Cattolicesimo o Islam, dove va l’Italia?

 

E’ appena trascorsa la domenica delle Palme che celebra il festoso ricordo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto in maniera trionfante dai presenti che, per omaggiarlo, stendevano in terra i mantelli e sventolavano i rami tagliati dagli alberi.

Gesù, consapevole di andare incontro alla morte, ma fiero di quella accoglienza.

Una domenica, simbolo della pace, rappresentata dall’ulivo trasportato dalla colomba, che ricorda il racconto della Bibbia e, che vede Noè protagonista.

Questo racchiude la domenica delle Palme.

Ma, una strana domenica delle Palme, quella appena trascorsa, dove spirano forte i venti che vogliono allargare quelle guerre in atto allontanando sempre più la pace.

Sembrano lontani i tempi in cui le famiglie, con i bambini al seguito affollavano le chiese per far benedire i rami di ulivo e delle palme.

Oggi invece, non si riempiono le chiese, e nemmeno Piazza San Pietro a Roma, invasa forse da turisti mordi e fuggi, ma da pochi fedeli.

Poche le Palme e gli Ulivi benedetti.

Chissà se avrà influito a Roma quel blocco della circolazione, che appare e scompare a piacimento di chi ha deciso di dover limitare gli spostamenti delle genti.

Sarà causale o casuale la scelta della domenica delle Palme?

Che strana coincidenza.

E’ di sicuro una coincidenza, dovuta alla cagionevole salute di “Francesco” che per la prima volta, così asseriscono alcune fonti, non è stata letta l’Omelia alla fine del vangelo della Messa delle Domeniche delle Palme.

Ci ritroviamo così nella ricorrenza settimana della Passione e Morte di Gesù Cristo, che porterà alla Sua Resurrezione, domenica prossima.

Una settimana che dovrebbe concentrarsi, per fede, cultura, storia e tradizione, in quegli avvenimenti che hanno dato luce alla Cristianità ed al Cattolicesimo, e che, fino a qualche anno fa vedeva coinvolte famiglie, giovani, anziani, bambini, scuole ed istituzioni, pur nel rispetto della laicità dello Stato, come previsto dalla nostra Costituzione.

In tanti si chiedono dove son finiti quei momenti di riflessione che in questo periodo, iniziando già dalla scuola, venivano dedicati attraverso gli esercizi spirituali.

Si iniziava con il Segno della Croce e la Preghiera, rivolgendosi verso il Crocifisso.

Crocifisso che era presente in tutte le aule delle scuole e in ogni ufficio…

Ma qualcuno ha deciso che così non doveva essere, con il silenzio complice di chi sarebbe potuto intervenire, avendo gli opportuni titoli.

Sparito il Crocifisso, simbolo del Martirio e della Morte di Cristo, sparito il Presepe, simbolo della Nascita di Cristo, spariti gli esercizi Spirituali, sparite le festività Cristiane, sparita la Nostra cultura, per non offendere chi professa altre religioni, nella discutibile cultura di una inclusione forzata, unilaterale e forse non gradita.

Probabilmente, anche al più laico dei laici, la domanda verso dove sta andando l’Italia e non solo, nasce spontanea.

A rafforzare le ovvie domande che tanti, non strumentalizzati da ideologie, si pongono, questi fatti accaduti:

E’ di questi giorni, la notizia che a Pioltello, comune Italiano della città di Milano, il preside di una scuola, decide di chiuderla per la fine del Ramadan; regola musulmana, i cui adepti devono astenersi dal bere, mangiare, fumare, ascoltare musica, dal praticare attività sessuali e le donne non devono truccarsi.

Non entriamo nel merito, per cui già tanto si è scritto, se non per rilevare quanto asserito dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini: “un legittimo provvedimento dell’istituto” e, continua: “Non mi pare il caso di far diventare la cosa un problema”.

Riportiamo anche la posizione di Don Fabio Landi: “Rispettare i musulmani è un modo per capire l’altro” e, continua: “una delle cose più importanti della vita è la religione. Non so come sia il regolamento delle scuole, si sospende anche a carnevale”. In oltre, al “Il Giorno”, un suo collaboratore, don Fabio Landi, responsabile della Pastorale scolastica per la Diocesi di Milano, chiarisce: “Sono sorpreso dal cancan sollevato da una vicenda che credo non solo assolutamente normale, ma addirittura auspicabile. Rispettare la festa dei musulmani è un modo per capire l’altro. Le scuole tengono in considerazione le settimane bianche, figuriamoci un appuntamento come questo. È un ottimo esempio davanti a una realtà complessa, se usciamo dalla logica di conquista e ci mettiamo in quella dell’incontro”.

A rendere ancora più complessa e dubbiosa la posizione dell’Arcivescovo e del Monsignore, la lettera firmata da tre parroci, e letta nelle chiese di Poiltello al termine della messa prefestiva:

“La decisione del Consiglio di Istituto è nata da una seria e attenta capacità di leggere il tessuto sociale della nostra città che, come sappiamo, ha una percentuale di presenza di popolazione musulmana molto alta.

Non accettiamo in alcun modo i toni aspri e violenti con cui in questi giorni si è manifestato il dissenso, trasformando una scelta ponderata in una battaglia politica o ideologica. Che cosa avranno pensato di noi adulti i ragazzi che, quando entrano in classe, vedono solo compagni di classe con cui crescere e amici con cui giocare senza guardare alla nazionalità o alla religione?

La realtà di Pioltello è molto complessa e di certo non servono le chiusure e il disprezzo. Serve invece la capacità di darsi la mano e lavorare insieme.

Anche il responsabile dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della Diocesi di Milano ha espresso apprezzamento per questa «bella iniziativa di dialogo tra religioni»

Riteniamo che la decisione, presa in modo collegiale, di chiudere la scuola in occasione della fine del Ramadan sia nata dal buon senso di chi opera ogni giorno in una realtà multietnica con passione e cura per ogni persona e per la sua identità. Per questo esprimiamo piena solidarietà al Preside e a tutto il Consiglio di Istituto dell’Istituto Comprensivo Iqbal Masih

Siamo sicuri di una cosa: quando le polemiche saranno finite (di solito bastano pochi giorni) a Pioltello resteremo noi, resteranno le persone; uomini, donne e bambini di buona volontà che vogliono vivere insieme, che vogliono una città bella e serena e, anche se costa fatica e non è scontato, ogni giorno si sporcano le mani, costruiscono ponti e inventano iniziative per incontrarsi, accogliersi e aiutarsi.

Firmato: Don Andrea, Don Giacomo e Don Marco”

Posizioni, quella dell’Arcivescovo, del Monsignore e dei tre Don, che potrebbero indurre molti fedeli a porre dubbi sulla loro missione pastorale.

A ciò che sta accadendo a Poiltello, sempre negli ultimi giorni, dobbiamo aggiungere quanto denunciato dal Sindaco di Monfalcone, dove un oratorio, intitolato all’Arcangelo San Michele, di pertinenza della parrocchia, è stato prestato ai musulmani, come moschea, all’insaputa del sindaco.

Fenomeni, questi, che trovano sempre più spazio nel tessuto Italiano, e registrano uno strano cedimento verso non la laicità dello Stato, come in origine ci si era impropriamente orientati, rinunciando, per di più, alla cultura ed alla tradizione Italiana, orientando tutto verso una vera e propria islamizzazione.

Togliere progressivamente ma puntualmente ogni forma culturale cristiana e cattolica, che ha caratterizzato la nostra vita di sempre, e sostituirla con la cultura islamica, assai lontana dalla nostra, per di più, con la complicità di coloro i quali preposti per Loro volontà a difenderne ogni principio, rende fortemente dubbioso il futuro delle nostre generazioni.

Ettore Lembo




Socialità e egoismo, sentimenti e forze in contrasto

La metafisica della persona e della società fonda una psicologia e un’etica, che presiedono allo svolgersi della vita sociale. Ogni uomo che nasce entra nell’universo e vi si armonizza come termine di relazione con Dio e gli altri uomini e le cose. Per questo è una persona in sè consistente, ma essenzialmente relazionata, cioè inserita in un complesso di rapporti con altri-da-sè.

Il senso sociale, o senso della socialità, è dato dalla coscienza dei rapporti con gli altri uomini, del comune legame di ideali e di interessi, della solidarietà che, sola, rende possibile ad ognuno la pienezza del vivere. Esso si traduce nella tendenza della persona umana a comunicare con gli altri, cioè a far parte agli altri di ciò che è proprio, come a ricevere dagli altri quanto è necessario per il bene proprio e comune.

Per esempio, nel conoscere la verità, per naturale tendenza l’uomo rifugge dal tenerla prigioniera dentro di sè, ma la offre agli altri. Di qui le molteplici forme di comunicazione interpersonale: dalla semplice trasmissione di una notizia, alla partecipazione di nozioni, idee, giudizi, valori fino alla comunicazione dei più intimi pensieri. Nell’amare, l’uomo espande sè negli altri diffondendo, nel contempo, gioia e felicità. Di qui tutta la gamma di espansioni umane: dall’amicizia in senso comune, a quella coniugale e familiare, al patriottismo, allo spirito comunitario nazionale e internazionale, alla comunione religiosa ed ecclesiale, fino al sacrificio supremo della propria vita per il bene degli altri.

Con questo senso sociale, purtroppo, contrasta l’istinto egoistico che di fatto pullula in ognuno, come sopravalutazione di sè e tendenza a rinchiudersi nel proprio io egocentrico, per pascersi di sè e possibilmente degli apporti degli altri, considerati e sentiti come “altri”, cioè estranei all’ “io” e alla sintesi dell’io e del tu nell’unico “noi” comunitario.

Nell’uomo dunque si agitano due forze contrastanti, tali da renderlo nello stesso tempo estremamente comunicante ed estremamente impenetrabile. Perciò ognuno, a seconda della prevalenza di una inclinazione o dall’altra, della socialità o dell’egoismo, diventa un operatore di comunione o di disgregazione, tende a unirsi con gli altri in un comune intento di comune beneficio oi ad esercitare su di essi un dominio dispotico.

Secondo gli psicologi appartengono alla sfera della socialità l’altruismo, la tolleranza, la socievolezza, l’affettività, ecc.; mentre l’aggressività, l’ambizione, la vanità, il delirio di grandezza ecc., appartengono alla sfera dell’egoismo. I sociologi a loro volta fanno derivare dal senso sociale tutte le forme di raggruppamento, dai semplici aggregati di gruppi e associazioni, fino alla società globale, che si attua nella comunità civile e religiosa, nazionale o universale; ogni sorta di deviazione della tendenza comunitaria – asocialità, anarchia, criminalità ecc. – è invece attribuita all’egoismo.

L’educazione alla comunione sociale

Perchè l’uomo possa attuare ed esprimere compiutamente le virtualità sociali della propria personalità, occorre educarlo a vivere in comunione con gli altri. E’ questione di sensibilità, di razionalità, anzi soprattutto di spiritualità…

L’educazione in generale comporta un elemento formale: diciamo che se una persona è ben educata se osserva delle regole di comportamento esteriore stabilite dall’uso ed è capace di un certo autocontrollo; ed un elemento sostanziale che si attua con l’acquisizione dei valori fondamentali per la vita sociale, quali l’onestà, la bontà, la serietà, la generosità, la modestia, la fedeltà ai propri doveri, il senso di responsabilità.

Naturalmente e soprattutto in questo secondo senso che va intesa ed impartita l’educazione al senso sociale, da attuarsi sotto una triplice forma:

a) a livello sentimento, l’educazione del senso sociale porta l’individuo a dividere con gli altri i propri stati affettivi, alla gioia di vivere insieme, alla compassione (nel senso etimologico di patire con gli altri), e quindi intercomunicare in emozioni gradevoli nel campo estetico morale, intellettuale, religioso, ecc.;

b) a livello di razionalità, si tratta di innestare nello spirito i motivi ideali della comunione sociale, come idee-forza che determinano giudizi e decisioni, propensioni ed azioni di per sè tendenti alla socialità per una consapevole maturazione interiore.

c) a livello di spiritualità, si tratta di formare una superiore comunione degli animi nella luce, nella bontà, nella passione per i grandi ideali di verità e di vita: ma qui subentra la Chiesa, o un’altra forma di religione organizzata, o qualche gruppo solidale di ispirazione mistica ed etica comune, che abbia vivo il senso della socialità. Per la Chiesa si tratta di fondare la comunione tra gli uomini sul riconoscimento di Dio come Padre comune e di illuminarla all’eterna comunione di Dio con se stesso, da cui deriva la comunione mistica degli uomini con Dio, il corpo mistico fondato sul presupposto dell’universale solidarietà umana nella natura, nel bene e nel male, attuato storicamente con l’ incarnazione del Verbo e col sacrificio del Calvario, e aperto all’attesa della redenzione integrale nel compimento finale della vita e della storia, ad opera di Cristo.

La socialità come dimensione naturale della persona autentica

In ogni caso la socialità non è solo un “di più” della persona, ma una sua dimensione psicologico-etica, una sua piena realizzazione, una vittoria sull’isolamento (egoismo) e una espansione che le permette di sviluppare nella comunione con gli altri il proprio essere morale. Perciò la socialità è di sua natura un valore etico, spirituale.

L’egoismo è deleterio perchè chiude l’uomo in sé e lo divide dagli altri, rende impossibile i rapporti umani e perciò ha conseguenze fatali in ogni campo: familiare, professionale, politico, religioso. Si direbbe che l’egoismo è l’inferno dell’io chiuso in se stesso, diventato incapace di comunicazione: un inferno antropologico e psicologico, a cui l’uomo si autocondanna nella misura in cui fa di se stesso il polo esclusivo di se, della vita, del mondo: una concentrazione sul nulla.

La comunione invece è l’espansione e insieme arricchimento. Ma per essere reale, essa non può consistere solamente in una vicinanza o in una coesistenza, bensì risolversi in un mutuo accoglimento, in una reciproca donazione, per cui tra realtà ontologicamente incomunicabili, come sono gli individui, si costituisce una simbiosi spirituale che non può non riflettersi sul piano della collaborazione sociale. Ma intanto la persona stessa, nel comunicare, si afferma e perfeziona. Il valore profondo di un uomo si misura nella sua capacità di comunione, che non è data solo da un insieme di qualità esteriori (amabilità, spigliatezza ecc.) e nemmeno è solo il frutto di qualità interiori (sensibilità, raccoglimento, delicatezza, bontà, attenzione), ma è essenzialmente commisurata alla disponibilità interiore, al dono che uno sa fare di se stesso per colmare l’altro seguendo, in fondo, anche qua, la legge evangelica del dare senza pretendere di ricevere, del donarsi spontaneamente e gratuitamente raggiungendo così la beatitudine dell’amore. La comunione, cioè la vittoria sull’egoismo, porta dunque a tale perfezionamento dell’individuo da renderlo veramente persona.

Se personalità significa uno sviluppo delle energie e capacità dell’uomo, che si consolidi in una condizione permanente di dominio e di controllo dei principi operativi, ossia nella maturità psicologica-etica, radice e coefficiente ne è la socialità.

E’ un dato acquisito per la psicologia moderna che ha definitivamente abbandonato il termine “individualità” preferendovi quello di “personalità”, sotto gli influssi degli studi e delle esperienze che hanno messo in rilievo l’importanza dei fattori sociali nella formazione dell’Io.

Oggi per individualità si intende l’originalità ad ogni costo, l’insofferenza per ogni forma di cosiddetto conformismo, l’egocentrismo che può portare all’isolamento e all’anarchia, quasi sempre per un certo infantilismo che implica una mancanza di integrazione e quindi di maturità umana; personalità significa invece sviluppo di sé fino all’auto-dominio mediante l’integrazione del soggetto nel contesto sociale secondo le istanze della stessa natura dell’uomo, che è aperta agli altri e ne richiede un supplemento di cultura e di vita nello stesso darsi e donarsi.

La vita sociale effettivamente aiuta l’uomo, riempie la sua solitudine, lo integra, lo corregge, lo libera dal narcisismo e dalle frustrazioni che così spesso si determinano in lui quando è isolato e asociale.

L’individuo antico e moderno

La tendenza naturale dell’uomo alla socialità non trova la sua adeguata interpretazione o è addirittura negata nelle filosofie e mistiche dell’isolamento, antiche e recenti.

L’antica sofistica, per esempio, è la espressione culturale forse più tipica della crisi spirituale e politica del mondo ellenico. L’uomo dei sofisti è l’uomo solo, chiuso nel cerchio delle sue sensazioni e delle sue opinioni mutevoli. Non ha senso sociale. La sua stessa parola non è comunicazione, dialogo, ma monologo e il rapporto a cui essa dà luogo è come un incontro e anzi un urto fatale di uomini soli.

Così pure lo stoicismo celebra la dignità del saggio che in aristocratica solitudine si erge libero e imperturbabile di fronte agli eventi esterni, anche se l’etica stoica, egocentrica e raffinatamente individualistica, non dimentica tuttavia di fare appello alla solidarietà di tutti gli uomini fondata sull’unità del logos divino che determina l’unità cosmica.

L’epicureismo nella sua dimensione etica è la celebrazione dell’individuo che si chiude nel breve cerchio della sua esistenza finita eri trova la sua felicità nell’armonioso equilibrio del corpo e dell’intelligenza, lontano dagli affanni e dalle responsabilità della vita sociale e politica.

Anche le varie forme di solipsismo, individualismo, egotismo che si sono espresse nei tempi moderni sul piano culturale, con riflessi su quello sociale, partono tutte dalla mi-sconoscenza del valore che ha la società per la formazione dell’uomo integrale, o addirittura dall’asserzione della sua negatività in relazione al bene dell’individuo (pessimismo di Hobbes, per esempio,).

Non è neppure da ignorare il rilievo che nel nostro tempo ha preso la patologia degli asociali e antisociali, che costituiscono un fenomeno di ordine psico-sociologico che ha grandi riflessi su tutta la comunità. Si sa quali ne siano la ragione e la genesi.

Fenomeni patologici e pedagogia della società

In ogni momento della sua vita l’uomo costruisce e nutre la propria personalità in e attraverso contatti con gli altri; normalmente non può accettare o desiderare di comparire socialmente, ma invece sperimenta e manifesta un bisogno intimo degli altri, cioè il bisogno di contatti e di scambi, di comunicazione e di simpatia, di collaborazione e di donazione di sé. perciò chi si sente ignorato o trascurato, sperimenta tale condizione come una perdita della sua esistenza insieme personale e sociale. Chi non riesce ad essere qualcuno al livello psico-sociale della sua esistenza, “scompare”. Niente è per lui così conturbante, così esiziale alla vita psichica quanto alla sensazione di essere un derelitto o un isolato.

Ora questo può avvenire per una condizione psico-patologica, per ragioni costituzionali o a causa di frustrazioni subite: si hanno così gli asociali, che vivono in contatto con gli altri, ma sperimentano questo contatto negativamente: perdono fiducia, la capacità di comunicazione, il senso della vita di comunione, rinchiudendosi in sé stessi; oppure assumono atteggiamenti di aggressione e di rivolta contro la società, e diventano pertanto anti-sociali.

Una sapiente pedagogia della socialità dovrebbe prevenire e curare tali forme di vera patologia, per ridare a questi individui la normalità e recuperarli alla società.

Una dottrina sana e solida della società è la base per tale opera educativa.

Don Walter Trovato




Scienza dell’Arte: estetica e metodo?

Betapress: Paolo Battaglia La Terra Borgese, ci spieghi lei cosa è la Scienza dell’Arte

 

Il metodo sperimentale, caratterizzante la scienza moderna, fu diffuso da Galileo Galilei: presuppone di esaminare costantemente che le indagini sperimentali siano connesse con le ipotesi e i ragionamenti svolti. Al pari di altre scienze, la Scienza dell’Arte è dunque anch’essa un sistema di conoscenze – spiega Paolo Battaglia La Terra Borgese

 

Occorre chiarire che il termine ha un significato immediato e storicamente definito – precisa il noto critico d’arte -, e indica lo studio dei fenomeni artistici con il metodo e i presupposti delle scienze naturali, al fine di determinare, in maniera universale e necessaria, le leggi che presiedono alla vita dell’arte. Un tale atteggiamento teorico, oggi alquanto superato, considera cioè questo fatto spirituale, che è l’arte, alla stessa stregua di un qualsiasi fenomeno naturale sperimentale.

 

Oggi la Scienza dell’Arte ha fatto passi da gigante – spiega Paolo Battaglia La Terra Borgese – e non è più stagionata nella trappola tecnica/rappresentazione/periodo: è avvenuta una vera palingenesi ad opera della Critica Artistica, che è la vera Scienza dell’Arte.

 

Le varie estetiche naturalistiche, fisiche, fisiologiche, psicologistiche ecc. erano tutte mosse dall’ambiziosa aspirazione di concludere in un sapere scientifico la vitalità estrema del mondo dell’arte. Il loro merito consistette nella polemica, giustificata entro certi limiti, contro alcune astrattezze speculative e posizioni mistiche in cui si perdeva la concretezza della sfera estetica – avverte Paolo Battaglia La Terra Borgese -.

 

Ma il loro limite si delinea ben chiaro allorché si tiene presente che la scienza può spiegare il mondo dei fatti, e non quello dei valori, né quello delle forme spirituali che sui fatti operano trasfigurazione e idealizzazione. Il mondo dello spirito, in altre parole, non può essere studiato col rigido metodo sperimentale perché altrimenti se ne perderebbe di vista la più profonda essenza, che è la libertà creativa. Questa è la ragione per la quale la Scienza dell’Arte non ha senso senza la Critica Artistica, che ne costituisce il diretto sinonimo e, soprattutto, la maggiore nozione, in quanto la Scienza dell’arte è solo una delle componenti della Critica Artistica.

 

Con ciò non voglio negare, chiarisce Battaglia La Terra Borgese, tuttavia, da parte delle estetiche più recenti, il valore e il contributo positivo di un certo ordine di studi. Tali ricerche vanno però condotte con metodi e procedimenti più elastici e idonei alla particolare natura dell’argomento, anche in considerazione del fatto che il metodo naturalistico di cui il positivismo si fece assertore è, nel campo delle stesse scienze, sottoposto oggi a un severo processo di revisione critica, e perciò non è più il caso di averne la cieca fiducia che se ne ebbe alla fine del XIX secolo. In secondo Luogo, le ricerche cosiddette scientifiche, di carattere psicologico, valgono a mettere in luce particolari piani ed aspetti della sfera estetica, ma i loro dati vanno integrati nella visione teoretica, cioè universale, del complesso mondo dell’arte.

 

Vanno, cioè, inserite nel quadro di una filosofia critica dell’arte e del bello.

 

Il piano in cui si risolvono dalla loro particolarità e unilateralità è dunque propriamente il piano dell’estetica.

 

Conclude Paolo Battaglia La Terra Borgese:

Nell’epoca che viviamo il termine «scienza dell’arte» vuol quindi indicare il complesso di studi d’ordine psicologico, sociologico, critico, tecnico, storico, ecc. che l’estetica conduce nella infinita ricerca di una definizione dell’arte e del bello. Il vocabolo “scienza” non va dunque inteso come un sapere che concluda a leggi definitive, ma come un metodo di seria indagine teoretica sempre aperta a nuove scoperte e a nuove integrazioni da parte della Critica Artistica.

 




VINO A CASA VIENI A CASA

ROMANIA: PROGETTO ”VINO A CASA VIENI A CASA”.

 

In un contesto segnato dalla migrazione e dalla mancanza di forza lavoro, il progetto “VINO A CASA” (in rumeno vino a casa vuol proprio dire vieni a casa), si propone di accogliere i rumeni che sono emigrati all’estero, offrendo loro opportunità reali e motivate ( come un buon bicchiere di vino ndr) per tornare in patria e contribuire allo sviluppo economico e sociale della Romania.

Lanciato dal Patronato Confindustria Romania e sostenuto da alte istituzioni pubbliche e multinazionali, uno degli elementi fondamentali del progetto è stata la creazione di una piattaforma interattiva che mette in contatto domanda e offerta di lavoro, facilitando così l’accesso dei rumeni a opportunità di impiego in diversi settori e regioni del paese.

Questo aspetto è particolarmente importante considerando che molti rumeni emigrati sono alla ricerca di motivi solidi per tornare a casa e continuare la propria carriera in Romania.

Inoltre, il progetto “VINO A CASA” offre supporto e assistenza non solo a coloro che desiderano tornare in Romania, ma anche alle loro famiglie.

Il progetto si impegna a fornire aiuto nella ricerca di alloggio, accesso a servizi sanitari di qualità, soluzioni per l’istruzione e la formazione professionale, nonché assistenza nella gestione del processo di reintegrazione amministrativa.

In un momento in cui la Romania affronta sfide significative legate alla migrazione e allo sviluppo economico, il progetto “VINO A CASA” rappresenta un’iniziativa audace e innovativa che dimostra come sia possibile costruire un futuro migliore per il nostro paese, incoraggiando il ritorno e il coinvolgimento attivo della diaspora rumena nello sviluppo della Romania.

La mancanza di forza lavoro è un problema in tutta Europa. La migrazione della forza lavoro da un paese all’altro lascia ogni territorio scoperto. Attraverso il nostro progetto “VINO ACASA” abbiamo guardato avanti, analizzando il flusso migratorio naturale, costante e inarrestabile tra Romania e Italia, che coinvolge migliaia di cittadini rumeni ogni anno, e in questa direzione abbiamo avviato un dialogo innovativo, costruttivo e indipendente con la comunità rumena, per mantenere il più possibile il capitale umano nel contesto della catena industriale italo-romena in entrambi i paesi“, ha dichiarato il Presidente di Confindustria Romania, Giulio Bertola.

 

 

Angelo Sinisi

Engineer, Economist  

Manager of Tales of Angels asociatiatalesofangels.com

Confindustria Romania Associative Development  https://confindustria.ro/

PhD Profesor Asociat  Selinus University https://www.uniselinus.education/

Member AMIER Asociația Managerilor și a Inginerilor Economisti din Romania  http://www.amier.org/ 

https://www.linkedin.com/in/angelo-sinisi-004991174/

 




Politicamente scorretti unitevi

“Acerbi mi ha detto ‘va via negro’” queste le parole dello “scandalo”.

Ennesimo scandalo mediatico sul nulla italiano.

Parole dette all’orecchio da un giocatore dell’Inter ad un giocatore, Juan Jesus, del Napoli durante una partita del campionato di serie A.

Il difensore si è rivolto all’arbitro per denunciare il fatto.

Capisco di essere “politicamente scorretto”, sono assai felice di esserlo, ma a me tutto questo mi sembra un comportamento da “asilo mariuccia”.

Quando andavo all’asilo vi era sempre un altro bambino, più frequentemente bambina, che si rivolgeva alla maestra e, sempre ad alta voce per attirare l’attenzione dei compagni di classe, dichiarava “maestra lui mi ha detto brutto”.

Avevo tre anni, oggi ne ho assai di più e questi comportamenti, il perdere tempo dietro a questi aneddoti, mi annoiano moltissimo.

“Mi ha detto negro”, tutti coloro che scendono in un campo per partecipare ad una partita di un qualsiasi gioco di squadra sa benissimo che i “colpi sotto alla cintura” sono costanti, fa parte del gioco.

“Figlio di ….”, “pezzo di ….”, recentemente un giocatore in modo furbesco ha stretto i gioielli ad un avversario, calci e sgambetti, gomitate, di tutto accade durante una partita.

Quasi nella totalità dei casi alla fine della partita ci si stringe la mano e finisce tutto lì.

Fa parte del gioco, appunto.

Da “politicamente scorretto” quale mi onoro di essere, sono addirittura Trumpiano, incredibilmente penso che gli accordi di pace si devono fare sedendosi al tavolo con il nemico per trattare, anche se si chiama Putin.

Penso, infatti, che “vivere all’asilo” non aiuti a costruire un futuro prospero della nazione.

Quanto mi manca l’ironia di quel immenso attore che fu Gigi Proietti e quel momento di vera comicità sulla rete televisiva pubblica che lo stesso rappresentò.

Momento di cabaret che terminava con la romanesca affermazione “a fr…”!

Oggi non si può più trasmettere, anche film cult come “Amici miei” c’è chi li vorrebbe addirittura distruggere.

In fondo c’è chi abbatte le statue di Cristoforo Colombo!

Oggi i ben pensanti ci costringono a vivere con il loro “politicamente corretto”, reale perbenismo dato che la corruzione morale in Italia, e non solo, è ovunque.

Gli italiani, rimaniamo nel nostro recinto, debbono stare attenti al linguaggio, il sistema paese, però, si guarda bene dallo sradicare il malcostume delle tangenti, dei concorsi pubblici addomesticati, degli appalti pubblici gonfiati.

Meglio parlare di Acerbi e della sua frase all’orecchio in un campo di calcio.

Oggi dobbiamo seguire le notizie del “dossieraggio” da parte di organi dello Stato a Perugia.

Vi sono, fatto ancor più grave, i servizi pubblici, sanitari in testa, troppo spesso eccessivamente inadeguati e speriamo che il “problema” si limiti ad inadeguatezza.

Come non notare gli “affari” che girano sul traffico di migranti?

“Affari” da codice penale, non da “asilo mariuccia”, non da “maestra mi ha detto cattivo”.

Quanto è bello e facile per i ben pensanti spostare su fatti che i dotti definirebbero “inezie” l’attenzione mediatica!!!

Quanto anelo il poter tornare senza eccessivi rumori di sottofondo dei ben pensanti al linguaggio politicamente scorretto e, al contempo, alla capacità, e volontà, di sradicare tanto malaffare.

Oikofobia si definisce in dottrina medica, in psichiatria, l’avversione, fino alla paura, per il proprio ambiente domestico.

Sia nel concreto che in modo figurato.

In politica si riferisce al ripudio della propria cultura e delle proprie tradizioni per lodare gli altri.

Fermare per un giorno il percorso didattico di un plesso scolastico per permettere di seguire gli adempimenti del Ramadan, non far più svolgere le tradizionali recite del Santo Natale o non permettere che venga esposto un presepe, sono solo alcuni fra i tanti esempi di questa patologia nel sistema sociale italiano.

Il rispetto delle culture altrui parte dal conoscere e rispettare le nostre.

Il rispetto degli altri richiede il contestualizzare i fatti.

Un esempio.

In una recentissima partita internazionale di una squadra di calcio della nostra capitale i tifosi della stessa, presenti nella curva dedicata agli stessi, hanno esposto il seguente striscione “la Regina Elisabetta faceva i b…….”.

Frase triste sempre, ancor più se riguarda una defunta nonché regina amatissima dai tifosi dell’altra squadra in campo.

Frase pubblica, non sussurrata all’orecchio di un avversario in campo che, ne sono certo, durante una partita usa tutti i trucchi del mestiere per far saltare i nervi all’avversario anche lui.

Leggo sui giornali, io di questo capisco assai poco, che Acerbi rischia una squalifica durissima ma nulla, se non poche righe, su questo fatto, forse perché gli addetti ai lavori ricordano quel dissacrante striscione in un Verona Napoli di tanti anni fa che recitava “Giulietta è una zoccola”, al tempo si misero a ridere tutti e si chiesero quale sarebbe stata la “risposta” veronese durante la partita di ritorno.

Quanto mi farebbe piacere un rapido tornare alla concretezza ed alla normalità.

Propongo un “gioco”, proprio in ossequio a tanta durezza dei ben pensanti su ogni inezia, l’obblio dalle facezie e il ritorno ai problemi veri sui media.

Per esempio, rubare una frase ad un personaggio pubblico quale Platinette e costringerlo alle scuse pubbliche io lo definisco “ostracismo”.

Tutto qui, niente di più, niente di meno.

Per questo l’occidente si sta dividendo, gli ostraticizzati, noi politicamente scorretti, iniziamo a renderci conto che dobbiamo contarci e dire la nostra.

Per questo noi ostraticizzati guardiamo con attenzione a quel pericolosissimo generale che ha onorato l’Italia rischiando la sua pelle negli scenari più pericolosi nel mondo.

Quanto è bello quel “Mondo al contrario” che rompe il pensiero unico!

Non è neanche così importante condividerne tutti i contenuti, va ringraziato solo per il fatto che scrive quello che tanti pensano ma pochi hanno il coraggio di affermare pubblicamente.

Chi non ha la necessità di uno psichiatra perché non soffre di oikofobia non può che sperare di poter tornare a sentire un attore dire quello che vuole circoscrivendo il suo dire al suo ruolo, sia se si chiama Platinette, sia se si chiama Litizzetto.

A chi scrive, entrambi, non fanno ridere, ma auguro loro libertà di parola.

La auguro a loro tanto quanto vorrei che fosse augurata a me, cattivo Trumpiano politicamente scorretto.

Ignoto Uno




“Nato con la valigia”

Intervista all’Autore del libro “La conquista della lontananza – Viaggi, incontri, scoperte”

 

Ho avuto il piacere di conoscere il Prof. Brevini alla Radio Svizzera, in occasione della registrazione di “Laser”, la rubrica di “cultura e società” da lui condotta e curata.

Gli argomenti trattati, sempre di vibrante attualità, vengono esplorati dal prof. Brevini con l’entusiasmo e l’expertise del colto viaggiatore che, attingendo al suo nutrito archivio di ricordi e conoscenze, riconosce il fil rouge a unire fra loro esperienze dirette, scoperte, opere d’arte, capolavori letterari e dotte conversazioni, in una caleidoscopica multidisciplinarietà.  

“Professore, vorrei intervistarla.” Gli ho confessato un giorno. Ha annuito e sorriso, proponendomi di recensire il suo ultimo libro “La Conquista della Lontananza – Viaggi, incontri, scoperte” pubblicato con “il Mulino”.

Non gli ho detto che sono stata rimandata in geografia a settembre con un quattro secco, alle superiori. Ho accettato la sfida.

Note sull’Autore

Franco Brevini è professore associato di Letteratura italiana all’Università degli Studi di Bergamo. Collabora come scrittore ed editorialista con il Corriere della Sera. È critico letterario di altissimo livello, saggista, commentatore, ricercatore.

Ha partecipato alla realizzazione delle maggiori storie della letteratura degli ultimi anni, fra le quali la “Letteratura italiana” curata da Alberto Asor Rosa, pubblicata da Einaudi (1982-2000). Inoltre è considerato il maggior esperto italiano di poesia dialettale contemporanea. Sua è la collana in tre volumi La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento (Mondadori 1999), ad oggi il contributo più sistematico dedicato alla produzione poetica nei dialetti italiani.  

Nell’ultimo decennio, pur mantenendo un vivo interesse per la letteratura come risorsa interpretativa dei fenomeni sociali e culturali osservati, il prof. Brevini ha privilegiato le scienze umane. 

Una piccola enciclopedia del Viaggio

“La conquista della lontananza” è il frutto maturo di un lavoro di minuziosa analisi del “viaggio” in tutte le sue possibili accezioni, sfumature e implicazioni.

Pagina dopo pagina, Brevini accompagna per mano il suo lettore a scoprire, dei viaggi, i motivi che li hanno ispirati, dagli albori della storia umana al giorno d’oggi, in ogni parte del mondo.

Certo, lasciare il noto per l’ignoto richiede un valido motivo e una visione: così è più facile affrontare l’impervietà dei sentieri montani, la pericolosità degli oceani, il senso di incertezza dovuto alla fragilità e all’inadeguatezza dei mezzi di trasporto… E poi i disagi del pernottamento in luoghi ostili, i climi avversi, gli animali selvatici, i briganti, gli osti truffatori, le popolazioni inospitali… 

Comunque, quale sia l’interesse, l’obiettivo o la fede che li muove, ad accomunare i viaggiatori è il fardello delle proprie origini, il dolore più o meno intenso delle proprie radici. Nei loro cuori, c’è sempre la speranza che ne sia valsa la pena, di lasciare i loro cari e il loro piccolo mondo.

A tutto questo si aggiunge lo struggimento di chi parte e avverte il pericolo più grande, tanto maggiore quanto più è lungo il periodo trascorso lontano da casa: quello di perdere la propria identità. La feroce nostalgia delle persone amate e non raggiungibili, come oggi, con un semplice tocco sullo schermo del device.

I Protagonisti del Viaggio sono gli esploratori, i naturalisti, i meteorologi, i cartografi, gli scienziati, i letterati, i diplomatici, i pellegrini, gli studenti, i rampolli di famiglie aristocratiche, i regnanti, gli artisti, i soldati, i turisti, gli esuli, i politici, i nomadi, i coloni, i mercanti, gli emigranti, gli studiosi, i profughi, i pittori, i religiosi, i geografi…  e i rispettivi domini disciplinari fra i quali la letteratura, la geografia, la storia, l’antropologia, le scienze, la filosofia, la psicologia e la politica.

In ambito specificamente letterario, Brevini giunge alla conclusione che il Viaggio è il fil rouge culturale che attraversa, senza soluzione di continuità, tutte le narrazioni del mondo: ed ecco passare in rassegna i racconti mitici, i poemi eroici e cavallereschi, le descrizioni di viaggi immaginari, i resoconti, i diari, i “travel books”, le cronache, i romanzi avventurosi e fantascientifici, i reportages giornalistici.

In questa piccola enciclopedia del Viaggio non possono mancare i viaggi simbolici, metaforici e spirituali: i viaggi introspettivi dell’Uomo alla scoperta di Se Stesso e della propria vocazione, i viaggi interiori alla ricerca delle Risposte alle grandi domande della vita, i viaggi evolutivi alla conquista dell’età adulta.

Ciliegina sulla torta: al termine di ciascun capitolo, Brevini ci racconta di sé e dei suoi viaggi in giro per il mondo. Sono proprio questi a suscitare in me il desiderio di saperne di più su chi, come lui, è nato con la valigia.

L’intervista

J.L.: Nel prologo Lei accenna al “viaggio” come a qualcosa che il nonno, il papà e gli zii hanno infuso nel suo DNA. Agli illustri precedenti in famiglia si aggiunge un curioso particolare: l’essere stato concepito dai suoi genitori durante un viaggio. A quanto pare lei è nato viaggiatore. Ma… lo si può anche diventare? Se sì, quali sono i fattori che ispirano l’uomo del nostro tempo a voler viaggiare?

F.B.: Credo che la molla sia la stessa di sempre: il desiderio della lontananza. Io l’ho chiamata così, ma si potrebbe dire in molti altri modi: il fascino dell’esotico, la spinta verso la scoperta, l’interesse per tutto ciò che è diverso. Oggi il turismo solo in parte vi corrisponde, perché ci propone ai tropici copie delle confortevoli realtà in cui viviamo a casa. Anche l’incontro con l’altro è molto edulcorato nelle forme del tipico, del caratteristico, del folclorico.

J.L.: Qual è, di tutte le esperienze che ha vissuto, quella che l’ha fatta innamorare del viaggio al punto da farne il leitmotiv della sua vita?

F.B.: Sono i racconti sull’India dello zio salesiano. Mi parlava della tigre che lo aveva inseguito mentre fuggiva in bicicletta nella giungla o dell’apparizione degli ottomila himalayani dai primi contrafforti del subcontinente. Fu lui a deporre un seme, che poi mio padre ha cresciuto con gli infiniti viaggi in cui mi ha coinvolto fino dai primi giorni di vita. Il nomadismo era inscritto fino da subito nella mia vita.

J.L.: Quali sono i momenti più belli trascorsi in viaggio coi suoi genitori?

F.B.: Sono numerosissimi i momenti belli trascorsi con loro in giro per il mondo. Ne posso ricordare uno che menziono anche nella piccola introduzione autobiografica del mio libro. Durante un viaggio con mio padre nel Triangolo d’Oro, su all’estremo confine settentrionale della Thailandia, tra Birmania e Laos, lo vidi trascinare per giorni due scatoloni di cartone. Neppure a me volle rivelare cosa contenessero. Il giorno di Pasqua navigavamo su delle piroghe lungo uno di quei fiumi nella giungla, di cui avevo letto nei romanzi malesi di Salgari. A mezzogiorno la piccola flottiglia approdò a una radura fra altissimi alberi. Mio padre aprì i due scatoloni e ciascuno dei partecipanti ricevette un piccolo uovo di Pasqua.

J.L.: Professore, ho saputo che è padre di tre figli ormai adulti, e marito felice di Tiziana con cui ha avuto altri cinque bellissimi bambini: Elia, Giacomo, Vittorio, Tommaso e l’ultima arrivata, Beatrice, in omaggio alla nonna materna. Quali sono i viaggi che i suoi figli le chiedono più spesso di raccontare?

F.B.: Loro mi chiedono sempre di raccontare i miei incontri con gli animali selvaggi. Sono incantati dall’orso polare giunto fino a pochi metri della motoslitta, che avevo prudentemente tenuto accesa.  O dalla fulminea caccia del ghepardo, che per una trentina di secondi aveva lasciato incustoditi i suoi tre cuccioli. Strabuzzano gli occhi quando mi vedono in una foto sfiorare con la mano una balena in Baja California. Ma nulla vale l’emozione dei video girati durante le interminabili giornate con i cani da slitta su nel nord del Canada. E vorrebbero essere accanto a mia moglie quando nuota nelle acque del Borneo insieme alle grandi tartarughe marine.

J.L.: Di tutti i viaggi che ha intrapreso, quali rifarebbe e perché?

F.B.: Rifarei quelli in cui ho avvertito intorno a me lo sgomento primordiale dell’uomo perduto nel mezzo della natura selvaggia. È una sensazione che per me è associata alla banchisa polare o alla traversata sull’Inlandsis, il ghiacciaio continentale della Groenlandia. Ma ricordo anche la potenza del mare a Capo Horn, sulla punta estrema del Sud America, davanti all’Antartide. O le giornate nella giungla, grondante di sudore, ridotto a uno straccio, tormentato dalle sanguisughe, ma alla fine gratificato dall’apparizione di un branco di elefanti pigmei che avevamo inseguito per ore. E come esprimere l’emozione delle stellate nel cuore del Sahara, mentre il tuareg che mi accompagnava recitava il Corano e il pane stava cuocendo sotto la sabbia?

J.L.: C’è invece un viaggio che non rifarebbe mai più? E perché?

F.B.: Quelli, fortunatamente pochi, che ho fatto con le persone sbagliate, a conferma che il viaggio deve essere condivisione.

J.L.: Di tutte le popolazioni che ha incontrato, qual è la più chiusa e diffidente? E la più ospitale?

F.B.: Dovunque ci sia una vita popolare, c’è gioia di vivere, anche tra infinite durezze. Tornavo dall’India. Avevo lasciato da poche ore i quartieri affollati di quelle città, dove la gente ti guardava quasi sempre con un sorriso. Ero sbarcato per il transito a Francoforte. In quell’aeroporto tutti erano vestiti e nutriti, presumibilmente benestanti, mangiavano cose buonissime e portavano ingombranti sacchetti del duty free. Ma mi colpì un particolare: nessuno rideva.

J.L.: Cos’è la “lontananza” per Franco Brevini Uomo?

F.B.: È quando tutti i tuoi riferimenti sono saltati, quando fai fatica a orientarti, quando sei vigile, preoccupato, incuriosito, quando capisci che potrebbe succederti qualcosa. Per me la frase rivelatrice è: ma sai che non me lo immaginavo così grande? 

J.L.: Quali sono le risorse che potrebbero esserci di aiuto e di conforto, in questi momenti?

F.B.: Umiltà e pazienza, prima di tutto. E poi un po’ di capacità di tenere duro. «To strive, to seek, to find and not to yeld» («Lottare, cercare, trovare e non arrendersi») sono i versi dell’Ulysses di Tennyson scolpiti sulla croce di legno piantata davanti al Mare di Ross, a Capo Evans, nel punto da cui il capitano Scott era partito per la sua disastrosa spedizione verso il Polo Sud. 

J.L.: Nel suo ultimo libro traspare l’idea della Nostalgia della Lontananza che spinge a ritornare nei luoghi già visitati, come ricetta per la felicità. Ha mai sofferto di nostalgia? Se sì, in quale dei numerosissimi luoghi da lei visitati vorrebbe ritornare?

F.B.: Per me la vista dei grandi spazi si è sempre accompagnata a un sentimento di malinconia. È la frustrazione per ciò che ogni giorno perdiamo nelle nostre quotidianità arrese ai loro prudenti orizzonti. C’è quello splendore che rifulge là fuori e noi ci accontentavamo dei nostri torpidi esîli. Talvolta a casa mi sveglio che è ancora notte e penso a quante volte a quell’ora sono partito dai bivacchi con la frontale sul casco. Richiusa la portina, eccoci proiettati in un altro mondo. Sopra la testa ruotano lentamente tutte quelle stelle e il cielo è fosforescente. Davanti si stagliano le masse acquattate delle montagne, che fra poco sfolgoreranno al primo sole. La neve scricchiola, il ghiacciaio è blu come l’acciaio temprato. Un bagliore a oriente annuncia che sta iniziando il più sconvolgente e insieme il più prevedibile degli spettacoli. Si replica da milioni di anni, ma quasi sempre senza testimoni, come il fiore del deserto di Manzoni, che spande la sua corolla per l’imperscrutabile Dio delle solitudini.

J.L.: Di tutti i viaggi che ha fatto, quale ha lasciato in lei il segno più profondo, la lezione più importante?

F.B.: Ogni viaggio mi ha consegnato un insegnamento, ma, se c’è un comune denominatore che li abbraccia tutti, è il senso del limite. Ho capito fin dove potevo arrivare, ho sperimentato dove correva la linea che non avrei dovuto superare. Mi sono fermato in tempo e non mi sono mai pentito. Espressioni come «lanciare il cuore oltre l’ostacolo» o «i limiti sono fatti per essere superati» lasciamole dire a chi sta in poltrona. 

J.L.: Qual è il souvenir più evocativo da lei acquistato?

F.B.: Lo cito nella Conquista della lontananza. È una statua in bronzo della divinità indiana Shiva, che tengo nel mio studio. L’ho acquistata in un negozio di oggetti artistici di una cittadina del Tamil Nadu. Questa rappresentazione della divinità indiana è denominata Shiva Nataraja, che significa «Signore della danza». Il gesto del danzatore cosmico è contemporaneamente di creazione e di distruzione. È quello che i viaggi hanno fatto nel corso della loro storia millenaria: hanno aumentato le nostre conoscenze, ma hanno lasciato una scia di violenza e hanno devastato il Pianeta. La danza cosmica di Shiva Nataraja è anche una delle metafore più felici del best–seller Il Tao della Fisica dello scienziato austriaco Fritjof Capra. E dal 2004 una statua di due metri di altezza di Shiva Nataraja donata dal governo indiano è stata collocata al Cern di Ginevra.

J.L.: Qual è l’incontro più interessante che ha avuto? È ancora in contatto con queste persone?

F.B.: Direi quello con Robert Peroni, un italiano che da alcuni decenni vive nella Groenlandia orientale, promuovendo iniziative a favore delle comunità inuit. È nata una grande amicizia, sono tornato più volte in Groenlandia, siamo andati insieme in villaggi remoti, su ghiacciai e su montagne, abbiamo vagabondato fra gli iceberg, abbiamo incontrato cacciatori e sciamani. Robert mi ha rivelato una dimensione della vita, che senza di lui mi sarebbe stata preclusa.

J.L.: Ha mai intrapreso un viaggio interiore e se sì, quale dei suoi viaggi le ha offerto questa particolare prospettiva?

F.B.: Ogni viaggio inizia dentro di noi. Faccio un solo esempio: la mia passione per il Grande Nord. C’è un nome che fa la guardia all’ingresso: Jack London. Le ore dell’adolescenza passate su Zanna bianca e sul Richiamo della foresta hanno seminato nel mio animo il fascino per gli spazi sconfinati. È stato il mio «sogno di una cosa».

J.L.: Ha mai fatto un pellegrinaggio? Se sì, in che modo ne è stato arricchito?

F.B.: Sono stato ad Allahabad, nello stato indiano dell’Uttar Pradesh, a metà strada fra Calcutta e Delhi. La città sacra sorge alla confluenza di tre fiumi mitologici, il Gange, lo Yamuna e il misterioso Saraswati, citato negli antichi testi in sanscrito del Rigveda. Ogni dodici anni trenta milioni di persone accorrono a Allahabad per celebrare il più grande pellegrinaggio religioso del mondo: il Kumbh Mela. 

Ricordo una coppia di anziani che veniva calata nelle acque limacciose. Sorretti dalle braccia dei barcaioli, vi affondavano per alcuni secondi fino a sparire completamente. Riemersi, riempirono due taniche di plastica di quella torbida acqua color caffelatte, capace di risanare ogni malattia. Evidentemente la fede poteva più della chimica.

J.L.: Ha in programma la pubblicazione di un libro interamente dedicato ai suoi viaggi?

F.B.: L’ho fatto con La conquista della lontananza, in cui il viaggiatore offre le sue esperienze allo studioso, che le ordina nella prospettiva della cultura, cercando di rintracciare un senso nella millenaria avventura del viaggio. Ora sto scrivendo un libro sulla paternità. Anche in questo campo, mi sono detto, qualche esperienza l’ho fatta.

 

 




Guerra o Pace

 

La guerra in terra di Ucraina è un elemento di visibilità di un ben più ampio scontro geopolitico.

Scontro i cui attori strategici sono ovunque meno che in Ucraina, tantomeno sono ucraini.

Questo è un fatto.

Fatto che non viene rappresentato, a mio avviso, correttamente ai cittadini europei.

Temi questi che rappresentano i reali elementi di difficoltà per superare il conflitto e raggiungere una pace accettabile da tutti gli attori in campo.

Fatto plasticamente dimostrato dalla risposta all’appello del Santo Padre alla televisione svizzera da parte del portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa.

Questo funzionario ha dichiarato che “Il presidente Biden ha grande rispetto per Papa Francesco e si unisce a lui nelle preghiere per la pace in Ucraina che potrebbe essere raggiunta se la Russia decidesse di mettere fine a questa guerra ingiusta e non provocata e ritirasse le sue truppe dal territorio sovrano dell’Ucraina”.

Lo stesso funzionario ha continuato dicendo che “Sfortunatamente continuiamo a non vedere alcun segno che Mosca voglia mettere fine a questa guerra e per questo siamo impegnati a sostenere Kiev nella sua difesa contro l’aggressione russa”.

“Impegnati a sostenere” dichiara l’amministrazione Biden, affermazione che i privati cittadini non possono che interpretare come invio di armi e dazioni economiche.

Al contrario noi cittadini occidentali siamo costretti ad apprendere dall’agenzia Ansa che “il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha ammesso che militari dell’Alleanza sono presenti in Ucraina”.

Sempre dalla stessa agenzia giornalistica siamo, basiti, costretti a leggere che la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova ha dichiarato in un’intervista alla testata Izvestia che “la Russia è già a conoscenza del fatto che in Ucraina operano militari della Nato, perché è impossibile nasconderlo”.

La Zakharova ha aggiunto che “Usa, Gran Bretagna e altri Paesi occidentali conducono una guerra ibrida contro la Russia facendo partecipare alle azioni istruttori delle forze speciali Nato”.

Ecco le parole chiave “guerra ibrida”, guerra non dichiarata, guerra per “interposto Stato”.

Compreso questo aspetto, molte le domande che si formano.

Chi fu il primo a dare inizio?

La Federazione Russa due anni fa con quella che il governo di Mosca definisce “operazione speciale” o l’amministrazione americana a guida Obama nel 2008 finanziando e supportando i movimenti anti russi in Ucraina a guida Julija Tymošenko?

Ancora, ritenuta attendibile l’affermazione della portavoce russa a causa delle dichiarazioni del ministro polacco, nell’elenco denominato “altri Paesi occidentali” si debbono annoverare anche “istruttori” italiani?

Nel caso il Parlamento ne è a conoscenza?

Nel caso la risposta alla domanda se vi siano già soldati italiani in Ucraina fosse positiva, potrebbero i giuristi esprimersi sul tema rendendo edotti i cittadini italiani sul fatto se detta azione del governo possa essere ritenuta coerente al nostro dettato costituzionale?

Da quanto sta emergendo risulta sempre più palese come le scelte in terra di Ucraina siano dettate da interessi geopolitici, e non solo, delle cancellerie occidentali e come queste siano etero dirette dall’amministrazione Biden.

Altrettanto chiaro è il fatto che queste cancellerie, l’amministrazione oggi presente a Washington e quelle europee che la frequentano, oltre alla NATO ed al Canada, sono oramai totalmente impossibilitate a modificare la propria linea politica a causa dell’approssimarsi di tornate elettorali sia in Stati Uniti che in Europa.

Dette cancellerie sono costrette a tenere il punto, lo dimostra quanto dichiarato dal funzionario statunitense, finanche portando l’occidente alle conseguenze più tragiche.

Queste cancellerie non possono fare altro che mantenere una linea interventista, anche con una postura sempre più aggressiva, a prescindere dalla logicità strategica della scelta avendo esse il fine di impedire l’emersione dei tanti “errori” compiuti sullo scenario ucraino sin dall’amministrazione Obama.

Errori nelle scelte strategiche ed “omissioni” nell’informazione ai loro cittadini.

Le seconde assecondate da un sistema dei media assai più “ideologico” che “terzo”.

Scelte politiche ammantate da elementi della morale che, in realtà, con la stessa e con l’etica rischiano di avere pochi elementi di contatto, fatto che emerge dalle parole del Santo Padre con chiarezza.

Parole che hanno causato prima stupore e, poi, reazioni che difficilmente non possono che essere ritenute irrituali, finanche rabbiose.

Se va ritenuta scontata la reazione del leader ucraino, attore totalmente etero diretto, che, questo è da temere, si è innamorato del proprio ruolo di “leader mondiale”, rattrista la cifra propagandistica del dibattito nel nostro occidente.

Una reazione rabbiosa ed a senso unico, tipico atteggiamento propagandistico a favore di una posizione, una reazione che ben si guarda dall’approfondire l’esortazione profonda che è insita nel ragionamento di chi si siede sul soglio di Pietro.

Se da un lato dobbiamo vedere il fuoco di fila dei media filo amministrazione Biden nostrani, dall’altro non possiamo che prendere nota del fatto che non vi sia nessun commento dai politici italiani.

Quest’ultimi, infatti, si sono astenuti dal commentare le parole del Santo Padre pur se “stimolati” dalla portavoce del ministero degli Esteri della Federazione Russa che ha fatto notare come il Santo Padre si rivolgesse fondamentalmente ai capi di Stato occidentali.

I fatti, però, rimangono invariati e sono altri come gli esperti militari fanno comprendere a chi ha l’opportunità di compulsarli.

Senza invii di enormi quantità di aerei da combattimento, piloti e staff tecnici inclusi, e di armi sofisticate in terra di Ucraina entro fine aprile causerà la sconfitta totale dell’Ucraina.

La politica è chiamata a decidere se questa posizione tecnica vada presa nella giusta considerazione o meno.

Due le strade che apre.

Quella voluta dall’amministrazione Biden di fornire armi e mezzi illimitati a chi gestisce il conflitto in terra di Ucraina, non a Zelensky che nulla potrebbe fare da solo, percorso che non può prevedere altro che un reale rischio di conflitto mondiale nel prossimo futuro, conflitto che prenderebbe origine nella nostra Europa.

L’alternativa è aprire un negoziato come propone il Santo Padre.

Un negoziato che porti ad un accordo stabile e duraturo fra le Super Potenze, reali decisori nel conflitto in terra di Ucraina.

I “vassalli” di questi non potranno fare altro che accettarne le decisioni ed i patti.

Riducendo a sintesi, i cosiddetti “grandi della terra” sono chiamati a scegliere fra trovare un accordo equilibrato o portare l’occidente in una nuova e senza prospettive “Guerra Mondiale”.

La terza ipotesi, quella della sconfitta sul campo della Federazione Russa attraverso il finanziamento ed il supporto dell’esercito ucraino, dati i fatti concreti in campo, non può che essere definita in altro modo che “infondato e propagandistico”.

I cultori del benessere dei propri cittadini non possono fare altro che ritenere soluzione unica quella di evitare un devastante conflitto mondiale attraverso la “negoziazione”.

La Seconda Guerra Mondiale non è terminata, come si deve sentire narrare da opinionisti che si prestano a narrare questo sui media, con la sconfitta di Hitler e del Terzo Reich.

La Seconda Guerra Mondiale è terminata con la scelta politica del presidente americano Delano Roosvelt di fermare il generale Patton che con le sue divisioni di carri armati intendeva raggiungere Mosca.

Questa scelta di pace dette inizio alla Guerra Fredda, un periodo di ricchezza e benessere per il nostro occidente.

Un periodo di stabilità fra ovest ed est Europa.

Furono errori gravi di natura economica a distruggere l’Unione Sovietica ed a far sciogliere il Patto di Varsavia, non le truppe alleate occidentali.

Oggi a quell’equilibrio dobbiamo tutti tendere.

I cosiddetti “grandi della terra” hanno il dovere di sedersi e firmare nuovi trattati di stabilità, una nuova Yalta e Reykjavik, e di disarmo nucleare, un nuovo SALT.

Questo è “negoziare”, senza personalismi, senza interessi bassi quali quelli di voler mantenere il proprio posto di potere.

Senza “vergognarsi”, questa l’interessante parola, parola assai più complessa di quello che potrebbe apparire ad una prima lettura, che il Santo Padre ha inserito al centro del dibattito.

Ignoto Uno




Nota del Comitato di Redazione

Suite à ton message d’hier. Merci. Aujourd’hui cet article sur le site hiram.be
C’est le grand bazar partout… 🤔😞

Nota del Comitato di Redazione

Gent.mi Lettori.
Nei giorni scorsi BETAPRESS ha pubblicato interventi, di AA diversi, incentrati sulle elezioni tenutesi in Italia in seno al GOI Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.
Le notizie si sono accavallate con una intensità e un ritmo persino frenetici e contenuti involontariamente contraddittori.
Per offrire un contributo in linea con la correttezza complessiva dell’informazione, così emendando causato fin qui pubblicato, abbiamo il piacere di porgere alla Vs. cortese attenzione l’odierno articolo apparso oggi sull’apprezzato e ben conosciuto periodico “Hiram.be”. Articolo che fa il punto definitivo sulla vicenda.
Buona lettura!

L’élection du nouveau GM du Grand Orient d’Italie contestée
Publié par Géplu
Dans Dans la presse

Ainsi que le relate le site Italy24.press, le Grand Orient d’Italie connait quelques tensions après l’élection du successeur de Stefano Bissi, qui s’est déroulée le dimanche 3 mars. Alors que les premières estimations donnaient le challenger Leo Taroni vainqueur, la Commission électorale a finalement déclaré élu – avec seulement 26 voix d’avance sur près de 14 000 votants – le Frère Antonio Séminario, Grand Maître Adjoint de Bissi, qui le soutenait. Des recours devant la justice interne et la justice profane ont été annoncés par Taroni. Ce dernier avait axé sa campagne sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges.

La proclamation officielle des résultats doit avoir lieu lors de la Grande Loge de Rimini prévue les 5 et 6 avril. Rappelons qu’à la différence de la France et de la Belgique, en Italie le Grand Orient est l’obédience dite « régulière », reconnue par la Grande Loge Unie d’Angleterre, et que l’obédience libérale est la Grande Loge d’Italie.

Au terme d’une vive polémique et d’une nuit de recomptages par la Commission électorale nationale, Antonio Séminario a été élu Grand Maître du Grand Orient d’Italie, la principale organisation maçonnique italienne. C’est la première fois qu’un Calabrais est élu à la tête du Goi. La victoire a été obtenue par seulement 26 voix et le verdict a annulé un précédent décompte – officieux – résultant de la somme des voix dans les différentes régions, qui attribuait la victoire par seulement 15 points à Leo Taroni, un entrepreneur de Ravenne, qui, à la tête de la liste “Nous ensemble”, il avait axé sa campagne électorale sur la lutte contre les infiltrations mafieuses dans les loges. Aujourd’hui, à 5 heures du matin, après une nuit de travail, la Commission électorale centrale a attribué 6.369 voix à Seminario, soit 46,09 pour cent du total. 6.343 voix ont été validées en faveur de Taroni, soit 45,90 pour cent ; et dans la région de Bari Pasquale La Pesa 688 voix, soit 4,98 pour cent.

Soutenu par le Grand Maître sortant, le Toscan Stefano Bissi, Seminario occupait déjà le poste de Grand Maître Adjoint du Goi. Né à Crosia, dans la province de Cosenza, le 5 février 1958, il réside à Rossano, où est basée sa loge, le “Francesco Galasso”. Il convient de noter qu’environ la moitié des voix qu’il a obtenues ont été recueillies précisément en Calabre et en Sicile, tandis que Taroni a été le plus voté en Sardaigne et dans tout le centre-nord, à l’exception de l’Ombrie. La proclamation de la victoire du Seminario a cependant provoqué de vives réactions de la part des partisans de Taroni, au point que l’ouverture de longues procédures de recours internes semble désormais évidente, alors que de nombreuses voix réclament une scission du Goi. La liste “Nous ensemble” annonce en effet un recours immédiat à la justice interne de l’association, mais aussi un recours à la justice ordinaire, sur la base de l’article 700 du Code de procédure civile, pour tenter d’obtenir d’urgence la suspension de la proclamation et l’annulation de l’élection. Certains partisans de Taroni n’excluent même pas de recourir à la justice pénale.




A CHE PUNTO È IL GIORNO

 

Oggi parliamo di un argomento storico poco conosciuto, ma forse è meglio dire dimenticato.

Si tratta di una storia per certi versi analoga a tante altre, accadute in Europa nei secoli passati, ma che in questo caso riguarda il nostro Paese, l’Italia, e la sua bellissima isola, la Sicilia, e già solo per questo vale la pena che sia conosciuta e divulgata.

Si tratta di una storia di Convivenza e, contemporaneamente, di Discriminazione sull’isola del Mediterraneo e riguarda la storia degli ebrei in Sicilia.

La storia della presenza millenaria degli Ebrei in Sicilia, per secoli rimasta nell’oblio, torna ora ad affascinare e interessare storici, archeologi e antropologi che stanno riportando alla luce l’importante ruolo che ebbero gli Ebrei nello sviluppo economico e culturale dell’isola.

La rimozione c’è stata ed è motivata probabilmente dal pudore di dover narrare tutto ciò che gli Ebrei siciliani dovettero patire secolo dopo secolo, conquista dopo conquista, per mano di coloro che ne furono i potenti e spesso spietati dominatori, ma anche dal rammarico per tutte quelle risorse umane, culturali ed economiche che l’isola e tutto il sud d’Italia persero per sempre, dopo la loro espulsione nel 1493.

La storia giudeo-siciliana suscita ora nuovo interesse grazie alle recenti pubblicazioni che hanno avuto per oggetto la riscoperta di antica documentazione, rimasta sepolta per secoli negli archivi storici comunali e in quelli notarili di molte città siciliane.

Anche importanti e recenti scoperte archeologiche stanno accrescendo le nostre conoscenze della storia ebraica siciliana, lasciando intravedere possibili rivisitazioni dei fatti accaduti tra il III e il XVI secolo.

Si tratta di resti di siti sinagogali e cimiteri, disseminati un po’ ovunque sul territorio, dove numerose sono le pietre tombali rinvenute, sulle quali campeggiano epigrafi bilingui in greco, ebraico o latino con i tipici simboli ebraici della Menorah, dello shofar e della foglia di palma.

Sono stati anche ritrovati numerosi bagni rituali (mikvè), uno su tutti, quello commovente di Ortigia a Siracusa, di recentissima e casuale scoperta, considerato il più antico d’Europa, ricoperto di detriti dagli esuli ebrei prima del suo definitivo abbandono, forse per un senso di pudore o forse perché era ancora viva tra loro la speranza di un ritorno.

Ed ancora più affascinante è la storia del Kior (vasca per lavaggio delle mani) di Siculiana nell’agrigentino (sec. XV), proveniente con verosimile probabilità dalla Sinagoga o dal Cimitero di tale cittadina ed in epoca più tarda trasferito nel Battistero locale per divenirne la fonte battesimale.

Il suo donatore aveva voluto ricordare l’evento facendovi scolpire una scritta in ebraico, rimasta coperta per più di cinque secoli e dove oggi si può leggere: «Nell’anno 1475: Samuele figlio di Rabbì Yona Sib’on, riposi in Paradiso».
Posti ai due lati della scritta gli stemmi reali di Castiglia e di Aragona in onore dei sovrani spagnoli regnanti in quel periodo e che, ironia della sorte, solo diciassette anni dopo decretarono l’espulsione di tutti gli Ebrei oltre che dalla Spagna anche dalla Sicilia.

 

La storia è lunga, e non è certo questo il luogo per narrarla nella sua interezza, ma si può certamente affermare che non ci sia stato angolo della Sicilia in cui la presenza ebraica non fosse già ben radicata ancor prima dell’avvento del cristianesimo e soprattutto durante i quattro secoli precedenti l’espulsione, decretata dall’infame editto di Granada, siglato nel Gennaio del 1492 dai reali di Spagna, Isabella di Castiglia e da suo marito Ferdinando d’Aragona. Su incitamento del domenicano Torquemada, essi non dettero scampo agli Ebrei spagnoli e poco dopo anche a quelli siciliani, obbligandoli alla dolorosa scelta dell’esilio o alla conversione forzata.

C’era stato un tempo, tuttavia, in cui la vita degli Ebrei, nello specifico in Sicilia, era stata molto migliore e sicuramente diversa.

Ciò avvenne, nei due secoli di dominazione degli Arabi, i quali, seppur inizialmente considerassero gli Ebrei alla stregua di schiavi sui quali era lecito da parte loro qualsiasi abuso e sopruso, via via col passare degli anni, per motivi puramente economici, iniziarono ad instaurare con loro rapporti sufficientemente sopportabili.

Agli Ebrei, infatti, come pure ai Cristiani, venne concesso di poter professare liberamente la propria Fede e di costruire Sinagoghe e Chiese, anche se questa concessione non prescindeva dal pagamento di onerose gabelle.
Considerati dhimmi, cioè «protetti», gli Ebrei erano ritenuti una sorta di risorsa tributaria ed economica, situazione che li obbligava a pagare una tassa pecuniaria aggiuntiva, la gesìa. Questa loro condizione sarà poi, nei secoli seguenti, costantemente mantenuta anche dai successivi dominatori, per i quali non c’era alcun motivo di rinunciare a queste provvide, ma inique entrate fiscali.
Allo scopo di dare ulteriore impulso all’economia dell’isola, agli Ebrei, riuniti nelle loro Comunità dette Aliama, fu lasciata la possibilità di svolgere attività divenute con il tempo a loro peculiari, soprattutto quelle di tintori, conciatori, fabbri, artigiani, commercianti e armatori. 

D’altronde gli Ebrei, avvezzi a convivere con gli Arabi, come lo erano già in Spagna e nel Nord Africa, avevano con questi, oltre che la lingua, molteplici affinità come la comune conoscenza degli studi scientifici di medicina, astronomia e matematica e soprattutto delle materie teologiche e filosofiche.
Ciò che inoltre rendeva culturalmente simili le due etnie, era l’uso corrente della scrittura, motivo non sottovalutabile, che, di fatto, le poneva entrambe in una posizione più elevata rispetto al resto della popolazione, per lo più retrograda ed analfabeta.

 

Oggi sappiamo quanto esteso e vivace fosse il rapporto tra le varie comunità ebraiche in quell’area alla fine e dopo l’inizio del primo millennio e quanto, per questo, fosse divenuto essenziale il ruolo della Sicilia grazie al continuo prosperare e alla nascita in quei due secoli di numerosissime imprese manifatturiere e di altrettante piccole comunità ebraiche che le gestivano.

Cartiere, filature e tessiture della seta e del cotone, concia delle pelli, tintorie, fonderie siderurgiche, commercio delle stoffe, del grano e del formaggio (rigorosamente kosher) e il trasporto di queste e di altre mercanzie, furono solo alcune delle attività di appannaggio quasi esclusivo degli Ebrei siciliani, i quali, nei secoli seguenti, ne acquisirono naturalmente il monopolio, divenendo di fatto i più ricercati produttori, trasformatori ed esportatori di manufatti e di prodotti agricoli.
La Sicilia, posta in maniera strategica al centro del Mediterraneo, divenne, di fatto, uno snodo nevralgico per lo scambio di mercanzie di ogni tipo che, dall’isola, riprendevano poi la strada per il resto d’Italia e d’Europa.

Quanto vediamo oggi della Sicilia, lo si deve in buona parte ai due secoli di questa dominazione illuminata ed al suo intelligente sfruttamento, del quale gli Ebrei furono una parte essenziale.

 

Questa lunga premessa, assolutamente non esaustiva della memorabile storia della presenza e dell’attività degli Ebrei siciliani, ci è tuttavia utile per fare alcune considerazioni storiche attuali e contingenti, relative alla città di Catania ed alla recente costituzione ufficiale di una Comunità Ebraica e di una Sinagoga nel suo seno.

A volte la Storia viene riscritta dai posteri e ciò che sembrava dimenticato riaffiora dall’oblio, grazie al lavoro scrupoloso e appassionato di studiosi e di accademici, e anche di uomini leali e di buona volontà che, come nel caso di Catania, ne hanno ripreso in mano il bandolo riportando alla luce ciò che sembrava dimenticato per sempre.
Una Storia, quella della Sicilia ebraica e di Catania – ma non solo, verosimilmente somigliante per molti dei suoi aspetti a tante altre storie vissute e patite, anche in tempi recenti, dagli Ebrei di molti altri Paesi, storie esaltanti ma allo stesso tempo spesso dolorose, storie di persecuzioni, di morte, di esili, di abbandoni, storie rese simili dal pregiudizio e dall’invidia, dove la bramosia, infine, ne è stata sempre il rovinoso epilogo.

Accade, dunque, che alla Catania ebraica non venga – attualmente – riconosciuto il diritto di ridare vita ad una propria Comunità, al proprio culto, alla preghiera nella propria Sinagoga.

Sembra che si sia verificato un corto circuito di comunicazione con le autorità centrali della Penisola.

Come se queste non capissero gli Ebrei di Catania.

È sicuramente un momento non semplice per chi crede nell’importanza e nel valore di queste relazioni e, rispetto al passato, rispetto alla Storia, sembra che ci siano stati dei significativi passi indietro, ma proprio per questo sarebbe opportuno andare avanti, confidando nella possibilità che il confronto riesca a dare nel tempo i suoi frutti.

E forse ciò ha origine, anche, dalla profonda crisi attraversata da un Occidente che ha smarrito la propria identità, e che a volte non riesce a ben riconoscere quali siano i propri valori di riferimento. Tuttavia, si potrebbe andare oltre quell’ambito e slegarsi da ciò che spesso appare, purtroppo, come un secolarismo effimero – anche in campi religiosi.

 

  • Riassumendo in maniera essenziale e omettendo valutazioni halachiche, che sono di stretta competenza rabbinica, la sequenza dei fatti avvenuti a Catania è comunque tanto distopica da sfiorare i limiti del grottesco, posto che stiamo parlando di: 1) Laicità dello Stato; 2) Libertà religiosa; 3) Libertà di organizzazione ed azione; 4) Libertà di aprire luoghi di culto.
  • La Comunità Ebraica di Catania e il suo Istituto di Cultura Ebraica esercitano il culto ebraico all’interno della propria Sinagoga dal 17 ottobre 2018, nei locali concessi in comodato d’uso dal Comune di Catania e siti nel Castello di Leucatia; tale concessione ha la durata di sei anni e scadrà il 16 ottobre 2024.
  • Il 28 ottobre 2022 la Comunità Ebraica di Catania consacra ufficialmente al culto la propria Sinagoga, alla presenza di Rabbini giunti da Israele e da Whashington – essendosi dotata di un Sefer Torah e disponendo di un Rabbino e di un Tribunale Rabbinico di riferimento. Si tratta di un evento storico, religioso e culturale del massimo rilievo, sia per Catania – che fino al 1492 aveva due Sinagoghe – sia per l’Italia ebraica, che da Napoli in giù sembra si sia fermata nel (quasi) nulla.
  • In contemporanea, la signora Noemi Di Segni – nella sua veste di Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (di seguito: UCEI, Associazione di carattere privatistico) – inizia un attacco e una dura lotta di screditamento nei confronti della Comunità Ebraica di Catania, dichiarando e asserendo che essa non ha diritto di esistere né tantomeno di chiamarsi «Comunità Ebraica», né ancor più di avere titolo di appartenenza all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
  • L’anno 2023 si apre dunque con un pesante carteggio su carta bollata tra la predetta Presidente UCEI e l’Avv. Baruch Triolo, Presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica e Presidente della Comunità Ebraica di Catania – il quale ribatte alla Presidente Di Segni punto per punto, nello specifico: a) domandando dove fosse scritto che Catania non poteva usare la denominazione «Comunità Ebraica» (nemmeno si trattasse di un formaggio o di un vino d.o.p.) e b) ribadendo che la Comunità Ebraica di Catania sin da subito si era dichiarata disgiunta e non legata all’UCEI.
  • Emerge sin da subito la totale mancanza di possibilità di dialogo, di disponibilità al chiarimento reciproco, da parte della Presidente UCEI – che appare rispondere a ogni legittima comunicazione da parte dell’Avv. Baruch Triolo con quelli che si possono definire “argomenti fantoccio”, cioè utilizzando una fallacia logica che consiste nel confutare un argomento proponendone una rappresentazione errata o distorta.
  • Poi, da parte della Presidenza UCEI, si giunge all’intimidazione e infine alla citazione in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (prima udienza 08 febbraio 2024), inoltre convincendo (o meglio, tentando di convincere) con una sua personale visita, il Sindaco di Catania a revocare la concessione dei locali a suo tempo concessi a titolo gratuito (per sei anni, dal 2018 al 2024), destinati a uso Sinagoga e Uffici del Rabbino e siti presso il Castello di Leucatia.
  • La situazione diviene, a questo punto, orwelliana per tutta una serie di motivi: 1) l’UCEI è una associazione privata che, secondo il Codice Civile, può imporre le proprie regole statutarie solo ai propri iscritti e a nessun altro; 2) la Comunità Ebraica di Catania non aderisce e non vuole aderire all’UCEI, come sempre dichiarato; 3) una Associazione privata non dispone del potere di segnalare o accusare altre Associazioni per danneggiarle, né può imporre la propria volontà a una Pubblica Amministrazione (la città Metropolitana di Catania); 4) l’art.2 della legge 101/89 garantisce ad ebrei e comunità in genere il diritto, costituzionalmente garantito, della «libertà di esercizio del culto ebraico in forma sia individuale che associata»; 5) l’art.15 della legge 101/89 sancisce che «gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata con il consenso della comunità competente».
  • Tutto ciò predetto, l’UCEI non si presenta alla prima udienza in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (08 febbraio 2024), costringendo il Giudice a rimandare la prima udienza al 24 gennaio 2025, nonostante la procedura preveda la presenza di entrambe le parti per un tentativo, obbligatorio, di conciliazione e impedendo la richiesta di chiarimenti. Sottraendosi in sostanza al contraddittorio. La Comunità di Catania era rappresentata dall’Avv. Giuseppe Sciacca, membro della Comunità, dal Presidente della Comunità di Catania, Avv. Baruch Triolo, e dal Vice Presidente Alessandro Y.N. Scuderi.
  • La minaccia di sfratto dai locali del Castello di Leucatia ha un esito altrettanto surreale: il 15 febbraio 2024, data fissata dal Comune di Catania per un sopralluogo dei locali, propedeutico alla riconsegna dei locali, i tecnici del Comune non si presentano. Ed è notizia di questi giorni che la Municipalità di Catania si è premurata di rivolgere le proprie scuse alla Comunità Ebraica di Catania.

 

E dunque?

A che punto è il giorno?

Cui prodest tutto questo folle, insensato, dispendio di mezzi e di energie?

Perché questo cortocircuito, terribile, proprio in ambito ebraico, proprio in questo periodo di tensioni e di guerre?

Questa realtà distopica si inserisce nel momento storico che stiamo vivendo che, dopo il 7 ottobre, è sicuramente estremamente complesso e di difficile interpretazione – e in cui le tensioni non si limitano purtroppo al solo Medioriente.

Nessuno ha verità assolute da proporre e in questo momento molti di noi sono più capaci di porre domande che di dare risposte, tuttavia, cercando di essere analitici e obiettivi, nonostante tutto, continuiamo a sperare: a sperare nel Dialogo e nel Confronto.  

Pena la morte, la dispersione dell’egregore – e questo non deve avvenire: quando un certo numero di persone si raduna intorno a un’idea, i pensieri e i desideri di quelle persone creano un’entità vivente; è una legge del mondo spirituale.

E anche se quell’entità non è fatta di particelle sufficientemente materiali da far sì che la si possa vedere e toccare, essa esiste.

Questa entità collettiva viene chiamata «egregore» ed è un’entità vivente e operante, ogni paese, ogni religione e ogni corrente di pensiero possiede un’egregore e tutti i suoi membri, i fratelli e le sorelle che si riuniscono attorno alla stessa idea di pace e di luce, non smettono di alimentarla e rafforzarla.

Così, non solo essa può agire sulle altre egregore nel mondo per influenzarle beneficamente, ma contribuisce anche, e soprattutto, all’evoluzione di quegli esseri che lavorano per formarla.

Ma anch’essa è soggetta all’entropia – che dà la misura del disordine presente in un sistema fisico e, quando l’entropia sarà massima, nessuna trasformazione sarà più possibile, e sarà così la cosiddetta «morte fredda» dell’universo, in un sistema disordinato e a energia minima.

 

Barbara de Munari

Torino, 08 marzo 2024

 

[Si ringrazia per la disponibilità delle Fonti Storiche: Ariel Arbib, Storia degli Ebrei di Sicilia fino al XVI secolo – Convivenza e discriminazione sull’isola del Mediterraneo, in Joimag, febbraio 2022]




IL BANDECCHISMO III

Negli articoli Bandecchismo I e II parte ci siamo occupati del fenomeno politico legato al Manager e Sindaco di Terni e messo a terra all’indomani delle elezioni amministrative del Maggio 2023 con la conquista dello scranno più alto del Palazzo del Governo cittadino ma iniziato anni prima con la decisione di acquistare la Società Ternana Calcio arrivata poi in Serie B nel campionato 2020/2021.

Nella seconda parte dell’articolo ci siamo interrogati sulla contaminazione del bandecchismo nella comunità civile e politica ma anche all’interno delle Istituzioni democratiche che non hanno finora reagito alle procedure di tutela previste dalle leggi sugli enti locali. 

In questo ultimo articolo della serie indagheremo sull’ultimo tassello del mosaico: quello della cittadinanza o meglio della transizione da un Modello di cittadinanza ad un Modello di sudditanza in atto nella circoscrizione amministrativa di Terni.

La differenza, senza scendere nella teoria, è semplice e di facile intuizione: i cittadini scelgono e condividono attraverso la sovranità popolare assicurata dal suffragio universale le scelte pubbliche; i sudditi subiscono, al contrario, ogni decisione imposta dall’alto da poteri assoluti siano essi in capo ad una Monarchia o ad uno Stato assoluto.

La legge prevede i reati di occupazione di Potere Pubblico e di Funzione Pubblica negli articoli rispettivamente 287 e 347 del codice penale. È tuttavia una sentenza della cassazione penale, la 48745/2011, che rende evidente le asimmetrie nella gestione del potere a Terni.

Infatti, la sentenza recita: ” Per la configurabilità della usurpazione di Funzioni Pubbliche occorre il dolo generico che consiste nella volontà di assumere ed esercitare la funzione pubblica sapendo di non esserne autorizzato…”.

La sentenza richiamata mette in luce gli elementi costitutivi della usurpazione di Funzione Pubblica iniziata a Terni con il Lodo Incompatibilità del Manager Bandecchi con la carica di Sindaco denunciata da un “parere” del Ministero dell’interno e oggetto di iniziative popolari indirizzate al Prefetto ed al Ministro ma rimaste prive di riscontro.

Una questione di legittimità non indifferente perché, vale la pena ricordarlo, il Sindaco di Terni è alla guida della Città di Terni ma anche del Gruppo Universitario Unicusano e delle sue diramazioni italiane ed estere. 

È proprio questo legame, mai reciso, contenitore e contenuto della progressiva sottrazione di cittadinanza attiva alla comunità locale.

I provvedimenti del Sindaco, del resto, non hanno mai nascosto questo conflitto d’interessi evidente nella ingerenza finanziaria del Gruppo industriale del Bandecchi imprenditore nella gestione della città del Bandecchi Sindaco.

Potremmo ricordare, a tale riguardo, gli interventi sull’arredo urbano finanziati privatamente dal manager, come l’appalto di polizia privata in giro per la città, per non dimenticare i regali di Natale ai dipendenti pubblici in aperta violazione dell’art 4 del Tuel che regola il contratto dei lavoratori nel settore pubblico, fino alle installazioni di Pasqua, delle monumentali uova alte fino a 6 metri finanziate e messe in posa dalle società private del Sindaco e probabilmente senza le necessarie procedure in ordine ai rischi degli ingombri e degli ancoraggi.

L’operazione tuttavia più emblematica resta il Progetto relativo alla ristrutturazione dello Stadio di Calcio locale che dovrebbe prevedere la realizzazione di una clinica privata da convenzionare con il Servizio Sanitario Nazionale. Due interventi per circa 80 milioni di euro che già la giunta precedente aveva definito di interesse pubblico nel 2021 e che oggi, con Bandecchi Sindaco, celebrerebbero il mega conflitto di interessi che potrebbe vedere (nel caso non vengano chiarite le Governance reali delle società coinvolte) il Sindaco di Terni nel duplice ruolo di committente pubblico e di commissionario privato.

Una questione che non scandalizza, però, né è oggetto di interrogazioni o approfondimenti.

La città, la comunità politica e le Istituzioni subiscono ormai il bandecchismo e c’è da chiedersi se diventare sudditi non sia una scelta vincente in Italia.