“La Musica Dell’Anima”

Un dono bellissimo.

Uno dei doni più belli che l’anno 2020 mi abbia fatto, è stato imbattermi nel Team giornalistico di BetaPress.it, con cui ho il piacere e l’onore di collaborare.

Un giorno, nella chat della Redazione, compare l’invito di “Perth” – pseudonimo di Federico Pertile, Capo Redattore Musica del giornale online – a far girare il link di un video di beneficenza.

 

Un dono nel dono!

Un click e sono sul Canale YouTube. È un video musicale, la rivisitazione di “Plush” degli Stone Temple Pilots. 

A eseguirla cinque amici sulla cinquantina appassionati di musica “grunge” che, ispirati dalle parole “Would you even care?” – “Te ne prenderesti cura?” – decidono di suonare, insieme dopo tanto tempo, una delle loro canzoni preferite. 

Che cosa c’è di speciale in tutto questo? 

C’è che questi ragazzi hanno scelto di esprimere quel che hanno nel cuore in un Linguaggio universale alla portata di tutti: quello musicale.

In barba ai limiti imposti dall’emergenza sanitaria sugli spostamenti e sulla realizzazione di eventi dal vivo, un video clip diventa un atto d’amore, un pretesto per dire: “Ehi, noi ci siamo, siamo qui e siamo pronti a dare una mano.”

 

Il segreto per essere felici.

Per Simon (voce), Rige (basso) e Perth (chitarra e background vocals), i tre musicisti intervistati che si fanno portavoce anche dei due amici non presenti – Gas (tastiere) e Alba (batteria) –  basta avere una passione ed esprimerla con tutto il cuore, in piena libertà, per dar vita a qualcosa di bello, di utile e speciale.

Ed ecco che due formazioni, “Slim Simon’s Boys” e “UEMMEPI”, si riuniscono in un super gruppo allo scopo di condividere la Bellezza della musica Grunge, suscitando in chi l’apprezza un gesto di solidarietà concreta: una donazione a favore dei numerosi progetti dell’ONG “AVSI”, a sostegno di quattrocento bambini e cinquemila famiglie bisognose in Italia e nel mondo.

I numerosi progetti umanitari di AVSI trovano supporto e promozione anche grazie al generoso contributo dei volontari dell’Associazione Santa Lucia.

Da circa un ventennio, oltre a iniziative locali come le cucine popolari e le case di accoglienza per minori, l’Associazione cura la realizzazione di un fantastico Evento di Beneficenza: la “Cena di Santa Lucia”.

Per saperne di più clicca qui.

Per guardare il video autoprodotto e autofinanziato dai cinque musicisti e dai loro amici, clicca qui. 

Nella descrizione del video trovi anche le modalità con cui puoi fare la tua donazione. Anche un euro è importante per restituire il sorriso a bimbi, ragazzi e famiglie che stanno attraversando un periodo di disagio, soprattutto dal punto di vista finanziario.

Infine, per guardare la video intervista realizzata venerdì 8 novembre 2021 in occasione del settimanale “Soul Talk”, clicca qui.

Alla prossima!

Ondina (Jasmine Laurenti).




Il senso dell’abbandono

Nella vita può capitare di essere abbandonati o di abbandonare, qualcuno, qualcosa, un luogo, sempre questo fatto, sia che sia voluto sia che sia subito, genera un senso di spiacevolezza, di tristezza, di inadeguatezza, di paura.

Questo perché il nostro organismo percepisce un cambiamento e reagisce, generando in noi una reazione che può assumere varie forme, dalla disperazione al disinteresse.

La tipologia di reazione dipende molto dal nostro vissuto e da eventuali richiami al nostro passato che questi eventi portano alla nostra memoria, spesso un abbandono infantile dimenticato può scatenarsi durante un abbandono nell’età adulta miscelando così nelle nostre reazioni un amarcord di difficile interpretazione.

Viene facile quando pensiamo all’abbandono ragionare in termini di perdita di una persona cara o di interruzione di un rapporto affettivo, in realtà uno degli abbandoni più pericolosi è quello dal lavoro.

Un licenziamento può generare un trauma  sociale molto forte perché la rottura di un rapporto amoroso ha una eco verso una persona, colei/colui che ha interrotto, nel caso di perdita del posto di lavoro l’eco si espande a livello sociale fino a far sentire l’abbandonato inadatto non tanto all’ex partner ma alla società tutta.

 Nell’abbandono, di qualsiasi natura esso sia, vi sono varie fasi che susseguono all’evento traumatico e che devono essere gestite con la massima attenzione per poter riequilibrare lo stato psicologico di chi ha perso qualcosa.

la prima fase è sicuramente quella dello stupore, molti la definiscono della negazione, ma credo che sia più giusto vederla come un momento di meraviglia, in cui la nostra mente non riesce a connettere il fatto ai suoi motivi, anche perché i motivi spesso non sono quelli dell’abbandonato ma dell’abbandonatore.

Da qui la sensazione di stupore che poi si trasforma in mancato riconoscimento dei motivi dell’abbandono e pertanto della loro negazione.

Questo è il momento più doloroso perché la nostra anima si rifiuta di credere e di razionalizzare un perché, quindi subentra un momento di panico emotivo che pochi riescono a gestire.

In questa fase conta molto poco gestire la persona cercando di spiegargli motivi o situazioni, la cosa migliore è portare l’individuo su un campo differente, in un certo senso allontanarlo dal suo sbigottimento e farlo vivere su argomenti più congeniali.

Nemmeno è utile sminuire l’abbandonatore perché ancora lo stesso riveste un ruolo fondamentale nell’abbandonato, ma è molto più importante in questa prima fase consolidare le caratteristiche dell’abbandonato riportando alla sua memoria le doti per le quali le persone lo stimano.

In coda a questa fase di stupore subentra la sottofase della negazione in cui tutto diventa senza senso perché quanto per l’abbandonato aveva valore nella relazione, qualsiasi essa sia (lavoro, sentimentale, affettiva), non è servito a mantenerla, di conseguenza la negazione del valore è un modo di difesa dalla perdita.

Proprio in conseguenza della perdita di valore subentra la seconda fase ovvero quella della rabbia o meglio del risentimento,

Questo risentimento si rivolge verso la perdita, ovvero l’ex partner, il datore di lavoro, il destino, dio, etc.

E’ proprio in questa fase che occorre una grande capacità di intervento per poter indirizzare la rabbia ed i sentimenti ostili verso un bersaglio neutrale, occorre scaricare a terra tutta l’adrenalina che la consapevolezza della perdita attiva nell’organismo.

E’ il momento delle grandi azioni, perché lo scatenarsi adrenalinico nel nostro organismo scuote mille altre emozioni contrastanti fra loro che innalzano il livello di astio nei confronti dei presunti oggetti della perdita.

In questa fase è fondamentale poter fare un intervento razionale ma soprattutto in grado di indirizzare la rabbia verso un qualcosa di tangibile, riconoscendo uno per uno i sentimenti scatenanti, identificandoli anche nella loro origine più profonda e permettendo all’individuo di convogliare la propria rabbia più verso il riconoscimento degli elementi scatenanti che verso il soggetto scatenante.

La gestione lucida di questa fase permetterà una serena consapevolezza.

La consapevolezza introduce le due fasi successive, il bisogno di trovare una quadra, una specie di tentativo di patteggiamento per riportare la situazione allo stato originario, è in questa fase che si fanno gli errori più comuni, telefonare continuamente, cercare un accomodamento, fare i fioretti o accendere le candele in chiesa, arrivando inevitabilmente alla fase della depressione.

La fase della depressione può essere quella definitiva, ovvero quella in cui il soggetto se non correttamente aiutato, trova un rifugio oscuro ma sicuro, rifugio nel quale il mix di consapevolezza e sensi di colpa ma anche la mancanza di soluzioni porta l’abbandonato a percorrere la strada della ricerca della privazione sensoriale, non si cercano più stimoli (che inevitabilmente generano ricordi), ci si estrania dal mondo e si cerca rifugio in quelli che definirei i beni stordenti, alcool, droga, evitando tutto ciò che faceva parte del mondo precedente, persone comprese.

In questa fase il ricordo di quanto perso diventa assoluto, perché rabbia e consapevolezza ci hanno fatto già bruciare tutto il brutto che abbiamo cercato per allontanare il dolore della perdita, quindi in questa fase diviene acuta la sensazione di mancanza.

Proprio in questa fase è necessario consumare tutto il dolore, fino a rimanerne esausti.

Solo così si potrà aprire l’ultima fase ovvero quella dell’accettazione.

Questa è una fase che richiede tempo ed è molto legata a come l’abbandonato è riuscito ad affrontare le prime fasi soprattutto quella della depressione.

L’Accettazione non elimina il dolore, lo mette solo al suo giusto posto incasellandolo ed archiviandolo, permettendo all’abbandonato di riprendere il suo percorso con un bagaglio esperienziale maggiore.

Quello che in tutte queste fasi sarà un elemento comune è il senso dell’abbandono, una sorta di emozione continua, un taglio dell’anima che rimarginandosi ci tiene vivi e che spesso è quello che ci aiuta a superare la fase della depressione.

Il senso dell’abbandono è qualcosa di concreto che entrerà a far parte del nostro bagaglio emotivo, un importante imprinting che la nostra intelligenza emotiva saprà gestire nei casi successivi spesso portandoci a mediare in situazioni simili o a trovare soluzioni differenti.

Il senso dell’abbandono è il vero valore che ci rimane dopo un lutto, la perdita di un amore, la perdita di un lavoro o simili.

Il senso dell’abbandono è il vero valore, perché permette di continuare liberamente e senza alcun velo a pensare ad un amore, ad una persona cara, ad un’esperienza vissuta tenendo tutto come patrimonio del cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Covid19 = aumento della depressione




Manuale degli aiuti umanitari

 

Alex Manini, novarese di origini, ma cittadino del mondo, nel vero senso della parola, è il Presidente dello IEMO (International Emergency Management Organization).

Alex Manini ha compiuto 38 viaggi in Africa, non per piacere, ma per dovere, se così si può dire.

Sì, perché Alex Manini ha un dovere categorico che lo pervade, quello di aiutare gli altri, ma nel modo giusto.

Pretesa? Sfida? Obiettivo?

Di sicuro impegno sociale, oserei dire missione esistenziale.

Basti dire che ora Alex Manini è autore del Manuale degli Aiuti Umanitari, edito da C.C.Editore.

Un manuale, il primo nel suo genere, a livello internazionale, redatto in tre lingue, inglese, francese, italiano.

Una guida pratica che unisce le best practices alla base della raccolta, dell’invio e dell’erogazione degli aiuti umanitari con la classificazione, analitica e dettagliata degli attori umanitari.

Un compendio dal preciso intento di stimolare le migliori istanze solidaristiche e di carattere etico-sociale.
Un manuale operativo per rendere efficaci ed efficienti gli aiuti umanitari.

Ma anche un libro che abbatte antichi pregiudizi tra paesi ricchi e paesi poveri.

Un testo pioneristico che scardina illusorie certezze di paesi “buoni” e paesi “cattivi”, un manuale per agire e reagire nella selva oscura della solidarietà internazionale.

Questo manuale propone una check list in 100 punti e diventa il primo tentativo, al livello internazionale, di razionalizzare l’invio di generi umanitari, rendendoli accessibili a chiunque.
Particolarmente studiato ed utile ad associazioni, ONG e singoli benefattori, è per noi di betapress, una certezza: siamo sicuri che stimolerà il settore degli aiuti umanitari, a favore dei molteplici scenari di emergenza, attualmente in rapida crescita.

 

Come redazione, abbiamo avuto l’onore di conoscere di persona Alex Manini, abbiamo avuto la soddisfazione di leggere nei suoi occhi quella luce di chi guarda oltre e di chi vede prima.

 

Betapress- Presidente Manini, ci parli un po’ di lei e del Manuale degli Aiuti Umanitari, recentemente pubblicato da Currenti Calamo Editore

 

Manini- Grazie, Dottoressa, sono molto lieto di aver scritto il Manuale degli Aiuti Umanitari, appositamente studiato per Associazioni di volontariato e solidarietà internazionale, ONG, (Organizzazioni Non Governative) e gruppi di cittadinanza attiva e solidale.

E’ il primo Manuale divulgativo presente oggi sulla scena mondiale, che consente di effettuare un’efficace ed efficiente operazione umanitaria, grazie ad una check list di 100 punti, che se supportate e seguite portano al compimento di un’operazione umanitaria capace di ridurre le necessità immediate di collettività estere svantaggiate

 

Betapress- Da dove nasce la sua esperienza nel settore?

 

Manini- Il manuale nasce dall’esperienza dello IEMO (International Emergency Management Organization) che presiedo dalla sua istituzione, nel 2006.

 

Betapress- Quanti viaggi ha compiuto nel continente africano?

Manini- Parecchi, almeno due volte all’ anno vado in Africa, la conosco praticamente tutta.

Questa esperienza dello IEMO mi ha portato a compiere 38 viaggi in Africa.

E’ da questi viaggi che non sono dei semplici soggiorni nelle capitali, ma diventano dei veri e propri itinerari nei villaggi, che prendiamo lo spunto per trattare un argomento ancora molto attuale: come effettuare degli aiuti umanitari in modo corretto e efficace

 

Betapress- Ma gli Aiuti Umanitari, servono ancora in un mondo così globalizzato?

 

Manini- Gli Aiuti Umanitari servono, eccome, e servono laddove ci sono fenomeni di marginalizzazione.

Gli aiuti umanitari non devono però scendere “a pioggia” su tutto un territorio, ma devono essere mirati alla riduzione della marginalizzazione esistente in determinati punti e fasce sociali di quel territorio.

 

Betapress- Cioè aiuto umanitario come lotta alla marginalizzazione?

 

Manini- L’obiettivo di un valido aiuto umanitario è infatti quello della riduzione della marginalizzazione di collettività connotate da esclusione, povertà, isolamento e discriminazione.

 

Betapress- Quali sono gli aiuti umanitari più ricorrenti?

 

Manini- E’ proprio nell’ ottica di ridurre la marginalizzazione che si giustificano ancor oggi gli aiuti umanitari tradizionali, quali vestiario, cibi e medicinali, pur in un’epoca globalmente interconnessa in campo internazionale.

 

Betapress- Allora gli aiuti umanitari servono, ma non possono rappresentare una forma di assistenzialismo?

 

Manini- Gli Aiuti umanitari servono, ma non possono e non devono rappresentare, nella nostra visione, alcuna forma di assistenzialismo o espressione di futile buonismo.

Gli aiuti umanitari sono elementi basilari per la vita e la sussistenza di coloro che non vengono raggiunti dalle grandi correnti del commercio internazionale.

Attenzione a questo dato: nella realtà, sono ancora molti, circa 800 milioni gli individui situati nelle periferie delle metropoli, nei luoghi di guerra. 800 milioni le persone in balìa di conflitti che vivono nelle aree neglette e abbandonate, soprattutto in zone rurali e nei cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo.

 

Betapress- Il suo manuale è in tre lingue, vero?

 

Manini- Proprio per essere fruibile nel maggior numero di paesi possibili, il mio Manuale degli Aiuti Umanitari è trilingue, in Italiano, Inglese e Francese.

 

Betapress- Quali sono i targets (destinatari) degli aiuti umanitari?

 

Manini- Gli Aiuti Umanitari toccano targets che altrimenti non verrebbero beneficati dai loro stessi sistemi/paese.

Gli aiuti umanitari devono raggiungere quegli individui che sono nascosti nella loro marginalizzazione.

Nascosti o di fatto, o volutamente occultati dal loro governo politico.

Gli Aiuti Umanitari vanno a porsi come alternativa alla mancanza cronica e totale di beni e servizi vitali.

 

Betapress- Qual’ è un bene prezioso, oltre l’acqua e il cibo?

 

Manini- Alcuni medicinali essenziali, per noi banali.

Pensiamo ai disinfettanti: una semplice piaga, come quella che vedete nella foto, é degenerata in un’infezione che può portare alla morte per setticemia: la presenza e l’accessibilità in loco di questo particolare tipo di bene-salvavita (il disinfettante appunto) testimonia come si possano salvare vite umane con sistemi semplicissimi, a patto però di disporne”.

 

A questo punto, il Dr. Manini mi mostra una serie di foto che non lasciano ombra di dubbio a proposito della assoluta, urgente, improrogabile necessità di aiuti umanitari pilotati, gestiti e controllati in modo sistemico.

Adesso, forse, inizio a capire il valore del suo manuale ed il perché della sua check list.

Adesso, forse, mi convinco che aiutare significa mirare a colpire il bersaglio della marginalizzazione e che per fare questo bisogna davvero seguire il suo percorso a tappe, superando non pochi ostacoli doganali, raggiri politici, escamotages, e chi più ne ha, più ne metta…

 

Grazie, Dr. Manini per il suo impegno sociale, il suo coraggio di dire, ma soprattutto per la sua coerenza nel fare e nel vivere una vita di Aiuto Umanitario.

Ed un invito ai nostri lettori, andate di persona a leggere il Manuale degli aiuti Umanitari.

Si tratta di una buona lettura per chi vuole informarsi per sapere come realmente stanno le cose, ma è anche un prezioso manuale di formazione per chi vuole aiutare, e di supporto per chi già opera nel campo.

Per andare incontro ad un mondo migliore, o per lo meno, per lasciarci alle spalle un po’ di povertà economica e di miseria sociale.

 

NOTA DEL DIRETTORE:

Il tema degli aiuti umanitari non può essere affrontato senza alcune note che mi permetto di scrivere in calce al bel lavoro di Antonella che ci illustra l’altrettanto ottimo lavoro del dott. Manini.

Gli aiuti sono purtroppo oggi anche fonte di dolorose considerazioni da fare obbligatoriamente ed anche, se mi si permette, con coraggio.

Quante volte, moltissime, gli aiuti umanitari non raggiungono la loro destinazione ma vengono bloccati alle varie frontiere, fatti scadere e buttati o peggio sequestrati dalle varie milizie terroriste che poi li utilizzano per le loro attività.

Quante volte questi aiuti vengono in realtà usati come merce di scambio o peggio ancora come  vigliacchi rifornimenti alle frange violente nei territori della martoriata Africa.

Spesso inoltre alcuni governi utilizzano gli aiuti umanitari bloccandoli alla frontiera come merce di scambio con i vari signori della guerra locale.

Inoltre gli aiuti umanitari spesso non sono visti come un elemento strutturato di uno stato ma solo come elemosina momentanea, pertanto di scarsa efficacia.

 

 

 

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Natale in solitaria

E’ stato un Natale snaturato, amputato, un Natale senza fiocchi.

Eppure, mai come quest’anno, senza ninnoli e senza fronzoli, abbiamo fatto i conti di chi ci è vicino, anche se lontano, di chi ci abita dentro, anche se non lo vediamo, di chi è vivo, ma è come se fosse morto e di chi è morto, ma è come se fosse vivo.

Soprattutto abbiamo raggiunto la consapevolezza di chi ci può davvero mancare e di che senso ha festeggiare.

Ho superato il mezzo secolo di vita, quanto basta per aver visto sfumare la poesia dei miei sogni di bambina, ma non ancora abbastanza per raggiungere la saggezza e l’equilibrio di certi anziani che stimo.

Sono uno spirito libero ed adoro viaggiare.

Sin da ragazza, tra Natale e Capodanno, partivo per un’altra avventura, immergendomi in usi e costumi locali, spesso esteri.

Non è quindi così strano per me essere lontana dai miei cari il giorno di Natale, quelli seguenti e a Capodanno.

Eppure questa volta è tutto diverso.

Sono mesi che non ci si vede, se non tramite gli schermi dei cellulari, e non ci si abbraccia.

Questa volta, stare lontani non è una scelta e rende tutto differente.

Dall’ultima volta che ci si è visti sono successe tante cose.

In mezzo ci sono persone care che sono venute a mancare, la paura di essere contagiati, i giorni in attesa di sapere se gli amici che avevano contratto il virus stessero bene.

Ci sono i timori per come andranno i prossimi mesi, gli interrogativi su quanto ancora dovremo aspettare prima che la situazione cambi.

La libertà di scelta, la libertà di muovermi mi manca, terribilmente.

Così come mi manca viaggiare, perché è parte del mio modo di vivere, del mio modo di rapportarmi al mondo e agli altri.

So bene che è un sacrificio necessario e lo faccio con la consapevolezza che è fondamentale.

Non mi lamento, ma ci penso.

Penso ai miei genitori che vivono solo al di là del “confine regionale”, che prima neanche mi accorgevo ci fosse un confine, mentre ora è come se ci fosse un muro.

Sono a meno di un’ora da me e sembrano lontani come quando ero all’estero. 

Penso agli amici sparsi in altre parti d’Italia e del mondo, che non vedo da tanti mesi e non so quando rivedrò.

Sono abituata alla distanza, alle persone care lontane da me – gran parte dei miei amici più stretti vivono in altri città o paesi -sono abituata a vivere il “Natale” in posti strani dove magari non si festeggia come qui.

Ma questa volta, è un Natale diverso da tutti gli altri e mi pesa, sono sincera. 

Mi mancano gli abbracci, le piccole tradizioni che, seppur spostate di qualche giorno, si ripetevano ogni anno.

Mi mancano e mi mancheranno i viaggi, come pure quella spensieratezza che accompagnava quei giorni.

Sono lontana dai miei cari e continuerò a starci nella convinzione che sia la cosa più sensata.

Ma non posso e non voglio far finta di niente, perché questa pandemia ha sconvolto tutto e dobbiamo dare forma e parole ai sentimenti per poterci convivere e non farci logorare.

Perché l’emergenza iniziale è stata una tempesta arrivata all’improvviso con una forza disumana, ma questa seconda fase per molti aspetti sta diventando ancora più faticosa, perché c’è il trauma e il ricordo di quanto vissuto da marzo, perché l’incertezza e l’imprevedibilità ci accompagnano giorno dopo giorno.

Difficile, se non impossibile, fare progetti.

Vivere con la paura di una terza fase può diventare paralizzante.

 

Eppure, in questi giorni, ho capito il potere e l’eccezionalità della libertà.

 

Questo Natale amputato ha fatto germogliare in me tutti quei pensieri che costantemente mi accompagnano da mesi e mi ripetono quanto siamo privilegiati.

Perché ora non ci sentiamo liberi (anche se poi possiamo fare un sacco di cose), ma lo siamo stati fino a marzo e per un po’ anche d’estate.

Salvo imprevisti, torneremo ad esserlo fra qualche mese.

 

Ma c’è chi non lo è, non lo è mai stato e forse in questa vita non lo sarà mai.

Non mi sono accorta solo ora della loro esistenza, non ho sviluppato solo in questi giorni questa consapevolezza e chi mi conosce lo sa.

 

Eppure, solo ora, capisco il potere, il privilegio, l’onere e l’onore della libertà in cui sono nata e cresciuta.

 

Per qualcuno possono essere frasi retoriche, ma non credo lo siano.

 

Perché in fondo penso che non ci rendiamo mai veramente conto di quanto siamo fortunati a vivere in questa parte di mondo, in un paese che seppur con tanti, tantissimi limiti, è una democrazia.

Perché forse non ci soffermiamo mai abbastanza su cosa voglia dire essere bianchi, vivere in salute, avere un passaporto come il nostro.

 

Sono cose che forse già sapevo, ma che il covid mi ha sbattuto in faccia con forza.

Sono cose a cui da marzo penso e ripenso continuamente.

Vorrei che ci riflettessero di più anche altre persone (e non mi dilungo su chi, perché è scontato e sono già oltre la lunghezza sopportabile per un articolo).

Ma non sono sicura che ciò accadrà: questa pandemia ci ha sconvolti, ci ha cambiati, eppure su molti aspetti e posizioni non ha avuto impatto, nonostante gli slogan iniziali secondo cui ne saremmo usciti migliori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lettera di una Professoressa a Babbo Natale

La libertà di stampa




Morgione: poesia anticovid.

Siamo onesti. Sono giorni, sono anni difficili.

Niente e nessuno è più come prima.

Solo e sempre problemi.

Una domanda sorge spontanea di questi tempi:

dov’è finita la poesia? O, ormai, c’è rimasta solo la prosa?

Noi di betapress pensiamo che, mai come in questo periodo, ha ancora senso scrivere e parlare di poesia.

Anzi, solo un’anima poetica, intimamente innamorata della vita, può cercare un senso, dare un volto, incapsulare in curve d’ inchiostro quest’ aborto di vita che stiamo vivendo da quasi un anno.

Siamo andati ad intervistare Ulisse Morgione, un poeta che ha appena pubblicato la sua prima raccolta di poesie “La cura del liutaio” edito dalla Currenti Calamo Editore.

Ed abbiamo scoperto che un poeta può partorire poesie stupende anche ai tempi del covid, precisamente nei giorni del primo lockdown:

“In questa lontananza

non mi mancano – uomo –

i tuoi bagliori fatui

i gesti grevi

l’andirivieni scaltro

le condizioni che mi poni

per essere altro da ciò che sono.

Mi manca il grano verde

la fioritura dei papaveri

le costellazioni dei ciliegi

le mani giunte e tiepide dei tulipani

la scorza dei limoni

il biancospino cresciuto sui cancelli

che darà a nessuno, temo, la sua essenza.”

 

Questa poesia è stata scritta nell’aprile di quest’anno, durante il primo lockdown.

Giorni in cui la lontananza dal mondo e l’isolamento sociale, ci hanno fatto rimpiangere non la frenesia umana, la diplomazia sociale, la falsità collettiva, ma la meraviglia del creato, i colori, i profumi, le emozioni visive, olfattive, tattili della natura…

Solo un poeta può sbucciare la realtà e portarci al nocciolo della questione.

Per esempio, dare voce e volto a questa fame di amore profuso solo dalla natura.

Ed allora abbiamo voluto ricaricarci dentro e conoscere di persona chi può aiutarci a volare sopra gli affanni quotidiani di questi giorni snaturati.

 

Betapress- Buongiorno Ulisse, complimenti di cuore per le tue poesie. Partiamo un attimo dalla tua vita.

Quali eventi significativi hanno avuto maggior impatto emotivo nella tua anima poetica?

 Morgione-Tra gli eventi biografici significativi, c’è sicuramente la morte prematura di mio padre avvenuta quando avevo 20 anni, un lutto tardivamente elaborato, uno strappo esistenziale su cui, a distanza di quarant’anni, ancora scrivo.

Tra i tanti accadimenti della mia vita, posso citare i miei spostamenti: dalla Calabria dove sono nato e vissuto fino a 19 anni, alla Toscana, terra certamente d’elezione per me, il cui paesaggio è l’unico nel quale posso ritrovare me stesso e tendere all’armonia.

Infine Napoli dove vivo da 20 anni, con le sue potenti contraddizioni, le sue lusinghe e i suoi strazi.

 

Betapress- Ulisse, che valore ha la poesia nella tua vita?

 

Morgione-La poesia è una costante della mia vita, sia come fruitore che come autore.

Mi sono sempre accostato ad essa con molta soggezione e infinita curiosità.

 

Betapress- La poesia è inizio o termine di una ricerca interiore?

 

Morgione- Ho imparato, da lettore innanzitutto, che la Poesia è un’Intenzione, è il principio di una strada, il desiderio di scoperta.

La Poesia non ha risposte, ma aiuta a farsi le domande, interrogarsi sul mondo e su sé stessi.

 

Betapress- Le domande esistenziali avvicinano la poesia alla filosofia?

 

Morgione-La poesia non è filosofia, è metafora e come tale deve avere la capacità di evocare, di decollare dalla pagina scritta ed approdare in quello spazio tra conscio e inconscio, dove teniamo in segreto le nostre vite.

La poesia è un dialogo, un alter ego che non mente e se lo fa è perché glielo concediamo.

 

Betapress- La tua raccolta è intitolata “La Cura del Liutaio”, perché?

 

Morgione- “La cura del Liutaio” è un verso di una mia poesia e dà il titolo alla raccolta perché esprime il mio proposito umano e professionale.

Questo titolo vuole essere evocativo, vuole richiamare un mestiere di alto profilo artigianale come quello del liutaio.

Il liutaio con lentezza, sapienza e passione, si prende cura di uno strumento danneggiato che non risuona come dovrebbe o ne costruisce uno nuovo partendo dal legno, con infinita maestria e pazienza. 

Ognuno di noi dovrebbe cercare di essere artigiano della propria vita.

Ed il poeta è l’artigiano del verso che va cesellato, levigato, lucidato infine fino a risplendere.

Perché la vita, nella poesia, possa risplendere, anche nei momenti più bui

 

Betapress- Quando sono state scritte queste poesie?

 

Morgione- Nella raccolta ci sono poesie scritte negli ultimi 5 anni, ma che spaziano nella mia biografia per più di quarant’anni.

 

Betapress- Durante la giornata, esiste un momento privilegiato per scrivere una poesia’?

 

Morgione- Sì, sovente una poesia germoglia tra il sonno e la veglia, i primi versi scaturiscono sulla linea di confine tra il conscio e l’inconscio.

 

Betapress- Nelle tue poesie ci sono dei temi ricorrenti?

 

Morgione-Tra i temi a me più cari, sicuramente, posso citare

la Natura nel suo compiersi ostinato e salvifico.

Ma anche la Durata come aspirazione e fonte al contempo di delusione inevitabile, vista la precarietà dell’essere.

Ne deriva un tornare nel tempo, un ripercorrere il bordo delle fratture che la Discontinuità dei luoghi e delle persone 

mi ha creato.

Infine potrei citare una tensione all’Immanenza, al mistero del creato e a quella lucida consapevolezza che esistere è solo una “tentazione”, per citare E. Cioran.

In fondo la poesia e l’uomo sono sul limite, sul varco, sulla rottura dell’”anello che non tiene “.

Un passo al di qua della linea d’ombra”.

 

Ed allora, un invito ed un augurio ai nostri lettori.

Un invito a guardare oltre i fatti, dentro le cose e dietro le apparenze, perché questo ci rende uomini liberi.

Ma anche un augurio.

Perseguire questo nostro intento conoscitivo della realtà, non con lucido cinismo e sterile pragmatismo.

Percorrere la vita come fanno i poeti, danzando sotto la pioggia, riannodando i fili, dipingendo il buio, cogliendo in attimi di folgorazione fulminea quel “preludio onirico di paradiso”.

Grazie Ulisse, perché le tue poesie ci aiutano a riprendere quota in questi giorni di male di vivere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“Vulnerabili” con Paolo Crepet

Introduzione.

“Ciascuno di noi è ciò che appare durante una burrasca, nel bene e nel male, nella destrezza e nell’incapacità: ci si conosce nelle difficoltà …

… È la crisi – ovvero il distress, nel senso di iperstimolo – a portare a un opportuno tumulto interiore che obbliga a un esame, che costringe ognuno a guardarsi allo specchio e a dirsi la verità, invece di raccontarsela (cosa che si tenderebbe a fare se non si è obbligati da una data congiuntura).”

  • Paolo Crepet

 

Scrivere, che ossessione!

Il “Soul Talk” di venerdì 19 dicembre 2020 si apre con un pensiero tratto da “Vulnerabili”, l’ultima fatica letteraria di Paolo Crepet.

“Fatica” perché non è facile convivere con “un’ossessione che ti entra dentro e diventa tua compagna di scrittura”.

“Fatica” come frutto di un travaglio interiore: “Non nasce dalla pace un libro. È una guerra interna, una tribolazione”, confessa l’Autore. 

“Fatica”, perché in ogni capitolo c’è una parte dello Scrittore che descrive ciò che vede e prova, dello stesso evento, a un pubblico diverso, da una differente prospettiva.

 

La Genesi del Libro.

Il primo lockdown lo ha sorpreso in un paesino dove “eravamo rimasti in sette, e c’era un Silenzio che quasi sentivamo passeggiare i gatti”. 

Un Silenzio che l’Autore ha sentito il bisogno di rispettare e al tempo stesso di rompere … per amore e per rabbia.

Non dev’essere stato facile, per lui, mettere su carta le contrastanti, contraddittorie sensazioni provate nei lunghissimi mesi di “confinamento”.

Al suo iniziale senso di smarrimento si sarebbe, nel tempo, sostituito qualcosa di diverso: la paura. 

Paura per un’Umanità miope alle proprie responsabilità che, nel corso della storia, non è ancora riuscita a interrompere un circolo vizioso di antichi schemi, paradigmi ricorrenti, ciechi automatismi.

Mentre la Banalità, regina indiscussa dei media e della tecnologia digitale, tutto appiattisce, tutto omologa, tutto priva di sapore, senso, memoria.  

 

I nostri Eroi.

Eppure, le persone che più ammiriamo – i nostri musicisti preferiti, le icone cine televisive, le voci fuori dal coro in ogni ambito – hanno in comune un vissuto di dolore …

La vita degli Eroi è infatti spesso costellata di lutti, difficoltà economiche, imprevisti cambiamenti che li privano di ogni sicurezza.

Vien da chiedersi se questo dolore non sia in realtà un Regalo, una preziosa Risorsa evolutiva …

La “sicurezza” che l’Uomo brama tanto, a quanto pare, non è la miglior palestra dove sviluppare il proprio pieno potenziale.

 

Un nuovo mondo.

Ecco perché, nella straordinarietà del periodo storico che stiamo vivendo, è racchiuso il seme di un nuovo mondo.

Un mondo di persone che di fronte alle impreviste, inevitabili, dolorose a volte sfide della vita, riescono a guardarsi allo specchio scoprendosi “vulnerabili”.

Un mondo governato da Leader che, di fronte alla tragedia, abbassano il capo, tolgono il cappello e chiedono perdono al loro popolo (anziché dar la colpa ad altri, agli eventi o al fato).

Un mondo di Uomini che, con umiltà e coraggio, guardando in faccia la realtà, si aprono a un più che necessario Cambiamento. 

Perché è la Verità, non il “raccontarsela”, la pietra angolare di ogni presa di coscienza, di ogni assunzione di responsabilità: il solido terreno su cui costruire un futuro che abbia un senso.

“Vulnerabili” nasce proprio come onesto, lucido intento di capire come, aldilà del virus, gli esseri umani siano potuti arrivare a tanto e come possano, consapevoli dei loro “nei”, diventare visionari “Cacciatori di Orizzonti”.

Ed ecco la video intervista all’Autore, trasmessa in live streaming sul Canale YouTube “Jasmine Laurenti”.

JL (Ondina Wavelet)

 

P.S.: Ringrazio di cuore l’amica, Mentore e “Fata Madrina” Elena Cipriani Pagliacci, psicanalista e scrittrice, per avermi messa in contatto con il suo caro amico Paolo Crepet: psicanalista, sociologo, scrittore, saggista, libero pensatore, opinionista.

 




Perché imparare piangendo se lo si può fare ridendo?

Oggi vi voglio raccontare una storia.

Una bella storia, che ha a che fare con le favole e la musica.

Il personaggio principale è un musicista, scrittore e regista che da anni si occupa di diffondere tra bimbi ed adolescenti un modello di scrittura non banale su cui aggiungere una melodia.

La storia è quella di Gianluca Lalli, 44 anni, marchigiano, di Colle d’Arquata, piccola frazione di Arquata del Tronto, provincia di Ascoli Piceno.

Un cantautore, di quelli “impegnati” avremmo detto negli anni Settanta.

Non a caso ha collaborato con il bolognese Claudio Lolli (“ Ho visto anche degli zingari felici”, “Aspettando Godot”, “Borgesia”).

Nel 2005 ha vinto il premio Rino Gaetano, a cui ha poi dedicato una canzone e anche un docufilm, titolati entrambi Rino, nel 2019.

Per completarne il profilo artistico, nel 2013 il video del suo brano “Il lupo ha vinto il premio Hard Rock Café nella sezione video musicale alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

In più Lalli è un educatore, di formazione e di professione, anche se la musica resta il suo interesse primario.

Dopo il terremoto del 2016 che ha raso al suolo il paese dov’era nato e cancellato casa sua, oggi vive a San Benedetto del Tronto.

Mi ha catturato l’attenzione perché ha appena pubblicato un nuovo album, Favole al telefono tratto dall’omonima raccolta di racconti del 1962 di Gianni Rodari.

Favole che sono per piccoli, ma anche per adulti, come del resto tutta la letteratura dello scrittore di Omegna: la sua bravura stava proprio nel riuscire a raccontare la stessa storia disponendola su più piani.

Quest’anno, il 23 ottobre, si sono celebrati i cento anni dalla nascita di Rodari.

Bene, a ridosso del centenario della nascita del noto autore piemontese, Maestro dei maestri, Gianni Rodari, scopriamo oggi il prezioso lavoro di Gianluca Lalli a partire dal suo ultimo album “Favole al Telefono” tratto, per l’appunto, dall’omonima opera di Gianni Rodari.

L’idea di mettere in musica le favole di Gianni Rodari nasce per Gianluca Lalli da un progetto chiamato “Il Cantafavole”, ideato e realizzato dall’artista stesso; si tratta di un laboratorio di scrittura creativa e musicale, che in qualità di esperto esterno il cantastorie propone nelle scuole statali da molti anni con l’intento di insegnare ai bambini l’arte del cantautorato e della scrittura.

Il progetto ha avuto e continua ad avere molto successo, ed è in questo contesto che è nata l’idea di mettere in musica i testi di Rodari, rendendo protagonisti i bambini.

Ma, attenzione, l’opera narrativa di Gianluca Lalli non si ferma qui, oltre a far vivere i valori narrati da Rodari a Rino Gaetano, dando voce alle storie dell’autore fuse a quelle dei bambini, il cantautore porta nella sua musica la ricchezza e le ispirazioni tratte dai suoi tanti incontri musicali e quotidiani, dai grandi artisti da lui apprezzati a tanti sorrisi e colleghi cantautori.

Autore e musicista dalla spiccata sensibilità e dal merito riconosciuto, non solo dai tanti premi ricevuti, ma dal calore che riceve nelle sue esibizioni di stampo a dir poco socio-educativo, realizza opere musicali e teatrali a contrasto degli stereotipi e contro la violenza di genere.

Uno spettacolo contro la discriminazione di genere è Lisistrata e le altre.

Questa creazione/produzione teatrale Lisistrata si propone di ripercorrere, attraverso vari personaggi femminili e con l’ausilio della poesia, le fasi storicamente più importanti della nostra società, raccontando vicende di donne, protagoniste-vittime della violenza di genere.

 

Il titolo è una rievocazione e insieme un omaggio alla commedia di Aristofane che per la prima volta collocò le donne come protagoniste di uno spettacolo teatrale, immaginando così un mondo alla rovescia, un mondo pacifico guidato da donne, suscitando angosce ancestrali di cui neppure lo stesso grande commediografo fu scevro.

Volgendo brevemente lo sguardo alla nostra storia, raramente alle donne sono stati offerti gli strumenti attraverso i quali ribellarsi: istruzione, autonomia economica, autodeterminazione, tutele giuridiche.

 

Tuttavia, con il passar del tempo, ci sono state importanti rivoluzioni a favore delle donne e spesso promosse dalle donne stesse: dalla legge più importante, quella del mondo romano, che concesse alle donne il diritto di ereditare, alle più recenti conquiste quali il diritto di voto, l’abolizione della ridicola legge sulla delitto d’onore o la lentissima agonia del matrimonio riparatore, le leggi sul divorzio e sull’aborto, il lento ma progressivo riconoscimento delle competenze femminili nel mondo del lavoro.

 

Tuttavia, il fatto che i femminicidi e gli omicidi di genere siano sempre più frequenti (fino a 114 in un mese!) fa riflettere su come questa società, malgrado le conquiste giuridiche, sia ancora in effetti una società violenta, analfabeta in senso civico, incapace di accogliere come un arricchimento le diversità di ogni sorta, spesso vissute con competitività e percepite come un impedimento alla realizzazione di se stessi.

A tale proposito, come redazione di betapress, segnaliamo con grande piacere le migliori poesie di Gianluca Lalli, poesie proprio dedicate al valore e alla dignità di ogni donna.

 

“BAMBINA” Poesia sulla tematica della Prostituzione minorile

https://youtu.be/x_keAZosRCU

 

“VIOLENZA” Poesia sulla tematica del Matrimonio Riparatore dedicata a Franca Viola

https://youtu.be/nX4CrJFp4f8

“SEXY” Poesia sulla tematica della sensualità stereotipata

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=343572082499822&id=100005410990670

 

Dunque, come dicevamo all’inizio, la storia di Gianluca Lalli, è proprio una bella storia. 

Certi di aver contribuito ad una scelta etica nel condividerla con i nostri lettori, vi diamo appuntamento a dei nuovi incontri con questo grande artista a 360°.

Continueremo a scoprire insieme a lui le creazioni musicali e le produzioni teatrali che possono fare la differenza in un periodo come il nostro di appiattimento culturale e di omologazione sociale.

AD MAIORA, Dunque, caro Gianluca Lalli.

 




“Malattia: Messaggio D’Amore?”

“Dimmi che scherzi”.

Per Monica Grando, Naturopata e Consulente del BenEssere a 360°, la malattia è il modo in cui l’anima fa sapere al corpo che il suo “abitante” si è smarrito per via.

Lo stesso sintomo, sotto forma di disagio o addirittura dolore fisico, è il linguaggio con cui l’anima esprime l’allontanamento del paziente dal suo e nostro comune Scopo: risvegliarci all’Amore, alla Bellezza, alla Perfezione del Tutto di cui facciamo parte; fluire con la Vita, rimanendo collegati alla Sorgente da cui la Vita stessa procede; mantenere, durante il Viaggio in una dimensione più densa, Armonia, Integrità, Coerenza tra il mondo interiore e le nostre azioni / reazioni alla realtà esterna.

La domanda che sorge spontanea è se sia da considerarsi allo stesso modo la malattia di un bimbo appena nato, o quella che sorprende un Viaggiatore, ormai vicino al suo Traguardo, reso inconsapevole da una mente vuota, senza più memoria né giudizio né “presenza”.

Monica risponde alla mia prima domanda con serena lucidità: anticipando inevitabili obiezioni, estirpando sul nascere i pregiudizi di chi si affida alla medicina ufficiale come unica risorsa, preparando un fertile terreno di Fiducia all’imminente semina di chicche di Consapevolezza.

 

“Stai zitto!”

In due parole liquidiamo il sintomo quando si presenta, il dolore fisico, il disagio con cui l’anima ci parla.

Un antidolorifico e via. Tutt’al più ci accontentiamo di una cura che si accontenta di assopire la parte del corpo in cui l’anima, amorevolmente, continua a mandarci i suoi messaggi.

Il corpo in tutto questo non ha colpa alcuna. Nella sua innocenza, si presta a essere canale di comunicazione tra le dimensioni più sottili e quelle più dense della “carne”.

È l’ego qui, a farla da padrone. Fino a che il Viaggiatore non arriva al limite di sopportazione e riceve, a volte in modo un po’ brusco, la sua “chiamata dell’Eroe”.

Ed ecco che il malessere diventa viatico di Conoscenza, Porta d’accesso a una Saggezza antica, vero e proprio Percorso iniziatico.

Nella totale identificazione dell’Eroe nei suoi disagi e dolori fisici, non c’è speranza di salvezza: tutto si risolverà, se si risolverà, nella dimensione in cui il corpo abita. Qui a dolore e sintomo risponde la chimica, non la Consapevolezza.

La Sorgente della Vita è aperta a tutti, ma non tutti hanno il coraggio di risalire la corrente: decidere di farlo implica il voler guardare in faccia la propria verità, l’assumersi la responsabilità delle proprie scelte, il coraggio di aprirsi al Cambiamento.

 

“Il ruolo del Terapeuta”

E qui entra in gioco il Terapeuta che, consapevole del proprio ruolo, accompagna il Viaggiatore nel suo Percorso verso la Guarigione.

Guarigione che, esprimendosi a livello fisico con la progressiva attenuazione e scomparsa del sintomo, affonda le sue radici nella Consapevolezza di essere molto di più di un corpo dotato di intelligenza: siamo spirito, anima – sede del raziocinio e delle emozioni – e corpo fisico: inseparabili, intercomunicanti.

Punto di partenza di ogni Terapia è la rinuncia, da parte del Viaggiatore, al proprio ego – programmato per la mera sopravvivenza – riconoscere di aver perso il contatto con la parte più profonda e più vera di Se Stesso; lasciar fare alla Vita che, con infinito amore, ripristina Equilibrio, Armonia e Coerenza interiore.

Il Terapeuta, da parte sua, deve mettersi da parte e, con umiltà e saggezza, educare il Viaggiatore all’ascolto e alla piena accettazione del dolore come parte integrante dell’Esperienza.

È così che il nostro Eroe può imparare a decifrare il messaggio che l’anima gli porge!

A Viaggiatore e Terapeuta non rimane che lasciar fare a Dio – o comunque lo si voglia chiamare – in un attivo abbandono all’infinita intelligenza della Vita.

Ondina Wavelet – Jasmine Laurenti

Per guardare il “Soul Talk” con la Naturopata e Consulente del BenEssere Monica Grando, clicca qui.

Scopri i vantaggi riservati ai sostenitori del Progetto multimediale “Ondina Wavelet World”, che ha lo scopo di creare una cultura basata sulla consapevolezza del potere creativo delle nostre Parole pensate, dette e agite, cliccando qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“Nutrire La Vita Per Non Morire Di Cibo”

Manifesto.

“Non c’è guarigione vera senza cambiamento, non c’è vita vera, e non c’è futuro, senza lo sviluppo della coscienza umana.

Essere ‘VITARIANO’ significa riconoscere e favorire la vita in tutte le sue connessioni e potenzialità per imparare a nutrirla su tutti i piani.”

cit. Corrado Ceschinelli

Un Fiume in piena che ritorna alla Sorgente.

È un fiume in piena, Corrado Ceschinelli.

E come un fiume impetuoso va lasciato fluire, così il suo eloquio ricco di perle di saggezza, buon senso e libertà.

Una libertà che ci conduce oltre la “dieta” come “lista di cose da fare” e guai a trasgredire, dieta che diventa ossessione e si traduce in un atteggiamento di giudizio nei confronti di chi non ha ancora capito che “belli è meglio”, “magri è meglio”, “in forma è meglio”.

Certo che è meglio, il punto è: è per te? Ti rende felice? Ti aiuta a prendere contatto con la parte più vera di chi tu sei, aprendo un dialogo costruttivo con le zone d’ombra di cui prenderti cura?

Una cosa è certa: sei unico nell’Universo. E funzioni bene solo se ti allinei con le leggi che muovono lo splendido teatro in cui la tua vita si svolge.

È un viaggio esplorativo quello che va fatto, dentro di te.

Alla ricerca di chi sei e del tuo splendido potenziale che attende solo di essere scoperto, risvegliato e valorizzato.

Molto probabilmente, è il viaggio più importante della tua vita.

Soprattutto, il più necessario.

Guardati intorno.

La natura sa esattamente come comportarsi per essere … se stessa.

… E ogni essere vivente svolge il suo compito senza chiedersi se sia giusto o sbagliato: non ha alternative che esistere e svolgere la propria funzione al meglio.

L’Universo è intelligente. La Coscienza che lo anima, comunque tu la voglia chiamare, ti ha dato forma, respiro, pensiero.

Un pensiero corrotto dalle informazioni che il sistema, giorno dopo giorno, ti ha spacciato per vere, necessarie, addirittura piacevoli.

Nel tempo, ti sei allontanato dalla Verità.

Hai perso il naturale equilibrio tra mente, cuore e pancia.

Hai perso la tua coerenza interiore, il meraviglioso allineamento tra il tuo mondo interiore – Chi sei e il tuo Scopo – e quella che chiami “realtà”.

Per essere sani, felici, longevi, si parte da qui.

Si parte da un risveglio della tua coscienza all’amore di cui sei fatto e che devi, prima di tutto, dare a te stesso.

A quel punto il cibo acquista un nuovo Valore: al suo significato conviviale, sociale, culturale si aggiunge la Consapevolezza del cibo come vibrante risorsa per aumentare la tua energia vitale, come dono d’amore a te stesso non auto imposto dalla dieta di turno, ma scelto perché sai che ti fa bene, andando a nutrire la tua vita a livello fisico, animico, spirituale.

Quando il tuo corpo è al massimo della sua energia, la tua mente è lucida e performante, gestisci al meglio il tuo stato emotivo e sei in grado di prendere le decisioni più utili per giungere alla tua completa realizzazione come Essere Umano.

Forse, la felicità è proprio questo.

 

Un Educatore alla Vita.

Ricevo con gioia nel salotto virtuale del Soul Talk, Corrado Ceschinelli: Sociologo e Naturologo, Counselor e Life Coach, Terapeuta del BenEssere e Stile di Vita, tra scienza e spiritualità.

La sua Mission è educare gli Esseri Umani alla Vita: trasformarli da inconsapevoli prigionieri di se stessi e del sistema che li ha nutriti fin dal loro concepimento a persone libere, in grado di esprimere al meglio la loro vera Essenza e il loro Potenziale.

Così che possano ritrovare o mantenere un ottimale stato di salute a tutti i livelli: fisico, mentale ed emotivo.

Vivere più a lungo. E, perché no, essere felici.

Corrado è Autore di diversi libri, di cui l’ultimo è “Codice Vitariano” (Anima Edizioni).

Un libro che nasce per rivelare i Codici della Vita, della materia e dell’energia che ci costituiscono e interagiscono fortemente tra di loro.

Un Manuale per pensare, intendere, praticare la vita tra Fisica Quantistica, Neuroscienze, Epigenetica, Spiritualità e comune Buon Senso.

Un ricco Vademecum per ritrovare se stessi, aiutare gli altri, cambiare il mondo.

Dopo aver letto il suo articolo “Vegetariano? Vegano? No! ‘Vitariano’” – Manifesto di un Codice di Vita riscoperto, metabolizzato e agito nel quotidiano – gli ho chiesto il permesso di pubblicarlo in versione integrale.

Non c’è infatti descrizione migliore che possa esser fatta della sua Opera di ricerca e divulgazione, se non quella che lui stesso ha scritto di suo pugno.

 

“Vegetariano o vegano?” “No! ‘Vitariano'”.

Quando mi chiedono se sono ‘vegetariano o vegano o se seguo un regime ‘fruttariano’ o, comunque, quale dieta io pratichi, reagisco sempre con un po’ di stizza e di ironia e dico di essere ‘vitariano’ …

Poi spiego il senso di questa mia affermazione che è anche l’argomento di questo articolo. Cominciamo con il tranquillizzare tutti i ‘naturalisti’ menzionati: dal punto di vista strettamente nutrizionale, hanno sicuramente più ragione che torto.

E non lo dico solo io. Lo dicono gli studi più autorevoli e l’incidenza delle patologie correlate agli stili alimentari.

Per cominciare a farvi capire in che direzione si muoverà il mio ragionamento vi racconto un episodio recente.

Chiamato a fare una conferenza in una serata macrobiotica, ho esordito dicendo: ‘Ma per mangiare macrobiotico bisogna essere così tristi?’.

 

Una religione chiamata “dieta”.

Effettivamente, molto spesso, dietro ad una scelta nutrizionale c’è lo spettro dell’identità, dell’ideologia, del modo di essere e di atteggiarsi voluto da quello stile e dal suo stereotipo, con declinazioni, a volte, che rasentano il fondamentalismo e la maniacalità.

In trent’anni che mi occupo di educazione alimentare e di stile di vita, posso dirvi che, finalmente anche in questo campo, l’attenzione si sta spostando oltre la manipolazione e il delirio dietologico, o prescrittivo, e si comincia a considerare l’uomo a partire dalla sua totalità e potenzialità.

Ed è proprio da questa osservazione che si scopre che la prima e la più significativa compromissione per la vita (qualità e durata) è nelle nostre idee e nelle nostre convinzioni, in una esperienza che struttura comportamenti e provoca stati d’animo talmente ‘offensivi’ e dis-funzionali da essere la causa originaria di tutti i nostri mali.

Essendo compromessa la vita nei suoi fondamentali ed essendo questa civiltà soprattutto impegnata a ‘curare’ i mali che questa stessa compromissione provoca, ci si rende conto che quello che occorre fare, prima di tutto, è favorire proprio un cambio di mentalità capace poi di tradursi in altrettanti comportamenti e stati d’animo ma questa volta coerenti e funzionali alla nostra costituzione e alla nostra natura.

Le 3 “Chiavi” della Libertà: Consapevolezza, Cambiamento, Conoscenza

Quello che posso dirvi con certezza, essendoci arrivato dall’esperienza e praticando questo approccio educativo da molto tempo, molto prima che fosse spiegato e argomentato dagli studi di oggi, è che non vi è soluzione (guarigione) senza questo processo di cambiamento.

Un cambiamento che deve coinvolgere la persona, la sua percezione di vita, capace di riattivare e recuperare risorse inimmaginabili, inespresse e mortificate da un vissuto e da un modo di vivere fortemente debilitante e invasivo.

Le nuove frontiere della medicina, grazie ai contributi delle nuove scienze, parlano di olismo e di integrazione, cominciano a considerare l’influenza delle emozioni e degli stati energetici sulla funzionalità generale e sistemica, riconoscono l’importanza del cambiamento quale processo fondamentale sia per la guarigione che per la conservazione della salute a lungo termine.

Per darvi un’idea, uno degli ultimi convegni al quale ho partecipato si intitolava ‘Anima e cancro’ ed erano presenti relatori medici e oncologi di grande profilo professionale, oltre che una moltitudine di testimonianze significative.

Occorre quindi mettere mano laddove le cose sono accadute e accadono senza che siamo presenti a noi stessi per liberarci da una ‘schiavitù’ di cui non abbiamo nessun sentore, ma soprattutto nessuna considerazione.

Quel mondo è pieno di luoghi comuni, di ansie e di bisogni inespressi. È lo stato inconsapevole dell’essere teso più alla compensazione che alla soluzione dei suoi disagi, alla dieta più che all’idea di imparare a mangiare, a rivendicare il diritto delle proprie convinzioni più che a riconoscere obiettivamente la realtà, alla legittimazione della propria rabbia, paura, colpa, più che a capirne la natura e l’origine.

Sani, belli, felicemente longevi.

Allora, per tornare da dove siamo partiti, io sono ‘vitariano’, il che significa che riconoscendo la vita in tutte le sue connessioni e potenzialità, sono impegnato a nutrirla su tutti i piani.

Si perché se il cibo è nutrimento del corpo, le emozioni e i pensieri sono nutrimento della mente e dell’anima, e insieme all’attività fisica, sono nutrimento di quell’insieme indissolubile che siamo e che è costituito proprio di corpo, mente e spirito.

Una delle conferenze che porto in giro, non a caso si intitola: ‘Nutrire la vita, per non morire di cibo’ e forse adesso ne capite il senso.

Quindi l’obiettivo del cambiamento, del processo di consapevolezza, non è nient’altro che riconoscere e favorire l’evoluzione di coscienza, perché legato a questo c’è lo sviluppo della personalità, della libertà, dell’autonomia, del talento, dell’amore incondizionato, ma anche quello della salute e del benessere psico-fisico; in una parola, di quello che siamo, che possiamo e che dovremmo essere veramente, secondo le leggi di Madre Natura e dell’Universo intero.

Sono le stesse leggi, secondo il principio di compatibilità, di costituzione e di funzionalità che, guarda caso, non ci portano lontano da vegani, vegetariani, fruttariani, macrobiotici, ecc.

Quello che cambia semmai è arrivarci dal cammino evolutivo e dalla presa di coscienza invece che come forma di compensazione o di esaltazione perché, in questo modo, per bene che ci faccia, l’anima sarà sempre inquieta e noi saremmo ‘sani’ a metà.

Dobbiamo riconoscere questa trappola per liberare quel ‘divino’ che è in ognuno di noi e per riprendere il cammino della forza e dell’integrità vera. È ora di tornare ad essere felici! È l’unico dovere che abbiamo, nei nostri confronti e nei confronti del nostro prossimo.

Corrado Ceschinelli

Grazie, Corrado!

Non mi rimane che ringraziare il mio Ospite per le perle di saggezza che ci ha donato.

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Così che, esprimendo al meglio la loro autenticità, possano vivere nella pace, nell’amore e in piena libertà.

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Alla prossima Ondina!

Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti).

 

 

 

 

 




Betapress aiuta la protezione civile: 20% del ricavato del libro COVID-19 sarà donato.

Lodevole iniziativa del gruppo editoriale verrà illustrata durante la presentazione del libro della redazione di Betapress.it

Sabato 14 novembre 2020 alle h 10,00 verrà presentato sui canali social di betapress.it il libro “Covid 19 – parole, opere ed omissioni di un periodo pandemico ancora oscuro”.

Betapress, nasce nel 2016 su iniziativa di un gruppo di intellettuali scontenti dalla situazione politica italiana decisi a creare una voce critica e apartitica.

Dal 2016 ad oggi Betapress si è imposto come voce fuori dal coro su argomenti importanti del mondo della scuola.

Ha varato importanti iniziative come #iocihoprovato per la difesa di coloro che vengono mobbizzati sul lavoro, o “salute donna” contro la violenza sulle donne, “la generosità circola” iniziativa di negozianti di tutta Italia che hanno raccolto fondi per enti locali impegnati nel fronteggiare l’emergenza Covid; ha preso inoltre posizioni contro i concorsi dsga e ds della scuola promuovendo una “class action”.

Betapress è completamente gratuito, non ha pubblicità, chi legge i suoi

articoli non viene mai distratto da adv o banner, ma può usufruire del

giornale senza essere disturbato.

Betapress è un esperimento giornalistico nuovo che ha come valori

fondanti la verità e la chiarezza, su Betapress tutte le idee trovano asilo e

riparo, il nostro “focus” è la tutela della “notizia”.

Noi di Betapress ci riserviamo il lusso di poter dire la verità liberi da

qualunque tipo di ingerenza esterna.

Il libro intende conservare la memoria storica del primo periodo pandemico sforzandosi di parlare non solo del covid.

Lo scopo della pubblicazione è quello di non perdere il filo logico di questa era storica  per poter, un giorno di un futuro non troppo lontano, poter iniziare a capire questo periodo storico complicatissimo.

Per creare un senso di continuità con una delle azioni promosse da betapress.it, la redazione partecipa all’iniziativa “la generosità circola” iniziativa di negozianti di tutta Italia che hanno raccolto fondi per enti locali impegnati nel fronteggiare l’emergenza Covid.

CCEditore devolverà il 20% dei proventi della vendita del libro alla protezione civile in favore del supporto per l’emergenza COVID.