spot esselunga
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Con lo spot di Esselunga possiamo ormai dire che siamo alla frutta, sia come società che come mistificazione del messaggio.

Lo spot in se stesso è bello, ben realizzato ma certamente apre ad alcune riflessioni.

La prima è cosa vuole Esselunga?

Di certo il suo obiettivo non era vendere pesche!

Nemmeno convincere il consumatore della bontà dei suoi prodotti.

In ultima analisi nemmeno accattivarsi la simpatia dell’opinione pubblica visto il contenuto amaro dello spot.

Esselunga voleva far capire agli italiani il degrado sociale e familiare del paese?

Non c’era bisogno di Esselunga, ma di certo lo spot ha dato un messaggio di consapevolezza verso una situazione ormai alla deriva da anni, ovvero il disagio minorile e la disgregazione della famiglia tradizionale.

Di certo se ne parla, e molto, ma non ritengo che Esselunga avesse bisogno di questo tipo di “basta che se ne parli“.

Quindi Esselunga voleva porsi come nuovo predicatore della morale Italiana? e che gli viene??

Ma soprattutto chi ha dato ad Esselunga il ruolo di giudice della morale italiana?

Sutor, ne ultra crepidam!

Quindi riassumendo messaggio non coerente con le attività dell’azienda, giunto da un pulpito inadatto e con confusione di intenti.

A parte questo ritengo che lo scalpore mosso dal messaggio implicito nello spot di Esselunga sia proprio dovuto a tutti questi fattori che abbiamo appena detto, oltre che al fatto che tutti noi sappiamo benissimo che è tutto vero.

La disgregazione della famiglia è sicuramente un elemento di forte distonia del benessere dei minori.

Normalmente questo fenomeno avviene nella fascia di età del minore più delicata, ovvero dagli otto ai 15 anni, dove il minore non ha gli strumenti per potersi difendere da un così repentino cambio di equilibri negli affetti.

Quelle due persone che fino ad un attimo prima erano felici ora non lo sono più, e spesso nella loro infelicità usano anche i minori come merce di scambio.

La dinamica di utilizzare il bambino come “scudo” nel contesto di una separazione tra i genitori è un fenomeno complesso che può avere implicazioni significative per tutti i membri della famiglia.

Il bambino può essere coinvolto in vari modi, sia emotivamente che comportamentalmente, in strategie di manipolazione, controllo o vendetta tra gli adulti.

In questi casi, la tutela e il benessere del bambino possono essere trascurati, poiché l’attenzione è focalizzata sul conflitto tra i genitori.

Dal punto di vista psicologico, utilizzare un bambino come scudo o come mezzo per raggiungere obiettivi egoistici può essere considerato una forma di abuso emotivo.

Questo genere di abuso può avere effetti duraturi sullo sviluppo emotivo e psicologico del bambino.

In termini pedagogici, l’ambiente familiare è un contesto formativo cruciale per il bambino, che può essere negativamente influenzato da dinamiche familiari disfunzionali.

Le teorie dell’attaccamento, ad esempio, mettono in evidenza come relazioni di base sicure siano fondamentali per lo sviluppo sano di un individuo.

Dal punto di vista legale, le autorità e i tribunali pongono particolare enfasi sulla tutela dei minori. Se viene dimostrato che un genitore sta utilizzando il bambino come scudo in un contesto di separazione, questo potrebbe influenzare decisioni relative alla custodia, ai diritti di visita e ad altre questioni legali. In alcuni casi, può essere necessario l’intervento di servizi sociali o di altri professionisti per valutare la situazione e proporre soluzioni.

Vi sono diverse strategie di intervento, tra cui la mediazione familiare e la terapia, che possono aiutare a ridurre l’impatto negativo di tali dinamiche sui bambini.

Gli interventi mirano a ripristinare un clima di cooperazione e rispetto tra i genitori e a mettere il benessere del bambino al centro del processo decisionale.

Da un punto di vista etico e sociale, utilizzare un bambino come mezzo in una disputa tra adulti è considerato inaccettabile.

La società, rappresentata da vari organismi come le scuole, i servizi sociali e la comunità più ampia, ha una responsabilità collettiva di proteggere il benessere dei bambini e di intervenire quando si verificano situazioni di questo tipo.

In conclusione, l’utilizzo del bambino come “scudo” in un contesto di separazione è una dinamica problematica che richiede un’attenzione multidisciplinare, coinvolgendo professionisti del diritto, della psicologia, della pedagogia e dei servizi sociali.

La priorità deve sempre essere la tutela del benessere e dello sviluppo sano del bambino.

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