Nuova filiera 4 + 2, deragliamento?

Rispetto alla nuova filiera 4 + 2, fiore all’occhiello del ministro Valditara, sorgono perplessità che andrebbero stigmatizzate in modo coerente con quella che è la programmazione della rete scolastica.

Abbiamo Posto una domanda al Dott. Marco Ugo Filisetti DG di Ok School.

 

Direttore, cosa ne pensa del nuovo ddl 924?

 

Filisetti: Ho avuto occasione di seguire nell’aula del Senato mercoledì scorso il dibattito sul DDL S 924 istituzione filiera formativa tecnologica professionale tecnica professionale.

Al riguardo consentimi un sintetico contributo: l’alto tasso di occupabilità dei percorsi ITS con il conseguente loro successo, come frequentemente riportato sui media, è determinato dalla coerenza del n. di figure professionali (addirittura in difetto) in uscita e loro competenze, con la richiesta del mercato del lavoro.

In realtà tutte le figure professionali in uscita dai percorsi liceali, tecnici, professionali dovrebbero avere un analogo tasso di occupabilità, attesa comunque per tutte la formazione dello studente come persona integrale.

Così sarebbe se la programmazione dell’offerta formativa integrata fosse coerente (quantomeno tendenzialmente) nei numeri e contenuti con le richieste del mercato del lavoro anziché subordinata all’esigenze autoreferenziali del sistema d’istruzione, che influiscono altresì sull’orientamento scolastico.

Fermo restando che l’orientamento scolastico deve essere traguardato sulla programmazione dell’offerta formativa e non il contrario.

Il problema sta’ quindi nel processo programmatico dell’offerta formativa, declinato da una pluralità di centri decisionali (istituzioni scolastiche, Uffici Scolastici Regionali USR-Uffici d’ambito territoriale UAT, MIM-MEF, Regione, Provincie, Comuni, OO.SS.) disorganici oltreché ciascuno portatore d’interessi particolari confliggenti tra loro.

Al riguardo in via operativa ricordo l’opportunità di definire prima possibile la declinazione operativa della programmazione della rete scolastica come riportato nell’ apposito WBS (disponibile per ogni eventuale approfondimento) con l’indicazione:

  •  delle macro-attività previste;
  •  dei principali esiti attesi da ciascuna macro-attività – sono descritti in forma sintetica;
  •  degli gli archi temporali di riferimento – con previsione realistica, considerando anche i vincoli previsti a livello normativo;
  •  dei soggetti responsabili dello svolgimento delle macro-attività, oppure del loro recepimento



Scure Fiscale sugli stipendi: ma usiamola noi per tagliare le teste di questa classe politica.

La “scure fiscale” di febbraio 2024 rappresenta un momento significativo nel contesto della politica fiscale e dell’amministrazione pubblica in Italia, con un impatto diretto sul settore dell’istruzione e, più specificamente, sul personale scolastico.

Questo intervento legislativo vorrebbe razionalizzare la spesa pubblica attraverso una serie di misure che incidono direttamente sulle condizioni economiche e lavorative del personale scolastico, sollevando questioni di equità, efficienza e sostenibilità del sistema educativo nazionale.

Il che ci porta a dire in prima battuta: ma vi siete impazziti tutti? La scure fiscale dovremmo usarla noi cittadini per tagliare le teste di tutti voi cari signori che godete di stipendi a questo punto immeritati.

Voi dovete salvaguardare le famiglie, che caspita date i bonus come se fossero caramelle se poi alla prova dei conti tagliate la testa alle famiglie?

Ma volete ogni tanto ragionare come se prendeste 1200 euro al mese invece che 15.000???

Ma forse è la parola ragionare che non si abbina alla vostra natura.

Cerchiamo di ragionare con calma e vediamo di analizzare alcuni punti, alla fine vi lasciamo con una domanda a cui preghiamo il governo di dare una risposta seria.

 

Contesto e Giustificazione della Misura

Nel contesto di una crescente pressione sui bilanci pubblici, aggravata da una congiuntura economica difficile e dalla necessità di rispettare i vincoli di bilancio europei, il governo italiano ha introdotto la “scure fiscale” come parte di un più ampio pacchetto di riforme volte a ridurre il deficit pubblico e a rilanciare la crescita economica.

Queste misure sono state presentate come necessarie per garantire la sostenibilità finanziaria del paese e per migliorare l’efficienza della spesa pubblica, compresa quella relativa al sistema educativo.

Il personale scolastico, che include insegnanti, dirigenti, personale amministrativo e ausiliario, si trova così al centro di un dibattito sul ruolo e sul valore dell’investimento nell’istruzione in un periodo di austerità fiscale.

Le misure previste incidono su aspetti quali stipendi, pensioni, contratti a tempo determinato e risorse per la formazione professionale, con l’obiettivo dichiarato di ottimizzare le risorse disponibili e migliorare la qualità dell’offerta formativa.

 Impatti sul Personale Scolastico

L’impatto della “scure fiscale” sul personale scolastico è molteplice e suscita preoccupazioni in termini di equità, morale e qualità dell’insegnamento.

In primo luogo, la riduzione degli stipendi e il congelamento delle progressioni di carriera possono avere effetti negativi sul benessere economico degli insegnanti e sulla loro motivazione, con possibili ripercussioni sulla qualità dell’insegnamento e sui risultati degli studenti.

Inoltre, il ricorso più limitato ai contratti a tempo determinato e la diminuzione delle risorse per la formazione professionale continuata possono limitare le opportunità di sviluppo professionale per il personale scolastico e ridurre la capacità del sistema educativo di adattarsi alle esigenze in evoluzione della società.

Questioni di Equità e Giustizia Sociale

La “scure fiscale” solleva importanti questioni di equità e giustizia sociale.

Il personale scolastico, come categoria professionale, si trova a dover assorbire una parte significativa dei costi del consolidamento fiscale, il che solleva interrogativi sulla distribuzione del peso dei sacrifici richiesti alla società italiana.

In un contesto in cui l’istruzione è fondamentale per la promozione dell’equità sociale e per lo sviluppo economico a lungo termine, la riduzione degli investimenti nel personale scolastico può essere vista come controproducente e potenzialmente dannosa per le prospettive future del paese.

Riflessioni Finali

La “scure fiscale” di febbraio 2024 contro il personale scolastico si inserisce in un contesto più ampio di riforme e di dibattito pubblico sul ruolo dello stato, sulla gestione delle risorse pubbliche e sulle priorità della società italiana.

Mentre le giustificazioni economiche dietro queste misure possono essere comprensibili alla luce delle sfide finanziarie che il paese affronta, è fondamentale considerare attentamente le implicazioni a lungo termine di tali scelte politiche.

Una politica di austerità che colpisce il settore dell’istruzione e il personale scolastico solleva interrogativi critici sulla visione del futuro che si vuole costruire e pertanto sulla visione che lo stesso governo ha del paese.

L’istruzione è un investimento nel capitale umano, essenziale per la crescita economica sostenibile e per la coesione sociale.

Ridurre l’investimento in questo settore potrebbe avere conseguenze negative durature, non solo per l’economia ma anche per il tessuto sociale del paese.

È quindi imperativo bilanciare le esigenze di consolidamento fiscale con la necessità di investire nelle risorse umane, garantendo che le politiche adottate oggi non compromettano le generazioni future.

Insomma, ma vi siete davvero rincretiniti????!!!




Studiare per il lavoro?? chi lo dice è un pazzo.

L’affermazione riecheggia un’antica idea, spesso attribuita a Seneca, filosofo romano, che affermava “Non si studia per la scuola, ma per la vita”.

 Questa visione è profondamente radicata nel concetto di educazione come strumento per il miglioramento personale e lo sviluppo intellettuale, piuttosto che come mero mezzo per raggiungere obiettivi professionali.

È necessario formare i giovani con un’Educazione come Preparazione alla Vita, non solo al Lavoro, questo perché Studiare solo per il lavoro limita il potenziale dell’istruzione.

L’educazione dovrebbe mirare a formare individui completi, dotati non solo di competenze tecniche, ma anche di una comprensione critica del mondo, capacità di pensiero analitico, creatività e sensibilità morale.

 Occorre mirare ad uno sviluppo Personale e Intellettuale: l’istruzione deve fornire gli strumenti per una crescita personale continua.

L’apprendimento di discipline come la storia, la filosofia, le arti, oltre che delle scienze e della tecnologia, contribuisce a sviluppare un pensiero critico, empatia e una comprensione più profonda delle diverse realtà umane.

Impostare l’Educazione finalizzata solo al Lavoro è una follia che solo gli stolti possono percorrere: una visione dell’istruzione puramente orientata al lavoro può portare a un riduzionismo, dove si valutano le discipline in base alla loro “utilità” immediata nel mercato del lavoro, trascurando aree di studio fondamentali per lo sviluppo umano.

Se si trascura l’importanza della cultura generale, dell’etica, della storia e della filosofia, si rischia di formare professionisti tecnicamente competenti ma privi di una solida base culturale e di valori, elementi fondamentali per un agire consapevole nella società.

La scuola intesa come percorso complessivo pedagogico educativo è in realtà la ricerca di un proprio equilibrio tra studio per la Vita e solo di conseguenza per il lavoro: il lavoro infatti nobilita l’ uomo perché gli permettere di esprimere le sue capacità e di inserirsi nella sua società di cui deve essere parte integrante.

L’ideale sarebbe un sistema educativo che integri l’apprendimento professionale con quello umanistico, fornendo una base solida sia per il successo professionale che per un arricchimento personale.

In un mondo in rapida evoluzione, l’apprendimento non si ferma con la formazione scolastica o universitaria; piuttosto, diventa un processo continuo che abbraccia sia lo sviluppo professionale sia quello personale.

L’affermazione che studiare per il lavoro sia un errore discende da una visione dell’istruzione che privilegia lo sviluppo umano integrale, Obiettivo a cui le famiglie dovrebbero mirare per i propri figli.

Sono le famiglie che dovrebbero obbligare le istituzioni ad allontanarsi da quel pericoloso percorso che sta trasformando l’istruzione dei giovani in formazione professionale.

E’ un grave errore che si avvicina al bordo di un fallimento sociale.

La formattazione dei giovani fin dalla più precoce età è un errore madornale che potrebbe limitare sviluppi della nostra società nel prossimo futuro: i genitori dovrebbero allargare la propria visione oltre alla ricerca di lavoro per i propri figli, ma a pensare di dare una vita ai propri figli.

Non credo che i nostri figli debbano essere cresciuti come piante già pronte per la crescita in un terreno domestico, ma come semi, che possano esplorare qualsiasi terreno, anche lontano.

Sono convinto che i figli debbano aver gli strumenti per capire il mondo e per poterlo cambiare, molto meno per studiare per entrare in una catena di montaggio.

Mentre le competenze professionali sono importanti, è essenziale mantenere un approccio all’istruzione che valorizzi la formazione intellettuale, etica e culturale, elementi indispensabili per una vita piena e consapevole.




Quer pasticciaccio brutto de via Trastevere, la nuova filiera formativa 4+2

In Lombardia ad oggi ad iscrizioni aperte le Istituzioni scolastiche e formative hanno appena ricevuto la loro ammissione alla sperimentazione.

C’è una confusione tra elenco delle filiere ammesse che deve essere approvato dalla Regione ai sensi della DGR 1655 del 21 dicembre con scadenza 22 gennaio per la definizione degli enti partecipanti, e filiere ammesse alla sperimentazione di cui avviso con scadenza candidature al MIM al 12 gennaio.

Ieri il MIM ha pubblicato sul sito l’elenco delle candidature ammesse, per ritirarlo dopo alcune ore.

Curiosamente la Regione ha stabilito che l’ammissione al proprio elenco è condizione necessaria per la proposizione della candidatura MIM stabilendo un termine per la presentazione della richiesta di ammissione all’elenco successivo al termine per la presentazione della candidatura al MIM.

Come al solito pasticci alla italiana, che fare inutile, meravigliarsi.

Sta di fatto che le famiglie in Lombardia non hanno avuto tempo per ragionare su questo nuovo percorso, visto che il tutto è arrivato ad iscrizioni aperte, ed ancora è difficile comprendere in quali Istituzioni è possibile iscrivere i propri figli al percorso sperimentale.

 

 




NOI…DSGA, firma assurda di un contratto offensivo.

Il gruppo NOI…DSGA in data 18 gennaio 2024 in concomitanza con la firma definitiva del CCNL Istruzione e Ricerca 2019/21, sospenderà ogni sua attività.

Per tutti i DGSA di ruolo e per tutto il personale ATA, il 18 è una giornata di lutto.

Con la firma di questo vergognoso atto, muore la possibilità di valorizzazione dei DSGA in qualità di unici funzionari dello Stato, muore la possibilità di un riconoscimento economico e giuridico dopo anni di sopportazione, di soprusi e di angherie da parte dell’Amministrazione, di reggenze non retribuire, di compensi non garantiti e di risorse economiche promesse poi sempre negate: Titolo di accesso ridotto, dequalificazione a funzionario facente funzione per poi dover ottenere un incarico triennale per tornare DSGA, dopo aver vinto un concorso pubblico da DSGA con laurea specialistica, reggenze d’ufficio senza retribuzione, nessun aumento dell’indennità ferma da oltre 16 anni, mentre il FUN dei DS ogni anno cresce.

Muore il 18 la possibilità di creare una macchina amministrativa moderna, con un funzionario preparato chiamato a sostituire il DSGA in caso di assenza, sostituito da un “clone” di un collaboratore scolastico, una via di mezzo tra un CS e un AA e che non risolverà alcun problema, anzi! Muore la possibilità di una valorizzazione del Personale ATA di cui si blocca ogni possibilità di sviluppo giuridico ed economico futuro.

L’Amministrazione sceglie la strada di valorizzare solo pochi docenti scelti accuratamente dai dirigenti, assegnandogli titoli accademici altisonanti, mentre si accorpano le scuole, tagliando solo posti da DSGA e di ATA!

Ecco.

Allora il 18 non è il caso di arrovellarsi per risolvere i problemi della propria scuola.

Chiederemo ai Dirigenti e al MIM. Alle OOSS firmatarie di questo CCNL.

Vi chiediamo di pre-aderire al nostro ricorso contro questo CCNL: https://forms.gle/p98WeoZScUQyJeC16




DSGA, ma nemmeno fossero dei pariah…

La questione del trattamento dei direttori dei servizi generali ed amministrativi (DSGA) e del personale ATA da parte dello Stato può essere analizzata da diverse prospettive, considerando vari aspetti come la normativa, le politiche di gestione delle risorse umane, la cultura organizzativa del settore pubblico e le dinamiche socioeconomiche.

Iniziamo subito con l’osservare che lo stipendio sia dei DSGA che del personale ATA non è assolutamente adeguato al carico di lavoro a cui gli stessi sono quotidianamente sottoposti.

Negli ultimi anni sulle segreterie scolastiche è stato scaricato di tutto, dalle pensioni al lavoro che dovrebbero fare i revisori, poi i PON fino al PNRR, per non parlare del fatto che spesso i DSGA sopperiscono alle attività invece in carico ai Dirigenti Scolastici.

Da questo punto di vista il ministero dell’istruzione si è dimostrato particolarmente assente nella difesa di questa categoria, peraltro nemmeno i sindacati si sono mossi benissimo, arrivando anche a ridurre  la loro professionalità firmando un contratto umiliante per questi lavoratori.

Nemmeno vogliamo entrare nel tema della mancanza di personale, del fatto che non ci sono corsi adatti alla preparazione professionale, che il personale ha un turnover talmente alto che le segreterie ormai non formano nemmeno più i nuovi arrivi “tanto tra un anno se ne vanno”, che ci sono un sacco di posti vuoti da DSGA e che molti sono coperti con ATA facenti funzione (alcuni da più di 10 anni) a cui lo stato manco fa la cortesia di stabilizzarli, insomma una vera ingiustizia per non dire porcheria che questa politica non smette di fare.

Infine le segreterie sono sempre sottoposte all’infinto giochetto di “ops abbiamo cambiato tutte le procedure senza dirtelo, però c’è un bel webinar che ti puoi vedere quando vuoi anche da casa il sabato e la domenica…”, ma chi attiva queste cose non si vergogna a morte come un verme nudo ??

Non ci si rende conto che buttare così alla rinfusa procedure ed attività senza aver prima capito i carichi di lavoro esistenti e la saturazione delle segreterie è un danno enorme anche fisico verso i lavoratori che subiscono stress infiniti???

Comunque, caro ministero, se non informi e formi prima di attivare cambiamenti organizzativi porti caos sul caos. 

Va beh, gente sbagliata al posto sbagliato.

Diamo però uno sguardo più profondo a questo mondo e vediamo cosa troviamo.

Vi sono alcuni filoni di riflessione che per brevità tratteremo solo come spunti, vediamoli assieme.

Normativa e Politiche Pubbliche: La posizione e il trattamento dei DSGA nello Stato sono regolati da leggi e regolamenti che stabiliscono il loro status, i loro diritti e i loro doveri.

Spesso, anzi sempre, i cambiamenti legislativi e le politiche di austerità influenzano negativamente le condizioni di lavoro di questi professionisti.

Tagli al bilancio, congelamento degli stipendi e riduzione del personale aumentano il carico di lavoro e ridurre le risorse disponibili, influendo negativamente sul morale e sul benessere dei lavoratori.

Ruolo e Percezione: I DSGA, occupandosi di compiti amministrativi, non sono visti come centrali nelle missioni primarie delle istituzioni pubbliche, a differenza di ruoli più direttamente legati all’erogazione dei servizi.

Questa percezione porta a una valutazione meno positiva del loro contributo e, di conseguenza, a una minore attenzione alle loro esigenze e al loro sviluppo professionale.

Cultura Organizzativa: la cultura organizzativa nel settore pubblico, che non c’è , influenza il modo in cui i DSGA vengono trattati.

Poiché la cultura prevalente è quella della rigidità, della gerarchia e della burocrazia, non esiste spazio per il riconoscimento dell’innovazione e dell’efficienza, qualità che spesso i DSGA portano nel loro lavoro.

Sfide e Stress Lavorativo: i DSGA affrontano molteplici sfide, come la gestione di risorse limitate, la necessità di adempiere a complesse normative e la gestione delle aspettative di diverse parti interessate.

Questi fattori generano un elevato livello di stress lavorativo, che non è adeguatamente riconosciuto o gestito dalle istituzioni pubbliche.

Dinamiche Socio-Economiche: il contesto socioeconomico più ampio, che include la situazione economica del paese, le politiche di spesa pubblica e le priorità politiche, influenza il trattamento dei DSGA.

In periodi di crisi economica o di austerità fiscale, il settore pubblico, inclusi i DSGA, subiscono tagli e restrizioni.

In conclusione, il trattamento dei DSGA da parte dello Stato è il risultato di una complessa interazione  tra fattori normativi, organizzativi, economici e culturali.

È importante che le istituzioni pubbliche riconoscano il valore e il contributo dei DSGA e degli ATA per garantire un ambiente di lavoro equo e sostenibile.

Allo stesso tempo, è cruciale per lo sviluppo di politiche più efficaci e per una migliore gestione delle risorse umane nel settore pubblico, una comprensione più profonda delle sfide affrontate da questi professionisti.

Il riconoscimento del ruolo critico dei DSGA può portare a un miglioramento nelle politiche di gestione delle risorse umane, nell’allocazione delle risorse e nel sostegno al loro sviluppo professionale.

Ciò non solo aumenterà la loro soddisfazione lavorativa e il loro benessere, ma avrà anche un impatto positivo sull’efficienza e l’efficacia delle istituzioni pubbliche che servono.

Tuttavia, è fondamentale riconoscere che le condizioni di lavoro e il trattamento dei DSGA possono variare significativamente a seconda del contesto specifico, delle normative locali e delle politiche di gestione specifiche di ciascuna istituzione.

Pertanto, qualsiasi discussione su questo argomento deve considerare queste variabili e le circostanze particolari in cui i DSGA operano.

Ma noi di Betapress diciamo: DSGA e ATA ribellatevi.

 

IL DSGA NON E’ UN SARCHIAPONE!

Concorso DSGA: note di malcostume italiano

DSGA, lo stato bipolare.




Segreteria scolastica, motore di progettualità o Cayenna dei dannati?

Ma la domanda che viene da porsi è: ma quando questo ministero, ministro Valditara, si occuperà delle segreterie scolastiche?

La questione del sovraccarico di lavoro per il personale della segreteria scolastica è un argomento che merita un’analisi approfondita, data la sua rilevanza nel contesto educativo e amministrativo.

Le segreterie scolastiche, infatti, svolgono un ruolo cruciale nel funzionamento quotidiano delle istituzioni scolastiche, gestendo una vasta gamma di attività che vanno dalla burocrazia amministrativa alla comunicazione con studenti, genitori e personale docente.

Il lavoro in segreteria scolastica comprende vari compiti come la gestione dei documenti studenteschi (iscrizioni, trasferimenti, diplomi), la pianificazione e organizzazione di eventi scolastici, la tenuta di registri e archivi, e la comunicazione interna ed esterna.

Questi compiti richiedono attenzione ai dettagli, competenze organizzative, e capacità di lavorare in un ambiente a volte frenetico.

Il sovraccarico di lavoro può essere attribuito a diversi fattori, tra cui la carenza di personale, l’aumento delle responsabilità senza un corrispondente aumento delle risorse, e la necessità di adeguarsi a normative e requisiti amministrativi in continuo cambiamento

Inoltre, l’adozione di nuove tecnologie e sistemi informatici, se da un lato può semplificare alcuni processi, dall’altro può richiedere tempo per la formazione e l’adattamento, aumentando temporaneamente il carico di lavoro.

Un sovraccarico di lavoro per il personale della segreteria può avere ripercussioni negative sull’intera comunità scolastica.

Questo può portare a ritardi nella comunicazione, errori amministrativi, e una riduzione nella qualità del servizio offerto agli studenti e alle loro famiglie.

Inoltre, può influenzare negativamente il benessere e la soddisfazione lavorativa del personale.

Per affrontare questo problema, le scuole potrebbero considerare diverse strategie:

Ridistribuzione del Carico di Lavoro: questo potrebbe includere l’assunzione di personale aggiuntivo professionalmente preparato prima di essere assunto, in modo da evitare un ulteriore onere formativo in carico alle segreterie.

Stabilizzare il personale in modo che non ci sia un continuo ricambio dello stesso.

Evitare passaggi di categoria senza l’adeguato momento formativo.

Comprendere i carichi di lavoro delle segreterie, cosa che ad oggi questo ministero non sembra avere ben chiaro.

SMETTERE DI SUBISSARE LE SEGRETERIE CON ATTIVITA’ ONEROSE.

Formazione e Sviluppo Professionale: Investire nella formazione del personale per migliorare l’efficienza e l’efficacia nel gestire le attività quotidiane.

Miglioramento dei Processi: Semplificare e ottimizzare i processi amministrativi attraverso l’automazione e l’uso di tecnologie più avanzate.

Supporto e Welfare del Personale: Implementare strategie di supporto per il benessere dei dipendenti, come la flessibilità del lavoro, il counseling e programmi di assistenza ai dipendenti.

È fondamentale che le istituzioni scolastiche riconoscano il valore e l’importanza del personale della segreteria.

Investire in risorse adeguate, formazione e supporto può non solo migliorare l’efficienza amministrativa, ma anche contribuire a un ambiente di lavoro più positivo e produttivo, che a sua volta influisce positivamente sull’esperienza educativa degli studenti.

In conclusione, il sovraccarico di lavoro nelle segreterie scolastiche è una questione complessa che richiede un approccio olistico e multi-sfaccettato per trovare soluzioni efficaci.

La collaborazione tra il personale amministrativo, i dirigenti scolastici e le autorità educative è cruciale per affrontare efficacemente questa sfida e garantire il buon funzionamento delle scuole.

Ma certamente prima di tutto e prima di affrontare progettualità complesse, vedasi PNRR, ulteriori sarebbe il caso di mettere a posto il motore della macchina, inutile sovraccaricare le segreterie di ulteriori progetti quando non riescono a fare quelli esistenti.

Forza al lavoro signor Ministro.

 

 

 




Caro Ministro Valditara, tutor di orientamento ma è veramente utile???

La domanda sulla validità e l’utilità dei tutor di orientamento solleva diverse questioni complesse e può essere affrontata da diverse prospettive.

Per sviluppare un’analisi critica, considererò vari aspetti come il ruolo dei tutor di orientamento, la loro efficacia, il contesto educativo e sociale, e gli eventuali limiti e sfide che questo ruolo può comportare.

I tutor di orientamento sono spesso impiegati nelle istituzioni educative con l’obiettivo di fornire guida e supporto agli studenti nel loro percorso accademico e professionale.

La loro funzione primaria è quella di aiutare gli studenti a comprendere le loro opzioni accademiche e di carriera, fornendo informazioni, consigli, e risorse.

Una critica è che l’orientamento fornito da un tutor può essere troppo standardizzato e non adeguatamente personalizzato per le esigenze individuali degli studenti.

Questo approccio “taglia unica” può non essere efficace per tutti gli studenti, specialmente in un contesto educativo sempre più diversificato.

La qualità dell’orientamento fornito può variare significativamente a seconda della formazione e dell’esperienza del tutor.

In alcuni casi, i tutor potrebbero non essere adeguatamente formati o aggiornati sulle ultime tendenze nel mondo dell’istruzione e del lavoro.

Vi è il rischio che gli studenti diventino troppo dipendenti dai tutor per prendere decisioni importanti, invece di sviluppare la capacità di valutare autonomamente le proprie scelte e percorsi.

L’orientamento fornito potrebbe non essere sempre in linea con le reali esigenze del mercato del lavoro, portando gli studenti a perseguire percorsi di studio o carriere meno vantaggiosi.

Il vero orientatore è in realtà il docente che ben conosce, o dovrebbe, il suo giovane allievo, e pertanto per molti studenti, soprattutto in fasi critiche del loro percorso accademico, il docente può fornire supporto essenziale, aiutandoli a navigare in un sistema educativo complesso.

Gli stessi docenti possono agire come un importante collegamento tra gli studenti e le risorse disponibili, come borse di studio, tirocini, e opportunità di studio all’estero, che altrimenti potrebbero essere difficili da scoprire.

Invece di creare dipendenza, un buon docente può in realtà aiutare gli studenti a sviluppare competenze decisionali e di pianificazione autonome, fornendo strumenti e metodi per valutare in modo critico le proprie scelte.

In un contesto educativo che valorizza la diversità e l’inclusione, i docenti correttamente formati ed aggiornati possono svolgere un ruolo cruciale nel supportare studenti con background e esigenze diverse, inclusi quelli con difficoltà di apprendimento o provenienti da contesti svantaggiati.

È importante considerare, inoltre, il contesto in cui operano i tutor di orientamento.

In alcuni sistemi educativi, potrebbero essere sottoposti a pressioni per indirizzare gli studenti verso percorsi specifici che riflettono gli obiettivi istituzionali piuttosto che le esigenze individuali degli studenti.

Inoltre, il rapido cambiamento del mercato del lavoro e l’evoluzione delle carriere richiedono un aggiornamento costante delle competenze e delle conoscenze da parte dei tutor di orientamento.

In conclusione, mentre ci sono critiche valide riguardo all’efficacia e all’approccio dei tutor di orientamento, è anche chiaro che solo i docenti possono svolgere un ruolo significativo nel supportare gli studenti.

Quindi caro Ministro alla fine forse era il caso di valorizzare maggiormente il corpo docente che lei ha a disposizione senza buttare altri soldi, smettendola di umiliarlo con progetti che non valorizzano il ruolo dei docenti.

 




S.P.Q.R.

Ma chi saremmo oggi se ci fosse rimasto qualcosa degli antichi romani?

Che paese avremmo e che ruolo avremmo nel mondo?

Se fossimo riusciti a mantenere quel valore di unità che noi stessi a quel tempo avevamo creato, cosa saremmo ora?

In Italia, l’arte del ‘fare squadra’ è spesso oscurata dall’ombra del campanilismo, dove l’individualismo e le lealtà locali prevalgono sull’unità nazionale e sulla collaborazione.

Questa frase riflette la tendenza storica e culturale italiana a favorire le lealtà locali e l’individualismo rispetto a un senso di unità o collaborazione a livello nazionale.

Il termine “campanilismo” si riferisce proprio all’attaccamento agli interessi e alle tradizioni locali, a volte a scapito di un’efficace collaborazione e solidarietà su scala più ampia.

Cosa ci ha portato questo campanilismo?

Sicuramente ad un nichilismo storico.

.A noi manca il senso della Storia.

Lo abbiamo perso durante il primo novecento, e peraltro si era molto affievolito già partendo dal medioevo.

La mancanza di senso della storia, specialmente nel contesto italiano, è un argomento che merita un’analisi approfondita sotto vari aspetti: storico, culturale, educativo e sociale. 

Per quanto riguarda il contesto Storico e Culturale ci pare logico osservare che l‘Italia si è unificata relativamente tardi rispetto ad altre nazioni europee, nel 1861.

Questo ritardo ha influito sulla formazione di un’identità nazionale consolidata e, di conseguenza, su una percezione comune della storia.

Non giova nemmeno, anche se può in alcuni casi essere un valore, l’eccezionale diversità culturale e linguistica tra le regioni.

Questa varietà, pur essendo a volte una ricchezza, può anche comportare una visione frammentata della storia nazionale.

Non dimentichiamo il periodo del fascismo e la Seconda Guerra Mondiale che hanno lasciato un’eredità complessa.

La difficoltà di elaborare criticamente questo periodo ha spesso portato ad una visione distorta o semplificata del passato, soprattutto perché ci si ostina ad interpretare la storia di quel periodo solo in un senso, demonizzando qualsiasi altra visione.

La Chiesa ha svolto un ruolo centrale nella storia italiana, influenzando non solo la religione ma anche l’educazione e la cultura.

Questo può ha avuto nocivi effetti sulla percezione della storia, privilegiando alcuni aspetti a scapito di altri.

La modalità con cui la storia è insegnata nelle scuole italiane influenza il senso storico degli studenti.

Un approccio che enfatizza la memorizzazione di date e eventi, piuttosto che la comprensione critica, può limitare la percezione della storia come qualcosa di vivente e rilevante.

I mezzi di comunicazione e la letteratura popolare giocano un ruolo fondamentale nella diffusione della conoscenza storica.

La tendenza a semplificare o drammatizzare eventi per scopi narrativi può distorcere la comprensione del passato.

La storia può essere utilizzata dagli attori politici per giustificare azioni presenti o per costruire un’identità nazionale.

Questo uso strumentale può allontanare la popolazione da una comprensione obiettiva e critica della storia.

La mancanza del senso della storia in Italia, come in altre nazioni, è un fenomeno multidimensionale che riflette le sfide educative, le tensioni sociali e le complessità storiche.

Viene il sospetto, che in realtà è una certezza, che questa situazione sia stata voluta, sia per giustificare alcune parti politiche ma anche per anestetizzare il popolo italiano, rimettendo la sua capacità critica in un cassetto.

Milioni di giovani sono stati plasmati al non pensiero, soprattutto negli ultimi decenni, il che porta sicuramente ad una maggiore governabilità della massa, ma di contralto rende ebete un popolo, ne distrugge la comprensione degli eventi, blocca la capacità critica individuale rendendo ameboide il pensiero della massa.

Senatus Populusque Romanus, o prima ancora Senatus Populus Quirites Romani, è la formula con cui con un colpo solo si identificava una nazione ed i suoi appartenenti, con cui un popolo si presentava.

Poche parole che indicavano forza, orgoglio, fierezza, senso di giustizia, futuro, un futuro peraltro durato più di 1000 anni.

Cosa siamo diventati oggi, siamo tornati ad essere una frazione di un popolo, non ci sono più i Romani, ma i laziali, i lombardi, i pugliesi, i siciliani, etc. siamo divisi in regioni.

Perché siamo tornati a ragionare con le frazioni?

Perché è più facile?

Vorrei ricordare che le frazioni esistono perché rappresentano parte di un intero.

Stiamo facendo un danno alle nuove generazioni; obblighiamole a capire la storia, non tanto a saperne le date (anche se servono comunque per dare una linea temporale al senso degli eventi anche attuali).

Sembra logico quello che sto dicendo? Certo che sì, perché non lo stiamo facendo con tutte le forze? perché abbiamo venduto il nostro umanesimo alla facilità delle cose, abbiamo messo la lingua italiana in 700 emoticons, abbiamo relegato la capacità di esprimerci a semplici suoi gutturali dell’età della pietra.

Stiamo tornando ad un livello espressivo che viene relegato a poche espressioni, e come può un giovane esprimere quello che ha dentro se ha solo 700 faccine, peraltro tutte uguali, come può esprimere la sua diversità, il suo valore individuale, le sue peculiarità, se lo può fare con un linguaggio talmente limitato che l’aggressività diviene l’unico modo per sfogarsi?

Ma torniamo a fare i conti con la Storia, e pensiamo che il contesto Storico e Culturale in cui gli antichi Romani vivevano era  completamente diverso.

La loro identità era fortemente legata alla città di Roma e allo stato romano.

La loro concezione di patriottismo era legata all’espansione e alla grandezza di Roma, che vedevano come una manifestazione diretta della loro superiorità e destino.

In aggiunta i  Romani erano educati fin dalla nascita a rispettare le leggi, onorare gli dei e venerare Roma.

Questa educazione, unita a un forte indottrinamento, contribuiva a creare un senso di lealtà e dedizione allo stato.

Per giunta la militarizzazione della Società era profondamente radicata.

Il servizio militare non era solo un dovere ma anche un onore, e l’esperienza condivisa nell’esercito rafforzava il senso di appartenenza e fedeltà a Roma.

Oggi invece l‘Italia moderna si è formata solo nel 1861, e prima di ciò era divisa in numerosi stati e entità politiche con forti identità regionali.

Questa frammentazione storica ha lasciato un’eredità di forti identità locali che talvolta prevale sull’identità nazionale.

La società moderna è molto più complessa e diversificata rispetto a quella antica.

L’individualismo, i diritti umani e la democrazia hanno un peso maggiore oggi, cambiando il modo in cui le persone vedono la loro relazione con lo stato.

Nel mondo globalizzato, le persone spesso identificano con più culture e nazioni.

Questo può diluire il senso di patriottismo nazionale, diversamente dall’epoca romana dove l’identità era prevalentemente unica e centrata su Roma.

Quindi, il “patriottismo” dei Romani era un prodotto del loro tempo, cultura e sistema politico, profondamente diverso dal contesto italiano contemporaneo.

Ma la vera domanda non è legata tanto al contesto storico politico, ma a chi vogliamo essere, che tipo di popolo vogliamo rappresentare, che Italiani pensiamo sia giusto essere nel mondo.

Sono convinto che lo studio del senso della storia permetta ai giovani di rispondere a questa domanda, e noi siamo moralmente obbligati a dar loro gli strumenti per comprendere la Storia, il problema è noi li abbiamo? Noi generazione che deve trasmettere, li abbiamo? ed anche, ammesso che li abbiamo, li vogliamo mettere a disposizione di questi giovani? .

Per affrontare questa problematica, è necessario promuovere un approccio critico e inclusivo allo studio della storia, che tenga conto delle diverse voci e prospettive.

Inoltre, è essenziale incoraggiare un dialogo aperto e continuo tra il passato ed il presente, permettendo così una comprensione più profonda e matrice della storia e del suo impatto sulla società contemporanea.

 

 




Ombre di Autorità: l’Impatto del Bossing sulla Cultura e l’Integrità della Pubblica Amministrazione

Nella pubblica amministrazione sempre più si diffonde il fenomeno del “bossing”, ovvero l’abuso di potere esercitato da un superiore nei confronti di un subordinato, diventando un argomento di grande rilevanza nel contesto lavorativo, soprattutto quando coinvolge il settore pubblico e si intreccia con attività illecite di natura politica.

Questa pratica, per sua natura subdola e spesso difficilmente dimostrabile (ma a volte è talmente palese che la sua dimostrazione è nei fatti), può assumere diverse forme e funzioni, incluse quelle di mascherare o deviare l’attenzione da comportamenti illeciti all’interno della sfera politica.

Questa pratica viene spesso utilizzata per far si che il dipendente si licenzi dal posto di lavoro.

 

 Definizione e Caratteristiche del Bossing

 

Il “bossing” si distingue dal mobbing in quanto è caratterizzato da un abuso di potere verticale (dall’alto verso il basso), piuttosto che orizzontale (tra colleghi). Le azioni che rientrano in questa categoria possono includere:

 

– Pressioni indebite: Il superiore esercita pressioni ingiustificate sul dipendente, spesso con richieste irragionevoli o con termini di esecuzione impossibili; spesso vengono avviate contestazioni al dipendente, demansionamenti, limitazioni del suo contesto professionale.

– Isolamento e marginalizzazione: Il dipendente viene escluso dalle decisioni, dalle comunicazioni importanti o dalle attività di gruppo, rendendolo isolato all’interno dell’organizzazione, si arriva addirittura a chiedere a terzi di non entrare più in contatto con il dipendente oggetto del bossing.

– Denigrazione e discreditamento: Attacchi alla professionalità e alla reputazione del dipendente, con lo scopo di minarne la credibilità e l’autostima.

 

 Il Bossing nel Contesto della Pubblica Amministrazione e della Politica

 

Nel settore pubblico, il bossing può essere particolarmente insidioso. I dipendenti pubblici, spesso sottoposti a un controllo rigoroso e a una gerarchia ben definita, possono essere più vulnerabili a questo tipo di abuso. Inoltre, quando il bossing si intreccia con la politica, le sue implicazioni diventano ancora più gravi:

 

  1. Copertura di Attività Illecite: In alcuni casi, il bossing può essere usato per distrarre, intimidire o silenziare i dipendenti pubblici che potrebbero essere testimoni o avere conoscenza di attività illecite all’interno dell’amministrazione.

  

  1. Controllo e Manipolazione: I politici o i dirigenti possono usare il bossing come strumento per mantenere il controllo sull’organizzazione, garantendo che le attività illecite o i comportamenti eticamente discutibili rimangano nascosti, spesso i politici esercitano la loro influenza chiamando i superiori del dipendente per chiedere la sua rimozione.

 

  1. Creazione di un Clima di Paura: Un ambiente di lavoro in cui il bossing è diffuso può generare un clima di paura e di sottomissione, dove i dipendenti sono meno propensi a denunciare irregolarità o ad esprimere opinioni critiche.

 

 Conseguenze e Interventi

 

Le conseguenze del bossing possono essere devastanti sia per il singolo che per l’organizzazione nel suo insieme.

Per il dipendente, possono verificarsi problemi di salute mentale, stress, perdita di autostima e di fiducia nel sistema.

Per l’organizzazione, si rischia di creare un ambiente di lavoro tossico, con bassa morale, alta rotazione del personale e perdita di efficienza.

 

Per contrastare il bossing, soprattutto nel contesto pubblico, è fondamentale:

 

– Promuovere una Cultura Organizzativa Positiva: Creare un ambiente di lavoro basato sul rispetto reciproco, sulla trasparenza e sull’integrità.

– Formazione e Sensibilizzazione: Educare i dirigenti e i dipendenti sui temi del bossing e sulle sue conseguenze.

– Canali di Denuncia Protetti: Assicurare che esistano canali sicuri e confidenziali per segnalare casi di abuso di potere.

– Interventi Normativi e Legislativi: Implementare leggi e regolamenti che tutelino i lavoratori dal bossing e che promuovano la responsabilità e l’etica nel settore pubblico.

 

In conclusione, il bossing, soprattutto quando si intreccia con attività illecite in ambito politico, rappresenta una problematica complessa che richiede un approccio olistico e multidisciplinare per essere efficacemente contrastata.

La sua esistenza e persistenza in ambienti lavorativi, in particolare nel settore pubblico, è un campanello d’allarme che richiede un’attenzione e un intervento costanti da parte di enti governativi, organizzazioni sindacali, e della società civile nel suo complesso.

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