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Ammettiamolo, nonostante il rituale della convocazione istituzionale, non è facile pensare un 25 aprile difficile come questo.

Il calendario si conferma il solito luna-park.

Che siano week libresche, o apericene sensoriali, sul piano culturale e politico sembra di essere sul set di plastica di una fiction sul mondo nuovo.

Piuttosto mal riuscita.

Se questo è il quadro, dove opposizione e dissenso possono esistere solo ritagliandosi momenti di solitudine, lo spazio pubblico e anche le cene tra amici ormai sono divenuti luoghi della rimozione, parliamo forse di guerra?

come è possibile che giovedì prenda forma la prima grande manifestazione popolare contro tutti i massacri in corso e futuri?

Sarà certamente un corteo disunito, forse litigioso e rancoroso, speriamo senza censure o auto censure, che è anche peggio.

E del resto la crisi della rappresentanza da anni è palpabile proprio in questa occasione.

Ecco perché c’è uno strano silenzio attorno a questo settantanovesimo anniversario della Liberazione.

Ne riparleremo dopo il 25, le elezioni europee sono alle porte.

La sensazione che il corso degli eventi segua una logica inesorabile è forte e prevalgono sentimenti di impotenza e rassegnazione.

E un sentimento diffuso di sgomento e paura.

Paura per la guerra, per la postura guerrafondaia delle élite europee che genererà nuovi conflitti e per tragedie che non riusciamo nemmeno a nominare.

Ma in questa occasione, che ogni anno celebra la liberazione, nessuno può dare lezioni su come bisogna starci e con quali «parole d’ordine», perché la democrazia è anche conflitto e dissenso.

La Storia con tutti i suoi orrori non si cancella ma se c’è il sole, e non farà tanto freddo, noi che possiamo permettercelo, saremo anche un po’ felici.

 

#realtaaumentata di Barbara de Munari

 

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