“Nasce l’inno alla libertà di essere sé stessi e, nella verità, imparare ad amarsi e ad amare”

Il 19 novembre alle ore 12:00 (ora Italiana), uscirà sui canali social dell’Artista il nuovo singolo del cantautore italo spagnolo Fabio Gómez: “Let Me Be”.

Reduce dal successo di “Over”, nella versione ispanica “Siempre”, L’Artista corona il suo sogno americano nel bel mezzo dell’anno più sfidante della nostra storia: il 2020.

È nel 2020, infatti, che il suo lungo e paziente percorso evolutivo comincia a dare i suoi frutti. 

Il suo percorso artistico inizia mentre è giovanissimo, a Lugano, nel coro gospel “Amazing Grace”. 

La tappa successiva è Chicago, dove approfondisce le tecniche di canto.

Nel 2010 arriva il Festival di Sanremo.

Il suo primo album in Italiano, “Niente è Impossibile”, nasce dall’incontro dell’Autore con Piero Cassano (Matia Bazar), Fabio Perversi, Lele Melotti (batterista di Enzo Jannacci, Paolo Conte, Claudio Baglioni, Vasco Rossi), Ludovico Vagnone (chitarrista di Laura Pausini, Zucchero, Andrea Bocelli) e Red Canzian dei Pooh.

Successivamente Fabio Gómez incontra Marco Zangirolami, Peggy Johnson e Mila Ortiz, con cui lavorano a “Over”.

Abbiamo chiesto a Fabio Gómez di raccontarci qualcosa di sé e del suo nuovo singolo “Let Me Be”.

Chi o che cosa ti ha spinto a comporre la canzone “Let Me Be”? Un incontro? Un evento?

“Il brano è arrivato tre anni fa in un momento cruciale della mia vita. Non mi sentivo più libero di esprimermi, né capace di creare un valore aggiunto a livello artistico.

In quel momento i miei pensieri e i miei sentimenti mi portavano a evadere, a cercare una strada alternativa, una via d’uscita alla situazione di stallo che stavo vivendo. 

Volevo realizzare i miei Progetti a livello internazionale, cantare in Inglese e in Spagnolo (la sua seconda lingua madre n.d.a.).

Sentivo l’esigenza di appartarmi e di creare la ‘mia’ musica.

Un giorno, col mio pianista Stefano Sposetti, abbiamo iniziato a scrivere tantissime canzoni. Tra queste c’era anche ‘Liberami’, una ballad in tre tempi, piano e voce. Tre anni di incubazione ed è nata ‘Let Me Be’.”

Qual è il messaggio della canzone?

“In questa canzone dò voce al desiderio di riprendermi la vita, la carriera e realizzare me stesso, superando i confini che mi stanno stretti per costruire qualcosa di mio. Anche se è rischioso, rinuncio alla falsa sicurezza di un cliché per esprimere chi sono. A qualsiasi costo. Solo così potrò essere libero. Solo così potrò amare davvero.” 

E con l’amore di coppia, come la mettiamo? 

“Nei rapporti sentimentali accade spesso che ci si innamori delle proprie aspettative, più che della vera identità dell’altro. E viceversa. L’amore diventa così un’esperienza vissuta in trance ipnotica. Nessuno dei due è veramente se stesso. Nessuno dei due osa superare le dimensioni del proprio ristretto campo visivo. La Verità libera gli innamorati, consente loro di esprimersi al meglio e di vivere il rapporto come un reciproco arricchimento, non come un tarparsi le ali a vicenda.”

Dov’è la verità, per te, ammesso che esista una Verità assoluta?

“Non credo esista una verità assoluta. Esistono punti di vista e pareri, a volte diametralmente opposti. ‘Let Me Be’ ci sfida a cercare la Verità nell’unico posto in cui può essere trovata: in noi stessi, nei nostri gesti, negli accadimenti, nelle scelte che facciamo ogni giorno. Non nel mondo virtuale che la tecnologia ci offre ma nel vivere in presenza, nel condividere i nostri chiaroscuri, nel nostro essere, semplicemente, Umani.”

Come si inserisce “Let Me Be”, dal punto di vista stilistico, nel tuo percorso evolutivo?

“Negli anni sono passato dal pop contaminato al Pop-Swag, sfociando nell’Elettro Dance Music, con escursioni nel Chillout Smooth Jazz.

Il genere di ‘Let Me Be’ è Elettro/Pop/Dance. La prima stesura prevedeva solamente piano e voce a tre tempi: la classica ballad. A tre anni di distanza, eccola nella sua versione definitiva, con un ritmo a 4/4 stile dance e l’aggiunta di Synth e Keyboards anni ’80 ispirate da Van Halen e da gruppi rock come i Journey.

Una spolverata di latino con le conga, le ‘Millenium Hoop’ – ‘vocine’ campionate e trattate come suoni – e il gioco è fatto.”

Un pensiero per concludere in bellezza il nostro incontro? 

“Nel brusio di sottofondo di parole e melodie che passano alla radio, ‘Let Me Be’ si fa sentire come un monito: ‘Svegliati, Uomo, dal tuo torpore ipnotico, dal sogno che ti è stato imposto e non è tuo. Risvegliati a Chi sei e scoprirai di essere libero.”




Ignoto Militi: tra storia e simbolismo

Ignoti militi.

Due parole che creano un’aurea attorno a un figura – un mito – che si articola attraverso cent’anni di storia e di celebrazioni che attraversano tutte e tre le fasi dell’Italia unitaria: l’Italia liberale, l’Italia fascista e l’Italia repubblicana.

La storia del milite ignoto inizia nel giugno del 1921, quando si decise di scegliere una salma che rappresentasse tutti i soldati italiani morti, e non indentificati, durante la guerra appena conclusa.

La proposta si tramutò in legge in breve tempo – seppure ci furono delle contestazioni da parte dei socialisti – che portò alla programmazione della scelta della salma fino al traposto di essa all’altare della patria, in vista del 4 novembre, giornata della vittoria italiana sull’esercito austriaco.

Ad Aquileia, la salma venne scelta tra undici soldati italiani non indentificati da una madre – Maria Bergamas – la quale rappresentava tutte le madri italiane che non avevano una tomba dei propri figli su cui piangere.

Dopo un lungo viaggio, costellato da tutta una serie di tappe in diverse città italiane, con relative cerimonie in omaggio alla salma scelta, il milite ignoto arrivò il 2 novembre alla stazione termini di Roma, dove fu accolto in pompa magna da tutte le cariche dello stato, inclusa la famiglia reale, e una rappresentanza di tutti coloro che presero parte al primo conflitto bellico.

Milite ignoto - vignetta satirica

Due giorni dopo – il 4 novembre – la salma del milite fu portata al Vittoriale, monumento inaugurato dieci anni prima, dove dopo una solenne cerimonia il corpo fu tumulato sotto la statua della dea romana – la quale raffigura la personificazione dello stato romano – dove tutt’ora riposa oggi.

Da quel momento il milite ignoto divenne una figura centrale per la pedagogia e commemorazione nazionale; tematiche che vengono raccolte e fatte proprie nell’immediato da parte del regime fascista: nel 1924 il ministro dell’istruzione Giovanni Gentile impose l’obbligo della celebrazione del milite ignoto, sostenendo che: «contribuirebbe ad ispirare negli allievi vivo amore e profonda devozione alla Patria».

Il fascismo non si limitò a usare le due figure – il Vittoriale e il milite ignoto – come figure legate solo a una forma di pedagogia patriottica in ambito scolastico, ma venne usato in una prospettiva più ampia: come “palcoscenico” in un’ottica di manifestazione nazionali – politica introdotta dalla propaganda di regime.

Il fascismo cercò di valorizzare un sentimento patriottico e di “martirio per la patria” attraverso la figura del milite ignoto, attraverso l’uso – come già accennato – di eventi all’altare della patria, l’uso di immagini e video dove ritraevano parate o momenti di commemorazione che si svolgevano al Vittoriale – mostrando sempre in qualche scena il milite ignoto.

A causa dell’uso propagandistico da parte del fascismo dell’altare della patria, di conseguenza anche del milite ignoto, iniziò una lenta decadenza, seppur le celebrazioni da parte delle autorità politiche e militari continuarono per lungo tempo – si voleva tenere in vita il vero valore che quei due luoghi trasmettevano.

Nonostante questo sforzo, l’opinione pubblica si dimostrava contrariata all’uso commemorativo: il ricordo delle folle oceaniche delle manifestazioni fasciste erano ancora vivo nelle mente degli italiani e il sentimento nazionalistico nutrito nel ventennio era del tutto sparito arrivando provare sentimenti di disprezzo.

Questo comporto un oblio verso i veri valori e i caratteri celebrativi che si erano attribuiti al milite ignoto, per questa ragione le celebrazioni erano sempre meno partecipate; tant’è che dopo l’attentato che il Vittoriale ebbe a subire il 12 dicembre del 1969, il luogo venne definitamente chiuso al pubblico per trent’anni, raggiungendo l’oblio da parte degli italiani.

Altra della patria

Con la nomina alla presidenza della repubblica da parte di Carlo Azeglio Ciampi ci fu un recupero dei simbolismi nazionali, che ormai erano completamenti spariti dai cuori degli italiani, cercando di “ricreare” delle commemorazioni che potessero far rivivere quei sentimenti di appartenenza che erano presenti in altri paesi – come ad esempio in Francia.

Da questo desiderio si ripresero tutte quelle festività nazionali – come il 4 novembre – o celebrazioni che potessero ricreare questi sentimenti; tra questi vi era anche la resa omaggio del milite ignoto.

Seppur questa visione di recupero dei sentimenti nazionali è stata a lungo messa in discussione, quasi ostacolata, da molte forze politiche – soprattutto di matrice secessionistica che hanno cercato di rimarcare la non necessità di ripercorrere questa forma di pedagogia nazionale.

Nonostante ciò, un effimero recupero di questi sentimenti fu fatto e nel corso degli anni 10 del nuovo millennio ci furono diverse commemorazioni in cui si vide protagonisti diversi simboli, tra cui il milite ignoto – in sinergia con altare dalla patria.

Un esempio lo possiamo trovare nella commemorazione che si tenne nel 2011 – alla presenza di una folla festosa – all’altare della patria, dove si vide l’effettivo recupero dei valori originari del 1921: il sentiero di identificazione nazionale verso un luogo e una figura.

Il recupero della celebrazione al milite ignoto ha comportato di conseguenza il ripristino di tutta una serie di elementi, che per le ragioni che abbiamo già trattato poco fa, furono del tutto dimenticati. La resa omaggio al milite ignoto si individua tre date chiave: il 25 aprile, il 2 giugno e il 4 novembre – in forma eccezionale il 17 marzo 2011.

La cerimonia prevede di rendere omaggio al milite ignoto appoggiando sulla tomba una corona d’alloro da parte del capo di stato – in questo caso il presidente della repubblica – “affiancato” da tutte le alte cariche dello stato (il presidente del consiglio, il presidente del senato, il presidente della camera e il presidente della Corte costituzionale) e da una rappresentanza dei corpi militari assieme alle relative alte cariche militari.

il presidente Mattarella rende omaggio al milite ignoto

Rispetto alla prima fase della storia del milite ignoto, dove esso rappresentava il sacrifico dei soldati italiani morti durante la prima guerra mondiali, ora la salma del soldato non indentificato rappresentata tutti soldati italiani che sono morti per conto dell’Italia.

In conclusione, si può affermare con certezza che il milite ignoto ha lasciato alle sue spalle il proprio oblio che aveva attraversato nel secondo dopo guerra, riportando un interesse sempre maggiore da parte degli italiani; seppure non raggiungendo lo stesso livello di sentimento patriottico che possiamo trovare in altri paesi, ma un parziale recupero di ciò è stato portato a termine.

Nozza Giorgio.




CCEditore supporta Al Zawija per la formazione dipendenti

Sì è conclusa la bella esperienza di due dipendenti della società petrolifera libica Al Zawija venuti in Italia per seguire un corso di specializzazione in Gas Processing and Conditioning.

Si tratta del primo di una serie di corsi che i dipendenti della società petrolifera libica verranno a seguire in Italia.

Tra il 2021 e il 2022 si attendono già più di 200 studenti.

consegna attestati
gli studenti con il presidente di CCEditore prof. Corrado Faletti e la tutor dott.ssa Stefania Pagani

Il merito dell’avviamento di questo percorso va riconosciuto anche all’onorevole Ambasciatore dell’ambasciata di italiana a Tripoli ed a tutti i suoi collaboratori  che nei lunghi mesi di organizzazione hanno seguito le richieste di visto e hanno sempre vigilato e verificato con responsabilità.

Il progetto è il frutto dell’accordo tra il gruppo editoriale CCEditore e la Società Petrolifera libica Al Zawija.

La società petrolifera mette a disposizione dei propri dipendenti  cicli periodici di formazione e aggiornamento presso enti di formazione accreditati in Europa ed in tutto il mondo.

Il corso si è svolto a Milano presso i locali di UniTre.

CCEditore grazie alla sua ventennale esperienza ha potuto mettere a disposizione della compagnia un catalogo con oltre 100 corsi professionalizzanti ed un nutrito gruppo di istituti tecnici con i laboratori di riferimento. 

I prossimi corsi si svolgeranno in diverse regioni italiane e vedranno coinvolte aziende e centri di formazione.

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Finalmente il CSPI riconosce il ruolo dei DSGA facenti funzione!

Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ha sentenziato nel suo parere che tutta l’ipotesi di concorso per i DSGA è valida solo se:

In questo quadro, a parere del CSPI, si rende necessario:
• bandire prioritariamente il concorso riservato agli assistenti amministrativi attualmente facenti funzione
di DSGA con almeno tre anni di servizio, ai sensi del DL 29 ottobre 2019 n. 126, convertito nella legge
159 del 20 dicembre 2019. Prevedere l’accesso ad una procedura concorsuale anche di coloro che sono
sprovvisti di titolo di studio specifico modificando quanto previsto dall’art. 22, comma 15 della
L. 75/2017;
• bandire successivamente il concorso ordinario, superando le attuali conseguenze dell’ultimo concorso
che ha lasciato innumerevoli posti scoperti pur se messi a bando.

E finalmente diremmo Noi!!!!

Un’ingiustizia assurda, da Betapress già stigmatizzata più e più volte, viene oggi quantomeno evidenziata in maniera precisa e puntuale dal CSPI.

Era ora che qualcuno osservasse che lo stato non può far lavorare per anni in una funzione delle persone perché gli fa comodo e poi all’improvviso li caccia via e li sostituisce con persone con zero competenza solo perché questi ultimi hanno un titolo di studio!

Come abbiamo sempre osservato, lo Stato non è in grado di valutare le competenze e l’esperienza delle persone, attaccandosi solo ai titoli, senza rendersi conto che ci sono in giro un sacco di laureati ignoranti ed incompetenti, senza alcuna esperienza e, malamente, sono proprio questi che alla fine lo stato assume.

Bravo quindi il CSPI che ha ribaltato questo convincimento che aveva il ministero dell’Istruzione, ovvero che valessero più dei laureati rispetto a persone che da oltre cinque anni svolgono un ruolo importante con passione, ottimi risultati e tante competenze, insostituibili.

Speriamo vivamente che questa indicazione del CSPI venga utilizzata da Ministero, se così non avvenisse noi di Betapress siamo pronti ad utilizzare i nostri avvocati per andare contro ad una decisione che rasenterebbe la stupidità più manifesta.

Tanto si doveva.

Il Direttore Corrado Faletti.

 

Concorso DSGA: diritti negati!!

CONCORSO DSGA, COME SEMPRE UNA VERGOGNA ASSURDA!!!!




“Vita da Re”

“Vita da Re”

Correva l’anno 1990 quando trasmettevo a Radio Treviso Alfa e, tra una canzone e l’altra, inserivo lo spot di un’azienda che insegnava tecniche di memorizzazione veloce.

Tre decenni più tardi avrei saputo che nel Team di formatori del Corso dedicato al potenziamento della memoria c’era anche lui: Roberto Re.

All’epoca Roberto muoveva i primi passi nel mondo del Coaching e della Crescita Personale.

Decisivo fu il suo incontro, qualche anno più tardi, con Anthony Robbins, il Life Coach americano più famoso del mondo.

Da allora Roberto Re, direttamente formato da Robbins, ha fatto dello Sviluppo Personale la propria Mission.

Nel tempo, la sua carriera è stata un susseguirsi di successi come business, life e mental coach di noti manager, imprenditori, atleti e calciatori, allenatori di squadre di calcio, personaggi dello spettacolo, ma anche persone comuni.

Oggi è uno dei numeri uno della formazione europea.

In quasi trent’anni di attività ha al suo attivo centinaia di ore di personal coaching e migliaia di giornate in aula.

Ha creato una società specializzata in formazione e, ad oggi, detiene il primato nella realizzazione di audio, videocorsi e corsi multimediali online.

Re è anche autore di best seller e ideatore di eventi che vedono la partecipazione di Manager e Leader di importanti Aziende, in diverse città italiane.

Questa è la seconda volta che ho il piacere di intervistarlo.

A distanza di tre anni dal nostro primo incontro ci siamo presi la libertà di esplorare, aldilà dei numeri che lo hanno reso l’indiscusso punto di riferimento europeo dello Sviluppo Personale, l’anima dell’uomo: all’ombra dei riflettori, tra le pareti domestiche, nella vita di ogni giorno.

La scoperta che ho fatto è molto interessante. Vi piacerà! La video intervista è qui. 

Buon ascolto!

Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti)

(Foto di Umberto Santos)

 

 




La “Macchina Crea Invenzioni” – Creatività e metodologia applicata.

 

Il volume di Alessandro Bolognini “La ‘Macchina Crea Invenzioni’ – Creatività e metodologia applicata” (Giuffrè Francis Lefebvre, 2021, pp. 313), caratterizzato da un’originale contaminazione fra linguaggio artistico e linguaggio rigoroso e sistematico, propone una riflessione – non scevra da possibili utilizzi di tipo operativo/applicativo – sulle modalità attraverso le quali la dimensione creativa trova concretamente riscontro non solo nell’ambito espressivo ma anche in quello più propriamente metodologico. 

 

Dopo aver analizzato il ruolo della creatività nelle tesi dei principali autori contemporanei ed aver sviluppato – anche alla luce dell’esperienza personale dell’autore – la conoscenza del rapporto tra creatività ed arte, il volume approfondisce alcuni significativi aspetti dell’utilizzo della dimensione metodologica sul piano operativo.

 

Questi ultimi sono affrontati in dettaglio sia attraverso il ricorso ad elementi al tempo stesso logici ed intuitivi sia attraverso il riferimento a prassi mutuate dal calcolo combinatorio sia prestando particolare attenzione alle modalità espressive della metodologia sul piano applicativo.

 

 

Alessandro BOLOGNINI – Università degli Studi eCampus; è autore di contributi nel campo del management e delle tecniche di applicazione del linguaggio espressivo nel settore del pensiero creativo e delle sue valenze sociali, socio-economiche e formative. Tra le sue pubblicazioni si segnalano: “Smart leadership e organizzazioni di volontariato” (Armando Editore, 2019); “Test di A. Bolognini – Arte e counselling: costruzione di uno strumento di lavoro e suo utilizzo nel campo sociale” (Giuffrè Francis Lefebvre Editore, 2019); “Tecnointrusività tra ricerca, etica e diritto” (Giuffrè Francis Lefebvre Editore, 2021).

 




Figli di Carta

5+1 domande all’Autrice e Interprete Maribella Piana.

Scrittrice di grande qualità e sensibilità, seguita da un pubblico sempre più ampio, rappresenta mirabilmente le energie, le passioni, i palpiti e la stessa ricca – e troppo spesso – poco conosciuta Storia della Terra di Sicilia.

Quando è iniziata la sua passione nello scrivere?      

La scrittura e il teatro sono le mie due vere, grandi, passioni. Solitaria l’una, rivolta al pubblico l’altra. Non credo di aver mai ‘iniziato’ a scrivere, così come ho sempre recitato. Dal momento in cui ho scoperto che quelle formichine sulla carta potevano diventare nomi, sentimenti, sogni, me ne sono innamorata. Le vedevo prendere vita, emanare suoni, colori e mi piaceva comporle, disporle, far loro assumere significati e sfumature diverse. Comunicare per me significa questo. A teatro ho la possibilità di vivere tante vite, trasformandomi nei vari personaggi che interpreto. Nella scrittura sono i personaggi che entrano in me e vivono accanto a me, raccontandomi le loro storie.

Per lei scrivere è solo un piacevole hobby?

Inesatto definire la scrittura un hobby, se per hobby si intende un piacevole passatempo che ti rasserena e ti rilassa. La scrittura è piuttosto una necessità che a volte diventa dura e difficile da affrontare, come tutto quello che è necessario fare. La paragono all’atto meraviglioso del partorire un essere vivo, dopo una lunga gestazione fatta di riflessione e di ricerca, quando la felicità e la soddisfazione di aver creato qualcosa spazza via ogni traccia di sofferenza. Non per niente chiamo i miei libri ‘i miei figli di carta’.

Ci sono argomenti che preferisce trattare, più di altri?

Non ho mai scelto aprioristicamente l’argomento di un mio romanzo o il periodo in cui ambientarlo. Per quanto possa sembrare strano la scrittura per me ha un aspetto un po’ magico, paranormale quasi. Un’immagine, un fotogramma, un’espressione di un viso mi vengono in mente e cominciano a crescere. I protagonisti vivono la loro vita senza che io possa in qualche modo influenzarla tanto che non so mai quale sarà la fine della storia che racconto. Sono persone non personaggi perché non riesco ad inventare nulla che non abbia radici nella realtà. Quando mi chiedono se un mio scritto è autobiografico rispondo naturalmente di sì perché tutto quello che scrivo è fatto di pezzi di vita che conosco, che ascolto, e che si mescolano in una specie di caleidoscopio. Che una storia sia ambientata nel passato o nell’età contemporanea non fa molta differenza. A me interessa indagare il comportamento delle persone, originato da sentimenti e pensieri che sono comuni a tutte le epoche ma che si declinano diversamente a seconda dell’ambiente e delle situazioni storiche.

Quali i suoi romanzi precedenti e quali gli impegni attuali?

Ognuno dei miei libri mi ha lasciato, una volta finito, un senso di vuoto. Per questo ho sentito la necessità di affrontare un nuovo impegno, un nuovo studio, perché lo scrivere è una forma di studio, dell’uomo, della società, della psicologia umana. Nel primo – ‘I ragazzi della piazza’ – ho cercato di far rivivere l’atmosfera degli anni ’60, su cui tanto si è scritto, attraverso la mia esperienza e quella di coloro che li hanno vissuti. In un altro – ‘Cielomare’ -, in cui i due elementi del titolo si incontrano e si scontrano, emerge lo scontro, violento e doloroso, di giovani contro un destino beffardo che colpisce alla cieca. Progetti? Tanti, in questo momento anche di teatro e di televisione, e riempiono le mie giornate. Dopo ‘Il commissario Montalbano’ ho girato alcuni episodi di ‘Makari’ la nuova serie di RAI 1, un film sulla situazione dei migranti e un documentario sulla mia terra. La strada non è ancora finita.  Per quanto riguarda la scrittura vorrei allargare gli orizzonti dei miei scritti precedenti, arrivando fino ai nostri giorni, con storie e personaggi che vivono nella nostra terra, magica e demoniaca, dolce e terribile, una terra stretta fra i due mostri del vulcano e del mare, che ci assalgono ma anche ci nutrono. Una ispirazione continua.

Leggere i suoi scritti o assistere a una sua performance, quali sensazioni suscita nei lettori e nel pubblico?

Vorrei essere una mosca per spiare le reazioni di chi legge un mio scritto. La lettura è un innamoramento e come tale, inspiegabile. Posso solo promettere ad un eventuale lettore che nelle mie pagine troverà una voce vera, che parlerà anche di lui, che gli svelerà un angolo nascosto di sé che non pensava di conoscere, e che leggendo proverà emozioni e sentimenti vivi come nella realtà, come avviene nei sogni.

Ci parli del suo ultimo, recente, romanzo: LA MALAEREDITA’.

Nel mio ultimo romanzo ‘La Malaeredità’, mi sono immersa in un passato abbastanza vicino che da giovane consideravo noioso inutile e polveroso. Poi, attraverso lettere e documenti da cui emergevano vicende intense e disperate, intrecciate agli avvenimenti politici e sociali della Sicilia di quel periodo, ho ricostruito storie che sarebbero andate perdute, come lo sono cento altre storie di cui non possiamo conservare memoria. I fatti narrati sono realmente accaduti, i palazzi e le campagne che fanno da sfondo sono ancora oggetto di meravigliate visite turistiche. Pur essendo stato pubblicato in piena pandemia, questo romanzo mi ha dato molte soddisfazioni per i riscontri ottenuti dai lettori e dai critici e per alcuni premi letterari, come il concorso internazionale Città di Cattolica. Andare indietro nel tempo è come sottoporsi ad una seduta di ipnosi, che ti insegna a conoscerti, ad accettarti, anche affrontando qualche luogo oscuro della mente. Mi sono dovuta scontrare con le ingiustizie e i pregiudizi di una società che stava celebrando senza saperlo la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova. Per comprendere meglio la grande storia è necessario indagare le vite private di coloro che l’hanno interpretata, senza mai avere la pretesa di giudicare buoni e cattivi.

Grazie alla Scrittrice Maribella Piana per questa intervista!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Bellantonio

 




Fai bei sogni, Gramellini e Bellocchio per sopravvivere al dolore

Fai bei sogni di Marco Bellocchio

I sogni sono importanti nella vita delle persone ma da soli non bastano a scaldare il cuore quando viene meno un amore grande ed unico, soprattutto se si è bambini e l’amore che viene meno è quello della madre, come accade nel bel film di Marco Bellocchio, Fai bei sogni, tratto dall’omonimo romanzo di Massimo Gramellini che ha avuto enorme successo in Italia ed all’estero ed interpretato, tra gli altri, da Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo, l’attrice francese di The Artist.

Il film parla del modo in cui il protagonista Massimo ha reagito nel corso della sua vita alla perdita prematura della madre all’età di 9 anni, delle difficoltà incontrate nel tentativo di sostituirne l’amore, unico ed insostituibile, e di come, ormai adulto, dopo una infanzia ed una adolescenza lacerate dal dolore e dai misteri sulle reali cause della morte, tenutegli nascoste dal padre e dai parenti, riuscirà a lasciarsi alle spalle questo peso e a tornare a vivere.

Ogni volta in cui un romanzo viene trasposto in un film si è tentati di fare delle comparazioni dimenticando che si tratta di due generi, il romanzo ed il film, molto diversi tra loro e che ognuno di loro dà luogo ad espressioni autoriali originali ed autonome, seppure accomunate dalla trama e dai personaggi, che riflettono sia la sensibilità dell’autore che il diverso genere espressivo utilizzato.

Nonostante le differenze tra i generi nel film emerge la rappresentazione di alcuni pensieri forti già molto presenti nel romanzo, che ti tormentano in ogni istante quando perdi una madre così prematuramente: capire il perché ed il senso del dolore che ti avvolge senza speranza, capire come riuscirai a sopravvivere nel tempo, capire se hai in qualche modo colpa per quello che è successo e perché proprio a te.

Il film riesce a comunicare in modo emozionale come questi pensieri siamo accompagnati ed amplificati da un senso di solitudine e di straniamento dal mondo che raggela la vita di Massimo. E’ come se il gelo e la solitudine della sua vita passassero nello spettatore grazie alla tecnica del film, alla sua fotografia, al ritmo della narrazione, agli inserti televisivi (Canzonissima, Raffaella Carrà, ecc.) che compaiono in alcune scene con la tata, quasi a ricordare la spensieratezza e la leggerezza della vita del mondo esterno in contrapposizione a quella disperata di Massimo.

Un altro elemento che colpisce nella narrazione è la difficoltà del padre a mettere in comunicazione le due solitudini profonde e lacerate, che pur unite dalla comune nostalgia per una donna luminosa, non riescono a trovare momenti di contatto e di sollievo reciproco al dolore, salvo nel rito esteriore e superficiale della fede calcistica nel grande Toro.

L’intera narrazione sembra così funzionale a far emergere quale protagonista del film la solitudine dell’esistenza umana e la difficoltà della condivisione e della comunicazione, anche nei momenti di disperazione e anche tra le persone più care e più vicine.

Forse scriviamo per scoprire che non siamo soli, parafrasando una citazione dello scrittore inglese Clive Staples Lewis e mi viene in mente anche una bella frase di Borges che dice che le librerie sono come grotte magiche popolate da uomini morti.

Seguendo questa linea di interpretazione l’approdo alla scrittura diventa per il protagonista Massimo una scelta di sopravvivenza obbligata, che lo porta a trovare un modo per sentirsi meno solo ed a superare l’oppressione del dolore fino a ritrovare sé stesso e la voglia di vivere nella scena del ballo liberatorio nella festa nel casale in mezzo alla campagna.

 

Stefano Delibra Critico Cinematografico di Betapress
Stefano Delibra Critico Cinematografico di Betapress




Simone Facchinetti: eroe d’altri tempi, eroe del futuro.

Il 2 dicembre 1971 veniva sancita la federazione tra sette emirati nello Stato degli Emirati Arabi Uniti.

Cinquant’anni dopo, in occasione dell’EXPO 2020 a Dubai, il mondo intero può toccare con mano i princìpi che ispirano e contraddistinguono questa realtà: E.A.U.

Leggendo l’acronimo, la mia mente mi riporta all’elemento acqua: “acqua”, in Francese, si scrive proprio così (“eau”)!

Acqua: l’elemento che ci accomuna – i nostri corpi sono composti per circa il 75% di acqua – e ci connette gli uni agli altri apportando nuova vita.

Acqua che fluisce e non si ferma. Acqua che, nel rispetto dell’ambiente che la ospita, si adatta e cambia pur rimanendo la stessa.

Quale altra metafora potrebbe riassumere, in modo potente, lo spirito che anima il giovanissimo Stato?

L’Avvocato Simone Facchinetti, amico e graditissimo ospite del Soul Talk, ne incarna perfettamente i valori e … udite udite, festeggia il suo compleanno il 2 dicembre!

La sua mission è costruire “ponti” di collegamento tra Occidente e Oriente riconoscendo, valorizzando e aiutando start up italiane a trovare proficui sbocchi negli Emirati Arabi Uniti.

Il suo apporto si rivela fondamentale nel reperire fondi, segnalare nuove opportunità, facilitare la realizzazione di progetti innovativi e sostenibili, mirati alla creazione di nuovi posti di lavoro.

In Simone convivono l’innata Curiosità, l’inesauribile spinta a esplorare nuovi mondi e nuove possibilità, la Creatività, l’Entusiasmo bambino disciplinato dall’esperienza e dalla maturità, la Gioia di sperimentare, la Confidenza, l’Armonia, l’Empatia di chi si rispecchia nell’Altro per comprenderlo, amarlo nella sua diversità e aiutarlo.

Questi Valori – sempre più rari, preziosi e distintivi – poggiano sulle tre inamovibili Colonne dell’Etica, della Correttezza e della Trasparenza.

A proposito di anniversari: lo Studio Legale Simone Facchinetti quest’anno celebra il suo ventesimo anno d’attività e il quinto anno consecutivo di assegnazione del premio “Le Fonti” come Boutique Legale d’eccellenza nei rapporti internazionali tra Italia e Medio Oriente.

Nel corso dell’intervista – che definirei piuttosto piacevole “chiacchierata” – abbiamo parlato di Mission, di Valori, della Vita come “Viaggio dell’Eroe” costellato da tanti viaggi, quante sono le opportunità che cogliamo di esprimere e donare Chi noi siamo.

Per i Valori che lo ispirano Simone è un Uomo d’altri tempi, ma il suo sguardo è rivolto a un futuro da costruire, assieme al suo Team, sulle fondamenta dell’Innovazione, della Ricerca, dell’ordinamento giuridico a trecentosessanta gradi.

Un ringraziamento speciale va a Christian Gaston Illan e alla sua splendida compagna Maria Giulia Linfante, che ci ha fatti incontrare!

Christian e Maria Giulia sono gli ideatori e fondatori dello “Smart Villag[g]e Cloud”, virtuosa chat in cui imprenditori, artisti e nuovi amici condividono esperienze, iniziative e successi.

Il Soul Talk con Simone Facchinetti è qui.

Buon ascolto e alla prossima!

La vostra Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti).

 

 

 

 

 

 

 




Le maestre che non hanno paura dei libri

Come sarebbe se i nostri figli potessero studiare su dei libri di testo fatti apposta per loro?

Dei libri di testo che rispettino le loro inclinazioni, la loro territorialità, la loro cultura e il loro modo di imparare.

Come sarebbe se i professori, le persone che conoscono gli studenti e sanno di cosa hanno davvero bisogno e come, scrivessero i libri per i propri studenti?

In effetti, da qualche anno, le scuole più all’avanguardia hanno aderito ad un progetto dedicato e si sono trasformate in case editrici per pubblicare i propri libri di testo.

E così ragazzi delle scuole secondarie e superiori hanno scoperto, con profitto, quanto sia diverso e migliore studiare su dei libri scritti apposta per loro; le famiglie, non dovendo pagare tutta la filiera dei libri di testo pubblicati dalle case editrici commerciali, hanno risparmiato fino al 200% delle spese per i libri; i docenti hanno accresciuto le proprie competenze grazie al riconoscimento dei punteggi dovuti alla pubblicazione di un libro e le scuole hanno avuto una ulteriore crescita di prestigio agli occhi della comunità.

La pubblicazione dei propri libri di testo è oggi per molte scuole una svolta positiva e fruttuosa nel proprio percorso formativo e didattico.

Mancava ancora un passo: nessuno aveva avuto l’ardire di scrivere un libro per le scuole primarie.

La principale perplessità era dovuta allo sforzo che le maestre avrebbero dovuto fare per trovare il sistema comunicativo più adatto.

Quest’anno, due maestre dell’Istituto comprensivo “Ildovaldo Ridolfi” – Tuscania (VT) diretto dalla DS Paola Adami, hanno superato loro stesse e i timori di chi non osava e hanno scritto e pubblicato all’interno della collana della propria scuola Bentornati a Scuola, il libro di testo per gli studenti della scuola primaria.

Le due pioniere sono le maestre Elisabetta Corona e  Elisa Buzzi e noi le abbiamo incontrate.

Intervista alle maestre Elisabetta Corona e  Elisa Buzzi

Maestre Elisabetta Corona e Elisa Buzzi
Maestre Elisabetta Corona e Elisa Buzzi

Maestre, qual è il vantaggio di scrivere in prima persona il libro per i propri studenti?

Scrivere un libro di testo rappresenta una sfida che ci ha aiutate a crescere professionalmente, mettendoci in gioco e pensando ad una modalità di fare scuola che ci potesse aprire alla sperimentazione e al continuo confronto.

Il nostro augurio è quello di creare un ambiente (l’Istituto Comprensivo di Tuscania) dove sia possibile sperimentare e “creare cultura” così da essere resiliente verso gli alunni, le famiglie ed il paese tutto.

Il libro ideale a cui abbiamo pensato fin da subito non è un prodotto chiuso e finito, ma una sorta di filo rosso che possa legare diversi argomenti. Rappresenta per docenti e alunni un punto di riferimento e al tempo stesso un punto di partenza.

Non può essere esaustivo, pur contenendo le conoscenze fondamentali (quelle previste dalle ​Indicazioni nazionali​).

È un canovaccio che si scrive con e per gli studenti ed è un modo per comunicare con loro. È un contenitore di informazioni, processi, linguaggi, relazioni; una base modellabile, espandibile; una rete, una piattaforma, un processo di scrittura e di apprendimento.

Inoltre, rispetto al libro cartaceo, permetterà una serie di interazioni e conterrà espansioni costituite da contenuti digitali.

Aderire a quest’idea per noi ha significato credere nella possibilità di ‘scrivere’ assieme ai bambini una parte di quella conoscenza che si apprende nei libri e renderli attivi nella rielaborazione dei contenuti, superando la didattica trasmissiva.

E’ così possibile lavorare sulle competenze e non solo sull’acquisizione di conoscenze con una marcia in più: attualizzare i contenuti, con la trattazione di temi legati al territorio, alla sua storia e alle sue tradizioni, ma anche personalizzarli con temi legati ai bisogni di approfondimento della classe.

Quali elementi ha tenuto in considerazione scrivendolo il libro?

Abbiamo ritenuto opportuno elaborare percorsi didattici che, discostandosi dalla linea interpretativa del singolo libro di testo, offrissero approfondimenti più calibrati sui bisogni degli alunni, al contempo valorizzando la professione docente e la personalizzazione dei percorsi di apprendimento, sulla base delle specifiche del contesto in cui operiamo.

Abbiamo cercato così di superare il limite dei manuali scolastici, che spesso vanno bene per una parte della classe, ma che ovviamente non possono tener conto del contesto sociale e culturale in cui vengono utilizzati.

Perché i libri già pubblicati non soddisfavano le vostre esigenze?

Nello scorso anno scolastico abbiamo applicato, tra gli altri, il Metodo Venturelli coniugato con il metodo sillabico per l’apprendimento della letto-scrittura e il Metodo Analogico ideato da Camillo Bortolato per imparare i numeri e il calcolo.

Dato che il libro di testo per la classe prima proponeva differenti metodologie, a volte contrastanti con le linee seguite, lo scorso giugno abbiamo portato in Collegio dei docenti la proposta di adozione per la classe seconda di un testo  più aderente alle nostre esigenze; il Collegio non ha approvato la richiesta, così siamo ricorse alla facoltà (cfr. ​Nota protocollare MIUR n. 2581 del 9 aprile 2014), in virtù della libertà di insegnamento, di adottare un libro autoprodotto in sostituzione dei volumi delle case editrici, in formato sia cartaceo che digitale (art. 6, c. 1, legge n. 128/2013​).

Cosa le è piaciuto del progetto Gutenberg?

Grazie alla collaborazione tra il nostro Istituto Comprensivo e il Gruppo Editoriale Currenti Calamo, Ente di formazione accreditato Ministero dell’Istruzione, Ministero dell’Università e della Ricerca, abbiamo potuto realizzare il testo didattico autoprodotto e ci è stato possibile fornire alle famiglie un manuale economicamente accessibile e funzionale all’apprendimento.

Con il Progetto Gutenberg abbiamo potuto promuovere la progettazione e la sperimentazione di un percorso formativo centrato sulle competenze, favorire comportamenti proattivi, introdurre gli alunni all’uso del Digitale, motivarli utilizzando una molteplicità di linguaggi, attualizzare i contenuti con la trattazione di temi legati al territorio e alla realtà che li circonda, nonché promuovere un approccio metodologico dell’insegnamento di tipo laboratoriale, che metta al centro dell’attenzione il bambino.

Un ringraziamento particolare va alla nostra Dirigente Scolastica, Prof.ssa Paola Adami, che ci ha sempre sostenute, consigliate ed accompagnate in questo impegnativo ed entusiasmante percorso.

 

 

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