazione Biden, affermazione che i privati cittadini non possono che interpretare come invio di armi e dazioni economiche.

Al contrario noi cittadini occidentali siamo costretti ad apprendere dall’agenzia Ansa che “il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha ammesso che militari dell’Alleanza sono presenti in Ucraina”.

Sempre dalla stessa agenzia giornalistica siamo, basiti, costretti a leggere che la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova ha dichiarato in un’intervista alla testata Izvestia che “la Russia è già a conoscenza del fatto che in Ucraina operano militari della Nato, perché è impossibile nasconderlo”.

La Zakharova ha aggiunto che “Usa, Gran Bretagna e altri Paesi occidentali conducono una guerra ibrida contro la Russia facendo partecipare alle azioni istruttori delle forze speciali Nato”.

Ecco le parole chiave “guerra ibrida”, guerra non dichiarata, guerra per “interposto Stato”.

Compreso questo aspetto, molte le domande che si formano.

Chi fu il primo a dare inizio?

La Federazione Russa due anni fa con quella che il governo di Mosca definisce “operazione speciale” o l’amministrazione americana a guida Obama nel 2008 finanziando e supportando i movimenti anti russi in Ucraina a guida Julija Tymošenko?

Ancora, ritenuta attendibile l’affermazione della portavoce russa a causa delle dichiarazioni del ministro polacco, nell’elenco denominato “altri Paesi occidentali” si debbono annoverare anche “istruttori” italiani?

Nel caso il Parlamento ne è a conoscenza?

Nel caso la risposta alla domanda se vi siano già soldati italiani in Ucraina fosse positiva, potrebbero i giuristi esprimersi sul tema rendendo edotti i cittadini italiani sul fatto se detta azione del governo possa essere ritenuta coerente al nostro dettato costituzionale?

Da quanto sta emergendo risulta sempre più palese come le scelte in terra di Ucraina siano dettate da interessi geopolitici, e non solo, delle cancellerie occidentali e come queste siano etero dirette dall’amministrazione Biden.

Altrettanto chiaro è il fatto che queste cancellerie, l’amministrazione oggi presente a Washington e quelle europee che la frequentano, oltre alla NATO ed al Canada, sono oramai totalmente impossibilitate a modificare la propria linea politica a causa dell’approssimarsi di tornate elettorali sia in Stati Uniti che in Europa.

Dette cancellerie sono costrette a tenere il punto, lo dimostra quanto dichiarato dal funzionario statunitense, finanche portando l’occidente alle conseguenze più tragiche.

Queste cancellerie non possono fare altro che mantenere una linea interventista, anche con una postura sempre più aggressiva, a prescindere dalla logicità strategica della scelta avendo esse il fine di impedire l’emersione dei tanti “errori” compiuti sullo scenario ucraino sin dall’amministrazione Obama.

Errori nelle scelte strategiche ed “omissioni” nell’informazione ai loro cittadini.

Le seconde assecondate da un sistema dei media assai più “ideologico” che “terzo”.

Scelte politiche ammantate da elementi della morale che, in realtà, con la stessa e con l’etica rischiano di avere pochi elementi di contatto, fatto che emerge dalle parole del Santo Padre con chiarezza.

Parole che hanno causato prima stupore e, poi, reazioni che difficilmente non possono che essere ritenute irrituali, finanche rabbiose.

Se va ritenuta scontata la reazione del leader ucraino, attore totalmente etero diretto, che, questo è da temere, si è innamorato del proprio ruolo di “leader mondiale”, rattrista la cifra propagandistica del dibattito nel nostro occidente.

Una reazione rabbiosa ed a senso unico, tipico atteggiamento propagandistico a favore di una posizione, una reazione che ben si guarda dall’approfondire l’esortazione profonda che è insita nel ragionamento di chi si siede sul soglio di Pietro.

Se da un lato dobbiamo vedere il fuoco di fila dei media filo amministrazione Biden nostrani, dall’altro non possiamo che prendere nota del fatto che non vi sia nessun commento dai politici italiani.

Quest’ultimi, infatti, si sono astenuti dal commentare le parole del Santo Padre pur se “stimolati” dalla portavoce del ministero degli Esteri della Federazione Russa che ha fatto notare come il Santo Padre si rivolgesse fondamentalmente ai capi di Stato occidentali.

I fatti, però, rimangono invariati e sono altri come gli esperti militari fanno comprendere a chi ha l’opportunità di compulsarli.

Senza invii di enormi quantità di aerei da combattimento, piloti e staff tecnici inclusi, e di armi sofisticate in terra di Ucraina entro fine aprile causerà la sconfitta totale dell’Ucraina.

La politica è chiamata a decidere se questa posizione tecnica vada presa nella giusta considerazione o meno.

Due le strade che apre.

Quella voluta dall’amministrazione Biden di fornire armi e mezzi illimitati a chi gestisce il conflitto in terra di Ucraina, non a Zelensky che nulla potrebbe fare da solo, percorso che non può prevedere altro che un reale rischio di conflitto mondiale nel prossimo futuro, conflitto che prenderebbe origine nella nostra Europa.

L’alternativa è aprire un negoziato come propone il Santo Padre.

Un negoziato che porti ad un accordo stabile e duraturo fra le Super Potenze, reali decisori nel conflitto in terra di Ucraina.

I “vassalli” di questi non potranno fare altro che accettarne le decisioni ed i patti.

Riducendo a sintesi, i cosiddetti “grandi della terra” sono chiamati a scegliere fra trovare un accordo equilibrato o portare l’occidente in una nuova e senza prospettive “Guerra Mondiale”.

La terza ipotesi, quella della sconfitta sul campo della Federazione Russa attraverso il finanziamento ed il supporto dell’esercito ucraino, dati i fatti concreti in campo, non può che essere definita in altro modo che “infondato e propagandistico”.

I cultori del benessere dei propri cittadini non possono fare altro che ritenere soluzione unica quella di evitare un devastante conflitto mondiale attraverso la “negoziazione”.

La Seconda Guerra Mondiale non è terminata, come si deve sentire narrare da opinionisti che si prestano a narrare questo sui media, con la sconfitta di Hitler e del Terzo Reich.

La Seconda Guerra Mondiale è terminata con la scelta politica del presidente americano Delano Roosvelt di fermare il generale Patton che con le sue divisioni di carri armati intendeva raggiungere Mosca.

Questa scelta di pace dette inizio alla Guerra Fredda, un periodo di ricchezza e benessere per il nostro occidente.

Un periodo di stabilità fra ovest ed est Europa.

Furono errori gravi di natura economica a distruggere l’Unione Sovietica ed a far sciogliere il Patto di Varsavia, non le truppe alleate occidentali.

Oggi a quell’equilibrio dobbiamo tutti tendere.

I cosiddetti “grandi della terra” hanno il dovere di sedersi e firmare nuovi trattati di stabilità, una nuova Yalta e Reykjavik, e di disarmo nucleare, un nuovo SALT.

Questo è “negoziare”, senza personalismi, senza interessi bassi quali quelli di voler mantenere il proprio posto di potere.

Senza “vergognarsi”, questa l’interessante parola, parola assai più complessa di quello che potrebbe apparire ad una prima lettura, che il Santo Padre ha inserito al centro del dibattito.

Ignoto Uno




DSGA, è ora di alzare la testa!!!

Gentilissime Colleghe, cari Colleghi DSGA,

 

Con la presente vi inoltriamo le informazioni necessarie per aderire al ricorso contro questo CCNL 2019/21 che ci dequalifica tutti.

Con questa mail, passiamo alla fase operativa del ricorso.

Dopo aver contattato più avvocati esperti di diritto del lavoro, abbiamo deciso di scegliere quello più capace, che ci ha dato più sicurezza per il curriculum e per il bagaglio di esperienze, un esperto in diritto sindacale e di lavoro nella PA: l’avvocato FABIO POZZI.

L’avvocato ci ha prima ricevuto nel suo studio a Roma per studiare insieme il CCNL, e poi ha intavolato con noi una fruttuosa interlocuzione continua che ha portato a decidere insieme una strategia vincente per il/i ricorsi personale/i, impostando tutto sui danni subiti dai DSGA con questo CCNL, con ragionevoli aspettative di successo.

Non faremo ricorsi “copia e incolla, ma lo predisporremo esattamente per il/i DSGA che presenterà il ricorso. Per questo, insieme all’avvocato abbiamo preparato questa scheda per esaminare tutte le situazioni dei singoli aderenti, così da decidere quale/i tribunale/i adire in giudizio, almeno in questa prima fase, con ricorso/i pilota, per poi una volta ottenute le prime sentenze favorevoli, partire con i ricorsi in tutto il territorio nazionale e per tutti i DSGA. L’avvocato ha studiato già quali sono i Tribunali del Lavoro maggiormente favorevoli ai dipendenti, piuttosto che ai datori di lavoro e alla PA.

Vi prego di compilare questo entro e non oltre il 14/03/2024.

ECCO IL LINK:

clikkate qui

 

Per rendere l’adesione “solenne” ed in modo da ripartire le spese iniziali per il/i ricorso/i tra tutti gli aderenti, entro la medesima data di compilazione della scheda, ciascun aderente al ricorso, dovrà versare la quota pari a € 100,00 sul Conto Corrente intestato a:

Movimento Nazionale per la Valorizzazione dei Direttori SGA
IBAN: IT34Z0542476630000000156537

Causale: Adesione impugnazione ccnl 19/21

 

Copia del bonifico dovrà essere inviata all’indirizzo email: noidsga@gmail.com e a movimentonazionaledsga@gmail.com

Ricordiamo agli aderenti che sono iscritti ad una OOSS firmataria del CCNL 2019/21, che, se non lo avessero già fatto, dovranno presentare al proprio sindacato una dichiarazione di dissenso contro la firma a questo CCNL, che potrà essere del seguente tenore:

 

Il sottoscritto nato a il in qualità di DSGA presso la scuola , iscritto alla OOSS firmataria di questo CCNL Istruzione e Ricerca 2019/21, con la presente

DICHIARA

Il proprio dissenso rispetto alla firma del CCNL Istruzione e Ricerca 2019/21, che va a ledere i miei diritti acquisiti come Direttore SGA di ruolo nelle II.SS..

Il firma del dsga

 

Confidiamo in una decisa partecipazione di tutti i DGSA che tengano al nostro presente, ma soprattutto al nostro futuro! INSIEME SI PUO’ VINCERE!

NOI…DSGA




Nota del Comitato di Redazione

Suite à ton message d’hier. Merci. Aujourd’hui cet article sur le site hiram.be
C’est le grand bazar partout… 🤔😞

Nota del Comitato di Redazione

Gent.mi Lettori.
Nei giorni scorsi BETAPRESS ha pubblicato interventi, di AA diversi, incentrati sulle elezioni tenutesi in Italia in seno al GOI Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.
Le notizie si sono accavallate con una intensità e un ritmo persino frenetici e contenuti involontariamente contraddittori.
Per offrire un contributo in linea con la correttezza complessiva dell’informazione, così emendando causato fin qui pubblicato, abbiamo il piacere di porgere alla Vs. cortese attenzione l’odierno articolo apparso oggi sull’apprezzato e ben conosciuto periodico “Hiram.be”. Articolo che fa il punto definitivo sulla vicenda.
Buona lettura!

L’élection du nouveau GM du Grand Orient d’Italie contestée
Publié par Géplu
Dans Dans la presse

Ainsi que le relate le site Italy24.press, le Grand Orient d’Italie connait quelques tensions après l’élection du successeur de Stefano Bissi, qui s’est déroulée le dimanche 3 mars. Alors que les premières estimations donnaient le challenger Leo Taroni vainqueur, la Commission électorale a finalement déclaré élu – avec seulement 26 voix d’avance sur près de 14 000 votants – le Frère Antonio Séminario, Grand Maître Adjoint de Bissi, qui le soutenait. Des recours devant la justice interne et la justice profane ont été annoncés par Taroni. Ce dernier avait axé sa campagne sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges.

La proclamation officielle des résultats doit avoir lieu lors de la Grande Loge de Rimini prévue les 5 et 6 avril. Rappelons qu’à la différence de la France et de la Belgique, en Italie le Grand Orient est l’obédience dite « régulière », reconnue par la Grande Loge Unie d’Angleterre, et que l’obédience libérale est la Grande Loge d’Italie.

Au terme d’une vive polémique et d’une nuit de recomptages par la Commission électorale nationale, Antonio Séminario a été élu Grand Maître du Grand Orient d’Italie, la principale organisation maçonnique italienne. C’est la première fois qu’un Calabrais est élu à la tête du Goi. La victoire a été obtenue par seulement 26 voix et le verdict a annulé un précédent décompte – officieux – résultant de la somme des voix dans les différentes régions, qui attribuait la victoire par seulement 15 points à Leo Taroni, un entrepreneur de Ravenne, qui, à la tête de la liste “Nous ensemble”, il avait axé sa campagne électorale sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges. Aujourd’hui, à 5 heures du matin, après une nuit de travail, la Commission électorale centrale a attribué 6.369 voix à Seminario, soit 46,09 pour cent du total. 6.343 voix ont été validées en faveur de Taroni, soit 45,90 pour cent ; et dans la région de Bari Pasquale La Pesa 688 voix, soit 4,98 pour cent.

Soutenu par le Grand Maître sortant, le Toscan Stefano Bissi, Seminario occupait déjà le poste de Grand Maître Adjoint du Goi. Né à Crosia, dans la province de Cosenza, le 5 février 1958, il réside à Rossano, où est basée sa loge, le “Francesco Galasso”. Il convient de noter qu’environ la moitié des voix qu’il a obtenues ont été recueillies précisément en Calabre et en Sicile, tandis que Taroni a été le plus voté en Sardaigne et dans tout le centre-nord, à l’exception de l’Ombrie. La proclamation de la victoire du Seminario a cependant provoqué de vives réactions de la part des partisans de Taroni, au point que l’ouverture de longues procédures de recours internes semble désormais évidente, alors que de nombreuses voix réclament une scission du Goi. La liste “Nous ensemble” annonce en effet un recours immédiat à la justice interne de l’association, mais aussi un recours à la justice ordinaire, sur la base de l’article 700 du Code de procédure civile, pour tenter d’obtenir d’urgence la suspension de la proclamation et l’annulation de l’élection. Certains partisans de Taroni n’excluent même pas de recourir à la justice pénale.




La Pace deve essere una scelta di tutti.

Pace… parola che non genera ricchezza ad alcuni, ma a tutti.

“È più forte chi vede la situazione, pensa al suo popolo ed ha il coraggio di negoziare” questo ha dichiarato il Santo Padre parlando della guerra in terra di Ucraina.

A chi stava parlando Papa Francesco?

Difficilmente si può credere che stesse parlando esclusivamente a Zelensky.

Molto più probabilmente il Santo Padre ha ritenuto di rivolgersi a tutti i “grandi della terra”, ai leaders occidentali in primis.

Inconfutabile il fatto che Zelensky non esisterebbe nemmeno senza l’appoggio diretto, non solo attraverso la NATO, dell’amministrazione statunitense a guida Biden e dei suoi alleati nelle cancellerie europee.

Sono questi ad inviare in Ucraina armi e denaro.

Sembrerebbe non uomini in armi, fatto che, comunque, dobbiamo sperare con tutta la nostra forza visto il pericolo altissimo che questa eventualità causerebbe alla pace in tutta Europa, nel mondo intero.

Alta preoccupazione ha causato in chi crede che la pace sia l’unica opzione da perseguire il recente articolo, in prima pagina, del quotidiano La Verità che lasciava intravvedere anche azioni italiane in terra di Ucraina opache.

Zelensky è totalmente nelle mani di Biden e dei leaders europei a questi politicamente legati.

Corretta, almeno dal mio punto di vista, la posizione della Federazione Russa che dichiara come l’intervento del Santo Padre sia assai più diretto all’occidente che al presidente ucraino.

In fondo non è così assurdo l’assunto che la guerra in terra di Ucraina è stata voluta, ed è tuttora alimentata, da chi ha finanziato e facilitato la vittoria nelle presidenziali americane del 2020 di Biden, mai dimenticare che l’allora Presidente Trump non ha mai ammesso la sconfitta.

Il ragionamento alla televisione svizzera del Santo Padre non va interpretato, banalmente va ascoltato.

Parole chiare, parole forti, parole che i cattolici dovrebbero prendere per il loro portato.

I cattolici tutti, Biden e leader europei che si professano tali in tempo di Quaresima in primis.

Queste le Sue parole “E’più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare.

Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa.

Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare.

Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore.

Nella guerra in Ucraina, ce ne sono tanti.

La Turchia, si è offerta. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”.

Quante le suggestioni ai “potenti” in queste parole!

Parole valide per la guerra in terra di Ucraina, parole importanti per ogni conflitto oggi, e ieri, presente sulla terra.

“E’più forte chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare”, è più forte perché ha il coraggio di mettere il suo popolo davanti al suo ego dopo aver letto lo scenario in cui è chiamato a decidere sulle sorti della propria nazione.

Questo ha voluto consegnare ai grandi della terra, o presunti tali, il Santo Padre.

“Negoziare” è la parola chiave del ragionamento del Papa. Parola che definisce “coraggiosa”.

“Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali”, questo spera il Santo Padre, questo è quanto lo stesso chiede, auspica, che i leaders delle nazioni più potenti abbiano al centro della loro agenda.

“Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore”, andare oltre per costruire “pace”, questa la profonda suggestione del Santo Padre.

“Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”, mi chiedo chi, se vero statista ed in buona fede, può provare “vergogna” perché cerca di costruire “pace”.

Io provo vergogna per chi non prova vergogna a fomentare la guerra, magari per arricchirsi.

“Solo la forza della nostra protezione della vita, la nostra capacità di raggiungere i nostri obiettivi possono riportare la Russia a uno stato di sobrietà almeno parziale.

La follia russa deve perdere questa guerra.

Faremo di tutto per questo”, questa la risposta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a cui deve essere sommata la dichiarazione dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede che recita “Qualcuno parlò di negoziare con Hitler?”.

Evidentemente, forse, pensano ancora di poter “vincere il dragone”.

L’alternativa, sarebbe una drammatica alternativa dovesse essere presa in considerazione, è che qualcuno in Ucraina e nel gruppo degli alleati di Zelensky voglia ancora arricchirsi attraverso i soldi provenienti dall’occidente e, per questo, necessiti che una guerra persa da tempo continui.

Intanto a morire sono i figli del loro popolo, non i loro figli.

Drammatico in tal senso se qualcuno, mi sovviene alla mente nel seguire la domanda su Hitler dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, potesse avere l’idea di copiare i fatti di Danzica che fecero iniziare la Seconda Guerra Mondiale.

Al tempo il dittatore nazista vesti dei tedeschi da soldati polacchi per far uccidere dei soldati tedeschi, impensabile che qualcuno, con il solo fine di allargare il conflitto, possa essere così cinico da vestire da soldati russi chi russo non è per far uccidere, sto inventando per copiare la storia del ‘900, soldati polacchi.

Per fortuna questo non può che essere solamente un “incubo” ad alta voce.

Ignoto Uno




Riflessioni sulla pace e sulle elezioni future

 

Nello studiare lo scenario elettorale che si presenta davanti a noi cittadini del mondo molti gli appuntamenti che ci aspettano.

Certamente fondamentali per il futuro di tutti noi sia le presidenziali di novembre in Stati Uniti che quelle di marzo della Federazione Russa.

Altrettanto certamente, soprattutto noi europei, quelle di giugno che definiranno il nuovo Parlamento della UE27 e, conseguentemente, la presidenza della Commissione Europea.

Per quanto concerne le elezioni americane lo scenario sembrerebbe oramai definito.

Sembra, infatti, che a chiedere il voto saranno Biden e Trump.

I programmi su cui i due contendenti si confronteranno sono diversi e chiari.

Al contrario non posso che notare, con mestizia, come non sia possibile riscontrare altrettanta chiarezza e diversità nei programmi dei gruppi europei che, attraverso i partiti che li compongono nei diversi Stati, chiederanno di essere onorati di ricevere il voto degli elettori europei.

In attesa di veder emergere un reale, credibile ed affidabile leader europeo di cultura concretamente “sovranista” in grado di lavorare alla creazione di una vera e paritetica Federazione degli Stati dell’Unione Europea, in assenza della quale inizia ad essere fondato chiedersi a cosa serva la UE27, mi permetto di soffermarmi su alcune delle affermazioni della Presidente Von der Leyen nel suo discorso di candidatura a leader del PPE.

La presidente della Commissione Europea, nel discorso di candidatura al Congresso del PPE, ha dichiarato di credere “nella dignità di ogni essere umano” e, fedele a questo assunto, ha aggiunto che “la nostra Europa, pacifica e unita non è mai stata così minacciata dagli estremisti e dai populisti sia di estrema destra che di estrema sinistra” e, per questo, bontà sua, ha deciso di “presentarsi e combattere in questa elezione, essendo oggi più importante che mai”.

Premesso che non ho mai avuto modo di sentire nessuno, leader politico o meno che fosse, dichiarare che la “dignità umana” non sia centrale nel suo pensiero, ho qualche decisa difficoltà ad interpretare la Von der Leyen come una statista che abbia combattuto per far rispettare la dignità di tutti gli esseri umani in europa.

Difficile vedere una azione forte e certa della Presidente in ordine al grave fenomeno del traffico di esseri umani e della, contemporanea, tutela delle dignità culturali e delle tradizioni degli Stati europei.

Altrettanto difficile riconoscerle la difesa della tutela della dignità di coloro che nel periodo della pandemia Covid vivevano con preoccupazione l’obbligo vaccinale.

Preoccupazione che, peraltro, purtroppo,si deve iniziare a ritenere fondata aumentando, conseguentemente, il desiderio di chiarezza sulle scelte che la Commissione Europea impose a tutti gli Stati membri, in primis su quel contratto quadro secretato per l’acquisto delle dosi vaccinali con le case farmaceutiche.

L’unico commento che si può fare a tanta ipocrisia è notare quanto sia facile aprire bocca e dare fiato.

La stessa presidente si sente di dichiarare, essendo persona amante della pace, che “oggi gli amici di Putin stiano seminando odio”.

Come non notare come il “problema” della guerra sia completamente scaricato su scelte compiute da “altri”.

Nessuna capacità di autocritica su questi anni di suo governo della nostra Unione Europea, eppure cose che non vanno se ne possono evidenziare veramente molte soprattutto oggi che il Santo Padre implora Zelensky di “alzare bandiera bianca ed aprire un negoziato”.

Fatto che, mi permetto di credere, dovrebbe creare un forte imbarazzo ai leader politici che si professano cattolici, Biden ed amici di Biden in testa.

Preso atto di questa fondante ed assai condivisibile novità, mi permetto di confutare il pensiero della Von der Leyen partendo dal concetto di “pace”.

Da libero cittadino europeo, ed ancor più libero pensatore e cultore del pensiero di Giovan Battista Vico, esprimo la mia opinione in materia e, sperando sia ancora permesso senza finire “dossierato”, propongo delle suggestioni che, questo il mio auspicio, possano aiutare ad evitare che un conflitto, quello in terra di Ucraina, che doveva, e poteva, essere evitato o, almeno, risolto in poche settimane continui a causare morte o, addirittura, si ampli in terra d’Europa nelle prossime settimane.

Mi permetto, in primo luogo, di porre una domanda ai “potenti” ed ai “sapienti”: risponde al vero o è falso che la Gran Bretagna, molto probabilmente stimolata dall’amministrazione statunitense a guida Biden, hanno letteralmente impedito al Presidente ucraino Zelensky di firmare una tregua in Turchia dopo due settimane dall’inizio del conflitto?

Nel caso rispondesse al vero, come io credo, perché questa intromissione nelle scelte del popolo ucraino? Quali i “vantaggi” per gli ucraini?

In Ucraina il conflitto ha causato solo morte e povertà.

Gli studiosi di fatti bellici sono assai certi che il conflitto ucraino sia, oramai, destinato a vedere l’esercito della Federazione Russa vincitore, quale il cambio di passo finalizzato a far tornare gli europei tutti, ucraini inclusi, ad una vita con prospettive di pace e di ritrovato benessere propone la Presidente Von der Leyen e chi a lei si sente vicino?

Ancor più dopo gli auspici del Santo Padre il cambio di passo è urgente per acquisire una accettabile credibilità politica sul punto.

La “pace” non si “costruisce” partendo dal principio “io ho ragione, tu hai torto”, bensì si raggiunge attraverso il dialogo con il portatore di valori, idee, principi ed interessi diversi, finanche opposti.

“Esportare la democrazia” di Obamiana memoria, palesemente tanto amata dalla presidente e dai suoi affezionati, italiani inclusi, non è più una strada accettabile.

La guerra arricchisce pochi e uccide molti, la pace fra i popoli crea benessere e crescita.

Obama, ed il suo vassallo Biden, amici di questi inclusi, continuano a credere che la “democrazia” sia “esportabile” e, conseguentemente, perseguono politiche basate sul “dividi et impera” di romana memoria.

Chi, al contrario, crede che il Presidente Donald Trump non sia un “cattivone”, anzi sia un presidente che ha saputo “riportare pace” in molti degli scenari che vedevano in essere un conflitto al suo arrivo alla Casa Bianca nel 2016, oltre ad essere assai stanchi di veder morire tanta gente per far arricchire pochi, sarà felice di supportare chi nella nostra Europa, ed Italia, metta al centro la cultura della trattativa.

Una trattativa “dura”, basata sul rispetto dei nostri valori occidentali, quelli della famiglia e delle origini cristiane, quelli del rispetto delle tradizioni altrui perché si hanno chiare, in primis, le nostre, quella che sa che solo il dialogo permette di comprendersi.

Questo è il “sovranismo”.

Alleanze con i “simili”, rispetto di chi ci rispetta.

Come non sperare di poter veder prendere spazio dei leaders europei con questi principi?

Soprattutto se si è padri e madri del ceto medio.

Ignoto Uno




A CHE PUNTO È IL GIORNO

 

Oggi parliamo di un argomento storico poco conosciuto, ma forse è meglio dire dimenticato.

Si tratta di una storia per certi versi analoga a tante altre, accadute in Europa nei secoli passati, ma che in questo caso riguarda il nostro Paese, l’Italia, e la sua bellissima isola, la Sicilia, e già solo per questo vale la pena che sia conosciuta e divulgata.

Si tratta di una storia di Convivenza e, contemporaneamente, di Discriminazione sull’isola del Mediterraneo e riguarda la storia degli ebrei in Sicilia.

La storia della presenza millenaria degli Ebrei in Sicilia, per secoli rimasta nell’oblio, torna ora ad affascinare e interessare storici, archeologi e antropologi che stanno riportando alla luce l’importante ruolo che ebbero gli Ebrei nello sviluppo economico e culturale dell’isola.

La rimozione c’è stata ed è motivata probabilmente dal pudore di dover narrare tutto ciò che gli Ebrei siciliani dovettero patire secolo dopo secolo, conquista dopo conquista, per mano di coloro che ne furono i potenti e spesso spietati dominatori, ma anche dal rammarico per tutte quelle risorse umane, culturali ed economiche che l’isola e tutto il sud d’Italia persero per sempre, dopo la loro espulsione nel 1493.

La storia giudeo-siciliana suscita ora nuovo interesse grazie alle recenti pubblicazioni che hanno avuto per oggetto la riscoperta di antica documentazione, rimasta sepolta per secoli negli archivi storici comunali e in quelli notarili di molte città siciliane.

Anche importanti e recenti scoperte archeologiche stanno accrescendo le nostre conoscenze della storia ebraica siciliana, lasciando intravedere possibili rivisitazioni dei fatti accaduti tra il III e il XVI secolo.

Si tratta di resti di siti sinagogali e cimiteri, disseminati un po’ ovunque sul territorio, dove numerose sono le pietre tombali rinvenute, sulle quali campeggiano epigrafi bilingui in greco, ebraico o latino con i tipici simboli ebraici della Menorah, dello shofar e della foglia di palma.

Sono stati anche ritrovati numerosi bagni rituali (mikvè), uno su tutti, quello commovente di Ortigia a Siracusa, di recentissima e casuale scoperta, considerato il più antico d’Europa, ricoperto di detriti dagli esuli ebrei prima del suo definitivo abbandono, forse per un senso di pudore o forse perché era ancora viva tra loro la speranza di un ritorno.

Ed ancora più affascinante è la storia del Kior (vasca per lavaggio delle mani) di Siculiana nell’agrigentino (sec. XV), proveniente con verosimile probabilità dalla Sinagoga o dal Cimitero di tale cittadina ed in epoca più tarda trasferito nel Battistero locale per divenirne la fonte battesimale.

Il suo donatore aveva voluto ricordare l’evento facendovi scolpire una scritta in ebraico, rimasta coperta per più di cinque secoli e dove oggi si può leggere: «Nell’anno 1475: Samuele figlio di Rabbì Yona Sib’on, riposi in Paradiso».
Posti ai due lati della scritta gli stemmi reali di Castiglia e di Aragona in onore dei sovrani spagnoli regnanti in quel periodo e che, ironia della sorte, solo diciassette anni dopo decretarono l’espulsione di tutti gli Ebrei oltre che dalla Spagna anche dalla Sicilia.

 

La storia è lunga, e non è certo questo il luogo per narrarla nella sua interezza, ma si può certamente affermare che non ci sia stato angolo della Sicilia in cui la presenza ebraica non fosse già ben radicata ancor prima dell’avvento del cristianesimo e soprattutto durante i quattro secoli precedenti l’espulsione, decretata dall’infame editto di Granada, siglato nel Gennaio del 1492 dai reali di Spagna, Isabella di Castiglia e da suo marito Ferdinando d’Aragona. Su incitamento del domenicano Torquemada, essi non dettero scampo agli Ebrei spagnoli e poco dopo anche a quelli siciliani, obbligandoli alla dolorosa scelta dell’esilio o alla conversione forzata.

C’era stato un tempo, tuttavia, in cui la vita degli Ebrei, nello specifico in Sicilia, era stata molto migliore e sicuramente diversa.

Ciò avvenne, nei due secoli di dominazione degli Arabi, i quali, seppur inizialmente considerassero gli Ebrei alla stregua di schiavi sui quali era lecito da parte loro qualsiasi abuso e sopruso, via via col passare degli anni, per motivi puramente economici, iniziarono ad instaurare con loro rapporti sufficientemente sopportabili.

Agli Ebrei, infatti, come pure ai Cristiani, venne concesso di poter professare liberamente la propria Fede e di costruire Sinagoghe e Chiese, anche se questa concessione non prescindeva dal pagamento di onerose gabelle.
Considerati dhimmi, cioè «protetti», gli Ebrei erano ritenuti una sorta di risorsa tributaria ed economica, situazione che li obbligava a pagare una tassa pecuniaria aggiuntiva, la gesìa. Questa loro condizione sarà poi, nei secoli seguenti, costantemente mantenuta anche dai successivi dominatori, per i quali non c’era alcun motivo di rinunciare a queste provvide, ma inique entrate fiscali.
Allo scopo di dare ulteriore impulso all’economia dell’isola, agli Ebrei, riuniti nelle loro Comunità dette Aliama, fu lasciata la possibilità di svolgere attività divenute con il tempo a loro peculiari, soprattutto quelle di tintori, conciatori, fabbri, artigiani, commercianti e armatori. 

D’altronde gli Ebrei, avvezzi a convivere con gli Arabi, come lo erano già in Spagna e nel Nord Africa, avevano con questi, oltre che la lingua, molteplici affinità come la comune conoscenza degli studi scientifici di medicina, astronomia e matematica e soprattutto delle materie teologiche e filosofiche.
Ciò che inoltre rendeva culturalmente simili le due etnie, era l’uso corrente della scrittura, motivo non sottovalutabile, che, di fatto, le poneva entrambe in una posizione più elevata rispetto al resto della popolazione, per lo più retrograda ed analfabeta.

 

Oggi sappiamo quanto esteso e vivace fosse il rapporto tra le varie comunità ebraiche in quell’area alla fine e dopo l’inizio del primo millennio e quanto, per questo, fosse divenuto essenziale il ruolo della Sicilia grazie al continuo prosperare e alla nascita in quei due secoli di numerosissime imprese manifatturiere e di altrettante piccole comunità ebraiche che le gestivano.

Cartiere, filature e tessiture della seta e del cotone, concia delle pelli, tintorie, fonderie siderurgiche, commercio delle stoffe, del grano e del formaggio (rigorosamente kosher) e il trasporto di queste e di altre mercanzie, furono solo alcune delle attività di appannaggio quasi esclusivo degli Ebrei siciliani, i quali, nei secoli seguenti, ne acquisirono naturalmente il monopolio, divenendo di fatto i più ricercati produttori, trasformatori ed esportatori di manufatti e di prodotti agricoli.
La Sicilia, posta in maniera strategica al centro del Mediterraneo, divenne, di fatto, uno snodo nevralgico per lo scambio di mercanzie di ogni tipo che, dall’isola, riprendevano poi la strada per il resto d’Italia e d’Europa.

Quanto vediamo oggi della Sicilia, lo si deve in buona parte ai due secoli di questa dominazione illuminata ed al suo intelligente sfruttamento, del quale gli Ebrei furono una parte essenziale.

 

Questa lunga premessa, assolutamente non esaustiva della memorabile storia della presenza e dell’attività degli Ebrei siciliani, ci è tuttavia utile per fare alcune considerazioni storiche attuali e contingenti, relative alla città di Catania ed alla recente costituzione ufficiale di una Comunità Ebraica e di una Sinagoga nel suo seno.

A volte la Storia viene riscritta dai posteri e ciò che sembrava dimenticato riaffiora dall’oblio, grazie al lavoro scrupoloso e appassionato di studiosi e di accademici, e anche di uomini leali e di buona volontà che, come nel caso di Catania, ne hanno ripreso in mano il bandolo riportando alla luce ciò che sembrava dimenticato per sempre.
Una Storia, quella della Sicilia ebraica e di Catania – ma non solo, verosimilmente somigliante per molti dei suoi aspetti a tante altre storie vissute e patite, anche in tempi recenti, dagli Ebrei di molti altri Paesi, storie esaltanti ma allo stesso tempo spesso dolorose, storie di persecuzioni, di morte, di esili, di abbandoni, storie rese simili dal pregiudizio e dall’invidia, dove la bramosia, infine, ne è stata sempre il rovinoso epilogo.

Accade, dunque, che alla Catania ebraica non venga – attualmente – riconosciuto il diritto di ridare vita ad una propria Comunità, al proprio culto, alla preghiera nella propria Sinagoga.

Sembra che si sia verificato un corto circuito di comunicazione con le autorità centrali della Penisola.

Come se queste non capissero gli Ebrei di Catania.

È sicuramente un momento non semplice per chi crede nell’importanza e nel valore di queste relazioni e, rispetto al passato, rispetto alla Storia, sembra che ci siano stati dei significativi passi indietro, ma proprio per questo sarebbe opportuno andare avanti, confidando nella possibilità che il confronto riesca a dare nel tempo i suoi frutti.

E forse ciò ha origine, anche, dalla profonda crisi attraversata da un Occidente che ha smarrito la propria identità, e che a volte non riesce a ben riconoscere quali siano i propri valori di riferimento. Tuttavia, si potrebbe andare oltre quell’ambito e slegarsi da ciò che spesso appare, purtroppo, come un secolarismo effimero – anche in campi religiosi.

 

  • Riassumendo in maniera essenziale e omettendo valutazioni halachiche, che sono di stretta competenza rabbinica, la sequenza dei fatti avvenuti a Catania è comunque tanto distopica da sfiorare i limiti del grottesco, posto che stiamo parlando di: 1) Laicità dello Stato; 2) Libertà religiosa; 3) Libertà di organizzazione ed azione; 4) Libertà di aprire luoghi di culto.
  • La Comunità Ebraica di Catania e il suo Istituto di Cultura Ebraica esercitano il culto ebraico all’interno della propria Sinagoga dal 17 ottobre 2018, nei locali concessi in comodato d’uso dal Comune di Catania e siti nel Castello di Leucatia; tale concessione ha la durata di sei anni e scadrà il 16 ottobre 2024.
  • Il 28 ottobre 2022 la Comunità Ebraica di Catania consacra ufficialmente al culto la propria Sinagoga, alla presenza di Rabbini giunti da Israele e da Whashington – essendosi dotata di un Sefer Torah e disponendo di un Rabbino e di un Tribunale Rabbinico di riferimento. Si tratta di un evento storico, religioso e culturale del massimo rilievo, sia per Catania – che fino al 1492 aveva due Sinagoghe – sia per l’Italia ebraica, che da Napoli in giù sembra si sia fermata nel (quasi) nulla.
  • In contemporanea, la signora Noemi Di Segni – nella sua veste di Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (di seguito: UCEI, Associazione di carattere privatistico) – inizia un attacco e una dura lotta di screditamento nei confronti della Comunità Ebraica di Catania, dichiarando e asserendo che essa non ha diritto di esistere né tantomeno di chiamarsi «Comunità Ebraica», né ancor più di avere titolo di appartenenza all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
  • L’anno 2023 si apre dunque con un pesante carteggio su carta bollata tra la predetta Presidente UCEI e l’Avv. Baruch Triolo, Presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica e Presidente della Comunità Ebraica di Catania – il quale ribatte alla Presidente Di Segni punto per punto, nello specifico: a) domandando dove fosse scritto che Catania non poteva usare la denominazione «Comunità Ebraica» (nemmeno si trattasse di un formaggio o di un vino d.o.p.) e b) ribadendo che la Comunità Ebraica di Catania sin da subito si era dichiarata disgiunta e non legata all’UCEI.
  • Emerge sin da subito la totale mancanza di possibilità di dialogo, di disponibilità al chiarimento reciproco, da parte della Presidente UCEI – che appare rispondere a ogni legittima comunicazione da parte dell’Avv. Baruch Triolo con quelli che si possono definire “argomenti fantoccio”, cioè utilizzando una fallacia logica che consiste nel confutare un argomento proponendone una rappresentazione errata o distorta.
  • Poi, da parte della Presidenza UCEI, si giunge all’intimidazione e infine alla citazione in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (prima udienza 08 febbraio 2024), inoltre convincendo (o meglio, tentando di convincere) con una sua personale visita, il Sindaco di Catania a revocare la concessione dei locali a suo tempo concessi a titolo gratuito (per sei anni, dal 2018 al 2024), destinati a uso Sinagoga e Uffici del Rabbino e siti presso il Castello di Leucatia.
  • La situazione diviene, a questo punto, orwelliana per tutta una serie di motivi: 1) l’UCEI è una associazione privata che, secondo il Codice Civile, può imporre le proprie regole statutarie solo ai propri iscritti e a nessun altro; 2) la Comunità Ebraica di Catania non aderisce e non vuole aderire all’UCEI, come sempre dichiarato; 3) una Associazione privata non dispone del potere di segnalare o accusare altre Associazioni per danneggiarle, né può imporre la propria volontà a una Pubblica Amministrazione (la città Metropolitana di Catania); 4) l’art.2 della legge 101/89 garantisce ad ebrei e comunità in genere il diritto, costituzionalmente garantito, della «libertà di esercizio del culto ebraico in forma sia individuale che associata»; 5) l’art.15 della legge 101/89 sancisce che «gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata con il consenso della comunità competente».
  • Tutto ciò predetto, l’UCEI non si presenta alla prima udienza in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (08 febbraio 2024), costringendo il Giudice a rimandare la prima udienza al 24 gennaio 2025, nonostante la procedura preveda la presenza di entrambe le parti per un tentativo, obbligatorio, di conciliazione e impedendo la richiesta di chiarimenti. Sottraendosi in sostanza al contraddittorio. La Comunità di Catania era rappresentata dall’Avv. Giuseppe Sciacca, membro della Comunità, dal Presidente della Comunità di Catania, Avv. Baruch Triolo, e dal Vice Presidente Alessandro Y.N. Scuderi.
  • La minaccia di sfratto dai locali del Castello di Leucatia ha un esito altrettanto surreale: il 15 febbraio 2024, data fissata dal Comune di Catania per un sopralluogo dei locali, propedeutico alla riconsegna dei locali, i tecnici del Comune non si presentano. Ed è notizia di questi giorni che la Municipalità di Catania si è premurata di rivolgere le proprie scuse alla Comunità Ebraica di Catania.

 

E dunque?

A che punto è il giorno?

Cui prodest tutto questo folle, insensato, dispendio di mezzi e di energie?

Perché questo cortocircuito, terribile, proprio in ambito ebraico, proprio in questo periodo di tensioni e di guerre?

Questa realtà distopica si inserisce nel momento storico che stiamo vivendo che, dopo il 7 ottobre, è sicuramente estremamente complesso e di difficile interpretazione – e in cui le tensioni non si limitano purtroppo al solo Medioriente.

Nessuno ha verità assolute da proporre e in questo momento molti di noi sono più capaci di porre domande che di dare risposte, tuttavia, cercando di essere analitici e obiettivi, nonostante tutto, continuiamo a sperare: a sperare nel Dialogo e nel Confronto.  

Pena la morte, la dispersione dell’egregore – e questo non deve avvenire: quando un certo numero di persone si raduna intorno a un’idea, i pensieri e i desideri di quelle persone creano un’entità vivente; è una legge del mondo spirituale.

E anche se quell’entità non è fatta di particelle sufficientemente materiali da far sì che la si possa vedere e toccare, essa esiste.

Questa entità collettiva viene chiamata «egregore» ed è un’entità vivente e operante, ogni paese, ogni religione e ogni corrente di pensiero possiede un’egregore e tutti i suoi membri, i fratelli e le sorelle che si riuniscono attorno alla stessa idea di pace e di luce, non smettono di alimentarla e rafforzarla.

Così, non solo essa può agire sulle altre egregore nel mondo per influenzarle beneficamente, ma contribuisce anche, e soprattutto, all’evoluzione di quegli esseri che lavorano per formarla.

Ma anch’essa è soggetta all’entropia – che dà la misura del disordine presente in un sistema fisico e, quando l’entropia sarà massima, nessuna trasformazione sarà più possibile, e sarà così la cosiddetta «morte fredda» dell’universo, in un sistema disordinato e a energia minima.

 

Barbara de Munari

Torino, 08 marzo 2024

 

[Si ringrazia per la disponibilità delle Fonti Storiche: Ariel Arbib, Storia degli Ebrei di Sicilia fino al XVI secolo – Convivenza e discriminazione sull’isola del Mediterraneo, in Joimag, febbraio 2022]