SSSS: tutto legato allo sport.

Studio, Sport, Sacrifico e Successo iniziano tutte con la stessa lettera “S”.

Le prime due sono legate, grazie alle seconde, da un rapporto di amore ed odio.

Lo studio e lo sport tendono ad avvicinarsi perché in fondo sono due facce della stessa medaglia, la persona umana che naturalmente vuole tendere a migliorarsi.

Queste hanno un grande nemico che si chiama “tempo”, il tempo che abbiamo a disposizione che, purtroppo, è sempre limitato, è proprio lui che cerca sempre di escludere lo Studio dallo Sport e viceversa.

Per ottenere successo bisogna applicarsi, allenarsi, migliorarsi e questo richiede tempo sia nello Studio che nello Sport. Per potersi cimentare in entrambi è necessario il sacrificio che significa organizzare al meglio il proprio tempo e rinunciare a molte delle attività ludiche che normalmente si presentano ai ragazzi.

Io sono sempre stato un privilegiato in questo senso, non per meriti particolari ma per un mix di fortuna ed intuizione dei miei genitori. Nella scuola dove ho frequentato le elementari e le medie, la Laura Sanvitale di Parma, la mia attività sportiva e soprattutto i risultati positivi che ne conseguivano, è sempre stata supportata.

All’ingresso della scuola c’era una bacheca dove venivano affisse notizie ed avvisi riguardanti la scuola. Un giorno, entrando, ho visto appeso un articolo che parlava dell’ultima gara che avevo vinto e questo mi ha riempito di orgoglio.

Molto simile è stata la situazione al liceo, lo scientifico “San Benedetto”, sempre a Parma, dove, anche se le giornate di assenza da scuola inevitabilmente aumentavano perché le trasferte erano sempre più lontane, ho trovato sempre professori che vedevano di buon occhio la pratica sportiva.

Importante è stato instaurare, fin da subito, un rapporto di estrema trasparenza e in questo sono stato facilitato dal fatto che il Prof. di Educazione Artistica, Antonio Figna, giocava a golf e quindi poteva comprendere la lunghezza delle trasferte e il Prof. di matematica, Gino Passigatti, è un appassionato nuotatore, oltre che un tifosissimo della Roma. Il clima di comprensione dello Sport unito a risultati mediamente buoni hanno sicuramente aiutato il mio percorso scolastico.

Dopo il liceo ho proseguito alla facoltà di Ingegneria, dell’Università degli Studi di Parma. Anche in quel caso sono stato molto fortunato e ho trovato professori disponibili come la prof di disegno o quello di informatica. Tuttavia seguire le lezioni ed essere presente ed attivo agli allenamenti non era certamente facile. Ad un certo punto, considerando le normali sessioni d’esame diventava particolarmente difficile.

Nel 2008, con l’infortunio, temevo che lo studio avesse perso ogni speranza di continuare a far parte della mia vita. Gli allenamenti dovevano essere doppi, inizialmente per riabilitarmi poi per recuperare uno stato di forma accettabile. Ho sempre mantenuto attiva la mia iscrizione universitaria, con la speranza che prima o poi sarei stato in grado di fare qualcosa di più.

Sulla porta della mia stanza in casa ho una frase che racconta la vita di Abraham Lincoln e dice così:

He failed in business in ’31. He was defeated for state legislator in ’32. He tried another business in ’33. It failed. His fiancee died in ’35. He had a nervous breakdown in ’36. In ’43 he ran for congress and was defeated. He tried again in ’48 and was defeated again. He tried running for the Senate in ’55. He lost. The next year he ran for Vice President and lost. In ’59 he ran for the Senate again and was defeated. In 1860, the man who signed his name A. Lincoln, was elected the 16th President of the United States. The difference between history’s boldest accomplishments and its most staggering failures is often, simply, the diligent will to persevere.

Ecco che forse la voglia di perseverare ha avuto ragione anche questa volta.

L’occasione è arrivata nel 2014 quando, per la mia passione politica ho iniziato a seguire un corso intitolato la Politica 2.0 all’Università Telematica Pegaso. Ero veramente felice quando ho scoperto di poter studiare nuovamente e da li ho ripreso il mio percorso di studi passando da ingegneria a giurisprudenza.

Non so se nel 2003, quando i Ministri Moratti e Stanca vollero aprire la possibilità anche in Italia alle Università Telematiche o nel 2006 quando il dott. Danilo Iervolino, l’ideatore e presidente di UniPegaso, avessero o meno in mente il mondo dello Sport.

Sta di fatto che, anche se ancora troppo poco pubblicizzato e con qualche luogo comune di troppo, hanno creato dal punto legislativo i primi, da quello imprenditoriale pratico il secondo uno strumento che potrà cambiare drasticamente il rapporto tra gli sportivi e l’Università.

In occasione di una delle lunghe e proficue chiacchierate con il dott. Roberto Ghiretti, titolare dell’omonimo studio che si occupa di sport advisoring, ho ricevuto in regalo un libretto intitolato “secondo tempo” commissionato dalla Associazione Italiana Calciatori ed incentrato sulle prospettive che si presentano ai calciatori che terminano la loro attività professionistica.

La lettura, come prevedibile, mi ha coinvolto particolarmente sia per la mia passione per i libri, sia per la materia sportiva. Tuttavia, ho dovuto rileggere più volte la pagina dove si parlava della percentuale di atleti che conseguivano una laurea, circa il 3%*.

Secondo i dati ISTAT del 2017, pubblicati nel 2018, la percentuale di laureati in Italia si attesta al 15,7% e ci posiziona al penultimo posto in Europa.

Il mondo del Calcio in Italia è, per numeri, il più rappresentativo e constatare quanto nei suoi principali atleti, quelli che raggiungono il professionismo, il dato sia un quinto di quello nazionale è emblematico.

Premesso che sono fermamente convinto che la laurea non sia indice di intelligenza, anzi molte delle persone che hanno dimostrato di avere capacità oltre la media non sono laureate a partire da William Henry Gates III (Bill Gates) che grazie alle sue intuizioni ha di fatto rivoluzionato il mondo.

Tuttavia, preso con le dovute cautele, il dato è quasi drammatico perché non tutti sono Bill Gates, o Steve Jobs anche perché molti degli atleti in questione sono già stati “fuori dalla norma” nella loro disciplina.

La formula telematica per lo studio può diventare una soluzione ottimale per gli sportivi. Questo si può verificare spiegandone le potenzialità per quanto riguarda il tempo.

Nella mia esperienza all’UniPegaso, ho potuto visualizzare le lezioni comodamente dal computer in casa o in una camera d’albergo durante le gare, ho potuto scegliere fra le molte opzioni di date e sedi per sostenere gli esami e, forse una cosa ancora più importante, ho avuto degli insegnanti straordinari.

Un altro punto a favore delle università telematiche è proprio quello di poter avere dei docenti di altissimo livello, in quanto anch’essi non sarebbero più obbligati alla presenza in aula ad ogni lezione ma possono comodamente registrarla e lo studente, come detto, può visualizzarla quando è più opportuno.

Ritengo questo punto estremamente accattivante per gli sportivi in quanto uno atleta è abituato a competere e vuole vincere per questo cerca di circondarsi sempre del meglio: dal tecnico al preparatore atletico, dal caddie nel golf al procuratore nel calcio e sapere anche nell’università di poter apprendere dal meglio sicuramente gli consente di sentirsi soddisfatto.

Non intendo dire che nelle università convenzionali i professori siano meno capaci. Sicuramente quanto detto è un valore aggiunto per l’attrattiva delle telematiche verso il mondo sportivo.

Non tutto è “rose e fiori”. Naturalmente si contrae il rapporto ed il confronto con gli altri studenti che, così come alcune attività laboratoriali, possono essere dei momenti estremamente formativi che, per ora, sono riservati alle Tradizionali.

Spero tuttavia che ci possa essere più sinergia tra entrambe le modalità per agevolare gli sportivi, non certo per i profitti, quanto per concedere la possibilità di proseguire gli studi a tutti quelli che hanno anche altre attività, in particolare quelle sportive che hanno in media una continuità molto ridotta nel tempo ma che richiedono il massimo della dedizione.

 

*3,8% riferito ai calciatori professionisti nella stagione sportiva 1992/1993

 

 

 

 

 

Andrea Vaccaro




SCI, SCI, SCI…

 

Ho iniziato a sciare quando avevo una decina d’anni grazie alle settimane bianche organizzate dalla scuola che frequentavo, la Laura Sanvitale di Parma.

Da lì, quello con lo sci, è sempre stato  un rapporto particolare: da un lato mi è sempre piaciuto perché sciare, come giocare a Golf, è una di quelle poche discipline nelle quali esiste una pratica non agonistica che consente comunque una buon livello di divertimento e competizione, dall’altro ho sempre avuto paura di eventuali infortuni e, va da se, che la paura di qualcosa è forse peggio dell’eventualità negativa stessa.

Sono andato con regolarità in montagna nelle occasioni dove c’era un gruppo che mi coinvolgeva; prima il mio vicino di casa Rocco e poi il mio amico Pimpi, che si è recentemente stupito delle mie capacità dopo qualche anno d’inattività.

A dire il vero non sono mai stato un bravo sciatore, mi limito a scendere le piste abbastanza lentamente con una certa regolarità e pochissime cadute (questa sulla fiducia NdR).

Di recente sono stato a Skipass, la principale fiera di settore in Italia, che si svolge alle Fiere di Modena. Grazie all’amico e Delegato del CONI Point di Modena, Andrea Dondi, ho potuto conoscere i presidenti, regionale e nazionale, della FISI (Federazione Italiana Sport Invernali).

Da subito sono risultati evidenti la passione e l’impegno che stanno mettendo nelle loro iniziative.

Poi, nella sala principale, è stato spettacolare vedere proiettati i video delle vittorie di due Medaglie d’Oro Olimpiche, quelle di Sofia Goggia e Michela Moioli, rispettivamente nella discesa libera e nello snowboard cross e rivivere i quei momenti che ci avevano incollato alla televisione, con le vincitrici sedute davanti.

L’Italia, anche grazie alla natura che ci ha regalato delle splendide montagne, ha  spesso ottenuto buoni risultati nelle discipline invernali ma ogni vittoria, sopratutto alle Olimpiadi, ha una storia dietro che è qualcosa di speciale e impareggiabile.

A tal proposito, invito ad andare sul sito del CIO per vedere il video dedicato a Michela Moioli che parte dalla rovinosa caduta nella finale di Sochi alla vetta olimpica di PeyongChang.

Il video di Michela mi ha emozionato anche perché, nel mio piccolo, dall’infortunio che avevo avuto nel 2008 al professionismo nel 2010 ho vissuto tante di quelle sensazioni.

Tuttavia ciò che mi ha impressionato di più nella fiera, da Dirigente, è stato quando ho scoperto maggiormente i dettagli del progetto Cortina 2021.

Cortina nel 2021 ospiterà i Campionati del Mondo di sci. È una delle grandi manifestazioni che si svolgeranno nel nostro Paese nel giro di pochissimi anni.

Solo per citarne alcune abbiamo già visto nel 2018 i Mondiali di Pallavolo, nel 2019 ci sono i Campionati Europei di Calcio Under21 e le Universiadi a Napoli, nel 2020 la partita inaugurale degli Europei di Calcio assoluti e nel 2022 la Ryder Cup di Golf.

Questa è l’Italia che mi piace, quella che accetta le sfide e si prepara al meglio non solo per competervi ma anche per vincerle, partendo dall’organizzazione.

Dal mio punto di vista, le dolomiti di Cortina si stanno preparando nel migliore dei modi per meravigliare quei 500 milioni di persone che di solito guardano le grandi manifestazioni sciistiche in televisione, oltre ai titolari dei più di 150.000 biglietti che saranno venduti per chi vorrà godersi lo spettacolo dal vivo.

Mezzo miliardo di persone potranno, non solo supportare i loro beniamini che sceglieranno tra i circa 600 atleti ed atlete in campo, che si daranno battaglia nei giorni di gara, ma potranno anche ammirare gli impianti, i paesaggi unici che le nostre montagne regalano e, magari, essere invogliati a venire in Italia per le loro prossime vacanze.

Entrando più nello specifico del progetto si evince quanto questo punti su concetti che credo siano fondamentali per lo sviluppo non solo dello sci ma dello Sport in generale.

Uno su tutti è quello delle infrastrutture “L’obiettivo è investire (e favorirei investimenti pubblici e privati) solo su infrastrutture plurifunzionali, che potranno essere utilizzate per un lungo periodo…”.

Nel nostro Paese la maggiore criticità in campo sportivo è quella infrastrutturale.

Oltre ad essere un aspetto critico è anche la maggiore opportunità di crescita che ci troviamo davanti e ogni investimento in tal senso è apprezzabile, a maggior ragione se questo è pensato e realizzato con una visione progettuale di lungo termine.

Il Campionato del Mondo di Sci non sarà un evento “spot” ma il culmine di una serie, che vedrà quasi 30 gare internazionali e le finali della Coppa del Mondo nel 2020.

Questo permetterà anche allo staff organizzativo di testarsi e migliorarsi in previsione del grande evento.

La scorsa estate sono stato a Kazan, in Russia, dove hanno fatto un percorso simile anche se non incentrato su una singola disciplina ma sugli eventi sportivi in generale.

Giusto per elencarne alcuni, hanno ospitato le Universiadi nel 2013, i Campionati del Mondo di Nuoto nel 2015, la Confederations Cup lo scorso anno e i Mondiali di Calcio 2018.

Ho avuto modo di toccare con mano quanto siano importanti infrastrutture plurifunzionali e di alto livello così come la preparazione dei vari comitati organizzatori che, evento dopo evento, riescono a migliorarsi.

Un ulteriore aspetto meritorio dei Campionati del Mondo di Sci a Cortina è la comunicazione.

Già nel 2018, ma il lavoro è sicuramente iniziato molto prima, negli eventi e via social, una campagna per la ricerca di volontari per i giorni della manifestazione e sopratutto nei mesi invernali non si contano le occasioni promozionali che vengono organizzate per coinvolgere ogni fascia di persone che possono avere interesse, o come va di moda dire, ogni tipo di stakeholders, dell’evento.

Sono sicuro sarà un successo per l’organizzazione, per il mondo dello sci, per lo sport ma, soprattutto, per il nostro di Paese!  

 




3200 giovani: il senso del Trofeo CONI Kinder+Sport

Nel 2018, essendo membro della Giunta del Comitato Regionale Emilia Romagna del CONI ho avuto la possibilità di organizzare il Trofeo CONI Kinder+Sport, una sorta di mini olimpiade destinata ai ragazzi Under14, divisi in rappresentative regionali.

A partire dal titolo che unisce il nome del Comitato Olimpico a quello di una importante azienda come Kinder, si vede quanto possa essere utile e proficuo il collegamento tra marchi e Sport.

Nell’edizione 2018, giocata a Rimini, abbiamo visto in campo ben 3200 ragazzi e ragazze che si sono dati battaglia in 45 discipline che derivano da ben 35 Federazioni Sportive Nazionali e 10 Discipline Sportive Associate.

Due sono stati i giorni di gara ai quali se n’è aggiunto uno per la cerimonia di apertura.

Ci vorrebbe molto tempo e spazio per raccontare tutto quello che è stata questa esperienza, per cui mi limito a tre episodi significativi.

Il primo momento è la cerimonia di apertura che si è svolta giovedì 20 settembre nel parco Marecchia di Rimini, davanti al ponte Tiberio.

Il ponte Tiberio è un ponte di epoca romana ed è uno dei monumenti più importanti della provincia riminese.

Io avevo già iniziato a scrivere la mia tesi incentrata sulle evoluzioni del diritto e dello Sport nel tempo e, la prima cosa che ho pensato è che quel ponte, nei suoi duemila anni di storia, ha vissuto dalle Olimpiadi antiche a quelle moderne dei giorni nostri, tutta la parabola dello Sport cosi come lo conosciamo ed è stato emozionante.

Proprio li, seduto al mio posto nelle prime file del parterre allestito per l’occasione, ho visto passare davanti a me, uno ad uno, i 3200 ragazzi, con i circa 800 tecnici alla presenza di migliaia di appassionati e l’atmosfera è subito diventata magica.

Non ho ancora avuto la fortuna di partecipare ad una edizione dei Giochi Olimpici ma la sfilata inaugurale è uno di quei momenti di ritualità dello sport che collegano idealmente atleti da ogni parte del mondo e in ogni tempo.

Verso la fine della cerimonia, il presentatore ha fatto una domanda al Presidente del CONI, Giovanni Malagò il quale ha risposto con una sola parola “felice” e mi perdonerà se prendo in prestito questa sua risposta per definire in modo preciso e sintetico la sensazione che ha avvolto me e tutte le persone che erano li in quel momento.

Eravamo senza dubbio stanchi per aver  fatto le corse per giorni ad organizzare ed allestire i 45 campi di gara, per distribuire tutto il materiare e coordinare l’arrivo di tutti ma eravamo FELICI.

A conclusione della cerimonia c’è stato qualcosa di ancora più bello, l’inno nazionale accompagnato dai fuochi d’artificio che partivano dal ponte e che con i loro giochi di luce ci hanno permesso di vedere che su tutte le sponde si era assiepata una folla imponente di persone incuriosita dalla manifestazione.

Il secondo episodio è del giorno successivo.

Con alcuni delegati provinciali, Antonio Bonetti di Parma, Andrea Dondi di Modena e Stefano Galetti di Bologna, abbiamo fatto un giro di visite ad alcune discipline tra cui quelle della F.I.G.E.S.T. (Federazione Italiana Sport e Giochi Tradizionali) dove i ragazzi si stavano per dare battaglia nella competizione di Freccette, poi una prova veloce dell’Arrampicata e siamo arrivati nuovamente nel parco Marecchia che serviva come campo di gara per varie discipline.

Nel centro del parco avevano allestito una zona per l’Agility, disciplina collegata alla F.I.D.A.S.C. (Federazione Italiana Discipline Armi Sportive da Caccia) stava per iniziare la competizione.

Già era bellissimo vedere i ragazzi prepararsi e concentrarsi con il loro amici a quattro zampe quando il Comitato di gara ha distribuito una lettera a tutti i Partecipanti, di buon augurio per le competizioni, a firma del presidente nazionale della F.I.D.A.S.C.

Inutile dirvi quanto questo piccolo gesto abbia avuto successo tra i ragazzi, alcuni leggevano la lettera a voce alta per farla sentire anche ai loro partner a quattro zampe che, forse non potevano capirne il contenuto letterale, ma sicuramente avranno percepito la gioia e l’emozione dei ragazzi.

L’ultimo episodio arriva dalla terza ed ultima giornata, la seconda di gara, quando mi sono dedicato alle premiazioni.

Nella prima mattinata sono andato ad una disciplina che sinceramente non conoscevo molto e che mi ha stupito in modo estremamente positivo: la Palla Tamburello, dove sono stato accolto dal Vice Presidente nazionale, Flavio Ubiali.

Entrato nella palestra che ospitava la gara ho assistito agli ultimi punti della finale, estremamente combattuta, che mi ha coinvolto in un clima di tifo straordinario, rispettoso ma molto caloroso, che ha sostenuto le squadre impegnate a giocarsi la coppa in un tre contro tre alternato maschi/femmine ed incerto fino all’ultimo punto.

Che bella atmosfera!

Il tutto reso ancora più sportivamente bello quando uno dei ragazzi ha segnalato che un arbitro aveva sbagliato una valutazione a suo favore.

Un fatto che non dovrebbe essere un’eccezione, anche se purtroppo lo è, ma in questo caso ha contribuito ad affermare il vero senso dello Sport.




Lo Sport libero libera lo Sport

Era il 2009, quando i giornali, alcuni dei quali con quel gusto singolare che vede il successo come un male da combattere, titolavano “Briatore radiato dalla F1”.

Per spiegarne il motivo bisogna tornare al 2008, al GP di Singapore, quando un giovane pilota Nelson Piquet Jr., figlio del grande Nelson Piquet finiva contro un muro in quello che lui sosterrà essere un incidente simulato per eseguire un ordine di scuderia arrivato direttamente dal Team Principal della Renault Flavio Briatore, volto a favorire la vittoria dell’altro pilota della stessa scuderia, Fernando Alonso.

Il pilota che, dopo una brillante carriera nelle formule minori, aveva preso parte a 28 GP di Formula 1, ottenendo un podio e 11 ritiri.

Aveva ottenuto 19 punti totali nel campionato 2008 e 0 dopo 10 delle 17 gare nel 2009 che gli sono valsi il licenziamento da parte della scuderia francese.

Per la cronaca un’ulteriore sentenza ha definitivamente revocato la radiazione del Sig. Briatore che ora è perfettamente abilitato per tornare alla guida di un team di F1 anche se, nei successivi otto anni non è mai tornato in pista ma chissà cosa ci riserverà il futuro.

La Formula 1 è ora controllata dalla Liberty Media, una società americana, sicuramente di grande successo in tanti ambiti ma che, per quanto riguarda la massima competizione automobilistica, di certo non ha le idee molto chiare.

Analizziamo due decisioni che, per fare un complimento, definirei non brillanti: la prima trova un esempio lampante in quello che è successo al GP di Monza 2018 dove oltre alla indubbia straordinaria prestazione agonistica di Lewis Hamilton che è andato a vincere la gara dimostrando grandissima abilità, tenacia e determinazione, ha riguardato proprio gli ordini di scuderia.

Andiamo con ordine; il GP, dopo una fase abbastanza movimentata in partenza, vedeva il ferrarista Kimi Raikkonen in testa seguito da l’inglese Hamilton su Mercedes e davanti a loro, ma con un pin stop in meno, c’era il compagno di squadra dell’inglese, Valteri Bottas. Bottas in quel momento ha ricevuto un “team radio” da parte del suo box dove gli hanno detto esplicitamente di rallentare Raikkonen per facilitare il rientro di Hamilton che si era attardato per il combinato disposto di giri molto veloci di Raikkonen e due pit stop differenti; impeccabile quello della casa di Maranello e con qualche errore quello della Mercedes. Il rallentamento ha avuto successo anche perché ha anche causato un deterioramento delle gomme del pilota Ferrari che ne hanno inevitabilmente rallentato le prestazioni.

Rileggendo le prime righe verrebbe da pensare a multe e radiazioni, invece nulla di tutto ciò; tutto regolare. Senza dubbio l’interesse della squadre spesso giustamente prevale sull’interesse del singolo, ma fino a che punto si può arrivare? Che differenza c’è tra fare un incidente per rallentare tutti o frenare e rallentare un solo pilota? Posto che un incidente sia sempre e comunque pericoloso, dove è la differenza tra un caso e l’alto? Quale è il limite?

Per il modesto punto di vista di chi scrive è opportuno considerare due aspetti: innanzitutto è inevitabile che ci siano degli ordini di scuderia, anzi sono parte del gioco, si gioca in Team. Secondariamente è opportuno interrogarsi sul limite che questi possono avere e mi sembra evidente che in tutti gli sport questo debba essere il limite stesso della competizione, nel senso che si deve sempre e comunque ricercare la miglior prestazione, non esclusivamente danneggiare l’avversario.

Il caso di Raikkonen e Bottas è paragonabile ad un calciatore che si invola verso la porta e viene costantemente trattenuto dagli avversari, questo nel calcio sarebbe punito.

La punizione non è dovuta per una fantomatica giustizia divina ma semplicemente perché calerebbe lo spettacolo e snaturerebbe la disciplina. Strano che proprio una società di “media” non capisca quanto questo possa rovinare l’aspetto dello spettacolo e soprattutto il risultato incerto che è una delle discriminanti tra ciò che è sport e ciò che è semplicemente una recita.

Altra decisione, che fa sorridere, è quella di aver proibito le “ombrelline”; normalmente belle ragazze che reggevano un ombrello, da qui il nome, sopra i piloti prima della partenza. Questo giustificato con la farneticante motivazione che screditerebbe il ruolo della donna.

Ora con la stessa motivazione dovremmo vietare i bambini che accompagnano i calciatori in campo perché screditano il ruolo dei bambini. Siamo tutti al corrente della situazione politico sociale degli Stati Uniti e dei vari movimenti nati per evitare varie situazioni spiacevoli, vere o presunte, che pare abbiano visto protagoniste donne del mondo dello spettacolo e non solo, ma questo non consente in alcun modo di cambiare quella che è sempre stata una tradizione, peraltro apprezzatissima.

Cari amici di Liberty Media, leggete il vostro nome “libertà”!

Lo sport è quanto di più libero e democratico esista nella società, siate liberi davvero nelle vostre scelte e prendete esempio dal Principato di Monaco dove si sono rifiutati di applicare questa nuova norma e voi, giustamente, pur di non perdere uno spettacolo unico come il GP di Monaco, avete dovuto accettare che venisse disapplicata.

Iniziate a pensare da sportivi, ai principi dello sport, a favorire il confronto agonistico, incrementando lo spettacolo, senza fare i politicanti che rincorrono un consenso …immediato e spesso effimero.

Viva lo sport!

 




Fare squadra rende squadra!

Da sempre amo la Politica, quella con la P maiuscola, quella del confronto delle idee per trovare la soluzione migliore, quella dove la somma delle persone e dei contenuti, anche i più diversi, è molto di più della semplice somma aritmetica.

Allo stesso modo, non sono mai stato particolarmente interessato a tutto ciò che si ricomprende in urla, insulti, antagonismo, polemica e critiche fine a se stesse, volte a screditare o distruggere.

Non penso di avere titolo per criticare una persona, chi mi conosce sa che non si tratta di modestia o falsa modestia, mi permetto invece di criticare esclusivamente, talvolta anche in modo molto deciso, le azioni compiute.

Ho le mie idee, mi ritengo liberale e moderato; moderato, giusto per fare chiarezza, non significa “mollo”, ricordando una divertente quanto famosa conferenza stampa di un allenatore di calcio.

Quello che abbiamo letto, visto e sentito in questi giorni però non si può proprio leggere, vedere e sentire.

A Tarragona, in Spagna, si sono disputati i Giochi del Mediterraneo, in pratica una mini Olimpiade per i paesi che si affacciano sull’omonimo mare.

L’Italia, la rappresentativa Italiana, si è presentata con 502 atleti che si sono battuti in 31 discipline sportive e si è classificata al primo posto del medagliere con 56 medaglie d’oro e 156 totali.

Vi dirò di più, da quando esistono i Giochi del Mediterraneo, l’Italia è la nazione più vincente con ben 875 medaglie d’oro e più di 2.300 totali.

In questi giorni è apparsa da tutte le parti la foto delle ragazze che hanno vinto la 4x400mt di atletica e si è parlato del colore della loro pelle, con tanto di varie strumentalizzazioni e contro strumentalizzazioni, ma più che il colore della pelle, a mio modo di vedere, era opportuno guardare quello, azzurro Italia, della loro maglia; la stessa maglia che dovrebbero mettere tutti i politici perché chi fa politica rappresenta o si candida a rappresentare tutti noi, proprio come ogni volta che scende in campo la Nazionale.

Dallo Sport, la politica ha tanto, ma tanto, da imparare.

A cominciare dalla capacità di fare squadra; a Tarragona non pensiate che sia stata una gita, ci saranno stati sicuramente dei momenti di sconforto, delusione, difficoltà, fallimento e tensione ma io non ho visto atleti rilasciare dichiarazioni pubbliche incolpando, -magari anche a ragione- l’allenatore, l’organizzazione, gli arbitri o chicchessia.

Se è successo che abbiano esternato le loro motivazioni, l’avranno fatto ai diretti interessati.

Questo non perché non volessero vincere o mettersi al collo una medaglia in più, ci mancherebbe!

Un atleta compete sempre per vincere ma in questo caso c’era una vittoria che andava al di sopra di quella personale e hanno scelto, semplicemente, di contribuire al successo della rappresentativa.

Anche nel calcio, lo sport più conosciuto nella nostra penisola, dove tutti si sentono un po’ allenatori della nazionale, le critiche “pubbliche”, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono fatte dai diretti interessati ma, giustamente, dai commentatori.

Altro tema è quello dell’integrazione, sbandierato ovunque perché evidentemente fa ascolti e vendite, dove la politica preferisce la polemica alle soluzioni invece lo Sport l’ha già fatta e non con numeri e quote; le famose ragazze della 4×400 erano li, non per il colore della pelle o perché si sono integrate bene, ma perché scelte in base ad un criterio molto semplice: erano le più veloci per quella gara!

Cosi come chi ha fatto la staffette maschili o quelle nel nuoto, sono stati scelti sempre con lo stesso criterio. Magari qualcuno dei tanti esclusi, in cuor suo, si sentiva in grado di fare meglio, ma anche questo non l’ho letto sui giornali. Sono anche sicuro che se questo atleta avesse ragione lo leggeremo presto sui giornali, ma per i suoi successi.

Cari amici Politici, se mi permettete un consiglio, non fate i politicanti, quando c’è lo Sport, ascoltate, guardate e leggete, invece che rilasciare interviste o scrivere comunicati e post, prendete spunto e fate anche voi squadra, siate la nostra Rappresentativa Nazionale e, ve lo auguro di tutto cuore, fate come i ragazzi di Tarragona, andate a vincere le sfide che aspettano il nostro Paese, internamente, in Europa e nel Mondo!

 




L’autogol.

Nello splendido pezzo de gli autogol, intitolato “inno dei non mondiali” la voce, (imitata) di Bruno Pizzul, storico commentatore delle partite della nazionale dice “…mondiali 2018 l’Italia scenderà in campo a a a… Formentera!” giusto giusto per ricordarci che in Russia noi non ci siamo.

La canzone poi prosegue con “Quattro anni ad aspettare, che arrivasse il mondiale…” ed è proprio questa la frase che deve farci riflettere.

Più che esultare per l’esclusione della Germania alla fase a gironi credo che sia opportuno iniziare a pensare alla competizione del 2022.

Qualcosa si è mosso: il tanto criticato commissario tecnico Giampiero Ventura è stato esonerato ed al suo posto c’è Roberto Mancini.

Non credo di avere le capacità per giudicare dal punto di vista tecnico ma, sicuramente, un segnale di discontinuità era necessario.

Stessa cosa è successa per i vertici federali che il 6 agosto vedranno il nuovo Presidente della FIGC dopo un commissariamento che il CONI ha voluto prendersi in carico con grande decisione e responsabilità, mettendo Roberto Fabbricini (già Segretario Generale CONI) alla FIGC e con Giovanni Malagò in persona per la lega di Serie A.

Quest’ultima ha già iniziato un nuovo percorso eleggendo Gaetano Miccichè al vertice e assegnato i diritti TV, non senza qualche piccolo giallo, in modo particolarmente innovativo.

Tornando al calcio giocato, l’Italia che è scesa in campo per le amichevoli estive, ha dimostrato un buon gioco e discreti risultati, lasciando ben sperare per il futuro.

I media invece sono stati molto più interessati alla convocazione di Balotelli, sicuramente un ottimo giocatore, con un passato burrascoso fuori dal campo, che ha fatto bene in queste prime uscite, ma pur sempre un giocatore, una parte del grande movimento calcistico italiano. Un giocatore che, peraltro, non siamo certi possa essere uno dei leader della nazionale ai prossimi mondiali.

interessanti anche le suggestioni di una sua possibile fascia da capitano, che addirittura hanno scomodato il Ministro dell’Interno il quale, molto elegantemente e in modo assolutamente condivisibile, ha suggerito di pensare al calcio giocato: “Spero che l’allenatore non scelga per motivi sociologici, filosofici e antropologici.”

Si, perché in qualsiasi squadra ognuno deve fare la parte che gli compete ed in questo caso i giocatori dovranno mettere in campo le loro migliori performance cosi come dirigenti e staff tecnico faranno del loro meglio, ma ognuno nel proprio campo.

A partire dal quell’Europeo Under 21 che si giocherà in Italia e San Marino il prossimo anno. Gia li potremo vedere se l’Italia sarà cresciuta come movimento, lo vedremo dal campo e dal tifo negli stadi, lo vedremo ancora di più dall’atmosfera che si creerà. Abbiamo un’ottima occasione per ripartire alla grande e non possiamo lasciarcela sfuggire, dobbiamo sfruttare fin dal primo minuto i “quattro anni ad aspettare” il prossimo mondiale.

La riforma del calcio, quella grande riforma necessaria per il movimento italiano, non può concretizzarsi nel cambiare braccio alla fascia di capitano, deve invece continuare sulla linea tracciata da Fabbricini e Malagò di un cambiamento strutturale e forse, oggi più che mai, l’Italia ha bisogno dei propri tifosi, meno “CT da bar” e più “supporter” nel difficile momento del rinnovamento, quello che ci porterà ad essere per la quinta volta “Campioni del Mondo”.

 




Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.

Mi perdonerà Vasco Rossi se prendo in prestito le parole di due delle sue canzoni per esprimere un concetto che sono sicuro ci troverebbe d’accordo … con l’unica differenza che quando si parla di accordi (musicali) lui è sicuramente migliore di me:

Sarà colpa del whisky? non credo, indubbie sono le rigide temperature invernali nei paesi del Nord Europa ma da lì a ubriacarsi ce ne passa … e non poco;

o sarà colpa del caffè? nemmeno! quest’ultimo è noto per tenere svegli e qui stiamo parlando di una dormita di più di cento anni.

ma non mi ricordo più di te… eh sì, sembra proprio che nessuno si ricordi più di Pierre de Coubertin, dei Giochi Olimpici e del Comitato Olimpico Internazionale, quando si parla di Nobel per la pace!

e, ancora, abbiamo perso un’altra occasione buona!

Forse .. è colpa d’Alfredo, o meglio di Alfred Nobel, che con i suoi discorsio premi, seri e inopportuni fa sciupare tutte le occasioni… Non credo, anzi mi piace fantasticare che, proprio nel suo ultimo anno di vita, Nobel abbia potuto seguire in qualche modo i primi giochi olimpici dell’era moderna e magari conoscere Pierre de Coubertin, chissà …

padre dei giochi olimpici
Pierre De Coubertin

Ovviamente mai mi permetterei di sostenere che i premi Nobel siano inopportuni, magari qualche assegnazione, o non assegnazione in questo caso, lascia perplessi.

Tra le assegnazioni sicuramente c’è quella all’ex Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama verso la cui azione politica non voglio esprimere giudizi, non spetta a me farlo, ma ai cittadini americani e alla storia.

Naturalmente se, in una delle sue prossime visite in Italia, volesse accettare un mio invito per giocare 18 buche su uno degli splendidi percorsi di golf Italiani sarebbe per me un onore poterne parlare con lui.

Ciò detto, il 44esimo Presidente degli USA ha ricevuto il premio nel 2009 e l’ironia della sorte ha voluto che giusto un anno dopo il giornalista d’inchiesta Bob Woodward, già premio Pulitzer, decidesse di pubblicare un libro dal titolo Obama’s War e due anni dopo lo stesso Presidente portò gli Stati Uniti ad essere parte, come tanti altri Paesi, dell’azione bellica per destituire il leader libico Mu’ammar Gheddafi. 

I Giochi Olimpici, invece, le guerre le fermano.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace. Nell’Antica Grecia, in occasione dei giochi, ogni ostilità si sospendeva e per tutto il loro svolgimento vigeva la “tregua olimpica” un periodo nel quale il confronto si trasferiva esclusivamente nella competizione sportiva.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.
Giochi Olimpici: Nobel per la Pace.

Anche in occasione  dei Giochi Olimpici dell’era moderna, quelli voluti dal Barone De Coubertin, si è sempre cercato di riportare in vigore questa tradizione, divenuta un impegno concreto per i Paesi partecipanti ai Giochi.

Il CIO ha voluto fare anche di più quando, a partire dal 1992 si è adoperato raggiungere quanto inserito nella dichiarazione del millennio delle Nazioni Unite nella quale più di 150 Paesi, arrivati a 192 per Londra 2012, in tutto il mondo hanno sottoscritto tra le varie cose, il riconoscimento della tregua olimpica; nessuna guerra, stop alle ostilità, in occasione dei Giochi Olimpici.

Chiunque abbia aperto un giornale negli ultimi giorni può leggere che persino la tensione, che per molti sembrava in uno stallo granitico, tra Pyongyang e Seul sembra essere allentata in occasione dei giochi Olimpici Invernali che si disputeranno proprio nella Corea del Sud, a Pyeongchang, tra pochi giorni.

Già nel 1953 e nel 1955 arrivarono delle nominations per il Comitato Olimpico Internazionale, così come ne aveva ricevute cinque Pierre de Coubertin nel 1936, ma in tutti questi casi non si è mai arrivati alla assegnazione del premio.

La scelta di Vasco Rossi per raccontare questa storia non è casuale perché si intreccia con quella di Alfred Nobel.

Proprio in Italia, a Sanremo, quella splendida cittadina che con il suo festival musicale di grande successo non è stata particolarmente lungimirante nei confronti del rocker emiliano, è stato ospite Alfred Nobel negli ultimi giorni della sua vita.

“Sanremo è Sanremo” come dice lo slogan, ma Vasco Rossi è stato recentemente capace di fare (Modena Park, 1° luglio 2017) il concerto con più pubblico pagante al mondo, cosi come i Giochi Olimpici sono l’evento sportivo più importante del pianeta.

Qui si aggiunge Obama, che non nasconde il suo amore per l’Italia e, proprio tra gli innegabili successi del già Presidente degli Stati Uniti c’è quel motto “yes, we can!” divenuto famoso in tutto il mondo per indicare che ciò che si vuole è possibile e forse, in questo caso, possiamo davvero farlo.

Giochi Olimpici: Nobel per la Pace. Il sogno di vedere riconosciuto il Nobel per la Pace all’organizzazione che nella storia è sempre stata in grado di fermare davvero le guerre, anche se a volte solo per le settimane di competizione Olimpica, deve diventare realtà con l’aiuto di tutti quelli che come me amano lo sport; siamo sportivi, amiamo la competizione e ci piace vincere!

#OLYMPICPEACE

#OLYMPICNOBEL

#SPORTNOWAR

http://betapress.it/index.php/2017/12/31/il-tempo-dello-sport/

 




Il tempo dello sport

Un concetto estremamente affascinante nel mondo dello sport è quello di “tempo”: contiene sfumature diverse a seconda dei contesti, fino ad assumere significati diametralmente opposti.

E’ molto di più che una semplice unità di misura.

Innanzitutto fa rima (ed è legato in modo indissolubile) con storia: crea memorie straordinarie che, con il passare del tempo appunto, trasformano i ricordi sbiaditi in leggenda, ma è anche inesorabile, quasi beffardo, quando determina la fine della carriera per quei personaggi che la storia la stanno scrivendo sui campi di gioco.

Scandisce periodi ed epoche, a colpi di attrezzatura, abbigliamento, metodologie di allenamento e tecnologia; ma è anche arbitro, giudice della continua sfida con te stesso.

È proprio lui, il tempo, unitamente ai “record e ai primati”, che permette di misurarsi “senza tempo”, con la storia.

Dopo qualche suggestiva divagazione filosofeggiante, entriamo dunque nel vivo dell’argomento di oggi: il connubio tra il concetto di tempo e quello di record.

Unendo le parole tempo e record, il primo pensiero va sicuramente all’atletica leggera, a quella continua possibilità di battere primati che appassiona tutti gli sportivi, ogni quattro anni, durante i Giochi Olimpici e, forse, ancor di più alla gara “regina” dell’atletica: i 100 metri.

Il fascino innegabile dell’uomo più veloce del mondo che al momento spetta a Usain Bolt capace di coprirli in 9.58 (16 agosto 2009).

Ma c’è di più: quel record non rimarrà solo per chi ha corso accanto a Bolt, in quella occasione.

Gli atleti di oggi si potranno misurare con quel primato, ma lo possono fare anche quelli del passato e, soprattutto, quelli del futuro.

Ecco che il tempo e i suoi record permettono di misurarci con la storia e tuffarci in quell’insieme di fascino e magia che fa sognare ad occhi aperti chi ama lo sport.

Se parliamo di golf Tiger Woods, l’atleta che nei primi anni duemila non aveva oggettivamente rivali, li ha trovati nei record di Nicklaus e Snead sulle pagine della storia del golf; Michael Phelps che in acqua ha sempre, o quasi, fatto in tempo a togliere occhialini e cuffia prima di vedere chi era arrivato secondo, ha vinto la sua sfida: essere l’atleta con più medaglie nella storia dei Giochi Olimpici.

Nessuno è rimasto sul tetto del tennis mondiale più dello svizzero Roger Federer e così via.

Tutte le discipline hanno record a volte battibili altre no, come il caso del 10 di Nadia Comaneci, il primo nella storia della ginnastica.

Ci sono quelli che sono arrivati quasi per caso e quelli ripetuti più volte, come nel salto con l’asta femminile, quelli di Yelena Isimbayeva, sfide estremamente avvincenti come quella di questi anni, a suon di prestazioni straordinarie, per il numero di palloni d’oro nel calcio tra l’argentino Lionel Messi e il portoghese Cristiano Ronaldo (rispettivamente 4 e 5) e quelli ottenuti sotto gli occhi del mondo come il 99 su 100 di Jessica Rossi dalla fossa olimpica del tiro a volo, nella finale ai Giochi Olimpici di Londra 2012.

Ogni disciplina ha i suoi record, poi ci sono sport dove in competizione si può vincere, pareggiare o perdere; un esempio? Il calcio.

Sport in cui puoi vincere o perdere come il tennis,  e in cui puoi solo vincere, come il golf o lo sci; ma in tutti c’è sempre una sfida, un record, che può essere in qualche modo battuto, superato, migliorato e fa si che nello sport anche dopo innumerevoli vittorie non si abbia mai vinto tutto, campioni a cui, anche se hanno vinto tantissimo, mancherà sempre qualcosa: la prossima vittoria, il record successivo… o forse, come diceva il Barone de Coubertin*, vincono tutti quando scendono in campo e si battono con tutte le proprie capacità.

Interrogativo, con una buona dose di suggestione al quale risposta non c’è se non quella personale che si da ognuno di noi!

*< Pierre de Coubertin “Le plus important aux Jeux Olympique n’est pas de gagner mais de participer, car l’important dans la vie ce n’est point le triomphe mais le combat; l’essentiel, ce n’est pas d’avoir vaincu mais de s’être bien battu” >




Tiger Woods

“Probabilmente il giro di golf disputato a dicembre che ha avuto più anticipazioni da sempre, la persona che ha avuto più attenzioni nella storia di questo sport e forse quella che ne ha necessitate di più, dopo 301 giorni Tiger Woods ritorna al golf competitivo.”

Queste le parole del commentatore con le quali è iniziato il primo giro del Hero Target Word Challenge, normalmente una gara di fine stagione; solo 18 giocatori, tutti invitati, un posto paradisiaco come Albany alle Bahamas, nulla di golfisticamente rilevante se non fosse per le tre righe sopra: è tornato sul percorso Tiger Woods, non solo per qualche iniziativa commerciale, ma in gara.

Sul campo Woods ha giocato quattro buoni giri, ha sofferto un po’ nel terzo, forse anche a causa del vento, ma ha dimostrato una discreta continuità.

Ora non resta che aspettare il 2018 e vedere se queste 72 buche sono state uno dei tanti ritorni senza essere competitivi o, finalmente, “Tiger is back!”

Tornando alle prime tre righe, “la persona che ha avuto più attenzioni nella storia di questo sport” potrebbe sembrare esagerato, ma non è cosi!

Senza alcuna intenzione di scrivere una biografia, non ne sarei in grado, vorrei soffermarmi su un dato: nel 1997, quando l’italiano Costantino Rocca percorreva Magnolia Lane per arrivare all’Augusta National Golf Club dove, poco dopo, sarebbe sceso in campo proprio con Tiger Woods (che poi avrebbe vinto) nel gruppo finale del Masters Tournament, sapeva che in caso di vittoria lo avrebbe aspettato un cospicuo assegno di $ 486.000.

Vent’anni dopo, pochi mesi fa, lo stesso assegno andato allo spagnolo Sergio Garcia ed è stato di ben $ 1.838.115

Questi circa 1.400.000 in più hanno un nome e cognome: Heldrick (Tiger) Woods. Il campione che ha rivoluzionato il golf facendolo diventare uno sport vero e proprio.

Può sembrare un’affermazione pesante anche questa, ma la preparazione fisica, prima di lui, non era ritenuta un aspetto fondamentale, nemmeno nel caso di atleti di altissimo livello. Con lui la pallina ha iniziato a cadere decisamente più lontano, rendendo il golf ben più spettacolare e appetibile per sponsor e diritti televisivi, schizzati subito alle stelle.

Per non parlare dello spirito di emulazione concretizzato nei tigrotti di peluche che sono comparsi sulla sacca di decine, se non centinaia, di migliaia di giovani in tutto il mondo.

Anche se, in realtà, solo uno aveva la scritta in tailandese “la mamma ti vuole bene”, cucita a mano dalla signora Kultida Woods.

Giovane, prestante fisicamente, fortissimo, con due genitori modello, una bellissima moglie, due figli stupendi e quell’aurea di imbattibilità tale da suggestionare.

Spesso, quando non riusciva a vincere, erano gli altri a farsi da parte, in una sorta di timore reverenziale che nei primi anni duemila era insormontabile per i più.

Poi il tonfo: la morte del padre, lo scandalo delle amanti, la separazione dalla moglie e i continui problemi alla schiena hanno fermato quella che sembrava una cavalcata inarrestabile.

I Libri della storia sportiva che già ne tessevano le lodi e ne dipingevano le gesta, cadono nell’ombra.

Ma ora, il ritorno: la sfida tra generazioni con Sam Snead per passare le 82 vittorie sul tour, quella con Jack Nicklaus per i 18 Major e quella con la storia per diventare il primo sportivo ad aver superato il miliardo di dollari guadagnati sono ancora li, in attesa di una conclusione ma, soprattutto, con ancora tante emozioni da regalare a tutti gli appassionati di sport nel mondo!

Come andrà a finire non lo si può sapere ma, sicuramente, di Woods rimarranno in luce più le vittorie che i momenti bui e, soprattutto, i tantissimi “eredi” che hanno iniziato a giocare ispirandosi a lui!

Per i più bravi e fortunati, che sono riusciti, o riusciranno, ad arrivare tra i primi del mondo, ci saranno anche un sacco di soldi! Per noi italiani che amiamo questo sport così come amiamo sognare, forse anche qualcosa di più…

la speranza che magari possa giocare la sua ultima Ryder Cup nel 2022 in Italia … nello sport i campioni regalano emozioni e speranze a volte impareggiabili!




Giovani campioni ma sempre con i piedi per terra.

Parlare di giovani e sport è sempre una pratica estremamente complessa e rischiosa.

Per iniziare prendo spunto da una recente visita che ho fatto, con la guida eccezionale del consigliere nazionale della Federscherma Alberto Ancarani, alla prima tappa del Circuito Nazionale Giovani di scherma.

Appuntamento che ha visto più di mille ragazzi presentarsi al Pala de Andre’ di Ravenna.

E’ indubbio che siano proprio i giovani il motore di gran parte delle discipline, che gli atleti di successo comincino la loro pratica agonistica in tenera età e che proprio questi ultimi siano l’ispirazione per molti altri a cimentarsi con lo sport nella ricerca di emulazione.

Fino qui tutto perfetto, un circolo virtuoso che avrebbe notevoli aspetti positivi: è naturale che lo sport, soprattutto per i ragazzi, aiuti a crescere come persona, a sviluppare l’indipendenza, la determinazione, la capacità di problem solving e tanto altro, senza parlare di uno stile di vita sano che ha risvolti positivi sull’intera società, a partire dalla salute.

Bisognerebbe fermarsi qui, in questo sogno ad occhi aperti. Purtroppo però ci sono anche tante problematiche che riassumerei in due filoni: quelli che “atleti di successo” non lo diventano e il rapporto con chi ti sta attorno.

Partiamo dal primo, che spesso è confuso solo con mancanze tecniche ed invece comprende tutte le variabili imprevedibili che la vita ci mette davanti. è necessario, dal mio punto di vista, muoversi in due direzioni: la prima è quella, sicuramente controcorrente, di alzare l’età nella quale si diventa “semi-professionisti”; ovvero seppur atleti formalmente dilettanti ci si dedica interamente all’attività agonistica.

La seconda invece è che le Federazioni e le D.S.A. si prodighino per la creazione di way out che possano consentire agli atleti di uscire dal periodo di agonismo trovando uno sbocco lavorativo.

Ammirabile in questa direzione è il progetto “La Nuova Stagione” del Coni, ma immaginate se ogni federazione ne avesse uno proprio anche in virtù della differente fascia d’età nella quale si esce dall’attività agonistica.

Il secondo punto invece è molto più difficile perché si entra in rapporti personali: quali quelli con i genitori e con i tecnici.

Non credo che il “proibizionismo”, il non consentire la presenza in e attorno al campo sia una soluzione ma credo molto di più nell’informazione, un processo senza dubbio lungo ma che può dare risultati definitivi.

Lungi da me dire che bisogna smorzare l’entusiasmo di genitori, tecnici etc. per le prestazioni di livello dei giovani atleti ma serve solo più consapevolezza in materia.

Secondariamente credo che si possa prendere un po spunto dai giovani della scherma.

Tra il fioretto femminile e la spada maschile mi hanno spiegato la grande facilità di accesso a manifestazioni nazionali; in questo modo le possibilità di mettersi in mostra anche per l’ultimo arrivato aumentano in modo esponenziale e si genera cosi un buon ricambio ai vertici giovanili.

Naturalmente chi è destinato a primeggiare continuerà a farlo, e l’Italia nella scherma lo fa nel mondo, ma un maggiore dinamismo potrebbe far ragionare di più che anche un baby campioncino non farebbe male a considerare di darsi altre possibilità e dopo tante stoccate metta a segno anche quella più importante di realizzarsi nella vita.