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Vannacci Roberto a TeleNord, una intervista che fissa gli obiettivi e fa chiarezza?

Abbiamo esaminato tante interviste televisive sul Generale Vannacci Roberto, ma troppo spesso abbiamo notato che si è cercato di far dire ciò che i “grandi intervistatori” avrebbero voluto che lui dicesse, su questo o altro fatto, tentando di alterare così il Suo pensiero originale.

Solo una preparazione “militare” e la Sua determinata concentrazione, cui bisogna dargli atto di possedere, ha fatto si che non cadesse nella “trappola”, magari vittima di un comprensibile nervosismo.

Le domande, forse strumentali, forse ideologiche, o forse anche di propaganda contraria, che normalmente ed in tantissimi incontri sono state poste e cui spesso non si è lasciato spazio per rispondere adeguatamente, hanno generato confusioni e divisioni, più da stadio, che di effettiva chiarezza sul pensiero dell’intervistato.

Fenomeno assai diffuso ed utilizzato dagli intervistatori di “grido”, basta ascoltare le varie interviste che da anni vengono proposte ad i vari politici, noti e meno noti, dove si parla di tutto, si cercano soluzioni su tutto, magari interrompendo con pubblicità improvvise o con domande a raffica su punti diversi, ma che non fissano gli obiettivi per cui bisogna raggiungere questo o quella meta. Forse perché non vi sono obiettivi?

Infatti, quasi nessuno ha chiesto al Generale Vannacci Roberto, quale fosse il reale obiettivo che lo ha condotto, dopo attenta meditazione, a scendere in campo.

Quindi, tutti grandi navigatori che dicono di conoscere la rotta, senza tuttavia conoscere la destinazione.

Chissà, forse Vannacci Roberto è un po’ come Cristoforo Colombo, che aveva come obiettivo, a differenza di tutti gli altri, di raggiungere le Indie percorrendo una rotta sconosciuta, e finì per scoprire l’America?

Vannacci Roberto l’obiettivo lo ha chiaro, anche se pochi lo hanno a lui chiesto, forse per paura, o forse per non scoprire che è l’unico ad avere una meta da raggiungere, opposta e contraria a quella che in maniera silenziosa, qualche altro ci vorrebbe indurre a raggiungere, utilizzando distrazioni di ogni genere.

L’intervista al Generale Vannacci Roberto che vi proponiamo, tra le tante, e che abbiamo anche trascritto, ci scusiamo per le imperfezioni che potrebbero esserci, è quella effettuata da TeleNord, primo piano: “Liguria Chiama, Europa risponde”.

Un’intervista che aiuta a fare chiarezza sul reale obiettivo del Generale Vannacci Roberto.

Ettore Lembo

Per chi preferisce la trascrizione:

Trascrizione della Video Intervista al Generale Vannacci Roberto per TeleNord.

Moderatore: Benvenuti a questa edizione di primo piano: “Liguria Chiama, Europa risponde”. Proseguiamo il nostro giro dei candidati alle elezioni europee con Roberto Vannacci, 55 anni nato a La Spezia candidato indipendente nelle liste della Lega. E’ con noi il direttore Giampiero Timossi. -Direttore: Buongiorno, buongiorno generale allora. Generare perché in questo momento lei è candidato, ma continua ad essere un Generale in forza all’esercito.

Vannacci Roberto: Sì, confermo, anche se sono candidato chiaramente in una posizione che mi consente di partecipare a questa competizione politica.

Direttore: Le chiedo subito una cosa, ma chi gliel’ha fatto fare? perché ha scelto di candidarsi? perché ha scelto di entrare in politica? prima questo, poi le chiedo anche, perché ha scelto di diventare autore di almeno un best seller, e un libro che sta riscuotendo, il suo secondo libro, comunque un notevole successo. Perché Entrare in politica candidarsi all’europea?

Vannacci Roberto: La scelta di entrare a in politica, intanto è stata abbastanza travagliata, perché è stata una scelta alla quale ho voluto pensare in maniera approfondita. Non è una cosa semplice, è un nuovo ambiente e un nuovo settore. Non ho mai fatto politica in vita mia e quindi non volevo passare dall’essere il professionista di un settore al dilettante di un altro. E poi comporta anche un totale cambio di vita familiare dei propri affetti più vicini e quindi ne ho dovuto parlare. Ne ho voluto parlare anche con mia moglie e in parte anche con le mie figlie, per quanto siano ancora molto giovani. E ho scelto di scendere in campo proprio perché ho pensato alle mie figlie e vorrei dar loro un futuro migliore. Un futuro diverso da quello che si prospetta seguendo quella che è attualmente l’Europa, vorrei che l’Europa fosse diversa. Vorrei un’Europa più sicura. Un’Europa dove una donna non debba aver paura di uscire di casa ed andare in un qualsiasi posto senza dover temere di essere aggredita, molestata. Un’Europa più sovrana che difende i propri interessi nazionali e anche che dove si difendono gli interessi nazionali italiani. Un Europa più identitaria che non debba rinunciare a quelle che sono le caratteristiche specifiche peculiari che fanno di noi un popolo, il popolo italiano che ci invidia il mondo intero. Che si coagula intorno a delle specifiche caratteristiche che ci riconosce il mondo, quindi dobbiamo continuare a essere identitari avere la nostra specifica e caratteristica le nostre specifiche peculiarità, un mondo più ricco, più benestante, è che quindi debba riscrivere totalmente il Green deal Europe, che ci porteranno solo povertà senza migliorare nulla, per quanto riguarda l’ambiente ecologia. Un’Europa più meritocratica e libera dove si possono esprimere le proprie opinioni senza aver timore, e dove un giovane possa pensare di potersi realizzare al massimo delle sue possibilità contando sul proprio merito e sulle proprie capacità.

Direttore: Le chiedo ha un’idea? Ci sono molti sondaggi su quelli che potrebbero essere risultati di queste, di queste elezioni europee. Ci sono sondaggi anche sui singoli candidati. Lei potrà ritenersi soddisfatto se raggiungerà che numero di voce di quanti… quanti pensa che possono essere i voti?

Vannacci Roberto: Ma guardi il target non glielo dico, però è molto ambizioso molto bello, estremamente ambizioso.

Direttore: Ci sono sondaggi che parlano di settecentomila preferenze. Lei pensa che siano poche? O Pensa di poter arrivare il milione di preferenza?

Vannacci Roberto: Io punto più alto più alto, del Milione No, più alto più alto del primo riferimento, che è un target molto ambizioso il mio, e poi vedremo se avrò avuto ragione o no.

Direttore: Difesa, difesa Europea è uno dei tre grandi temi. Del prossimo della prossima legislatura Europea, lei lo sa prima di ogni tornata elettorale, C’è un vertice dove si definiscono anche in base, appunto, dei sondaggi, quelli che sono la priorità. Gli europei hanno detto che la difesa è uno di questi di questi temi. Difesa che, probabilmente non si intende, non si intenderà come esercito europeo che è un qualcosa di complicato, ma, questa è più materia sua, me lo sta per dire lei se è complicato, No, ma si intenderà finanziamenti per dotare l’Europa di armamenti dello stesso dello stesso livello per dotare, l’Europa di un arsenale comune. Secondo lei, come si dovrebbero? Si potrebbero finanziare questi armamenti?

Vannacci Roberto: Guardi, riguardo l’esercito europeo la difesa comune Europea, ci sono tante teorie e tante voci in giro, ed è proprio per quello che io sono sempre cauto e prudente, perché dietro questo nome, che è diventato uno slogan, si possono celare tantissime questioni. Allora l’esercito europeo inteso come la messa in comune di forza, penso che sia una cosa irrealizzabile. Anche perché una forza armata rappresenta la sovranità di uno stato e quindi non possiamo cedere ulteriormente sovranità sotto questo aspetto. Il fatto invece di creare delle sinergie, delle collaborazioni a livello industriale, ma anche a livello di determinate capacità per dare una sorta di basket comune agli eserciti europei. Può essere una strada da perseguire, ma questa strada non ci realizzerà, cioè non sarà possibile realizzare delle grandi economie. Quelli che pensano che così fa, così facendo ci costerà di meno. Ritengo che probabilmente debbano analizzare un po’ meglio questa situazione di capacità. Le capacità costano in termini di risorse, in termini disponibili, quindi bisognerà effettivamente vedere Quale sarà la strada da perseguire e soprattutto quali saranno i metodi per finanziare queste capacità e cosa ci verrà chiesto in cambio. Perché ricordo che fino ad adesso, anche nel PNNR, di cui tanto si parla, è una minima parte a fondo perduto, il resto è un prestito che dovremo restituire, quindi bisognerà vedere effettivamente che cosa sia il termine, costo efficace, e quali siano da ricercare, quali sistemi e per quali modalità? Con quali modalità si potrà realizzare questa difesa comune? Sicuramente non dovrà essere una cessione di sovranità perché se oggi questo fantomatico esercito europeo fosse stato alle dipendenze del presidente Macron, probabilmente avremo qualche soldato italiano che combatterebbe oggi stesso in Ucraina e questo mi auguro che non succeda mai.

Moderatore: Dal giorno del suo ingresso sulla scena pubblica, si è verificata una sorta di distruzione del politicamente corretto. L’ideologia dominante è arrivata dall’America. Lei nei confronti di questa contro spinta, denuncia una sorta di contro censura che riguarda la persona, le idee, e anche il suo pubblico e anche un parterre di persone con delle prove da dire nella controversia infinita anche opposta alla pallavolista Egonu. Ultimo a intervenire è stato Gramellini, che citando il suo virgolettato della “non può celare visivamente la sua origine” Gramellini scrive la vita è una questione di abitudini, un giorno Vannacci si accorgerà che il mondo al contrario è semplicemente il mondo, ed è lui che lo sta guardando al contrario. Cosa risponde a Gramellini?

Vannacci Roberto: Ma, Gramellini ha scoperto l’acqua calda, nel senso che il mondo è relativo, questo lo sappiamo tutti quanti, non vi è dubbio, però che il mondo è fatto di fenomeni più frequenti, fenomeni meno frequenti è fatto di maggioranza e di minoranze e fatto di realtà e quindi il mondo è quello che tocchiamo ogni giorno con le mani. Non è il mondo della percezione che invece ci vorrebbero far bere. Quindi Gramellini sa benissimo che qua in Italia abbiamo delle caratteristiche assolutamente indistinguibili e molto specifiche che ci fanno italiani, fra cui ci sono la nostra cultura, le nostre tradizioni, le nostre radici, e guarda caso le etnie che si distinguono anche tramite i tratti somatici. E questo non è una cosa né negativa né positiva, non è né migliore né peggiore. È sempre la diversità. La bellissima ricchezza di questo mondo che fatto di diversità.

Moderatore: Il suo ingresso sulla scena pubblica, data la sua professione che ha svolto e sta svolgendo in regime, cioè in aspettativa, ha ricordato quella vecchia battuta per cui l’avvocato Agnelli, che era stato sondato per presiedere un governo di uno dei tanti governi di unità Nazionale, Dice è meglio di no, perché se fallissi io, dopo di me potrebbe arrivare solo in generale.

Vannacci Roberto: Ma guardi Non lo so. Apprezzo la battuta dell’avvocato Agnelli non credo che si stia avendo una deriva autoritaria nella maniera assoluta. Penso invece che la professionalità che ho acquisito in 37 anni di carriera, militare di esperienza fatta in giro per il mondo, in comandi multinazionali e a contatto con quella che è una realtà internazionale, possa essere estremamente positiva e possa essere messa a frutto in un Parlamento Europeo.

Direttore: Le chiedo. Generale Vannacci, la sua idea di normalità, perché su questo si è un po’ discusso, in questo periodo. Ci siamo incontrati casualmente alla stazione Termini di Roma e anche ascoltandola, Lei risulta una persona anche moderata nelle parole, però non è questa l’impressione, non è questa l’idea che ci si fa, forse anche leggendo alcuni passi del suo, soprattutto, del suo del suo primo libro, o, non lo so, raccogliendo quelle che sono alcune delle sue dichiarazioni. Questo mi sorprende molto. Lei è un uomo che, se non sbaglio, ha due lauree in Italia, una all’estero ha la disciplina perché è un militare. Ha la disciplina nel DNA. E queste, a volte, in certe uscite, mi permetta il termine, sembrano del tutto indisciplinate. Io quindi non riesco, cerco di non avere mai né giudizi né pregiudizi, ma non riesco bene a capire come questa, questa dicotomia. Lei uomo disciplinato e colto, ma a volte … esternazioni o frasi che sembrano indisciplinate e diciamo così non particolarmente sensibili. Quello che scriveva prima il collega e amico Gramellini, e che ha riportato Stefano, in realtà è un aspetto della sua personalità. Il fatto che lei abbia delle definizioni precise per determinate categorie, perché questo? mi spieghi la sua idea.

Vannacci Roberto: Di certo io penso di rappresentare la realtà per quella che è. Una realtà non modificata dal politicamente corretto che tende addirittura a cambiare il significato alle parole, e quindi, la normalità è quella che è definita in tutti i vocabolari della lingua italiana, ma chiunque abbia studiato le basi della statistica, sa che le prime tre caratteristiche della statistica e le prime tre funzioni principali sono la media aritmetica, la mediana e la norma. La norma rappresenta il verificarsi più frequente di un certo avvenimento e quindi ha essenzialmente una funzione unicamente statistica. Quindi quando si parla di normalità si parla di consuetudine. Si parla di prassi, e tutto ciò che non rientra nella consuetudine, nella prassi, è anormale, perché non rientra in quella norma.

Quindi, nessuna significazione, positiva o negativa ne migliore né peggiore. E’ semplicemente una definizione statistica che va applicata per quella che poi, il politicamente corretto, ha dato invece una accezione diversa, che è quella che io non accetto. Così come la definizione di razzista. Oggi basta dire di una persona, è una persona nera, che si viene epitetati di razzista. Il razzismo è un’altra cosa, il razzismo è quella ideologia che sostiene che una etnia sia geneticamente superiore rispetto ad un’altra. Sono due cose totalmente.

Direttore: Lei non è assolutamente razzista?

Vannacci Roberto: Nella maniera più assoluta, ma la mia vita lo testimonia ancora prima da quello.

Direttore: La sua è quindi una battaglia contro politicamente corretto?

Vannacci Roberto: Esattamente, il politicamente corretto, non è che agisce solo sulle parole, ma agendo sulle parole agisce sulle idee. E’ il politicamente corretto che vorrebbe eliminare le differenze, perché ritiene che le differenze siano causa di discriminazione. Invece differenze e discriminazione, sono due cose totalmente differenti. Le differenze sono oggettive e sono caratteristiche diverse che noi notiamo in alcuni elementi. La discriminazione invece si basa sui diritti e sulla dignità e nel mio libro io non ho tolto diritti e dignità nessuno, ho esaltato le differenze che vanno riconosciute perché sono una ricchezza di questo mondo.

Direttore: Perché secondo lei una parte invece di quelle che sono, che lei stesso definisce le minoranze del nostro paese, hanno comunque, le sue parole come obiettivo e criticano pesantemente quello che lei ha detto?

Vannacci Roberto: Certo perché si va verso una omogeneizzazione della società, una società dove tutto viene omogeneizzato. Dove le minoranze vengono confuse con le maggioranze, dove qualsiasi differenza debba essere presa come una sorta di discriminazione e quindi debba essere negata, debba essere limata, diluita, annacquata, per creare una paccottiglia che include tutti e non rappresenta nessuno. Ecco questo è il mondo immobile del mondialismo e del globalismo che io rifuggo, che io rinnego, e che io invece spero che non si realizzi mai, a beneficio, invece, di un mondo identitario dove le differenze continuino a costituire la ricchezza di questo stupendo pianeta.

Direttore: Lei è già non ha risposto, ha preferito non rispondere, ad alcune domande sull’ inchiesta che ha coinvolto in Liguria il presidente di regione Liguria Giovanni Toti. Però lei è uomo che non si sottrae ai giudizi. Allora io cerco di riassumerle una parte dell’inchiesta, poi lei mi dirà se vuole o non vuole rispondere. C’è un servitore dello Stato, esattamente come lei è stato per anni, ed è tuttora, anche se in aspettativa un servitore dello Stato, che, secondo quanto emerge con assoluta chiarezza, dalle intercettazioni, dai riscontri bancari, ha, ne faccio un esempio, ricevuto da un imprenditore privato 42 soggiorni in un hotel di lusso, solo per citare uno degli elementi, donazioni in regalo, che sono, secondo i magistrati, una prova di corruzione e che, secondo comunque, nell’attesa di conoscere quello che sarà il risultato della magistratura, politicamente hanno già un significato. Lei si candida anche in Liguria per le prossime europee. Avrà letto sicuramente, anche se quello che è emerso nelle prime pagine dei giornali nei primi giorni di questa inchiesta e su tutti i giornali. Ora lei ha sostenuto che a volte, alcuni giornalisti o alcuni giornali possono strumentalizzare. Ma questo è una cronaca comune. Lei, credo che un giudizio su questo, quanto sta accadendo, lo abbia.

Vannacci Roberto: Guardi. Io ho un mio giudizio personale, però ripeto, le indagini servono proprio ad appurare i fatti e quindi non credo che sia l’apertura delle indagini che possa condizionare lo svolgimento di quello che è una professione, una missione che un servitore dello Stato sta facendo in quel momento. Lasciamo spazio alla magistratura. Lasciamo che queste indagini vengano maturate, vengono effettuate e poi vengono prese le decisioni. È chiaro che un’immagine se la fa ogni cittadino, però non sarebbe la prima volta che poi invece queste indagini vanno verso direzione diverse. Lasciamolo lavorare la magistratura nella quale io piena fiducia, e atteniamoci a quelle che saranno poi gli esiti di queste indagini.

Direttore: Assolutamente le indagini devono dimostrare se esistono dei comportamenti che sono dei reati penali, ma ci sono dei comportamenti che hanno in qualche modo, già possono, sui quali si può dare un giudizio di moralità o non moralità. Io credo che quel giudizio lei lo abbia.

Vannacci Roberto: Ma è un giudizio che mi tengo per me

Direttore: No.

Vannacci Roberto: Si lo tengo per me. Perché ripeto non voglio che influenzi nessuno e soprattutto che influenzi neanche me stesso.

Direttore: Però non è un vecchio, mi perdoni, non è un modo un po’ superato di fare politica, quello di no? Comunque, lei non si sottrae neanche alle critiche, neanche alle polemiche, perché si vuol filtrare…

Vannacci Roberto: Perché vorrei evitare di esprimere dei giudizi non totalmente informati. In genere non parlo di ciò che non so. Questa è una vicenda che ho seguito solo marginalmente. Ho solo una fonte di informazione, che è quella giornalistica, e quindi preferisco, magari, scavare più in profondità prima di esprimere un giudizio, che sia informato e che sia consapevole.

Direttore: C’è un’ultimissima polemica tra lei e il ministro degli Esteri italiani. Questa polemica sulla bandiera, è stata strumentalizzata anche questa? Non lo so insomma, ma io le chiedo semplicemente lei è europeista?

Vannacci Roberto: Guardi l’Europa è una realtà, io non la rinnego nella maniera più assoluta, anche sotto un aspetto storico, geografico, di tradizione. Quindi l’Europa, secondo me, deve essere cambiata, non deve essere eliminata. Deve essere cambiata. Deve essere un’Europa fatta da stati sovrani indipendenti e forti che costituiscono una comunità che esalta, in questa maniera, in maniera esponenziale, le caratteristiche di ogni stato. Sulla questione della bandiera, mi risulta che siamo l’unico paese che ha per norma l’obbligo di esporre la bandiera europea insieme a quella italiana. Come mai Dovremmo essere gli unici ad attenerci a questa disposizione?

Direttore: Perché la disturba questa cosa?

Vannacci Roberto: Non disturba nella maniera più assoluta, però vorrei dire: secondo me la norma è esporre la bandiera nazionale, poi si lascia la possibilità di esporre quella Europea.

Direttore: Un’ultima cosa, lei se non sbaglio allo scoppio all’invasione della Russia dell’Ucraina era in Russia, ed è stato dopo qualche settimana è stato espulso come persona non gradita, dopo qualche mese, come una persona non gradita. Nel partito dove lei si presenta come indipendente, nella lega, le condizioni su Putin e sulla Russia sono a volte differenti. Qual è la sua posizione?

Vannacci Roberto: La mia posizione è che si faccia una pace. Perché io ritengo che Putin per quanto una persona sicuramente criticabile non sia peggio di Stalin. Ecco rifacendoci a quello che è successo più di 50 anni fa, perché ritengo che probabilmente anche con le elezioni che ci saranno prossimamente a novembre negli Stati Uniti, sia venuto il momento di pregare per una nuova gli Yalta e quindi per avere un patto, una negoziazione che ci consenta, come lo ha fatto Yalta, i prossimi 50-60 anni di pace.

Direttore: Cosa Lei dice che l’Europa è Cristiana da Capo Nord a Malta, quindi Questo significa che lei vuole andare in Europa anche per riscrivere la costituzione dell’Europa che non prevede simboli, né ha parlato… Sì tigre, Aquila No.

Vannacci Roberto: Io ritengo che una delle caratteristiche fondamentali europee sia proprio la cristianità che esula dalla Fede religiosa, ma è una questione di cultura e quindi non possiamo rinnegare una cultura che permea questo continente negli ultimi duemila anni e secondo me è un simbolo di cristianità, così come era stato proposto nella costituzione europea nella prima stesura. Ritengo che sia sicuramente un simbolo identitario che possa contraddistinguere.

Moderatore: Grazie a voi, alle elezioni europee Vannacci Roberto, nativo di La Spezia, 55 anni. Liguria chiama, Europa risponde. E si chiude qui.




CELLINI, PAOLO BATTAGLIA LA TERRA BORGESE RACCONTA LO SCULTORE

«…durante tutta la sua vita di lavoro indefesso lo scultore, orafo e scrittore, mantenne non solo una sorella vedova con sei figli ma anche un’altra famiglia in miseria che non aveva nessuna parentela con lui e molti giovani artisti e modelli…»

 

Riuscì sempre a cavarsela – racconta Paolo Battaglia La Terra Borgese -. Era lo spadaccino più permaloso di tutta l’Italia del Cinquecento e i suoi nemici pagarono con la vita. Si prese le donne che gli piacquero.

Fu maestro d’avventure. La battaglia gli metteva allegria. Il carcere più profondo non bastava a tenerlo.

 

Ma quest’avventuriero spaccone fu soprattutto il più grande orefice del mondo. Tale era l’opinione che aveva di se stesso Benvenuto Cellini, e i collezionisti la condividono ormai da oltre 400 anni.

La storia in genere conferma le pittoresche avventure narrate nella sua Vita.

 

Benvenuto Cellini – prosegue Battaglia La Terra Borgese – nacque a Firenze nel 1500. Dal padre, fabbricante di strumenti musicali, ereditò l’abilità manuale.

Fin dall’infanzia si fermava davanti alle botteghe degli orefici, attratto dal ticchettio dei martelletti, dal soffiare dei mantici, dall’incandescenza delle braci.

S’infilava dentro per vedere lo splendore che i tagliatori di gemme traevano dalle pietre preziose ancora grezze e per osservare gli artigiani che lavoravano l’oro nella sua infinita e lucente duttilità.

 

Ben presto si fece assumere come apprendista in una delle botteghe – continua Battaglia La Terra Borgese -.

Questo scatenò un finimondo perché Cellini padre aveva deciso in cuor suo che Benvenuto dovesse diventare un musicista. È vero che quelle agili piccole dita sul flauto sapevano far sgorgare lacrime di gioia dai teneri occhi paterni.

Ma Benvenuto non era il tipo da esercitarsi con le scale tutto il giorno.

Per sfuggire alle odiate note scappava di casa e stava via parecchi mesi di seguito, guadagnandosi la vita come apprendista orefice nelle città vicine.

A 19 anni, avendo litigato più del solito col padre, s’incamminò a piedi per Roma, dove si diceva che il papa era prodigo di oro con gli artisti come le fontane della città erano prodighe d’acqua.

 

Il suo primo lavoro a Roma – riferisce Battaglia La Terra Borgese – consisté nell’adornare uno scrigno d’argento per un cardinale.

Lo fece in bassorilievo, decorandolo molto più di quanto non gli fosse stato ordinato, con fogliami intrecciati, frutta, putti e maschere grottesche. Il maestro della bottega era così fiero di questo scrigno che lo mostrò a tutta la città.

E ancor più fiero fu Benvenuto di mandare il compenso che gli spettava al padre, che continuò a mantenere generosamente finché visse. Poiché la mano di Cellini era pronta a dare come a colpire; durante tutta la sua vita di lavoro indefesso mantenne non solo una sorella vedova con sei figli ma anche un’altra famiglia in miseria che non aveva nessuna parentela con lui e molti giovani artisti e modelli.

 

A Roma guadagnò largamente e in breve ebbe una bottega sua. Da questa uscirono anelli, cammei e spille di squisita fattura, coltelli e pugnali dal manico intarsiato, cinture d’argento per le spose e una brocca d’oro per un vescovo.

Cellini fece anche fucili, per suo proprio uso, perché era schiavo della  violenta e persistente passione di andare a caccia di folaghe nelle paludi intorno alla Città Eterna.

 

Fu un colpo da maestro – precisa Paolo Battaglia La Terra Borgese – che dette inizio al susseguirsi delle eccitanti avventure di Benvenuto Cellini. Nel 1527 Roma era assediata dalle forze dell’imperatore Carlo V, al comando del connestabile di Borbone.

Cellini, che era volontario nel corpo di guardia sulle mura, scrutando attraverso la nebbia vide un gruppo di nemici che si avvicinava. Puntando l’archibugio uccise il capo del gruppo con un solo colpo.

Cellini racconta che questi, come si vide poi, era il connestabile in persona. Pura vanteria? La storia ci dice che proprio in quel giorno il connestabile fu ucciso da una sentinella sconosciuta.

 

Dopo di ciò Benvenuto Cellini ebbe il comando delle artiglierie sul mastio di Castel Sant’Angelo. Lo stesso papa Clemente VII, venne fuori a osservare la mira del Cellini che martellava le trincee del nemico.

Per un mese, con gioia a metà puerile e a metà diabolica, Benvenuto dimenticò la sua arte delicata – dichiara Battaglia La Terra Borgese –.

 

Il Critico prosegue: Finita la guerra, Cellini fu nominato maestro della Zecca Vaticana. Oltre a ciò foggiò una quantità di splendidi ornamenti per i dignitari della Chiesa. Un bottone per il piviale pontificio richiese anni di lavoro.

Grande come un piattino, raffigurava Dio Padre circondato da 15 angeli in oro sbalzato, e c’erano incastonati smeraldi, zaffiri, rubini e un magnifico brillante. Quest’oggetto fece parte del

tesoro vaticano per 250 anni, ma fu poi unito alla «indennità» pretesa da Napoleone Bonaparte nel 1797 e mani vandaliche ne estrassero i gioielli e ne fusero l’oro.

 

Non bisogna però credere che la vita di Benvenuto fosse tutta spesa a lavorare per la Chiesa – avverte Battaglia La Terra Borgese -.

Una volta gettò via il cesello per seguire un bel visetto siciliano fino a Napoli. Le modelle dell’artista Cellini, sembravano essere irresistibili per l’uomo Benvenuto.

 

Nell’odio era ardente come nell’amore. Quando il fratello fu ucciso in una rissa, Benvenuto non pensò neppure a chiamare i custodi dell’ordine: a che sarebbe servito, visto che l’uccisore era un caporale delle guardie della città?

«Presi a vagheggiare quello archivitabusiere» dice Benvenuto «come se fosse stato una mia innamorata.» Infine in un vicolo buio col pugnale si fece giustizia.

 

Alla morte del vecchio papa – racconta il critico d’arte Battaglia La Terra Borgese -, prima che fosse eletto il nuovo, a Roma non c’era altra legge fuorché l’anarchia.

Un orefice del Vaticano, suo rivale, di nome Pompeo, si mise in cerca del Cellini con dieci armati.

Benvenuto s’imbatté in questi per la strada. Nella zuffa uccise Pompeo con una pugnalata e mise in fuga i suoi scherani.

Ma la figlia di Pompeo andò sposa a un amico intimo di Pier Luigi Farnese “nipote” del nuovo papa, e per sua istigazione il Cellini veniva continuamente perseguitato.

Un assassino còrso gli tese un agguato, sicari lo seguirono a Venezia, un’altra banda lo costrinse a fuggire di notte.

Riuscì sempre a cavarsela. Ma nel 1537 fu arrestato per ordine del papa. Fu chiuso in una cella «dove fu decisa la mia morte» come egli dice.

 

Con grande astuzia – nota Paolo Battaglia La Terra Borgese – preparò la fuga. Prima rubò delle tenaglie a un operaio del carcere.

Quando i suoi apprendisti gli portarono delle lenzuola pulite, nascose quelle sudice nel materasso.

Con le tenaglie estrasse quasi tutti i chiodi dai cardini di ferro della porta lasciandone appena quanti bastavano per tenerla a posto.

Ci vollero parecchie settimane per tirarli fuori e contraffare le borchie con della cera di candele mista a ruggine onde trarre in inganno i carcerieri.

Quando tutto fu pronto s’inginocchiò e rimase a lungo in preghiera.

 

Rimanevano soltanto due ore di oscurità quando estrasse gli ultimi chiodi dai cardini e sgusciò fuori dalla cella.

Si attorcigliò sulla schiena le strisce di lenzuola annodate, usci sul bastione e di lì si calò nel cortile.

 

La notte volgeva al termine e Benvenuto – riferisce Battaglia La Terra Borgese – spiava le sentinelle aspettando il momento opportuno per superare il muro esterno.

Arrampicatosi su questo con l’aiuto di una pertica che aveva trovato per caso, assicurò le lenzuola rimaste a una pietra in cima al muro e iniziò la discesa verso la libertà.

Ma o le lenzuola o le sue mani esauste cedettero, perché Cellini cadde e si ruppe una gamba.

La legò stoicamente e si trascinò fino alla porta della città; era ancora chiusa, ma il Cellini riuscì a rimuovere una grossa pietra da sotto la porta e a infilarsi in quel buco nonostante i dolori strazianti.

Passata la porta fu assalito dai cani da difesa. Ma un servitore del cardinale Cornaro di Venezia lo riconobbe e lo portò al palazzo del suo padrone.

 

Disgrazia volle – fa notare Battaglia La Terra Borgese – che il cardinale desiderasse una sede vescovile per un suo amico e che il pontefice non gliela volesse concedere.

Così fu concluso un patto: il cardinale ottenne il vescovado e il papa riebbe il suo prigioniero.

Questa volta il Cellini fu chiuso in una segreta nei sotterranei di Castel Sant’Angelo: una fossa piena d’acqua, in cui egli giacque in delirio per parecchi giorni.

 

Ma allora, al palazzo di Fontainebleau in Francia, il re Francesco I aveva espresso il desiderio di avere come orefice di corte questo Benvenuto Cellini del quale aveva sentito fare tanti elogi. Un altro cardinale influente parlò in suo favore al papa.

Così dalla sua immonda cella il Cellini fu trasportato alla corte più brillante d’Europa – afferma Battaglia La Terra Borgese -. Qui gli furono dati splendidi appartamenti, un gruppo di aiutanti e ricevette un’ordinazione dopo l’altra per opere di grande impegno, d’oro, d’argento e di bronzo, tra cui una «saliera» d’oro – in realtà è un centro da tavola per banchetti – che è oggi il vanto di un museo di Vienna

 

Il re e la regina, il cardinale e i nobili venivano spesso a visitare la sua bottega sempre attiva.

Tutto prometteva bene.

Ma Cellini aveva fatto i conti senza la favorita del re e, sebbene fosse un esperto adulatore, aveva trascurato di richiedere l’opinione di quest’ultima. In seguito alla sottile opposizione che lei gli mosse – afferma Battaglia La Terra Borgese -, Cellini poté portare a compimento ben poco di ciò che aveva progettato per Francesco I, e nel 1545, deluso, tornò a Firenze e divenne il protetto del duca Cosimo I, ben noto patrono delle arti.

Cosimo suggerì a Benvenuto di scolpire una statua di Perseo, il leggendario eroe greco che uccise Medusa, la Gorgone anguicrinita (che ha serpenti al posto dei capelli, ndr) che impietriva chiunque la guardasse.

 

Cellini fece un modello dopo l’altro, di cera, di stucco, di marmo. Infine, dopo nove anni, riuscì a compiere una figura più grande del vero, che lo soddisfece – lo elogia così Paolo Battaglia La Terra Borgese -.

Ora si trattava di gettarla in bronzo! Questa era una delle operazioni più difficili che la scultura avesse mai tentato fino allora. Cellini doveva progettare da sé le fornaci e le forme, ed escogitare le leghe. Il duca scosse la testa e predisse un disastro.

 

Ecco come il Cellini – riporta il Critico – racconta la sua impresa, forse la più appassionante di tutta la sua vita.

 

«Alla fine gridai che fosse accesa la fornace. I tronchi di pino vi erano accatastati e la fornace lavorava tanto bene, che io fui necessitato a soccorrere ora da una parte e ora da un’altra per alimentarla.

Non resistevo più e mi saltò addosso la febbre, per la qual cosa io fui sforzato andarmi a gittare nel letto.

Quando due ore dopo tornai nella bottega trovai tutto rappreso il metallo e il tetto della bottega in fiamme.

Mandai sul tetto a riparare al fuoco e dissi a due manovali che andassino a prendere una catasta di legne di quercioli giovani, e quando queste presono fuoco, oh come quel metallo rappreso si cominciò a schiarire, e lampeggiava in quel terribile fuoco.»

 

«In un tratto è si sente un romore con un lampo di fuoco grandissimo. Mi avvidi che il coperchio della fornace si era scoppiato e il bronzo si versava fuori. Subito feci aprire le bocche della mia forma. Ma veduto che il metallo non correva con quella prestezza ch’ei soleva fare, forse per essersi consumata la lega per virtù di quel terribile fuoco, io feci pigliare tutti i mia piatti e scodelle e tondi di stagno, i quali erano in circa dugento, e a uno a uno li gittai drento. In tal modo riuscii nell’intento e ora il mio bronzo s’era benissimo fatto liquido e la forma si empiva. Quando vidi il mio lavoro compiuto m’inginocchiai, e con tutto il cuore ne ringraziai Iddio.»

 

La statua di Perseo – spiega Paolo Battaglia La Terra Borgesefu posta in una loggia in Piazza della Signoria nel cuore di Firenze. Là si erge oggi, nel bronzo immortale il vigoroso eroe che solleva la testa di Medusa.

 

Con questa sola opera Cellini prese posto tra i grandi scultori. In questo periodo fecondo fece altri lavori in bronzo e in marmo: busti, figure mitologiche e un grande crocifisso per la propria tomba (pur tuttavia aveva ucciso umani e altri animali).

 

Con l’avanzare degli anni, quest’uomo che aveva vissuto così felicemente seguendo i suoi principi, pian piano si conformò a quelli del resto dell’umanità.

A 64 anni sposò la sua domestica e cominciò ad allevare i propri figli in stato coniugale. Laddove un tempo aveva elargito le sue sostanze liberamente, ora ascoltò il parere dei savi e le investi… e così perse tutto (banchieri dell’epoca).

 

Il 13 febbraio 1571 le avventure terrene di Benvenuto Cellini ebbero termine. Eppure continuano per sempre, poiché ogni generazione le riscopre nella sua scintillante autobiografia. Per quasi due secoli il manoscritto fu perduto.

Quando venne alla luce e fu pubblicato tutta l’Europa ne rimase affascinata. Goethe, che lo tradusse in tedesco, dichiarò che costituiva un miglior quadro di quei tempi che non qualunque rigoroso testo storico.

Dumas lo divorò e poi offrì al mondo il suo allegro cavaliere D’Artagnan, il capo dei Tre Moschettieri. Da allora in poi la figura di un intrepido spadaccino, burlone, rubacuori e femminaro è balzata da cento libri ed è comparsa su mille schermi.

Il primo di tutti era stato Benvenuto Cellini – chiude così, Paolo Battaglia La Terra Borgese il suo Cellini-.




Dirigenti esterni nella PA??? Troppe differenze non solo culturali!!!

La mancanza di manager di livello nella pubblica amministrazione rispetto al settore privato è un argomento complesso che può essere analizzato sotto diversi punti di vista.

Le differenze tra i due settori in termini di gestione, incentivi, struttura organizzativa e cultura del lavoro sono significative e influenzano la qualità e la competenza della leadership.

Anche quando la PA prende dirigenti dall’esterno, non intendiamo da altre PA ma dal settore privato, cosa di cui parleremo bene più avanti, la situazione si rivela fallimentare.

Ecco alcuni dei principali fattori che contribuiscono a questa situazione:

 

Differenze nei Sistemi di Incentivi

 

 Settore Privato:

– Retribuzione: Nel settore privato, i manager ricevono compensi spesso molto alti, compresi stipendi, bonus basati sulle performance e stock options.

– Incentivi basati sulla performance: Gli incentivi finanziari sono strettamente legati ai risultati aziendali. Questo motiva i manager a migliorare costantemente le loro prestazioni e a raggiungere obiettivi specifici.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Retribuzione fissa: I compensi sono generalmente regolati da leggi e regolamenti, con minore flessibilità per premi o bonus basati sulle performance.

– Incentivi limitati: Gli incentivi basati sulla performance sono meno comuni, riducendo la motivazione a eccellere o innovare.

 

Processi di Selezione e Reclutamento

 

 Settore Privato:

– Selezione competitiva: Le aziende private tendono a selezionare i candidati attraverso processi competitivi, cercando i migliori talenti disponibili sul mercato.

– Flessibilità nel reclutamento: Il settore privato può adattare rapidamente i propri processi di assunzione alle esigenze del mercato e delle proprie strategie aziendali.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Burocrazia e rigidità: I processi di selezione nella pubblica amministrazione sono spesso lunghi e burocratici, con rigide procedure e requisiti formali.

– Limitazioni regolamentari: La selezione e il reclutamento sono soggetti a regolamentazioni che possono limitare la capacità di attrarre talenti altamente qualificati.

 

Struttura Organizzativa e Cultura del Lavoro

 

 Settore Privato:

– Organizzazione dinamica: Le aziende private tendono ad avere strutture organizzative più flessibili, che permettono una rapida adattabilità ai cambiamenti del mercato.

– Cultura della performance: C’è una forte enfasi sui risultati e sulla performance, che spinge i manager a innovare e migliorare costantemente.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Struttura gerarchica: La pubblica amministrazione è spesso caratterizzata da strutture gerarchiche rigide, che possono limitare l’innovazione e la rapidità decisionale.

– Stabilità e sicurezza del lavoro: La cultura lavorativa nella pubblica amministrazione può essere più orientata alla stabilità e alla sicurezza del lavoro piuttosto che alla performance e all’innovazione.

 

Formazione e Sviluppo Professionale

 

 Settore Privato:

– Investimenti nella formazione: Le aziende private spesso investono significativamente nella formazione continua dei loro manager per sviluppare competenze specifiche e aggiornate.

– Sviluppo della carriera: Ci sono molte opportunità per la crescita professionale e la progressione di carriera, incentivando i manager a migliorarsi costantemente.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Limitazioni di budget: Gli investimenti nella formazione e nello sviluppo professionale possono essere limitati dai vincoli di bilancio pubblico.

– Percorsi di carriera meno definiti: Le opportunità di crescita professionale possono essere meno definite e meno accessibili, influenzando negativamente la motivazione dei manager a sviluppare nuove competenze.

 

Valutazione delle Performance

 

 Settore Privato:

– Valutazione rigorosa: Le performance dei manager vengono costantemente valutate in base a criteri specifici e misurabili, con un feedback continuo che consente correzioni rapide.

– Accountability: I manager sono strettamente responsabili dei risultati delle loro unità o dipartimenti.

 

 Pubblica Amministrazione:

– Valutazione limitata: Le valutazioni delle performance possono essere meno rigorose e meno frequenti, riducendo la pressione per migliorare continuamente.

– Minore responsabilità individuale: La responsabilità può essere diffusa, rendendo più difficile attribuire successi o fallimenti a singoli manager.

 

La mancanza di manager di livello nella pubblica amministrazione rispetto al settore privato è il risultato di una combinazione di fattori che includono sistemi di incentivi, processi di selezione, struttura organizzativa, cultura del lavoro, formazione e valutazione delle performance.

Per migliorare la qualità della leadership nella pubblica amministrazione, sarebbe necessario rivedere questi aspetti, aumentando la flessibilità, gli incentivi basati sulla performance e gli investimenti nella formazione e nello sviluppo professionale dei manager.

L’assunzione di personale dirigenziale dall’esterno nella pubblica amministrazione italiana, come previsto dal comma 6 dell’articolo 19 della legge 165/2001, è un processo che, sebbene pensato per introdurre competenze e know-how del settore privato, spesso si scontra con varie problematiche che portano a fenomeni di mobbing e impediscono ai nuovi dirigenti di lavorare al meglio.

Questa situazione può essere spiegata attraverso diverse cause legate alla cultura organizzativa, alle dinamiche interne e ai conflitti d’interesse esistenti all’interno della pubblica amministrazione.

 

Resistenza al Cambiamento

 

 Cultura Organizzativa Radicata:

– Tradizionalismo: La pubblica amministrazione è spesso caratterizzata da una cultura organizzativa molto radicata e tradizionalista. L’introduzione di dirigenti esterni, che portano nuove idee e metodi di lavoro, può essere percepita come una minaccia allo status quo.

– Resistenza al cambiamento: Il personale interno può manifestare una forte resistenza al cambiamento, vedendo i dirigenti esterni come agenti di cambiamento indesiderato che alterano le pratiche consolidate e i flussi di lavoro esistenti.

 

Conflitti di Interesse e Invidia Professionale

 

 Conflitti con il Personale Interno:

– Invidia: I dirigenti interni possono nutrire sentimenti di invidia verso i nuovi dirigenti esterni, specialmente se percepiscono che questi ultimi sono stati assunti con compensi più elevati o con percorsi di carriera privilegiati.

– Competizione: L’assunzione di dirigenti esterni può creare una competizione interna, alimentando tensioni tra il personale di lungo corso e i nuovi arrivati, che vengono visti come concorrenti piuttosto che come collaboratori.

 

Dinamiche di Potere e Politiche

 

 Ostacoli Politici e Amministrativi:

– Difesa delle posizioni di potere: I dirigenti interni e altri funzionari possono vedere i nuovi arrivati come minacce alle loro posizioni di potere e influenza. Questo può portare a comportamenti di boicottaggio e ostracismo per proteggere i propri interessi.

– Supporto insufficiente: Spesso i dirigenti esterni non ricevono il supporto necessario dai loro superiori o colleghi interni, rendendo difficile l’implementazione delle loro idee e iniziative.

 

Problematiche Legate alla Formazione e all’Inserimento

 

 Mancanza di Adeguata Formazione:

– Inserimento inadeguato: Spesso, i dirigenti esterni non ricevono un’adeguata formazione o orientamento specifico per comprendere le peculiarità della pubblica amministrazione e adattarsi al nuovo contesto lavorativo.

– Isolamento professionale: I nuovi dirigenti possono essere isolati dal resto del personale, non ricevendo il supporto necessario per integrarsi efficacemente e comprendere le dinamiche interne.

 

Burocrazia e Inerzia Amministrativa

 

 Complessità Burocratica:

– Procedure rigide: La pubblica amministrazione è caratterizzata da procedure burocratiche rigide e complesse che possono limitare la capacità dei nuovi dirigenti di apportare cambiamenti significativi e miglioramenti.

– Lentezza decisionale: La lentezza nelle decisioni e nei processi amministrativi può frustrare i dirigenti esterni, abituati a un ambiente più dinamico e orientato ai risultati.

 

Fenomeni di Mobbing

 

 Mobbing Organizzativo:

– Strategie di esclusione: Il personale interno può attuare strategie di esclusione nei confronti dei nuovi dirigenti, come la mancata condivisione di informazioni, l’assegnazione di compiti di scarso valore o l’esclusione dalle decisioni importanti.

– Delegittimazione: I dirigenti esterni possono essere delegittimati attraverso critiche costanti, sabotaggio delle loro iniziative e diffusione di voci negative, con l’obiettivo di farli apparire incompetenti.

 

 

L’inserimento di dirigenti esterni nella pubblica amministrazione italiana attraverso il comma 6 dell’articolo 19 della legge 165/2001, sebbene inteso a portare nuove competenze e dinamiche innovative, si scontra spesso con una resistenza culturale, conflitti di interesse, dinamiche di potere e problematiche burocratiche.

Per migliorare questa situazione, sarebbe necessario adottare misure che favoriscano un’accoglienza più positiva e un’integrazione efficace dei nuovi dirigenti, come programmi di orientamento, politiche di supporto e promozione di una cultura organizzativa più aperta al cambiamento e alla diversità di esperienze professionali, e forse occorrerebbe cacciar via tutti gli attuali vertici, perché non sono i dirigenti il problema vero, e sostituirli con manager proveniente dal privato e dalla consulenza, così magari qualche speranza per questo paese potrebbe esserci.




“Tutte per Donna Sufì”

Sophia Loren a sedici anni.
Ritratto di Sophia Loren, attrice italiana dall’aspetto glamour. Indossa un abito senza spalline, una collana e orecchini di diamanti. Su sfondo bianco, scattato intorno al 1950. (Photo by Silver Screen Collection/Getty Images)

Tutte le strade portano alla realizzazione di un Sogno

Chi non ha avuto almeno un sogno da bambino? 

Poi, strada facendo, c’è chi se ne è scordato, chi lo ha perso fra i grovigli dei più urgenti impegni quotidiani, chi ne ha fatto un hobby preferendogli un lavoro “vero”, chi invece lo ha inseguito fino a raggiungere la vetta del successo e da lì, brillando, illumina il sentiero di chi è ancora in viaggio.

La storia che sto per raccontarvi vede per protagoniste cinque donne, ciascuna nel proprio ruolo, tutte impegnate nello stesso bellissimo progetto: celebrare in un radiodramma lo splendore di una stella di prima grandezza del migliore cinema italiano e internazionale: Sophia Loren. 

Lei, che il suo Sogno lo vive da decenni, può ispirare i sognatori che ambiscano a distinguersi nell’arte cinematografica.

Ed ecco i nomi dei personaggi coinvolti in quest’opera, in ordine di apparizione.

Francesca Giorzi: Responsabile della fiction radiofonica della RSI, la Radio della Svizzera Italiana con sede a Lugano.

Jasmine Laurenti: (la scrivente) giornalista culturale per betapress.it, scrittrice nonché “voce” di Nunziatina, cameriera dell’attrice Sophia Loren nella sua residenza ginevrina.

Francesca Quattromini: attrice amatoriale napoletana, mia provvidenziale “coach” in accento partenopeo.

Margherita Coldesina: Attrice e scrittrice di poesie nonché autrice, regista e coprotagonista del radiodramma dedicato all’intramontabile figura di Sophia Loren.

Mariangela D’Abbraccio: nota e pluripremiata attrice italiana di cinema e teatro, “voce” della Signora Loren.

La cosa che più amo del mestiere di attrice è il suo sorprendermi in modi sempre nuovi e arricchenti.

Questo radiodramma, scritto, diretto e interpretato per la Radio Svizzera Italiana dall’artista ticinese Margherita Coldesina, ne è un esempio. Intorno al suo bellissimo lavoro dedicato a Sophia Loren, ci siamo riunite nello studio otto, presso la sede di Lugano Besso, il 23 aprile scorso; ciascuna con il proprio bagaglio esperienziale, ciascuna in cammino verso la realizzazione del proprio Sogno.

La Chiamata

Ma andiamo per ordine. 

Tutto comincia, per la sottoscritta, il 19 marzo, quando ricevo una chiamata da Francesca Giorzi, responsabile della fiction radiofonica della RSI a Lugano.

“Jasmine, c’è questo personaggio carino, una cameriera napoletana… Come sei messa con l’accento partenopeo?”

“Grazie per aver pensato a me! Sai Francesca, il dialetto napoletano non rientra fra le mie specialità. Temo di non potervi aiutare, stavolta…” 

“Le battute non sono tante, e poi hai più di un mese per prepararti…”

“Vabbè, dai, ci provo.” E mentre lo dico, mi vedo lanciarmi fra le braccia di un tanghero argentino, io, che del tango ignoro pure i passi base. 

Il Mentore

Comincio a passare in rassegna le donne di Napoli che conosco. Mi viene in mente Chiara Sparacio, vicedirettore di Betapress.it, che è di origine siciliana ma vive a Napoli. È lei a mettermi in contatto con la giovane attrice Francesca Quattromini. Quest’ultima si presta gentilmente ad aiutarmi. Le propongo di lasciarmi un vocale su whatsapp, mentre legge le mie battute con accento partenopeo. Il gioco è fatto. Ho la sua traccia. Mi metto subito a “studiare”. Tanto, ho tutto il tempo che mi serve. 

Le Compagne di Viaggio

E arriva il grande giorno, alla radio.

Nella grande sala dove si registrano i radiodrammi, Margherita Coldesina è in postazione nelle vesti di autrice dell’opera, regista e attrice coprotagonista nella parte di… Se stessa!

Sin dalla più tenera età, lei scrive e recita. Il suo sogno è realizzarsi come attrice nel grande cinema. Come chi mira all’eccellenza, prende ispirazione da un’icona del cinema internazionale: Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, in arte Sophia Loren.

Ha appena sedici anni quando, sullo scaffale più alto di una videoteca, “incontra” la sua ignara mentore. Consuma, letteralmente, il nastro delle videocassette di novantatré su centoundici film, che vedono la sua stella polare brillare sul set accanto ad altri astri di fama mondiale.

Accanto a lei c’è Mariangela D’Abbraccio: stimata attrice napoletana, figlia e nipote d’arte, ha lavorato coi migliori in ambito cinematografico e teatrale. È lei che darà voce a “Donna Sufì”.

Da parte mia, Nunziatina, ce l’ho messa tutta per calcare le intonazioni suggeritemi da Francesca Quattromini nel suo vocale. Mi sento abbastanza pronta, ma l’incognita è grande. Margherita ha avi partenopei, Mariangela è un’attrice napoletana verace, Francesca pure… In “scova l’intruso” individuarmi è un gioco da ragazzi. 

E va bene, lo confesso: sono un’infiltrata, veneta da parte di padre e di madre. Non ho scampo, ma farò del mio meglio. Sudo freddo. 

La trama del radiodramma

Il radiodramma, che ha il sapore di un sogno lucido, profuma di caffè e ragù come si fanno a Napoli. Si svolge a Ginevra, nell’abitazione della mitica Sophia. Accanto a lei c’è la cameriera, “Nunziatina Esposito nata a Pozzuoli di anni sessantasette”, intenta a preparare il pranzo. 

A un certo punto suona il campanello e, per andare ad aprire, lascia il ragù sul fuoco. Trova una ragazza riversa sul pianerottolo, a “quatt’e bastune”: Margherita, appunto, nei panni della fan della celebre attrice. Le è bastato suonare il campanello e sentire la voce della domestica in arrivo per svenire, letteralmente, per la troppa emozione. Svenimento provvidenziale, il suo: la Loren, per consentire alla giovane donna di riprendersi, non solo decide di accoglierla in casa, ma anche di invitarla a pranzo.

Segue un divertente dialogo fra Sophia e Nunziatina la quale, scocciata per l’imprevisto che l’ha costretta a lasciare incustodito il suo ragù, se ne ritorna in cucina. 

Quindi serve a tavola e lascia le due donne a conversare, gustando il loro piatto di pasta. Tra una forchettata e un sorso di buon vino, Sophia e Margherita si scambiano memorie e aneddoti, via via arricchiti da dettagli inediti rivelati dalla Loren alla sua sempre più entusiasta ammiratrice.

Alla ricerca della Verità

Prima di registrare si fa una prova.

In sala nello studio otto siamo in tre: Margherita nei panni di se stessa, Mariangela nel ruolo di Sophia e la sottoscritta come Nunziatina. 

No, non va: il mio accento suona eccessivo, caricaturale. Ed è così che accade con i non nativi: per fingere di esserlo, si sforzano. Del resto, è quello a cui ci siamo abituati nel teatro goldoniano. Se gli attori non sono veneti, fingono di esserlo e si sente. Insomma: dobbiamo escogitare qualcos’altro. Un lieve accento francese? Un po’ mi dispiace, lo ammetto, per l’impegno che ci ho messo e anche per l’attrice di Napoli, Francesca Quattromini, che tanto gentilmente mi aveva aiutata. Del resto, comprendo che l’obiettivo è la naturalezza, non l’accento napoletano a tutti i costi. Così, si arriva alla conclusione che è meglio accennarlo appena. Interiorizzarlo, addirittura. Il risultato è più che dignitoso. Margherita è felice. Mariangela, sorridente e rilassata, annuisce. Francesca Giorzi entra in sala e ci scatta delle foto, immortalando la nostra avventura.

Funziona. Tiro un sospiro di sollievo. 

Mentre torno col pensiero a quei momenti, realizzo che noi donne eravamo spettatrici del graduale manifestarsi del sogno di Margherita.

L’Autrice infatti, come nelle migliori favole, aveva posto le premesse per avverare ben tre desideri: scrivere per la radio, incontrare di persona il suo Mito e, calcandone le orme, imporsi all’attenzione del grande cinema. 

Le auguro di cuore di seguire il brillìo della sua Stella fino a prenderne il testimone, sulla Vetta riservata a pochi eletti.

Mentre il suo viaggio è in corso, la raggiungo per un’intervista. 

 

L'attrice e scrittrice ticinese Margherita Coldesina

Il Sogno di Margherita Coldesina: “Non c’è nessuna porta”

J.L.: Chi è Margherita, oltre le parole che scrive e interpreta?

M.C.: È quella persona che la sta aspettando alla fermata successiva a quella in cui scende sempre.

J.L.: Qual era il suo sogno da bambina?

M.C.: Fare l’attrice oppure il falegname.

J.L.: A che punto è della sua realizzazione?

M.C.: Il falegname dell’anima sta scolpendo tutte le facce dell’attrice, compresa quella vera, incorruttibile anche dall’arte o dalle richieste di interpretare questo e l’altro personaggio.

J.L.: Aldilà del fatto che sia la leggenda vivente del cinema italiano e internazionale, perché proprio Sophia?

M.C.: Mi ha scelto lei, lei intesa come parte del tutto. Sophia è il frammento di un universo che ho conosciuto intimamente in altre vite, è un espediente incaricato di ricordarmi chi sono e perché sono qui sulla Terra con questa brama di calarmi in ruoli senza cinture di sicurezza allacciate. Quando entro in qualcosa, io ci entro del tutto, mi sporgo da me stessa e rischio tutto.

J.L.: Nella fiaba a lieto fine della tua icona, quali sono i momenti della sua vita privata e professionale che più ti ispirano nei momenti più sfidanti del tuo percorso?

M.C.: È nata sbagliata, con un padre che non l’ha riconosciuta. E invece di subire gli eventi conseguenti a un’infanzia fatta di miseria e fame, ha imbrigliato la sua sofferenza con le redini della disciplina e ha liberato il purosangue che sentiva intuitivamente di essere. E prima o poi, se sei un purosangue, corri talmente veloce che cambi il mondo e chi assiste alla tua corsa. Il coraggio, quando è incarnato, sconvolge, cambia le persone.

J.L.: So che, per poter scrivere di lei, hai passato in rassegna circa tremila tra giornali dell’epoca, riviste, rotocalchi e documenti d’archivio. E poi, le ore che hai trascorso a guardare novantotto dei suoi più che cento film e non una, ma più volte. Infine, ti ci sono voluti due anni per trovare il suo indirizzo di casa a Ginevra. Quanto è importante la perseveranza, nella realizzazione di un sogno?

M.C.: Direi che è l’unico requisito. Ma prima viene il talento. E la cosa bella è che ognuno ne ha uno. Una cosa in cui brilli ce l’hai tu, lui, la barista, quel bambino che gioca a calcio, la signora imbronciata qui vicino che beve un Martini. E col talento, se lo addestri, diventi un supereroe.

J.L.: E se il radiodramma fosse un modo per profetizzare il tuo incontro con Sophia nella vita reale? 

M.C.: Ne sono convinta. Ma, come dicono i saggi: “Tua è l’azione, ma non il frutto dell’azione.” Vedremo.

J.L.: Nell’opera riveli, di Sophia, l’aver vissuto il trauma del non riconoscimento da parte del padre. Se, come ipotizzi, è stato il dolore per quel rifiuto primordiale a spingerla sulla scala di un Successo planetario… Cos’è a spingere te a raggiungere la vetta del tuo successo?

M.C.: Anche io ho un Edipo consistente, mettiamola così. È sempre tutta una faccenda d’amore impastata con la tragedia, la vita. È come venire al mondo: funesto ed epifanico, no?

J.L.: A un certo punto, mentre si rivolge alla cameriera che minaccia di buttare il ragù rimasto a cuocere troppo a lungo, attribuisci alla Loren la frase: “Non l’hai patita tu la fame come me e mia sorella… E zia Dora, e mamma che cercava disperatamente tutto il giorno qualcosa da mangiare per noi, e mica si arrendeva.” E ancora: “Non un mito, ma una diva, sì. Coi piedi bene a terra, perché ho conosciuto la povertà, quella vera, ma ho anche vissuto un mondo dello star system che oggi ve lo sognate.” Sono parole che rendono l’idea di un’infanzia così umile e dura, che sembrerebbe impossibile poter soltanto immaginare, per la protagonista, un radioso futuro. Quanto può incidere e in che modo, secondo te, un critico esordio, sul buon esito di un destino? 

M.C.: Se non hai fame, non seminerai la terra, e non raccoglierai; se ti arrendi a soggiornare nella parte di te più diurna e ti rifiuti di sbirciare cosa c’è nascosto nel precipizio che ogni giorno ti sussurra all’orecchio le emozioni più violente, e le paure, e ciò che è inammissibile per te confessare, allora la vetta che ti è dato conquistare sarà rassicurante come una collinetta, al massimo un monte. Io punto alle stelle: quando arriverò in cima all’Everest cercherò una scala per il cielo e mi appenderò alla coda di un astro.

J.L.: Ecco, come vedi la tua ascesa nello Star System? Ritieni che al giorno d’oggi sia ancora possibile, per un’attrice, cogliere delle Opportunità, pur rimanendo fedele a se stessa e ai propri valori?  

M.C.: Credo che non esistano le epoche, esistono le proprie oscurità dalle quali emanciparsi; e non esistono le opportunità, esiste l’autolegittimazione a illuminare col proprio talento il mondo.

J.L.: Se il primo giro di boa artistico Sophia l’ha fatto grazie al sodalizio con il regista Vittorio De Sica, qual è il regista con cui stringeresti il tuo sodalizio artistico, per il tuo giro di boa?

M.C.: Se fossero vivi: Cassavetes e Visconti. Amo Woody Allen e Carlo Verdone, per restare sulla Terra. Ma anche centinaia di altri. Non è questione di registi, è questione di missione: so che mi verrà incontro chi favorirà l’esercizio di questo mandato che sento di avere.

J.L.: Quanto è importante, per te, il riconoscimento pubblico, come lasciare l’impronta delle proprie mani sulla Walk of Fame o l’assegnazione di un prestigioso premio? 

M.C.: Il mio piccolo io dice tantissimo, non vedo l’ora; il mio sé evoluto sorride. Indovina quale dei due è lecito ascoltare? Quale dei due ti rende più grande (e, di conseguenza, magicamente, artisticamente una bomba)?

J.L.: Sai, ho un debole per la mia bimba interiore. L’ho trascurata troppi anni per non tifare per lei. Oggi è a lei che dò la precedenza. E alla voce del Creatore, che tuona quando serve. Ma torniamo a Margherita. Riusciresti a conservare la tua semplicità, nonostante il Successo? 

M.C.: Chi mi conosce dice di sì. Vedremo, magari comprerò quattro limousine e girerò malvestita purché griffata, diventerò arrogante e smetterò di leggere i grandi maestri d’Oriente. Ma sospetto di no…

J.L.: La scena madre de “La Ciociara”, quella in cui Sophia, nei panni di Cesira, inveisce contro gli stupratori della figlia, è stata girata una volta sola. Com’è immedesimarsi in un ruolo al punto da viverne le emozioni in modo così vero, da non dover ripetere la scena una seconda volta? Come si fa a interpretare un ruolo in modo così autentico?  

M.C.: La bravura di un attore non è frutto di magia: è, banalmente, direttamente proporzionale al suo progresso spirituale in quanto essere umano, tutto lì.

J.L.: Nel tuo radiodramma Sophia dice: “Niente rende una donna più bella della convinzione di essere bella. Te lo devi sentire dentro, qui, nel petto.” Sono parole effettivamente sue, o gliele hai attribuite tu e se sì, in che modo rispecchiano il tuo approccio nei confronti dell’aspetto esteriore di una donna?

M.C.: Sono parole che le ho messo in bocca io, perché Sophia – se la guardi nelle interviste in TV appare in maniera eclatante – è così luminosa e ammantata di fascino perché dentro di sé ha costruito un edificio virtuoso. Una donna bella è bella solo perché è bella dentro, “sennò non ti innamori”. A dispetto di ciò che appare in superficie, la bellezza è meritocratica.

J.L.: Sophia, per te, non è soltanto il trionfo di curve e istinto: è l’emblema dell’incontro fra intelligenza e cuore: lì dove si incontrano il talento e l’opportunità. Come si fa a mettere d’accordo intelligenza e cuore?

M.C.: Avendo coraggio.

J.L.: E come si fa a riconoscere l’Opportunità della vita, quando si presenta?

M.C.: È ineludibile, suppongo. Io di sicuro la riconoscerò come riconoscerei un figlio.

J.L.: Per Sophia il coraggio è – parlando di Picasso – “Sapere di poter corrispondere perfettamente a ciò che vuole il costume dell’epoca – nel suo caso il realismo, e lui disegnava perfettamente – e decidere di spingersi oltre.” Cos’è il coraggio per Margherita?

M.C.: Avere una fede incrollabile nella missione che sento albergare in me. Esserne all’altezza. Proseguire, qualsiasi cosa (non) accada.

J.L.: Alla Loren fai dire: “Il cinema, cosa credi? Non è mica una passeggiata. Il cinema pretende; dà tanto, ma pretende.” A che cosa Margherita è disposta a rinunciare, per amore del suo Sogno?

M.C.: Alla versione di me che ha un minimo dubbio.

J.L.: Prima di lasciarci, vorrei tu dedicassi un pensiero a tutte le donne che stanno avanzando verso la realizzazione del proprio Sogno. 

M.C.: “La chiave è che non c’è nessuna porta.” È una delle mie ultime poesie, sicuramente una fra le mie preferite, ed è anche la frase-guida di un progetto di danza che sto sviluppando insieme a mia sorella Alessia, meravigliosa ballerina, donna e mamma.

J.L.: Ecco, appunto! Stai lavorando a nuovi progetti dietro le quinte? Ti va di anticiparci qualcosa?

M.C.: Quanto tempo abbiamo??!

J.L.: Eh, mi sa che è ora che raggiunga Francesca! (Saltando sul treno per Napoli) Ne parliamo la prossima volta, se ti va! (Esclamo, con voce portata, dal finestrino del treno in corsa).

 

Margherita Coldesina: Attrice, Scrittrice e Autrice di Radiodrammi per la Radio Svizzera Italiana

Il Sogno di Francesca Quattromini: “Illuminare il mondo”

Come già detto, a Francesca ho affidato le battute di Nunziatina, affinché le leggesse con accento napoletano in un vocale da inviarmi su whatsapp.

Riascoltando il suo messaggio più volte, sono riuscita – proprio io, veneta dal paleolitico da parte di padre e di madre – a interpretare il ruolo di una nativa di Pozzuoli che, in Svizzera da decenni, conserva ancora un’ombra delle proprie origini, nel modo di parlare spiccio e ironico.  

Attrice “non professionista” come tiene a precisare, recita da quando aveva tredici anni. Oggi va per i trentotto, ed è sempre attiva nel teatro amatoriale e nella produzione di audio fiction. Per lei la gavetta è quasi più importante del raggiungimento della… Vetta. 

La raggiungo per una breve chiacchierata e, visto che ci sono, le chiedo se ha un Sogno nel cassetto. Tutto quello che so, al momento, è che il 9 giugno prossimo, al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (Napoli), sarà protagonista della commedia in due atti di Salvatore Barruffo “Un mistero al cimitero”. 

J.L.: A tredici anni hai preso parte a un laboratorio teatrale e da lì, non hai più smesso di recitare…

F.Q.: A undici anni, con le mie amiche, giocavo a interpretare i personaggi di alcuni film. È da lì che è nata, in me, la voglia di recitare. Poi un giorno mia madre venne a sapere che, vicino a dove abitavamo, si svolgeva un laboratorio teatrale. È lì che si è accesa in me la passione per il teatro, che amo con tutta me stessa.

J.L.: Hai preso parte a delle audio fiction con Yuri Salvatore (figlio dello scomparso artista napoletano Federico Salvatore, famoso per la sua canzone “Sulla Porta” ndr). Cosa ti ha lasciato questa esperienza come “voce”? Ti ha aiutata a crescere anche come attrice teatrale e se sì, in che modo?

F.Q.: Sono contentissima di aver preso parte a due audio fiction di Yuri Salvatore. Ha fondato la compagnia “Le Voci di Dentro”, di cui fanno parte attori di tutta Italia. Ogni attore manda a Yuri la registrazione della propria voce, così che possa essere aggiunta alle altre nella creazione dell’audio fiction. Aver potuto collaborare con lui mi ha arricchita tantissimo. Per noi attori, infatti, abituati ad avvalerci della gestualità e della mimica facciale per esprimere emozioni, riuscire a farlo con la voce soltanto è cosa non da poco. E poi, tieni conto che “Le Voci di Dentro” è nato proprio nel 2020, nel periodo più difficile per noi artisti, che non potevamo fare praticamente niente. Il suo è stato un modo per non far morire l’arte.

J.L.: Che consiglio daresti a chi volesse fare l’attore teatrale?

F.Q.: Il consiglio che gli darei è di non correre e fare la gavetta. Purtroppo i giovani d’oggi, anche per colpa dei talent, vogliono tutto e subito. Ma non funziona così. Se vuoi fare teatro, ad esempio, devi cominciare da zero e, magari, portare il caffè agli attori bravi cercando di carpire loro, dietro le quinte, i segreti del mestiere. Poi, pian pianino, iniziare con parti piccole e andare avanti, un passo alla volta, fino ad arrivare in cima. Se parti dalla vetta non impari nulla e “ti bruci”.

J.L.: So che sei stata scelta come protagonista di “Un Mistero al Cimitero”, commedia in due atti scritta e diretta da Salvatore Barruffo, in cartellone il prossimo 9 giugno al Teatro Il Piccolo a Fuorigrotta (NA).

F.Q.: Sì, reciterò il 9 giugno nella commedia “Un Mistero al Cimitero” del maestro Salvatore Barruffo, che recita da oltre quarant’anni – ha preso parte a “Un Posto al Sole” e a “La Squadra” – ha scritto moltissime commedie ed è autore di libri come “Cercasi cuore disperatamente” e “Tre casi per casa”.

J.L.: È la prima volta che reciti da protagonista?

F.Q.: No, non è la prima volta, ho interpretato il ruolo di Lisetta nella versione di Gianfranco Gallo della Lisistrata, “Quartieri Spagnoli”. Stavolta però è diverso, il personaggio di Lucia in “Un Mistero al Cimitero” è più importante… 

J.L.: Importante al punto di farti cambiare idea riguardo al tuo futuro come attrice di professione?

F.Q.: No, non cambio idea su questo. Non mi interessa né guadagnarci, né partire per le tournée. Sono felice della mia vita privata e disposta a tutto pur di proteggerla. A maggior ragione, ringrazio il maestro Salvatore Barruffo per avermi dato questa opportunità: lui ha visto e vede in me tante qualità. Lo ringrazio dal profondo del mio cuore, ma sto bene così. 

J.L.: Prendendo a pretesto il radiodramma scritto e diretto per la Radio Svizzera dall’attrice Margherita Coldesina, abbiamo parlato di sogni e del nostro viaggio verso la loro realizzazione. Qual è il tuo Sogno?

F.Q.: Il mio sogno è mantenere accesa, in me, la luce del mio amore per il teatro, che amo immensamente ed è una parte di me, e un’altra luce più grande: l’amore che sento per le persone che mi circondano e per la mia famiglia, mio figlio e mio marito. Il mio sogno è rimanere una fonte di positività per chi mi sta accanto e, per grazia di Dio, essere una brava persona. Mi auguro di riuscirci. 

J.L.: Grazie ancora Francesca, per avermi aiutata ad acquisire una prosodia partenopea! 

F.Q.: Grazie a te Jasmine ♥

 

 

 




Tempo di verità, anche scomode

Dopo gli arresti cautelari nella Regione Liguria fra cui quelli dell’imprenditore Spinelli e del Governatore Giovanni Toti, oggi sospeso dalla carica, i partiti tutti si “agitano”.

Poco loro importa l’affermazione che, uscendo dal mancato interrogatorio di garanzia, Aldo Spinelli ha lanciato ai presenti, quel “male non fare, paura non avere” che già era stato usato dalla Ministro Santanchè per commentare le proprie vicissitudini giudiziarie.

La campagna elettorale per le elezioni europee, dopo i fatti di Genova, è diventata uno sorta di uno scontro di parole sul “Toti si deve dimettere” a cui si contrappone il sempre verde “giustizia ad orologeria”.

Campagna elettorale che, a dire il vero, aveva già visto affacciarsi la magistratura sia in Puglia che in Sicilia, ma anche in Piemonte per esempio.

Campagna elettorale che, a prescindere da tutto, non permetteva in alcun modo ai cittadini elettori di comprendere le diverse linee politiche su cui dover scegliere attraverso il voto.

Ci inondano di “votate Giorgia”, votate “Schlein”, “Calenda”, “Capitano Ultimo”, “Salis” a prescindere da quello che pensano.

Agli elettori viene chiesto di votare un “simbolo”, non di esprimersi attraverso il voto su linee politiche, contenuti.

Unica eccezione la possibilità di votare “Vannacci”.

Del generale possiamo leggere, piaccia o non piaccia quel che ha scritto, il suo pensiero in un libro tanto divisivo quanto chiaro ed esaustivo.

In fondo da “paracadutista” non ha paura a combattere per le cose su cui lui crede.

Di questo gli va dato merito.

Sarà questo il motivo per cui i suoi avversari spesso cercano di denigrarlo proprio su una sua, asserita dagli stessi, tendenza a cambiare opinione.

In quei casi facile riportare alla memoria le parole di un altrettanto discusso Presidente Andreotti sulla siderale distanza fra “morale” e “moralismo” allorquando dichiarò “ io distinguerei le persone morali dai moralisti, perché molti di coloro che spendono il loro tempo a parlare di etica, a forza di parlarne non hanno il tempo per praticarla”.

Non so voi, ma questa dichiarazione mi sembra particolarmente adatta ai tempi che viviamo.

Tornando ai fatti di cronaca, nel dover, mio malgrado, seguire questo tsunami di parole vuote, mi tornano alla mente momenti del passato della nostra Repubblica.

Essendo oramai canuto ricordo le immagini di quei giorni del 1992 con Mani Pulite che prendeva abbrivio.

Oggi, nel seguire le dichiarazioni dei singoli parlamentari, addirittura di ministri e capi partito, almeno chi scrive, ha la sensazione di un sistema politico, tutto, terrorizzato che si scoperchi il sistema di lottizzazione, di malagestio, per l’ennesima volta.

Sistema che sta letteralmente distruggendo la nostra Patria.

Forse anche per questo mi tornano alla memoria le parole che il 3 luglio del 1992 l’allora Segretario del Partito socialista italiano ed ex presidente del Consiglio tenne alla Camera dei Deputati con cui definì buona parte del sistema di finanziamento dei partiti politici del tempo “irregolare o illegale”.

In quel celebre discorso Craxi sfidò gli altri deputati a smentirlo e, contemporaneamente, lanciò un messaggio chiaro ai suoi “colleghi”.

Craxi consigliò al Parlamento tutto di non “dividersi”, proponeva di “fare quadrato”.

Il Segretario socialista aveva compreso fra i primi che gli arresti di politici che si stavano susseguendo, avrebbero spazzato via una intera classe politica.

Non troppi giorni dopo subì l’onta delle “monetine” e l’esilio.

L’Italia era agli inizi di quell’insieme di azioni giudiziarie che prese il nome di Tangentopoli, azioni che coinvolsero quasi tutti i principali partiti italiani e un pezzo importante dell’imprenditoria del nostro Paese.

Craxi, già raggiunto dalle inchieste, parlava di un sistema corruttivo e concussivo che riguardava tutto il potere della Nazione, una consorteria diffusa che univa tutti i partiti.

Il teorema di Craxi era che, essendo il metodo corruttivo sistemico, si doveva risolvere politicamente e non per via giudiziaria.

In queste ore le parole di Bettino Craxi del 1992 “d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale” tornano alla mia mente.

Finanziamento dei partiti, solo dei partiti o di un complesso sistema di potere autoreferenziale?

Autarchico si direbbe oggi.

In queste ore il Ministro della Difesa Guido Crosetto, nel commentare i fatti liguri, ha dichiarato “Con la logica usata per Toti, a cui non viene contestato alcun vantaggio personale e privato, possono arrestare la quasi totalità dei Sindaci, dei Presidenti di Regione, dei Dirigenti Pubblici”.

Il ministro, oltretutto, nello stesso messaggio sui social, lancia anche un sasso nello stagno dicendo “Suppongo potrebbero anche arrestare la maggior parte dei Magistrati”.

Messaggio simile, inoltre, arriva anche da Salvini che, parlando con la stampa anche lui dell’arresto di Toti, si esprime così “Mettessimo microspie negli uffici dei magistrati non so quanti continuerebbero a lavorare”.

L’opinione pubblica, a dire il vero, in cuor suo, spesso pensa che di corrotti ve ne siano un certo numero anche in quella categoria di funzionari che hanno giurato sulla Costituzione italiana.

Temo involontariamente i due ministri attraverso le loro esternazioni denunciano il devastante degrado morale che regna sovrano in questa nostra triste Italia, degrado che non riguarda esclusivamente politici, funzionari pubblici ed imprenditori, riguarda la nostra nazione in ogni suo ambito.

Questa la causa che ha portato l’Italia al collasso.

I cittadini sono spaventati per il futuro, i giovani preferiscono vivere l’ora ed adesso, non programmano, hanno paura e conseguentemente preferiscono non procreare, alcuni addirittura decidono di lasciare la loro amata Patria.

Il consociativismo, il cosiddetto comitato d’affari, lo percepiscono tutti senza neanche concentrarsi troppo e lo percepiscono assai ampio e variegato. Assai, direi ostentatamente, pervicace.

Per questo ai magistrati ed alle forze sane del Paese consegno una suggestione utilizzando un noto aforisma di Eraclito da Efeso “Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare”.

Sono, infatti, assai convinto che la nostra amata Italia debba ritrovare “credibilità” e, per raggiungere questo stato, non bisogna avere paura di affondare il coltello fino in fondo alla “piaga”.

Nel 1992 vedemmo solo alcuni partiti, alcune fattispecie di reato, alcune categorie professionali essere coinvolti, quanto sarebbe utile che questa volta la “pulizia delle mani” potesse essere “integrale”.

Quanto sarebbe utile se la nostra amata Patria trovasse il coraggio di scoperchiare tutte le tombe imbiancate, senza “perbenismi” che, tanto per non essere frainteso, il Treccani definisce come “modo di comportarsi di chi vuole apparire persona perbene, seguendo con qualche ostentazione le norme della morale comune o uniformandosi a quelle della classe sociale dominante”.

Cosa di più dominante di un “comitato d’affari” appunto?

Cosa di “morale” nel “fermare la propria azione” allorquando si dovesse prendere atto che la stessa riguarderebbe persone o fatti che non si vorrebbe incontrare nello svolgimento della propria attività?

Tanti i rumori in questa triste Italia, l’apparato giudiziario sarà garante della credibilità del nostro popolo, della nostra Patria, se oserà e scoperchierà tutto.

Raggiungendo tutti e facendo emergere anche i fatti più scabrosi.

Forse in questo modo gli italiani saranno messi nella condizione di affrontare la realtà del loro Paese e reagiranno per ricostruire la nostra Patria.

Ignoto Uno

Significativo video che va visionato, per Vostra conoscenza

https://vm.tiktok.com/ZGeCFoLLu/



Vannacci e Regione Lombardia già in armonia da anni…

La stampa e altri  media hanno più volte ripotato in questi giorni affermazioni attribuite ad un candidato alle prossime elezioni europee, oltre che autore di un recente libro bestseller nelle librerie italiane, in merito all’introduzione nel sistema di istruzione e formazione di “classi per disabili”. 

Il tema è stato altresì oggetto di una mozione presentata nella seduta del  7 maggio 2024 del Consiglio Regionale della Lombardia  fortemente critica circa la previsione di percorsi per classi di alunni disabili, ritenendoli discriminatori. 

In verità l’ipotesi attribuita al noto candidato, come riportata dai media, non è una novità, per lo meno nel sistema di Istruzione e formazione della Lombardia.

Già la Legge regionale 95/1980 (cd Legge Hazon, dal nome dell’Assessore regionale a maggioranza centrosinistra) prevedeva all’art. 56 l’opportunità di istituire corsi triennali/quadriennali rivolti a classi composte da soli allievi disabili, al fine di meglio consentire l’integrazione sociale e lavorativa degli allievi.

Successivamente, a  seguito della Legge Regionale 19/2007 di riforma della precedente 95/80, la Regione Lombardia ha continuato a prevedere (da ultimo con il decreto 17106 del  2 novembre 2023, in attuazione  della D.G.R. n. 576/2023 ) nel sistema di Istruzione/ formazione di propria competenza  corsi triennali  per allievi con disabilità, finalizzati alla formazione di giovani che, per natura e caratteristiche della disabilità, non sarebbero nelle condizioni di raggiungere agevolmente il successo formativo all’interno dei normali percorsi di IeFP  .

Tali  corsi , con una durata per ciascun anno formativo di minimo 600 ore e massimo 990 ore ed una dotazione finanziaria di euro 11.350.000,00 per il corrente anno formativo, consentono, secondo l’Amministrazione regionale di  sviluppare e potenziare le capacità cognitive, le conoscenze, le competenze professionali e le abilità possedute dagli studenti, nonché a favorire il loro inserimento socio-lavorativo oltre a garantire l’assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione.

In sintesi, la previsione di percorsi formativi personalizzati rivolti a particolari allievi disabili svolti per gruppi classe non è considerata discriminatoria, per lo meno in Lombardia, anzi lo sarebbe il contrario, atteso che priverebbe questi allievi dell’ opportunità di un’effettiva  integrazione sociale e lavorativa .

Questa è la finalità sulla quale, secondo gli Amministratori regionali lombardi, deve essere  prioritariamente traguardata l’azione formativa, superando ogni “assolutismo” fondato su presunzioni  ideologiche,  che si rileverebbero a discapito degli interessi reali delle persone con disabilità.

La previsione di detti percorsi personalizzati non esclude ovviamente altre traiettorie, laddove ritenute più idonee al raggiungimento dello scopo, in ragione delle diverse specifiche condizioni dell’allievo.  

L’unicità sta nello scopo – l’ottimale integrazione sociale e lavorativa-  non nelle traiettorie per il suo conseguimento. 

Per la cronaca: la maggioranza del Consiglio regionale lombardo, rivendicato, a suo dire, il successo delle politiche per l’istruzione e formazione formative  intraprese da anni e  super partes, non ha accolto la mozione contraria alla previsione di percorsi personalizzati per gruppi classe di disabili.

 

DG Marco Ugo Filisetti

 

LEGGE REGIONALE N. 95/1980

 

Decreto 17106  2 novembre 2023 PERCORSI PERSONALIZZATI PER ALLIEVI DISABILI

ALLEGATO A L’Avviso è finalizzato a realizzare l’offerta formativa del sistema regionale di istruzione e formazione professionale (di seguito “IeFP”), in attuazione della D.G.R. n. 576/20

Soggetti destinatari A4 c) Percorsi personalizzati per allievi con disabilità (PPD)

dotazione finanziaria : euro 11.350.00,00 ;

 




Mani Pulite bis? Forse Sì

 

Era un lunedì, esattamente il 17 febbraio 1992, il GIP Italo Ghitti autorizzò l’arresto richiesto dal pubblico Ministero Antonio Di Pietro del Presidente del Pio Alberto Trivulzio a Milano.

 

L’ingegner Mario Chiesa, per molti “Mariotto”, era stato colto in flagranza di reato mentre intascava una tangente a lui portata in ufficio dall’imprenditore Luca Magni.

 

Era stato proprio questo ad informare l’Arma dei Carabinieri di dover “pagare” l’ennesima “tangente”.

 

Furono le forze dell’ordine a fornire sette milioni di lire “segnate”, così si dice in gergo, che l’imprenditore consegnò a Chiesa.

 

Quei sette milioni furono l’inizio della fine della cosiddetta Prima Repubblica.

 

Immediatamente iniziò quello che fu denominato “Circo Mediatico”, altrettanto immediatamente venne riesumato il tema della “questione morale” che il Segretario Politico del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, prima, e il Segretario Politico del Partito Repubblicano Italiano Giovanni Spadolini, poi, avevano cercato di posizionare al centro dell’agenda della politica della nostra Nazione, purtroppo senza successo.

 

Berlinguer pose sul tavolo il tema per la prima volta il 28 luglio 1981 in una intervista con uno dei più famosi giornalisti italiani e cofondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari.

 

In quel lontano 1993 – 94, ben dodici anni dopo quell’intervista, la questione della morale nella gestione della cosa pubblica esplose attraverso un impressionante numero di arresti.

 

Arresti di politici, quasi esclusivamente dell’allora pentapartito, cioè di partiti governativi, e di industriali e manager pubblici e privati.

 

Gli italiani non potettero vedere arresti altrettanto di massa di amministratori, di qualsivoglia partito fossero, al comando di Regioni e Comuni.

 

Tantomeno videro arresti di sindacalisti, giornalisti e magistrati.

 

Infine, gli italiani non se ne accorsero al tempo, ma il malaffare ed il cortocircuito fra politica ed affari in Italia si fermava al nord, massimo centro nord. Eboli era lontana, la Sicilia o la Calabria e la Puglia ancor di più.

 

Allora, però, l’opinione pubblica aveva raggiunto un tale livello di insofferenza per coloro che rappresentavano il potere costituito da non farsi alcuna domanda, nemmeno allorquando avvennero suicidi, alcuni a dire il vero assai “strani”.

 

Solo recentemente alcune intercettazioni telefoniche fra l’imprenditore della chimica Raul Gardini e “qualcuno” in Sicilia sono riemerse portando a chi ha potuto ascoltarle ampi stimoli di riflessione.

 

Fra questi stimoli il principale è il ragionare su chi avesse “dimenticato in un cassetto” le registrazioni di quelle conversazioni telefoniche.

 

Una suggestione che gira fra i soliti salotti dei bene informati a riguardo è che a “perderle” fossero i “nemici” all’interno delle Istituzioni di altri alti funzionari delle istituzioni italiane che solo recentemente sono tornati ad una vita normale dopo essere stati assolti da reati che vedevano strani intrecci fra lo Stato e chi conta nel sud del nostro Paese.

 

Sempre “questione morale”.

 

Certe volte “questione morale” ove la linea della “morale” veniva, viene, probabilmente, dettata da quelli che nei film di Sergio Leone sarebbero stati additati come “i cattivi”.

 

I “cattivi” che vengono rappresentati come “buoni”, i “buoni” che vengono rappresentati come “cattivi”.

 

Chi si sentirebbe di negare che il popolo italiano stia sentendo nell’aria una strana atmosfera di “Mani Pulite Bis”?

 

Alcuni, forse molti, forse moltissimi, addirittura la anela.

 

Altri, avendo chiara la situazione socio politico economica della nostra Patria, pur temendo di dover ammettere che oggi l’Italia stia vivendo un momento di corruzione morale ancor più grave di quella di quegli anni, ha paura che la nazione non riesca a reggere un nuovo momento entropico legato ad una massiva ondata di sti nel nostro Paese.

 

Questione morale, sono passati quarantatré anni da quella intuizione politica di Enrico Berlinguer, ma la nostra amata Patria sembra non riuscire a superare certi comportamenti, cortocircuiti.

 

Anzi sembra andare sempre più in basso, avvitarsi su se stessa, perdere sempre più dignità.

 

I cosiddetti “Comitati di affari” sono sempre più facili da percepire.

 

Chi prova ad intraprendere e tocca i suddetti “comitati” viene, praticamente sempre, disintegrato.

 

La gogna mediatica abbinata a certe “attenzioni giudiziarie” impediscono la nascita di una economia sana e libera nel nostro amato Paese.

 

Mafie, politici, media ed ambienti istituzionali, drammaticamente, spesso, si vedono intraluce.

 

Oggi il popolo italiano vede arresti a tappeto di politici “affaristi” e pronti ad accettare di essere eletti attraverso “patti” che prevedono uno “scambio”, ultimo “caso” quello che vede fra gli arrestati il Presidente della Regione Liguria Toti.

 

Le azioni giudiziarie di quei lontani anni ‘90 distrussero un sistema ma non portarono una soluzione.

 

In molti casi gli arrestati vennero dopo molti anni assolti.

 

Eppure quel mondo era marcio, tutto marcio, non solo una parte.

 

Oggi parrebbe che una Mani Pulite Bis stia prendendo forma.

 

Fosse così speriamo che quella parte onesta della magistratura, certamente numericamente più numerosa di quella disonesta, abbia la forza di pulire fino in fondo.

 

L’Italia ha urgente necessità di ritrovare “dignità”, anche rispetto ad assai complessi e maleodoranti intrecci internazionali.

 

La grave crisi socio economica della nazione, ritrovata la dignità, potrà trovare nel ceto dirigente, anche politico, che sarà chiamato a costruire il “nuovo sogno italiano” coloro che sapranno riallacciare i legami internazionali che seppero creare i presupposti che portarono al mai dimenticato boom economico.

 

Questa è certamente la speranza di quella parte di popolo italiano sano ed onesto che di vivere in questa ambiguità della propria Patria non ce la fa proprio più.

 

Ignoto Uno




nazioni unite e crescita

Che le Nazioni Unite tornino a parlare di “crescita felice”

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha aperto i lavori dedicati all’Obiettivo 16 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite dal titolo “Pace, Giustizia e Istituzioni per lo Sviluppo Sostenibile”.

Non posso nascondere che, per chi come me pone al centro gli interessi della propria Patria e dei suoi concittadini, l’elemento socio economico che ritengo debba essere massimizzato dall’agenda politica di chi è chiamato, sempre pro tempore, a rappresentare e governare il proprio popolo è lo “sviluppo” dello stesso.

“Sviluppo” che deve essere in armonia ed in equilibrio con quello delle altre “nazioni”.

Non uno “sviluppo” subalterno a quello di “altri”.

L’equilibrio e la stabilità socio economica di una nazione creerà sempre un “noi” che si contrapporrà ad un “loro”.

Questa contrapposizione necessita di “tavoli di dialogo” finalizzati a definire “equilibri condivisi e stabili” ove ogni “popolo” possa crescere sognando una possibilità di vita migliore di generazione in generazione.

Non una “decrescita felice” per permettere una “sostenibilità” ove “altri” possano vedere, grazie a detta “sostenibilità”, una propria “crescita felice”.

In questo mio pensiero non posso che riportare alla memoria quel magnifico intervento del fondatore di Apple.

Steve Jobs all’Università di Stanford in California, il 12 giugno 2005, In occasione della consegna dei diplomi di laurea emozionò i giovani, ed i meno giovani, con parole che possono essere riassunte in quella magnifica suggestione di “siate affamati, siate folli”.

Sognare in grande, essere affamati appunti, e sforzarsi al massimo per raggiungere interamente i risultati che si sono sognati, questo noi adulti dobbiamo insegnare ai “nostri giovani”, non dobbiamo insegnare loro la “decrescita felice”, dobbiamo insegnare loro la “crescita radiosa”.

Una “crescita” etica, onesta, basata sul lavoro, sull’impegno, sulla “fatica” .

Una “crescita” basata sul rispetto in primo luogo di se stessi perché solo rispettandosi si può rispettare “l’altro”.

Una “crescita” in pace con gli “altri” perché li si rispetta nelle loro peculiarità, non li si “circonda”, li si “affronta in tavoli di confronto”per costruire “accordi”, “patti”.

Questo sia nella vita privata, sia nella vita professionale, sia fra Stati.

Una “crescita” sana ma orgogliosa.

Una “crescita” intelligente, non sostenibile.

Il Presidente Mattarella ha parlato di “Pace, inclusione, giustizia” come i “capisaldi irrinunciabili per lo sviluppo sostenibile di ogni Paese e di ogni società”.

Indubbiamente la “Pace” è l’elemento cardine per lo “sviluppo”, proprio questa considerazione mi porta a chiedere a me stesso cosa serva oggi avere, ed investire tanto denaro, nelle Nazioni Unite.

Quando il 24 ottobre del 1945, a San Francisco in Stati Uniti, entrava in vigore la Carta delle Nazioni Unite firmata il precedente 26 giugno, documento cardine dell’ONU, prendeva forma una organizzazione intergovernativa a carattere mondiale i cui principali obiettivi erano il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale, lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni, il perseguimento di una cooperazione internazionale e il favorire l’armonizzazione delle varie azioni compiute a questi scopi dai suoi membri.

Mi pare facile dichiarare che le Nazioni Unite stiano fallendo su tutta la linea.

Una delle molteplici cause potrebbe essere la eccessiva “polarizzazione” delle azioni di questo organo che, così a me sembra, è sempre meno “terzo” rispetto ai diversi punti di vista ed interessi degli Stati membri?

Allorquando si parla di “sviluppo sostenibile” non si rischia di posizionarsi su una linea?

Non si rischia di favorire eccessivamente alcune economie a discapito di altre? Fra queste la nostra. L’italiana.

I fatti dicono di sì.

Questa linea, lo dicono i fatti, sta favorendo una parte del mondo rispetto ad altre e fra le “altre” non è difficile annoverare la nostra Italia.

Questo raccontano i numeri macroeconomici e finanziari di lungo periodo e la scomparsa di un sistema industriale che è stato a lungo fiore all’occhiello della nostra amata Patria.

Il Presidente della Repubblica a New York ha dichiarato che “Pace e Sviluppo hanno destini incrociati”.

“Non può esservi l’uno, senza l’altra” ha aggiunto.

Il Presidente degli italiani ha ricordato a tutti che tutti i cittadini del mondo stanno vivendo “in un’epoca con il maggior numero di conflitti dalla fine della seconda guerra mondiale”.

Quanto sono vere queste parole!

È tempo di cambiare passo, è tempo di tornare a vedere le Nazioni Unite essere terze agli interessi dei singoli Stati che la compongono.

È tempo di tornare a parlare di crescita felice e di chiedere a tutti gli Stati di rispettare il “benessere” e la “crescita” degli altri Stati, degli altri popoli.

Se l’ONU non saprà essere centrale nella costruzione della “pace” e del “benessere” di tutti i popoli non potremmo che iniziare a ragionare su un nuovo modello di Nazioni Unite, magari assai più snello, magari assai meno costoso.

Una nota per finire, sempre sull’ONU e sulle sue Agenzie.

Qualche giorno fa il Guardian ha dichiarato in una sua inchiesta che nel 2023 in Europa sono scomparsi nel nulla cinquantamila minori arrivati come migranti, diecimila solo in Italia.

Possiamo chiedere all’Unicef se intende fare pressioni sui governi per costringerli ad indagare a fondo su cosa sia successo a questi minori?

Possiamo chiedere all’Unicef se intende fare pressioni sui media per costringerli a dare la giusta visibilità e la giusta consapevolezza dell’opinione pubblica su questa onta?

Sarebbe, infine, così bello se il Presidente Mattarella volesse fare un intervento diretto sul nostro Parlamento per stimolare le Camere ad indagare su quei diecimila minori migranti spariti mentre erano sotto la tutela della nostra Patria.

In fondo noi italiani non possiamo dimenticare le magnifiche parole che Ludwig Van Beethoven musicò nel celeberrimo “Inno alla Gioia”.

Inno che, in prima istanza, dedicò alla “libertà”.

In fondo non può esistere gioia senza libertà ne libertà senza gioia.

Parole che recitano “Gioia, figlia della Luce. Dea dei carmi, Dea dei fior. Il tuo genio ne conduce
per sentieri di splendor.
Il tuo raggio asciuga il pianto,
sperde l’ira, fuga il duol. Vieni, sorridi a noi d’accanto, primogenita del sol”.

Libertà di vivere in libertà in primo luogo, magari nella propria Patria nativa e non migranti in balia di trafficanti e di persone senza scrupoli.

Ignoto Uno




I conti non tornano … ormai sono scappati!

 

Per comprendere lo stato di salute della nostra nazione uno dei principali “termometri” è il “Conto disponibilità del Tesoro per il servizio di tesoreria”, usualmente indicato come “conto disponibilità”.

 

Esso è detenuto presso la Banca d’Italia ed assicura l’esecuzione degli incassi e dei pagamenti dello Stato.

 

La normativa comunitaria obbliga che non presenti mai un saldo negativo.

 

Vieta, infatti, alle banche centrali di concedere finanziamenti al Tesoro.

La legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 31 dicembre 2009, con le successive più stringenti modifiche, disciplina la programmazione finanziaria garantendo un costante monitoraggio del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato dei flussi di cassa di detto conto e la conseguente capacità operativa sia nel breve che nel medio – lungo periodo.

 

Il ministero dell’Economia è tenuto a dare mensilmente evidenza pubblica dell’andamento di questo strategico “conto”, purtroppo i media e gli italiani tutti trascurano assai spesso questa lettura.

 

Ebbene l’ultimo comunicato informa che, ad aprile, lo Stato aveva a disposizione 13.842 miliardi di euro, circa la metà di quello che esponeva a saldo dodici mesi prima.

 

Indispensabile sottolineare che il comunicato del Ministero di aprile 2022 esponeva a saldo 83.445 miliardi, esattamente 69.603 miliardi in più.

 

La guerra in Ucraina con la conseguente, ed assai ideologica, gestione della crisi fra Stati Uniti, Nato, Unione Europea e Federazione Russa era iniziata da due mesi.

 

Oggi la Comunità Europea tutta sta vivendo la campagna elettorale per eleggere il nuovo parlamento europeo.

 

In Italia, non è la prima volta, questa corsa elettorale viene usata dai partiti, e vissuta dai cittadini, molto più come una verifica dei pesi politici interni.

 

D’altronde il Parlamento Europeo non viene percepito come strategico, la Commissione Europea ed il suo Presidente viene decisa dal Consiglio dei Presidenti dei 27 Stati membri e non dal Parlamento, e il ruolo delle direzioni generali di Bruxelles incide assai di più che quello dei futuri eletti.

 

Soprattutto per questo sono impercettibili i programmi dei singoli gruppi parlamentari del parlamento europeo nella campagna elettorale mentre sono assai visibili gli scontri fra i partiti ed i loro leader.

 

Oggi in Italia è molto più sentita la corsa fra Forza Italia e Lega oppure fra PD e Movimento Cinque Stelle, addirittura fra il Generale Vannacci e Salvini contro i “colonnelli” nella Lega o fra la Schlein ed i cosiddetti “cacicchi”, che la necessità di costruire una Europa diversa.

 

Questo, banalmente, perché una Europa diversa non nascerà attraverso queste elezioni ma esclusivamente attraverso una implosione definitiva del ceto elitario che governa la UE27 oggi qualsiasi sia l’esito di queste elezioni.

 

A causa di questo assai poco edificante quadro i partiti che compongono la coalizione di governo, al fine di rafforzarsi in Italia, riempiono di promesse l’opinione pubblica.

 

Dai bonus in busta paga, agli aiuti al mondo agricolo, dagli sgravi a chi assume a sanatorie di diversa fatta.

 

La dura realtà dei numeri, di quel “conto disponibilità” appunto, rappresenta la “Caporetto” in cui vive lo Stato italiano.

 

Una “Caporetto” che richiede da parte dei politici tutti, dei governanti ancor di più, saggezza ed umiltà.

 

Doti, entrambe, assai rare nell’Italia di oggi.

 

Per il momento le agenzie di rating rimangono in attesa.

Fitch ha mantenuto costante, infatti, la sua pagella sull’Italia in questi giorni.

 

Il 31 maggio toccherà a Moody’s, che molto probabilmente farà la stessa scelta.

 

Il momento dei segnali forti, sarà in autunno allorquando il governo italiano, questo o il prossimo, dovrà approntare la legge sulle future politiche economiche.

 

Quelle politiche che dovranno parlare con la nuova Commissione Europea e, forse ancora di più, con i mercati finanziari mondiali in costanza di un nuovo Presidente in Stati Uniti.

 

Ignoto Uno




Non esistono le gite scolastiche!

la normativa di riferimento in materia di uscite/visite guidate e viaggi di istruzione, in Italia e all’estero è composta dal DPR dell’8/03/1999 n. 275 e del 6/11/2000 n. 347 che hanno dato completa autonomia alle istituzioni scolastiche anche in materia di uscite/visite guidate e viaggi di istruzione, in Italia e all’estero.

Per amore di legge ricordiamo che le gite scolastiche non esistono, ma esistono i viaggi/uscite di istruzione, ma soprattutto  non sono semplicemente “premi” o interruzioni dal curriculum standard, ma componenti fondamentali di un sistema educativo che mira a formare individui ben arrotondati, critici e consapevoli.

Integrando le uscite didattiche con il curriculum regolare, le scuole possono arricchire notevolmente l’esperienza educativa degli studenti, preparandoli meglio a interagire con il mondo in modo informato ed efficace, infatti la norma di riferimento dice che:

L'autonomia delle istituzioni scolastiche e' garanzia di  liberta'
di insegnamento e  di  pluralismo  culturale  e  si  sostanzia  nella
progettazione e nella  realizzazione  di  interventi  di  educazione,
formazione e istruzione mirati allo  sviluppo  della  persona  umana,
adeguati ai diversi contesti, alla  domanda  delle  famiglie  e  alle
caratteristiche  specifiche  dei  soggetti  coinvolti,  al  fine   di
garantire loro il successo formativo, coerentemente con le  finalita'
e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e  con  l'esigenza
di  migliorare  l'efficacia  del  processo  di  insegnamento   e   di
apprendimento.

Da questo ne declina che le uscite didattiche sono interventi formativi integrati nella progettazione degli interventi educativi, a tutti gli effetti fanno parte del programma.

Le gite scolastiche, frequentemente percepite solo come momenti di svago o ricompense per gli studenti, rivestono in realtà un ruolo ben più significativo e sostanziale nel contesto educativo.

Queste esperienze sono parte integrante del processo di apprendimento, poiché contribuiscono allo sviluppo personale e culturale degli studenti in modi che l’ambiente convenzionale di una classe non può sempre offrire.

Le gite scolastiche contribuiscono vieppiù a una visione più olistica dell’educazione, che va oltre la semplice trasmissione di conoscenze.

Esse promuovono una comprensione più completa della realtà, incoraggiando gli studenti a sviluppare una coscienza critica e una migliore comprensione delle diverse sfaccettature sociali, storiche e ambientali.

In questo senso sono inspiegabili le esclusioni degli studenti dalle gite o la scelta di parteciparvi in conseguenza dell’andamento del voto di condotta.

Sarebbe un poco come dire che se un ragazzo ha un voto di condotta basso viene escluso da alcune lezioni, magari dalle più divertenti, per fargli sentire meglio la punizione.

I viaggi di istruzione non devono essere visti come un premio, al contrario sono dei momenti educativi molto importanti che dovrebbero richiedere agli studenti impegno ancora maggiore.

E’ veramente grave dal punto di vista educativo usare uno strumento a tutti gli effetti di programma per dare un contentino o una punizione agli alunni.

Il mondo della scuola dovrebbe fare una seria riflessione sull’argomento, valutandone le conseguenze e gli eventuali messaggi sbagliati che ne derivano.

Io credo che chi parla di certi argomenti dovrebbe conoscerli, ma purtroppo spesso non li conosce nemmeno chi siede al ministero, quindi di cosa ci meravigliamo?