Ashampoo_Snap_venerdì 15 novembre 2024_22h49m21s_005_ChatGPT - DALL�E - Google Chrome

Il caso di Christian Raimo, docente e scrittore sospeso per tre mesi dall’insegnamento con una decurtazione del 50% dello stipendio per aver criticato il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, solleva questioni rilevanti riguardo all’uso del potere disciplinare nelle istituzioni educative e al rispetto dei diritti fondamentali, come la libertà di espressione.

Durante un dibattito pubblico alla festa nazionale di Alleanza Verdi e Sinistra, Raimo ha espresso critiche nei confronti del Ministro Valditara, utilizzando termini come “cialtrone” e “lurido” e paragonandolo alla “Morte Nera” di Star Wars, invitando alla mobilitazione contro di lui.

Pur non apprezzando una critica così colorata in un dibattito pubblico, pare poco consono che queste dichiarazioni abbiano portato l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio ad emettere un provvedimento disciplinare che prevede la sospensione dall’insegnamento per tre mesi e la riduzione dello stipendio del 50%.

Suddetto provvedimento viola comunque il diritto alla proporzionalità, sancito dalla legge e pertanto sarebbe illegittimo; è anche vero che abbiamo evidenza di provvedimenti anche verso dirigenti del ministero con sospensione del 100% dello stipendio e su basi ancor più assurde (ne scriveremo più avanti).

Secondo l’ordinamento giuridico italiano, le sanzioni disciplinari nei confronti dei docenti sono regolate dal Decreto Legislativo 297/1994. Le sanzioni variano dalla censura alla sospensione dall’insegnamento, fino alla destituzione nei casi più gravi

Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che il potere di sospensione dei docenti spetta unicamente all’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD) e non al Dirigente Scolastico.

Nel caso di Raimo, il provvedimento è stato emesso dall’Ufficio Scolastico Regionale, che ha ritenuto le sue dichiarazioni offensive e in violazione dei principi di rispetto reciproco e dialogo civile

Tuttavia, alcuni esperti sostengono che tali dichiarazioni, sebbene forti, rientrino nell’ambito della libertà di espressione garantita dall’articolo 21 della Costituzione italiana.

La libertà di espressione è un diritto fondamentale in una società democratica. I docenti, in quanto cittadini, hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni, anche critiche, nei confronti delle istituzioni e dei loro rappresentanti. Secondo il sociologo Giovanni Moro, “limitare la libertà di espressione dei docenti significa compromettere la funzione critica e riflessiva che l’educazione dovrebbe promuovere”.

Inoltre, il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli sottolinea che “l’uso del potere disciplinare per reprimere opinioni critiche costituisce un abuso e una distorsione delle finalità educative delle istituzioni scolastiche”.

Un elemento problematico del potere disciplinare è la sua natura intrinsecamente squilibrata: l’autorità che esercita il giudizio è spesso anche parte interessata del procedimento.

Nel caso di Raimo, l’azione è partita dall’Ufficio Scolastico Regionale, ma il contesto delle critiche, rivolte al Ministro in carica, rende evidente un conflitto d’interesse implicito.

Come osservava Seneca, “Cuius est commodum, eius est periculum”: chi trae vantaggio da una decisione dovrebbe essere escluso dal determinarla, per evitare che il potere venga distorto a fini personali.

La giustizia disciplinare è spesso più immediata e diretta rispetto a quella della magistratura.

Nel procedimento disciplinare, l’autorità ha ampi margini di discrezionalità e non è sottoposta alle stesse garanzie di imparzialità previste nei procedimenti giudiziari.

Questo significa che, nel momento in cui una sanzione viene irrogata, il rischio di un abuso è più alto, poiché manca una separazione netta tra chi accusa e chi decide.

In questo caso, il Ministro, invece di utilizzare gli strumenti della giustizia ordinaria, come una querela per diffamazione (prevista dall’articolo 595 del Codice Penale), ha permesso che il sistema disciplinare fosse utilizzato per reprimere un dissenso, piegandolo a fini politici.

Come ammoniva Cicerone: “Summum ius, summa iniuria”, il massimo esercizio del diritto può talvolta trasformarsi nella massima ingiustizia.

Se le dichiarazioni di Raimo sono state ritenute diffamatorie, la procedura appropriata sarebbe stata una querela per diffamazione da parte del Ministro Valditara in qualità di persona offesa. La diffamazione è un reato previsto dall’articolo 595 del Codice Penale italiano e prevede che la persona offesa possa agire legalmente per tutelare la propria reputazione.

L’utilizzo del potere disciplinare in questo contesto appare quindi inappropriato e potrebbe configurarsi come un abuso di potere.

La scelta di ricorrere al potere disciplinare evidenzia una volontà di punire in maniera più diretta e rapida, bypassando le garanzie di un processo equo.

Come diceva Ulpiano, “Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi”: la giustizia consiste nel dare a ciascuno il suo, e ciò implica un processo equo e imparziale.

La decisione di sospendere Raimo non solo appare sproporzionata, ma evidenzia un livello particolarmente basso nell’uso del potere.

Come osserva il filosofo Michel Foucault, il potere disciplinare agisce non solo per punire, ma per normalizzare, imponendo un controllo sugli individui attraverso la paura e la sanzione.

Questo è particolarmente grave in un contesto educativo, dove il compito principale è promuovere la libertà di pensiero.

Inoltre, l’utilizzo del potere disciplinare per fini personali o politici delegittima l’intera istituzione, trasformandola in uno strumento di repressione piuttosto che di giustizia.

Come sottolineava Tacito, “Corruptissima re publica plurimae leges”: quando lo Stato è profondamente corrotto, proliferano le leggi e, potremmo aggiungere, gli abusi di potere.

Il caso di Christian Raimo evidenzia le tensioni tra il diritto alla libertà di espressione e l’uso del potere disciplinare nelle istituzioni educative.

Volendo ulteriormente approfondire pare che il caso di Christian Raimo, sospeso come sopra detto per tre mesi dall’insegnamento per dichiarazioni critiche nei confronti del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, può essere emblematicamente confrontato con l’immagine del “colosso dai piedi d’argilla”.

Questo celebre simbolo, tratto dalla Bibbia (Libro di Daniele 2:31-34), rappresenta una figura apparentemente maestosa e imponente, ma che poggia su una base fragile, destinata a crollare al minimo scossone. Un’analogia che ben si adatta al modo in cui il potere si manifesta in questa vicenda: forte e pervasivo in apparenza, ma intrinsecamente vulnerabile per la debolezza dei principi su cui si fonda.

La decisione di sospendere Raimo rappresenta un’espressione del potere disciplinare esercitato in maniera rapida e senza il contraddittorio che caratterizza la giustizia magistratuale. Il sistema disciplinare, infatti, consente un intervento diretto e immediato, che appare più certo rispetto ai lunghi tempi e agli esiti incerti della magistratura. Tuttavia, proprio questa immediatezza rivela una fragilità strutturale: la mancanza di un controllo esterno e imparziale rende tale potere vulnerabile agli abusi e alle strumentalizzazioni.

Nel caso specifico, il Ministro Valditara, sebbene non direttamente coinvolto nel procedimento disciplinare, rappresenta l’autorità che Raimo ha criticato, creando un’inevitabile associazione tra il potere politico e quello disciplinare.

Qui emerge l’immagine del “colosso”: un potere che si impone con forza, ma che, nel piegare la disciplina a scopi repressivi, si rivela privo di solide fondamenta etiche e giuridiche.

Nella visione di Daniele, il colosso rappresenta un regno imponente ma intrinsecamente fragile, perché i suoi piedi, fatti di ferro e argilla, non sono in grado di sostenere il peso della struttura. Allo stesso modo, un potere che si regge su strumenti coercitivi o che abusa della sua posizione per reprimere il dissenso è destinato a crollare.

Come scriveva il giurista e filosofo Hans Kelsen, “un potere che non si fonda sul diritto è come un edificio senza fondamenta”.

La sospensione di Raimo non si basa su un principio di giustizia imparziale, ma sull’uso strumentale del potere disciplinare.

Questo atto, lungi dal rafforzare l’autorità, la indebolisce, poiché mina la fiducia nelle istituzioni educative e nel loro ruolo di garanti della libertà di espressione. Come il colosso, il sistema disciplinare appare imponente, ma è fragile, poiché manca del cemento morale necessario a sostenere le sue decisioni.

La fragilità di un potere percepito come abusivo si manifesta nelle reazioni che esso suscita. Nel caso di Raimo, intellettuali, docenti e cittadini hanno espresso solidarietà e critiche al provvedimento, evidenziando come tale decisione rappresenti un pericoloso precedente per la libertà accademica e di espressione.

Questo tipo di mobilitazione sociale è l’elemento che può scardinare il “colosso dai piedi d’argilla”, facendo emergere le contraddizioni e le ingiustizie del sistema.

Secondo il sociologo Pierre Bourdieu, “il potere si legittima solo quando è accettato dai dominati come giusto e necessario”.

In questo caso, la sospensione di Raimo non appare né giusta né necessaria, ma piuttosto un atto punitivo che tradisce una debolezza strutturale: la mancanza di un dialogo aperto e di un confronto democratico.

La figura del “colosso dai piedi d’argilla” non è nuova nella storia.

L’abuso del potere per reprimere il dissenso si è spesso rivelato controproducente, come dimostrano numerosi esempi storici.

Durante il regime fascista, il controllo autoritario sulle istituzioni educative e culturali mirava a silenziare le voci critiche, ma la repressione non fece che alimentare la resistenza e minare la legittimità del regime stesso.

Allo stesso modo, la sospensione di Raimo potrebbe avere l’effetto opposto a quello desiderato, rafforzando la consapevolezza sociale sull’importanza della libertà di espressione e del diritto alla critica.

Il caso Raimo evidenzia come l’esercizio del potere disciplinare, quando utilizzato in maniera impropria, trasformi l’apparente forza delle istituzioni in una debolezza evidente.

Il potere che si manifesta come un “colosso dai piedi d’argilla” è destinato a crollare, poiché privo di fondamenta solide come il diritto, l’equità e la trasparenza. In una democrazia, la forza delle istituzioni non risiede nella capacità di reprimere il dissenso, ma nella capacità di accettarlo e gestirlo in modo giusto e proporzionato.

Come ammoniva Orazio: “Parturient montes, nascetur ridiculus mus”, le grandi minacce spesso producono risultati insignificanti, e così è per un potere che, nel cercare di mostrarsi imponente, rivela la sua intrinseca debolezza.

In ogni caso l’adozione di un provvedimento disciplinare per dichiarazioni critiche rivolte a un rappresentante istituzionale solleva dubbi sulla legittimità e sull’appropriatezza di tali misure.

È fondamentale garantire che le istituzioni educative rimangano spazi di libero confronto e critica, elementi essenziali per la crescita democratica e culturale della società.

 

Le “verità” effimere di Valditara

 

Dirigenti esterni nella PA??? Troppe differenze non solo culturali!!!

Il Tentativo di Limitare la Libertà di Stampa da Parte del Governo passa per l’intimidazione?

 

WP to LinkedIn Auto Publish Powered By : XYZScripts.com