L’ANNO (scolastico) CHE VERRÀ

 

Era il 5 marzo 2020 e le scuole chiudevano per l’emergenza da coronavirus. D’allora abbiamo dovuto ripensare la nostra quotidianità.

Abbiamo dovuto rivedere consuetudini che, nell’arco di pochi giorni, sono venute a mancare, ma anche esperienze portanti della nostra esistenza.

Intorno alla scuola molto si è discusso, molto si è riflettuto; mentre si continua ad adoperarsi per riorganizzarla e cercare di farla vivere, comunque.

Abbiamo anche sperato che il dramma vissuto potesse servire almeno ad aggiustare alcune problematicità che, da anni, non sono ben chiare. Invece stiamo lavorando già per il nuovo anno scolastico, ma la nebbia è ancora molto fitta.

Che sarà per l’anno (scolastico) che verrà?

A distanza di un anno, non si può più parlare di emergenza, ma di pandemia “strutturale” ed è necessario trovare rimedi strutturali per risolvere problemi da anni nel dimenticatoio.

I problemi erano e sono: elevato numero di studenti per classe e aule troppo piccole.

Abbassare il numero degli studenti per classe presuppone aumenti di organico del personale ed inoltre occorre dimensionare in maniera ottimale le aule attraverso urgenti investimenti in edilizia scolastica.

Per garantire la scuola in presenza e in sicurezza, oltre al completamento del piano vaccinale, è necessario “lavorare” sulle due variabili ricordate.

Il Covid-19 è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso le goccioline del respiro delle persone infette (droplets) quando starnutiscono o tossiscono o si soffiano il naso, e attraverso anche l’atto del parlare.

Quando si parla migliaia di goccioline possono rimanere sospese nell’aria tra gli 8 e i 14 minuti.

Questi stessi droplet, per la forza di gravità, cadono e possono atterrare sulle più varie superfici su cui hanno tempi di sopravvivenza variabili.

Le particelle virali possono resistere fino a mezz’ora su carta da stampa, fino a 24 ore su legno e tessuto, fino a due giorni su banconote e vetro; fino a 4 giorni su acciaio inox, plastica e superfici interne delle mascherine e fino a una settimana sulla superficie esterna delle mascherine.

Quindi è necessario che le aule didattiche siano giornalmente sanificate e soprattutto siano dotate di apparecchi per il ricambio d’aria.

E allora? Quest’anno scolastico iniziato “in presenza” si approssima a chiudersi “a distanza” e l’anno che verrà?

Intanto le scuole hanno fatto le proposte di organico docenti e alunni/classi senza che fosse pubblicato il decreto interministeriale sugli organici per l’a.s. 2021/22,
quindi ancora non si sa se ci saranno classi di 30 alunni che presuppongono per il D. I. 18/12/1975 classi di 60 metri quadrati.

Ad avercele! Ma con 30 alunni in classe sottodimensionate il distanziamento con i banchi monoposto servirebbe a ben poco.

Occorre più personale per sanificare ogni giorno tutti gli ambienti e servono dispositivi per favorire un rapido e completo ricambio d’aria. Forse c’è ancora tempo per pensarci e intervenire, altrimenti anche l’anno (scolastico) che verrà si svolgerà a ritmo psichedelico “apri” e “chiudi”.

Aerazione e sanificazione sono argomenti presenti nel dibattito scientifico ed accademico ormai da tempo e se davvero si vogliono le scuole aperte ed in sicurezza, non si perda tempo.

 

Pio Mirra

DIRIGENTE SCOLASTICO




Vaccino SI, Vaccino NO, Vaccino BOOM!

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Giovedì scorso, il 18 marzo, il Presidente del Consiglio Mario Draghi, ha affermato: “Il Governo italiano accoglie con soddisfazione il pronunciamento dell’Ema sul vaccino di Astrazeneca.

La somministrazione del vaccino riprenderà già da domani.

La priorità del Governo rimane quella di realizzare il maggior numero di vaccinazioni nel più breve tempo possibile”.

E sottolineiamo che, il via libera in Italia alla ripresa delle vaccinazioni con il siero anglo-svedese, dopo la sospensione precauzionale di 4 giorni, è arrivato a poco più di un’ora di distanza da quello dell’Ema, l’agenzia europea per il farmaco.

Neanche a farlo apposta, venerdì 19, sera, l’ASL Novara mi manda un sms: sono convocata per la somministrazione del vaccino anti-covid per l’indomani.

Preciso che sono un’insegnante di 55 anni che, su base volontaria, ha aderito alla campagna vaccinazione covid della regione Piemonte, con preadesione del 21 febbraio.

Bene, come indicato nel link il piemontetivaccina.it, mi presento in anticipo all’ appuntamento con

  • tessera sanitaria,
  • documentazione attestante l’effettiva appartenenza alla categoria (personale scolastico/personale volontario della protezione civile),
  • modulo di consenso precompilato (14 pagine)

Prima anomalia, l’unico modulo di consenso disponibile sul sito della regione è per il Pfizer, lo compilo comunque, perché queste sono le indicazioni ricevute al triage.

Seconda anomalia, nessun operatore sanitario, né medico, né infermiere che incontro, porta una targhetta che lo identifichi, viceversa tutti i volontari della Protezione Civile portano un tesserino di riconoscimento.

Terza anomalia, il primo camice bianco che incontro, controlla i miei dati e su mia segnalazione constata che il modulo di consenso è per il Pfizer.

“Non c’è problema” dice, straccia l’ultimo foglio, quello con la mia firma, e mi invita a porre la mia firma sotto il nome vaccino ASTRAZENECA.

Del resto, che problema c’è, se prima mi avevano promesso un vaccino e adesso me ne fanno un altro?!?

Segnalo che sono allergica alla penicillina, “lo dica al medico”, mi risponde.

“Avanti il prossimo” si apre la porta ed è il mio turno.

Entro nell’ambulatorio, sono un po’ in apprensione, in questi ultimi giorni si è letto e scritto tutto ed il contrario di tutto sui vaccini.

Però, mi fido e, in fondo, mi sento fortunata a potermi vaccinare.

E poi le parole di Draghi con il responso dell’Ema mi risuonano in testa.

Il medico che mi riceve esamina il mio modulo e si informa su che tipo di reazioni allergiche ho avuto all’antibiotico in questione.

Spiego che una volta mi è venuta l’orticaria, ma nessun choc anafilattico.

Mi chiede “Sta bene?” Sì.

“Ha fatto il covid?” No.

“Ha fatto un tampone?” No.

“Mai nessuno?” No.

“E ALLORA? CHI GLIELO FA FARE DI FARE IL VACCINO? HA IDEA DEI RISCHI CHE CORRE?”

Rispondo “Sono un ‘insegnante, a scuola ci hanno invitato a vaccinarci…”

“NON CREDO CHE IL SUO PRESIDE L’ABBIA OBBLIGATA; NON VORRA’ FARMI CREDERE CHE RISCHIA IL POSTO DI LAVORO?!?”

Inizia a crescermi l’ansia, gli dico, “Ma lei chi è?” Risposta “Uno psichiatra”.

Incalza” CI PENSI BENE, IO GLIEL’HO DETTO”

Allora, gli segnalo che i miei genitori hanno avuto entrambi un infarto, che dei miei 4 nonni, tre sono morti per problemi cardiovascolari…

Lui continua a ripetere: “APPUNTO, ADESSO LEI STA BENE; CHI GLIELO FA FARE DI CORRERE DEI RISCHI?!?”

Sono agitata e confusa, penso quasi ad uno scherzo, guardo l’infermiera sperando che mi rassicuri.

Niente.

Vorrei scappare, ma mi sento inchiodata alla sedia.

“Braccio destro” mi dice e l’ago entra nel mio braccio.

Raccolgo le mie cose ed esco, in mano due moduli, precisamente:

  • un foglio/questionario per i pazienti da inviare all’email a.car@asl.novara.it per la segnalazione di reazioni avverse (dove hanno indicato ASTRAZENECA; FEMMINA; 1° DOSE ORA E DATA di somministrazione; SPALLA DESTRA) con graffettato un foglio/scheda di raccordo anamstetico senza nessun dato anagrafico e niente firma.
  • un foglio con il giorno e l’ora per la somministrazione della 2°dose con il mio nome ed indirizzo, ma ancora niente firma.

Ripeto.

Su entrambi i moduli non c’è nessuna firma, né qualifica.

Primo modulo SEDUTA VACCINALE del…NON COMPILATO.

MEDICO VACCINATORE, NIENTE FIRMA.

INFERMIERE VACCINATORE, NIENTE FIRMA.

Secondo modulo, IL MEDICO RESPONSABILE, NIENTE FIRMA.

Perché? Cosa sta succedendo?

Mi informo, anche gli altri, come me, non hanno neppure uno straccio di scarabocchio di firma.

Che strano…

Allora, non appena torno a casa, faccio un’indagine tra gli altri colleghi, già vaccinati da tempo, anche loro, o non hanno in mano nessun modulo o non hanno firme leggibili o qualifiche a cui appellarsi.

Bene, no anzi male.

Se il medico ha fatto di tutto per dissuadermi (mi rammarico non averlo registrato, lo so è la mia parola contro la sua) e se in generale è una prassi, verificabile dai documenti, quella di non firmare, come faccio io libero cittadino a sentirmi sicura?!?

O forse quel medico negazionista ha agito bene, in scienza e coscienza per mettermi in guardia, spiegandomi in “lingua comprensibile”, come recita il modulo che ho firmato, quali sono i rischi?

Cosa significa in questo momento essere medico?

Ed essere insegnante?

Che cosa possiamo fare per non trasgredire la legge, tutelando al contempo la nostra e l’altrui salute?

Ok, possiamo rifiutarci di vaccinarci, ma se davvero il personale medico e quello scolastico rifiutasse in blocco la somministrazione del vaccino, cosa succederebbe?

Se uno si è deliberatamente rifiutato di vaccinarsi e poi si ammala di covid, l’Inps risponde?

Ed infine, se uno è un medico no vax, fa bene o fa male ad allertare il paziente?

Come concilia il suo obbligo legale di somministrazione del vaccino con il suo scetticismo medico?

Che cosa sanno in più i medici che noi non sappiamo?

Se, per legge, un medico deve procedere alla somministrazione del vaccino, è deontologicamente corretto, da parte sua, insistere ad allertare il paziente a priori, senza che questi gli abbia chiesto un parere?

Ha esercitato una forma gratuita di terrorismo psicologico o ha coraggiosamente e lecitamente espresso il suo dissenso?

Qualcuno mi ha detto di denunciarlo.

Perché?!? Dico io.

In fondo lui ha fatto il suo dovere, il vaccino me l’ha fatto.

Avrebbe fatto bene a tacere, a tenersi per lui le sue perplessità?

Per me no.

Primo, perché siamo ancora, fino a prova contraria, in un paese libero e democratico, dove vige il diritto di parola.

Secondo, perché sia lui, medico, che io, paziente, siamo gli ultimi anelli di una catena, un sistema statale, che comunque non sta funzionando.

Lui nella sanità, io nella scuola.

Sfido chiunque a dimostrarmi il contrario.

Le scuole sono chiuse e la Dad non funziona.

Le terapie intensive sono ancora al collasso ed il personale medico sanitario ha pagato a caro prezzo il suo ruolo, sia sul piano personale che legale.

Niente e nessuno ci sta garantendo che il vaccino ci metta al riparo dal rischio di ammalarci e ci dia  un’immunità permanente.

Prima sotto il governo Conte e poi adesso nel governo Draghi, i politici si rimangiano la parola, dicono una cosa e poi ne fanno un’altra.

Alzi la mano chi si sente protetto dalla politica e rassicurato dalla stampa.

Siamo onesti, ogni giorno, chiunque di noi, semplice cittadino, da un anno a questa parte, è in balia di un ennesimo bollettino medico, di un altro d.c.p.m, di una nuova zona rossa…

Uno dice, “mi informo”.

Ma dove sono i dati scientifici, se, ogni giorno gli esperti che vanno in televisione, giocano a confondere la gente, cambiando l’informazione scientifica in disinformazione mediatica ed in strumentalizzazione politica?!?

Ringrazio quel medico che mi ha obbligato a riflettere che siamo anelli di un sistema che non tiene.

E come io, docente, so che non c’è né Azzolina, né Bianchi che tenga, la scuola si sta trascinando verso la fine del secondo anno scolastico a rotoli, così, quel medico, sa che è ora di finirla di raccontare palle sulla sicurezza dei vaccini.

Stiamo andando incontro a mani nude alla pandemia, e chi vivrà, vedrà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Vaccini Panacea di tutti i mali… ma ricordiamoci che da poveri ci si ammala di più…

LE MELODIE DEI CANTORI DEL VIRUS

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Medici: dove sono?

Bestiario del Coronavirus

 




Alimentazione: fiocco Lilla per aiutare.

Verso il 15 marzo 2021, GIORNATA NAZIONALE DEL FIOCCHETTO LILLA.

Anche quest’anno #coloriamocidililla TUTTI INSIEME!

In data 19 giugno 2018, la Giornata del Fiocchetto Lilla è stata finalmente sancita dalla Presidenza del Consiglio e, a partire da allora, il 15 marzo è riconosciuto istituzionalmente come giornata nazionale contro i Disturbi dell’Alimentazione.

(Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, n. 140 del 19.06.2018: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/06/19/18A04218/sg)

La storia.

La Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla è stata promossa per la prima volta nel 2012 dall’Associazione Mi Nutro di Vita (Pieve Ligure – GE).

L’iniziativa parte da un padre, Stefano Tavilla, che ha perso la figlia Giulia a soli 17 anni per bulimia (in lista d’attesa per ricovero in una struttura dedicata) e ricorre il 15 marzo, proprio nel giorno della sua scomparsa.

Lo scopo.

Questa Giornata offre speranza a coloro che stanno ancora lottando e mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei Disturbi del Comportamento Alimentare (D.C.A.): Anoressia, Bulimia, Binge Eating (abbuffata compusiva senza pratiche compensatorie) Obesità, EDNOS (perdita di controllo alimentare), e tante e nuove forme ancora… 

In tutta Italia, in occasione di questa Giornata, vengono organizzati eventi di vario genere: convegni, presentazioni di libri, banchetti informativi, colorazioni lilla di fontane/monumenti, etc.

Gli obiettivi della giornata:

  • difendere i diritti fondamentali di chi è colpito da un DCA, combattendo informazioni distorte e/o pregiudizi;
  • sensibilizzare l’opinione pubblica, facendo conoscere la frequenza, le caratteristiche e le gravi conseguenze che questi disturbi possono avere per la salute fisica e psicologica di chi ne soffre;
  • scoraggiare il distacco ed il disinteresse da parte di chi non è direttamente coinvolto dalla malattia;
  • accrescere la consapevolezza a livello individuale, collettivo ed istituzionale del carattere di epidemia sociale che i DCA stanno assumendo a livello nazionale e mondiale;
  • creare una rete di solidarietà verso chi è colpito da DCA, personalmente o in famiglia, per combatterne il disagio relazionale e il senso di abbandono e sconfiggere l’omertà che accompagna questi disturbi.

La definizione medica di DCA

 

“I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”. (DSM-5)

L’entità del fenomeno.

In Italia sono 3 milioni i giovani che soffrono di DCA, un fenomeno spesso sottovalutato sia da chi ne soffre che dai famigliari, e che costituisce una vera e propria epidemia sociale: il 95,9% sono donne, il 4,1% uomini.

Soffrire di un DCA, oltre alle conseguenze negative sul piano organico, comporta effetti importanti sul funzionamento sociale della persona, con gravi penalizzazioni della qualità di vita; ne limita le capacità relazionali, lavorative e sociali.

Spesso, inoltre, il disturbo alimentare è associato ad altre patologie psichiatriche: oltre, quindi, a provocare un’intensa sofferenza psichica, coinvolge anche il corpo, con serie complicanze fisiche. Tuttavia, solo una piccola percentuale di persone che soffrono chiede aiuto.

La corretta informazione.

Dedicare una giornata-evento ai Disturbi del Comportamento Alimentare significa aumentare l’attenzione della popolazione italiana attorno a queste patologie che utilizzano il corpo come mezzo per comunicare un disagio ben più profondo. 

E’ quindi fondamentale implementare la corretta informazione intorno ai DCA, per facilitare la comprensione dei meccanismi psico-biologici che favoriscono la malattia e diffondere la consapevolezza che questi disturbi possono essere curati attraverso una rete assistenziale orientata all’individuazione precoce del disturbo, tramite l’attivazione di percorsi riabilitativi multidisciplinari specializzati. 

Fondamentali per il successo del trattamento sono, infatti, la diagnosi precoce della malattia ed un intervento tempestivo affidato ad un’équipe di medici specialisti.

 

La testimonianza.

 

“Sono Stefano Tavilla, papà di Giulia, diciassettenne genovese morta il 15 Marzo 2011 per le conseguenze di un disturbo del comportamento alimentare di cui soffriva da tempo, la bulimia, che l’aveva portata nell’ultimo periodo della malattia a richiedere il ricovero in una struttura specializzata al di fuori della Liguria, la sua regione di nascita.

Venne messa in lista d’attesa e in tale stato se ne andò.

Da quel giorno, con tutte le mie forze e con l’aiuto dell’associazione da me fondata, “Mi Nutro di Vita“, desiderai che venisse creata una giornata di sensibilizzazione e aggregazione contro i DCA, partendo con un evento unico a Genova il 15 Marzo 2012. 

Con il passare degli anni, a questa iniziativa si sono unite realtà associative di tutta Italia, per fare cultura sui DCA e lottare tutti insieme, uniti per quello che è divenuto il simbolo di questa Giornata, il Fiocchetto Lilla.

Per la VI edizione della Giornata, in tutta Italia il 15 marzo si sono svolte iniziative ed incontri che coinvolgono associazioni, istituzioni e scuole, per un totale di più di 120 eventi in tutto il territorio nazionale, al fine di sensibilizzare sulla tematica dei DCA.

Proprio in quella giornata sono stati anche distribuiti fiocchetti lilla in Parlamento, per la presentazione

della proposta di legge “D’Ottavio-Pastorino”, con la quale si chiede che il 15 marzo diventi una data nazionale per non dimenticare e che il Ministero della Salute diventi l’organo competente per il coordinamento della Giornata, in collaborazione con le regioni e gli enti locali”.

Il messaggio

Come ha detto Massimo Recalcati ,

”I disturbi del comportamento alimentare non sono disturbi dell’appetito, ma della relazione.

All’esordio di ogni anoressia o bulimia troviamo una ferita.

E questa ferita riguarda soprattutto le relazioni primarie: è una ferita d’amore. È in questo senso che anoressia e bulimia sono malattie dell’amore”.

Dunque, in primis, mai come in questo periodo, alimentiamo la nostra fame di amore, coltiviamo il nostro desiderio atavico di attenzione e di cura verso noi stessi e verso gli altri, cerchiamo in ogni modo di mantenere le nostre relazioni, nutrendo l’anima per saziare il corpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“La Vita è una Scultura” con Sergio Grasso.

Aperitivo in trattoria …

Sono passati trentatré anni dalla sera in cui, in quella trattoria nel trevigiano, aspettando che si liberasse un tavolo, Sergio propose di farci un “cicchetto” al bancone.

Non dimenticherò mai il suo sguardo, quando mi azzardai a chiedere una cola: a distanza di più di tre decenni, al solo ricordarglielo, sgrana gli occhi come alla vista di uno spettro. Divertito però.

Ma torniamo indietro di trentatré e una manciata d’anni.

 

… nella ridente Marca Trevigiana.

Correva l’anno 1976. Le prime Radio private spuntavano qui e lì, come funghi dopo una bella piovuta.

Un giorno mamma portò a casa una bianca Brionvega.

Non mi ci volle molto a scoprire il paradiso, selezionando la modalità “fm”.

Fu subito amore: abbandonai la Barbie e Ken per Radio Marca, un crogiuòlo di talenti vocali tra i quali spiccava, per spessore e autorevolezza, lo speaker Sergio Grasso, allora poco più che ventenne.

Ci sono cose che la ragione non può spiegare. L’istinto invece sì: è “lui” a dirti che qualcuno è lì soltanto di passaggio, che il suo Destino è altrove, e la sua voce sarà udita (quasi) ovunque.

Così è stato.

Trentatré e una manciata d’anni dopo …

… mentre il resto d’Italia è davanti alla tv per godersi la finale del Festival di San Remo, incontro il mitico “Sergione” per una chiacchierata.

Nato a Venezia l’undici dell’undici del cinquantacinque alle ventidue e ventidue – quale esperto numerologo non vorrebbe tracciare il suo profilo? – la vita di Sergio si snoda in cicli della durata di undici anni: giusto il tempo di farsi venire nuove Idee, intraprendere nuove avventure, portare a compimento nuove imprese.

La prima di una serie di tappe che lo avrebbero portato, negli anni successivi, a esplorare il variegato mondo dei media come “voce” e non solo, fu la Radio.

Interviene e puntualizza: “Si dice ‘mèdia’, non ‘mìdia’, visto che deriva dal latino”.

In vena di confidenze, Sergio ammette di aver sempre odiato la sua voce fin da quando, appena undicenne, prendeva lezioni di canto lirico da Mario Del Monaco. Come baritono.

Prosegue raccontando che, quando gli capitava di chiamare l’amichetta per chiederle di uscire … se rispondeva lei, tutto bene. Se invece rispondeva il suo papà, Sergio si spacciava per suo padre e a quel punto, cominciava la commedia degli equivoci.

Alla fine, malgrado i paradossi, ad averla vinta è l’Esistenza: ovunque Sergio ha messo piede – alla radio, in studio di registrazione, in sala di doppiaggio, alla tv e in teatro – rimane l’eco del suo “vocione”, le emozioni che ha trasmesso, il piacevole ricordo di chi lo ha apprezzato come Speaker, Doppiatore, Autore, Attore, Regista Teatrale …

 

Una Voce, una Penna e un’ardente Passione per la Cultura del Cibo.

Ecco i tre ingredienti della magica Ricetta di una Vita che è sempre un work-in-progress! O, per dirla all’italiana, un “lavori in corso”!

Di Sergio ho sempre ammirato il coraggio di superare i limiti imposti da ogni “ruolo”, da lui già incarnato con successo.

Di persone eccellenti in ciò che fanno ne incontriamo, nella vita. E non importa se, nel tempo, si appassioneranno ad altro: la tentazione, per l’attore, è continuare a crogiolarsi sugli allori del passato. Lo spettatore invece si addormenta, certo che il proprio beniamino sia “quel che ha già  fatto” e più nient’altro.

Ma torniamo a Sergio.

Nei primi Anni Novanta, la sua vena artistica incontra e si fonde con quella di Alchimista dell’Arte Culinaria, Filosofo del Gusto e della sua Storia, Antropologo alimentare, Amante dei prodotti tipici e della Cultura che li ha generati – Storia, Geografia, Usi e Costumi, Tradizioni, Arte, addirittura Archeologia – cogliendone i significati rituali e sociali.

Ed ecco entrare in gioco l’esperienza, fino a quel momento maturata in teatro: il carisma dell’attore, la colta creatività dell’autore e la leadership del regista, fanno di lui l’ospite televisivo perfetto, il giudice imparziale disposto a giocarsi l’approvazione dell’audience, pur di non scendere a compromessi con i “Cuochi d’Artificio” (i personaggi costruiti a tavolino dal “sistema”: più divi e “influencer”, che veri cuochi).

Nel frattempo, la sua fama di esperto di storia sociale del cibo e dei costumi alimentari, varca i confini d’Italia e si spande per il mondo, come profumo di pane appena sfornato.

Per lui, infatti, gli alimenti sono più che “nutrienti”: sono “marcatori culturali”!

In altre parole: il cibo di un Popolo ne rappresenta l’Identità, la Cultura, la Civiltà. Non rimane che metterci a tavola e assaggiarlo, per conoscere davvero la Nazione che ci ospita!

 

Un Curriculum lungo una vita.

Come è facilmente intuibile, le sue aree di interesse più importanti sono: Cibo, Cultura, Civiltà antiche e moderne, Arte, Storia, Geografia, Viaggi, Archeologia, Antropologia alimentare …

Dal suo profilo – aggiornato con cura dall’Ufficio Stampa – estraggo i ruoli da lui rivestiti nei momenti più salienti della sua carriera, ancora in pieno svolgimento.

Il mio elenco, sommario e incompleto, rende l’idea di chi sia il professionista “Sergio Grasso”: speaker radiofonico e pubblicitario; doppiatore cine televisivo; autore e conduttore televisivo; autore e interprete di monologhi legati all’arte, alla storia e all’alimentazione; regista e attore teatrale; documentarista; food-writer; docente universitario; ricercatore e membro di commissioni scientifiche e tecniche; antropologo e consulente alimentare; esperto di gastronomia e merceologia; giudice tecnico e “mentore” del programma “La Prova del Cuoco”; autore e coordinatore dei contenuti antropologici e agronomici del reality “La Fattoria 1870”; animatore di manifestazioni enogastronomiche; curatore della progettazione e realizzazione di eventi gastronomici legati alle rappresentazioni del cibo nell’arte; scrittore, editore, pubblicista …

L’elenco potrebbe continuare, ma mi fermo qui.

Come una lista della spesa non può esprimere un pranzo preparato con amore, da gustare con gli affetti a noi più cari … un curriculum da solo non basta a raccontare la bellezza e il valore di un Essere Umano.

È stata una piacevole chiacchierata, quella di venerdì 5 marzo con Sergio Grasso, perché si è parlato un po’ di tutto.

Ne è uscito il ritratto di un Uomo coerente con se stesso e con i propri Valori; un uomo che, piuttosto che tradire ciò in cui crede, ringrazia con garbo, saluta e se ne va per la sua strada.

Il suo Viaggio dell’Eroe è tuttora in corso.

Verso la fine del nostro incontro, Sergio accenna a interessanti novità delle quali, “per scaramanzia”, preferisce non parlare.

Prima di accomiatarci, mi mostra con fierezza i “santini digitali”: le foto di Shanti, la sua adorata nipotina.

Di lui, questa bellissima bambina ricorderà che “… se l’ha avuto, un nonno, è già una fortuna; che il nonno scherza, ride e la fa ridere, le morde il sederino …”

La sua eredità per lei, la frase-mantra è: “Aspettati poco dagli altri: quel che ti serve nella vita, è già dentro di te”.  

E ancora: “La vita è una scultura, non una pittura: la pittura si fa aggiungendo delle cose su una tela bianca; la scultura, invece, si fa togliendo della materia per tirar fuori quel che c’è ‘dentro'”. La nostra vera Essenza!

Questa intervista è un’altra gemma preziosa incastonata nel Progetto di valore sociale “Ondina Wavelet World”, il Progetto multimediale che ha per Scopo la creazione di una Cultura basata sulla consapevolezza del Potere creativo delle nostre Parole.

E quando le Parole che pensiamo, diciamo e agiamo in coerenza, coincidono con i veri Valori dell’Uomo, possiamo dar vita, tutti insieme, a un mondo bellissimo.

Per partecipare iscriviti al Canale YouTube “Jasmine Laurenti” e, se i contenuti risuonano con te, fai del Progetto il “tuo” Progetto, abbonandoti al Canale stesso.

Ecco il video e il podcast della stupenda chiacchierata con “Sergione”.

Alla prossima!

Con Amore,

la vostra Eroina acquatica Ondina Wavelet (Jasmine Laurenti).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




L’isolamento al tempo del Covid: il congelamento della volontà di cambiamento

La natura dell’uomo, quando sussiste un buon equilibrio psichico, è sempre proiettata verso la socializzazione.

Con l’avvento della pandemia assistiamo invece ad un cambiamento radicale che prevede l’imporsi di un orientamento per la sopravvivenza rivolto all’isolamento.

Assistiamo dunque a quella che potremmo definire una “costrizione della vita collettiva”.

La vita collettiva porta in sé la possibilità di condividere esperienze fondamentali che rafforzano i processi di adattamento e di sicurezza essenziali per l’essere umano. In questo momento della nostra esistenza sono venuti meno questi capisaldi insostituibili per il benessere psico-fisico della persona.

La volontà, che ha sempre supportato l’uomo nell’accompagnarlo attraverso il passaggio da uno stato di malessere ad uno di benessere, è venuta meno e il nostro vissuto di inferiorità sembra essersi rafforzato.

Come afferma lo psicologo e medico Alfred Adler, il cui pensiero sembra di grande attualità ai tempi del Covid, nel suo testo “La conoscenza dell’uomo”: “La volontà indica la disponibilità al passaggio da uno stato di insufficienza ad uno di sufficienza.

La possiamo immaginare come una linea che ci poniamo davanti a noi e che ci proponiamo di seguire.

Ogni manifestazione di volontà subisce l’influenza del sentimento d’inferiorità e d’insicurezza e assieme stimola il perseguimento di uno stato di liberazione, di soddisfazione”.

Da più di un anno viviamo questo sentimento di malsicurezza in cui la volontà di un cambiamento individuale e a cascata collettivo sono congelati e hanno lasciato spazio all’isolamento che può portare con sé anche uno stato d’angoscia.

Tutte le fasce d’età, dai più giovani agli anziani, hanno forzatamente dovuto omologare il loro modo di vivere, rispettando delle regole uguali per tutti e necessarie per vivere.

Se prima del Covid ognuno aveva i suoi luoghi di appartenenza per la condivisione della socializzazione, oggi tutto ciò è venuto meno lasciando spazio solo ad un surrogato di vita sociale che avviene attraverso collegamenti virtuali.

Chi poi non ha imparato a beneficiare dell’opportunità fornita dai mezzi informatici sarà sottoposto ad un processo di isolamento forzato ancor più grave.

Possiamo supporre che chi per caratteristiche di personalità manifesta tratti del carattere orientati all’isolamento, e pensiamo alle persone per natura introverse, poco loquaci e distanti, in questo caso la vita sarà meno problematica rispetto a chi per tratti di personalità si presenta invece aperto, cordiale ed estroverso.

Il forzato isolamento ha innescato dinamiche spesso difficili da gestire e la paura per il virus ha sviluppato timore sia per il mondo esterno sia per quello interno al proprio sistema famigliare.

Stati d’angoscia e conflitti si stanno osservando nei sistemi famigliari e paradossalmente l’isolamento sociale da Covid ha portato ad un obbligo forzato di condivisione sociale di spazi fisici che influenzano poi la relazione armonica in ambito famigliare.

Si è spezzato con il Covid il legame tra singolo e collettività, lasciando spazio ad un’angoscia che potrà essere superata solo con il re instaurarsi di un legame fisico ed emotivo possibile solo in presenza e non in remoto.

In ognuno di noi è presente la “volontà di cambiare” ma dobbiamo attenderne lo “scongelamento” in quanto il virus è molto potente e ci sta impedendo le progettualità legate al sociale.

 




OSCAR: “PERSA UNA GRANDE OPPORTUNITA’ AL FESTIVAL DI SANREMO”

 

Lo scorso anno in piena prima ondata pandemica abbiamo intervistato Oscar Giammarinaro degli Statuto (BetaPress.it – EZIO BOSSO, UNO DEI MODS: Intervista a Oskar degli Statuto) che ci ha raccontato della grande amicizia con Xico, il Maestro Ezio Bosso.

Dopo la prima serata del 71° Festival della Città dei Fiori, ho commentato in un post FB quel che pensavo: Maneskin bel riff e GRANDE Willie Peyote! Tutto il resto… il solito clichè! Dispiace che il mitico Oskar degli Statuto non sia stato ammesso con un pezzo in onore del grande Xico (Ezio Bosso)!

Desidero ora condividere e pubblicare integralmente il pensiero d Oscar postato sulle sue pagine Social.

PERSA UNA GRANDE OPPORTUNITA’ AL FESTIVAL DI SANREMO

Considero totalmente riprovevole, incomprensibile, triste e avvilente che su ben cinque serate di trasmissioni del Festival della Canzone Italiana, durate almeno quattro ore ciascuna, non sia stato trovato il tempo per ricordare anche solo con una frase, un pensiero, un’immagine il Maestro Ezio Bosso, uno dei più grandi compositori contemporanei che nel 2016 aveva illuminato e impreziosito il palco del Teatro Ariston con un’esibizione rimasta unica nella storia per coinvolgimento, emozione e umanità. Ezio Bosso, con il suo sorriso, la sua sensibilità, il suo coraggio seppe dimostrare in pochi minuti che davvero “tutto è possibile”, regalando forza, speranza e amore a tante persone,specialmente a quelle in difficoltà.

Ezio Bosso, compositore strabiliante e geniale, direttore d’orchestra e anche pianista, arrivò dritto nel cuore degli Italiani con parole sublimi (grazie anche alla eccellente professionalità di carlo Conti) e un’esecuzione struggente che,oggettivamente, è rimasta una delle perle migliori di tutte le edizioni del Festival. Escludo problemi “aziendali”, in quanto la RAI ha dato a Ezio Bosso molto spazio e programmi prestigiosi in date e orari fondamentali e ricordo, commosso, la sua ultima intervista rilasciata proprio all’amico Fausto Pellegrini su Rainews 24,poco prima della sua scomparsa. Non mi permetto di esprimere valutazioni artistiche, musicali o televisive sulla qualità del 71°Festival della canzone italiana,non ne ho alcun interesse e neanche le competenze necessarie, ma esprimo sdegno per non aver sentito o visto il nome del musicista che ha portato l’eccellenza musicale italiana nel mondo proprio in quel programma in cui la musica è, comunque, la parte più importante e che Ezio Bosso aveva deciso di valorizzare, esibendosi al pianoforte.

Quello che è il programma TV più visto, ha perso una grande occasione per dar lustro a quello che, nonostante tutto, dovrebbe continuare ad essere un servizio pubblico.

 

 

 

PERTH

 

 

 

 

 

 

EZIO BOSSO, UNO DEI MODS: Intervista a Oskar degli Statuto.

Festival di San Remo, ultima fortezza del monopolio della Musica!

Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

 




Per quella Donna …

E’ patetico e ridicolo aspettare l’8 marzo per festeggiare la donna, per di più quest’anno.

Io voglio solo celebrare la vita di ogni donna, in quanto tale, ma soprattutto ricordare tutte quelle donne che, dall’8 marzo del 2020, ce l’hanno fatta, che sono sopravvissute a quest’ultimo anno di vita.

A queste donne dedico il mio articolo, non sono donne inventate, io le ho incontrate.

Per quella donna, psicologa in pensione, da sempre impegnata nel sociale, che ad 84 anni suonati, fa ancora volontariato, per aiutare le altre a reagire.

Per quella donna il cui marito fa una “sosta extra”, ogni sera, dopo il lavoro; lei lo sa, ma lo aspetta, comunque, cullando l’illusione che cambierà.

Per quella donna che crede nella vita e piange la perdita di una gravidanza che nessun altro conosceva.

Per quella donna che guarda sempre avanti, anche se, proprio i suoi cari, marito e figli, vorrebbero farla tornare indietro, perché temono il suo percorso di libertà.

Per quella donna licenziata, per l’ennesimo ritardo, perché sveglia da troppo tempo, con un bambino autistico che non dorme mai.  

Per quella mamma single, che già non sapeva come pagare le bollette di ogni mese, e, adesso, ha pure le spese in più, per il tablet ed i giga del figlio in dad

Per quella donna che ha due lauree ed un master, ha provato e riprovato a partecipare a diverse selezioni del personale, nei test psico attitudinali è sempre la migliore, ma in sede di colloquio perde punti, perché, si sa, nell’ organigramma aziendale, “una donna in età fertile è un problema per la società”.

Per quella donna che ancora non si è perdonata per l’aborto avvenuto 20 anni fa, perché, per tutti in paese, se l’era cercata, e lei non ce l’ha fatta.

Per quella donna anziana, davanti a me al supermercato, ha comprato ali di pollo, passata e pastina, guarda gli altri e si vergogna, mentre conta le monete.

Per quella donna che apre la porta alla notizia della morte del marito, all’estero, tre settimane prima del suo ritorno a casa.

Per quella donna che soffre di ansia, mangia fino a scoppiare, ma nessuno capisce cosa la fa stare così male.

Per quella donna che dà alla sua famiglia tutta sé stessa, ogni giorno, ed avrebbe solo bisogno di una pausa.

Per quella donna che sorride agli estranei tutto il giorno in pubblico, ma piange silenziosamente ogni notte.

Per quella donna che voleva farla finita, ma ha trovato la forza per continuare.

Per quella donna che ogni notte dorme accanto ad uno sconosciuto, solo perché è pur sempre il padre dei suoi figli.

Per quella donna la cui genetica non le permetterà mai di sembrare alle altre, a quelle delle riviste, e non capisce quanto ci sia bisogno di lei, così com’è.

Per quella donna che sopporta una relazione interrotta dopo l’altra, perché nessuno le ha insegnato cos’è l’amore.

Per quella donna che alleva una figlia senza padre e prega che la storia non si ripeta.

Per quella donna che ama con tutto il cuore il vecchio padre malato d’Alzheimer e che ha un disperato bisogno di essere riconosciuta da lui.

Ecco, per queste donne ha senso festeggiare non un giorno, ma ogni giorno.

E mi piacerebbe pensare che, a partire da quest’anno, si incominci a festeggiare non la donna o l’uomo.

Ma la persona, in quanto essere pensante, libero, capace di agire e di reagire, di lasciare il segno, con la sua unicità.

Mi piacerebbe pensare che, imparando da questi nostri ultimi giorni non si divida più il genere umano in uomini e donne, ma in persone, di spessore e di valore da una parte, ed ignavi maschi o femmine che sia, (ma pur sempre amorfi ed insulsi) dall’altra.

 




Draghi e McKinsey: attenti a quei due.

Draghi chiama McKinsey per aiutarlo a scrivere il recovery plan.

Questa è la notizia, così almeno titolano gran parte dei quotidiani in questi giorni.

Ma la vera notizia non è questa, questo è il fatto, la notizia che ci colpisce e salta all’occhio, ameno al nostro è: Perché?

Senza nulla togliere al nostro Mariuccio, e senza nulla togliere al nostro McKinseino, la domanda è proprio ma perché?

possibile che in un paese con fior fiore di università, centri di ricerca, scuole di management ci volesse proprio una società di consulenza Americana?

Possibile che in un paese come questo non fosse possibile mettere assieme tre/quattro università e farle lavorare bene?

Possibile che con il MEF che abbiamo pieno di tecnici e di specialisti ci volessero gli americani?

Ma poi con tutte le società di consulenza che ci sono al mondo, perché proprio McKinsey?

e poi non esiste un codice degli appalti nella pubblica amministrazione? a si, scusate, questo è un contratto sotto soglia, AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH, per non dire altro.

Però McKinsey è McKinsey, casualmente la stessa che Banca d’Italia, che ricordiamolo Draghi ha gestito per anni, ha da sempre “suggerito ” alle banche del nostro paese, se lo dice McKinsey … e le banche a dare fior fiore di progetti e di soldi a questa società di consulenza strapagata e francamente inutile visto come sono finite le banche italiane, il tutto per far contenta banca di Italia.

Chiamare Mck era anche un’abile scusa per i manager, così non si assumevano nessuna responsabilità, se lo dice McKinsey, era il mantra di tutti, banca d’Italia compresa.

Peccato che nel 2002 Enron colò a picco assieme ad Arthur Andersen, e chi erano i consulenti strategici???

Persino Banca delle Marche, piccola banchetta ormai fallita ed inesistente, si era affidata a McK per la sua pianificazione commerciale …

Bei Risultati.

E chi avrebbe dovuto chiamare il nostro Mariuccio Draghi se non la società che ha tanto aiutato banca d’Italia a riposizionare così bene il mondo bancario italiano?

Ma chi poteva chiamare Mariuccio Draghi calcolando che McK ha messo i suoi uomini in infinite posizioni chiave di tutti i paesi?

e già, e chi poteva chiamare …

Invito tutti, per un momento di riflessione, a rivedere lo studio “Concept 1992” di McK .

Ma secondo voi una società di consulenza privata come ridisegnerà il recovery plan, ed in favore di chi? di chi gli paga la consulenza? di chi gli assume i manager per metterli in posizione chiave (Colao insegna)? chi favorirà McK tra aziende che le passano soldi con contratti milionari e aziende che non sono clienti?

Siamo sicuri che non c’è nemmeno un poco di conflitto di interessi?

una società di consulenza che suggeriva agli stati di abolire il welfare può fare il bene dei cittadini?

Ma veniamo ora ai partiti che su questo tema stanno facendo melina.

Il PD, ma come fa il PD, ma anche gli altri, a non dire nulla???

Ma Voi cari lettori li votate ancora? li voterete?

Se mai si tornerà più a votare ovviamente, perché a me tutte queste situazioni fanno pensare che i nostri governanti ci ritengano ormai un paese di deficienti completi, tanto che non ci fanno più votare, non valutano l’eccellenza italiana quando devono fare scelte e così via.

Certo che se poi nei comitati tecnico scientifici si mettono solo gli amichetti di partito o gli inutili per poterli manovrare allora certo che la figura degli italiani non viene benino.

Però tranquilli il MEF chiarisce, solo supporto tecnico, ma ci prendete davvero per cretini????

“Gli aspetti decisionali, di valutazione e definizione dei diversi progetti di investimento e di riforma inseriti nel Recovery Plan italiano restano unicamente in mano alle pubbliche amministrazioni coinvolte e competenti per materia. L’Amministrazione si avvale di supporto esterno nei casi in cui siano necessarie competenze tecniche specialistiche, o quando il carico di lavoro è anomalo e i tempi di chiusura sono ristretti, come nel caso del Pnrr. In particolare, l’attività di supporto richiesta a McKinsey riguarda l’elaborazione di uno studio sui piani nazionali Next Generation già predisposti dagli altri paesi dell’Unione Europea e un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano. Il contratto con McKinsey ha un valore di 25mila euro +Iva ed è stato affidato ai sensi dell’art. 36, comma 2, del Codice degli Appalti, ovvero dei cosiddetti contratti diretti ‘sotto soglia’. Le informazioni relative al contratto saranno rese pubbliche, come avviene per tutti gli altri contratti del genere, nel rispetto della normativa sulla trasparenza”.

Cretini, ci prendono per cretini.

Ma se tu fai passare un anno senza fare una mazza di nulla è ovvio che poi i tempi li hai stretti, ma quali competenze tecniche specialistiche non ha il mef, questo mi preoccupa, non ha le competenze per fare questo lavoro???

ma chi sono??? degli ignoranti??? e cosa ci stanno a fare al MEF???

NO, la verità è un’altra, ci prendete per cretini.

Ma questo non era il governo migliore scelto da Draghi in persona, senza se e senza ma, a che serve McK?

Ma qualcuno non aveva detto che una buona squadra di governo riscrive il recovery in tre giorni?

Basta vedere sulla pandemia covid 19, un anno passato e siamo peggio di prima, DAD ritornata, blocchi totali, aziende che falliscono, aiuti zero, soldi buttati, commissari sostituiti, mascherine inutili, forse c’era altro da fare?

Cretini, ci prendono per cretini!

Ma noi non lo siamo, questo sarà opportuno che ve lo ficchiate in testa, perché l’italiano magari si fa anche prendere per cretino perché gli fa comodo, ma qui voi state facendo l’errore di fare in modo che agli italiani non stia più comodo niente.

E questo è un grave errore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Corrado Faletti

 

 

 

 

 

 




L’influsso del Covid sulla gestione del tempo

Quando si introduce il tema del tempo non si può prescindere dal pensare a come la tecnologia abbia alterato i ritmi naturali della vita producendone di artificiosi.

Proprio in questo periodo di pandemia la dimensione di vissuto temporale dell’uomo ha subito delle modificazioni importanti.

Già da quando nasciamo, impariamo a mediare i nostri ritmi interni biologici, fisiologici e fisici con quelli esterni rappresentati dalle stagioni, dal giorno e dalla notte.

Ognuno di noi è in grado di organizzare la propria esperienza all’insegna di tre dimensioni che comprendono il passato, il presente ed il futuro e, a questo proposito, parliamo di orizzonte temporale.

Oggi siamo spinti dalla situazione di emergenza a vivere prevalentemente nel presente con un rimpianto per il passato, che sempre più apprezziamo rispetto ad un futuro caratterizzato da incertezza.

Al tempo del Covid più che dalla speranza siamo guidati da un profondo senso di paura in quanto ancora non sappiamo se riusciremo a recuperare il tempo perduto.

Riprendendo il pensiero di Gurvitch, prima della pandemia la nostra vita sociale scorreva in tempi multipli sempre divergenti e spesso contraddittori. L’autore parla infatti di tempo a lunga durata, di tempo in ritardo o in anticipo su se stesso, di tempo al rallentatore, di tempo ciclico, di tempo d’alternanza fra ritardo ed anticipo, di tempo delle comunicazioni creatrici.

Oggi questa dimensione temporale multipla è in crisi e siamo tutti proiettati su un tempo al rallentatore in quanto siamo bloccati nella possibilità di recuperare le nostre attività in quella dimensione del reale che prepotentemente è stata sostituita dalla realtà virtuale.

Oggi viviamo il tempo della connessione, un tempo che ha sottratto tempo alla dimensione temporale tradizionale.

Stiamo tutti soffrendo di questa situazione che ha coinvolto le varie fasce di età, dai più giovani ai più anziani.

La crisi del tempo riguarda sia gli aspetti qualitativi che quelli quantitativi.

Il tempo quantitativo è quello dell’orologio, il tempo qualitativo è invece quello legato ad eventi significativi per la vita dell’individuo e della collettività.

Purtroppo da più di un anno siamo limitati nelle nostre progettualità e sperimentiamo un forte senso di incompletezza che ci immerge in un tempo caratterizzato da incertezza.

Il tempo dell’incertezza è il tempo della pandemia che ha portato ad un isolamento sociale senza precedenti del nucleo famigliare.

Ma anche all’interno di quest’ultimo si sta creando l’isolamento tra i vari componenti dello stesso ed ognuno ha deciso di organizzare la quotidianità secondo i suoi ritmi.

Ci si può sentire autorizzati a star svegli di notte e a dormire di giorno in quanto viene meno la quotidianità scandita da orari precisi che determina l’impegno di ciascuna persona nella vita.

La noia può diventare una dimensione del tempo durante la pandemia e questo può indurre molte persone a sviluppare sintomi depressivi che potrebbero portare all’annullamento del tempo.

La pandemia ci ha fatto dunque rivisitare il concetto di organizzazione del tempo e, se prima tutto era scandito dall’agenda ed avevamo programmato ogni minuto della nostra giornata, oggi viviamo un tempo disorganizzato ove si possono confondere vita privata e lavorativa.

 

 

 

 

 

 

 

 




I CONTI TORNANO…

Lo scenario politico italiano si consuma ormai nei dejà vu e nelle notizie scontate.

Così, il ritorno sulla scena dell’ex premier Conte chiamato a rimettere in piedi le macerie del Movimento 5 stelle, riporta di attualità il forte attaccamento delle casta alle poltrone ed ai privilegi anche quando alle posizioni di potere vi si è arrivati dai percorsi costellati di rissosi insulti gridati brandendo la bandiera dell’antipolitica e del governo dei puri.

Un giudizio sulla scelta di Conte a pochi giorni dalla sua estromissione dalla guida del governo non sarà, tuttavia, oggetto di trattazione in questa sede anche se una sua pausa di riflessione un po’ più lunga sarebbe stata più elegante e maggiormente in linea con il profilo di garanzia che si è più volte voluto attribuire.  

Il punto che, invece, deve far riflettere riguarda i compiti a cui è stato chiamato l’avvocato del popolo.

L’idea, cioè, del Ministro di Maio, sempre più isolato, del signor Grillo e del comunicatore Casalino, di puntellare il Movimento 5 Stelle attraverso una transizione verso una forma strutturata di partito nell’alveo non già della tradizione socialista ma di quella liberale e democratica.

Un’affermazione espressa maldestramente da Di Maio che è passata quasi del tutto inosservata.

L’operazione in atto non deve spaventare per la superficialità dei suoi leader, la confusione dei suoi contenuti e il livello dei suoi obiettivi.

C’è un dramma più ingombrante.

Quello dell’inquinamento della politica italiana già alle prese con istituzioni rappresentative già provate dalle sempre maggiori iniezioni di democrazia diretta poste in essere da movimenti on line, reti social e dalle cifre della comunicazione a colpi di twitter.

L’idea della politica al servizio del bene comune suona strana e sul cammino di Draghi fanno capolino i fantasmi di una campagna elettorale di fatto già iniziata e che potrebbe essere, ancora una volta, sostenuta da programmi populisti ed orientata dal sensazionalismo degli annunci.

Sequenze che ricorderanno sempre di più la parodia dell’attore Antonio Albanese con il suo personaggio politico “Cettolaqualunque”.

Non sarà facile infatti districarsi nella scacchiera della politica dello schieramento progressista che metterebbe in campo le diverse anime del PD, Renzi ed i renziani, il nuovo partito di Conte e magari la parte espulsa dei parlamentari pentastellati anch’essi  tentati di formare un nuovo partito con o senza Di Battista.

Il limite della politica italiana in questo momento è proprio nella partitocrazia, fenomeno teorizzato nella prima repubblica ma di intatta carica espressiva anche nella fase attuale.

Il rischio è che in un mondo sempre più liquido dove i valori perdono di valenza e le ideologie di contenuti, la gestione del potere venga assunta da “partiti impresa” gestiti con mere logiche di consenso da valorizzare nel breve termine senza alcun riguardo al bene comune.

Non ci sarà da meravigliarsi se il dibattito politico riprenderà ben presto il tema della riforma elettorale per un sistema proporzionale puro che garantisca l’accesso in parlamento al più alto numero di rappresentanze territoriali per buona pace della governabilità e della semplificazione del sistema istituzionale e politico.

Il timore in conclusione è che la politica italiana potrebbe essere inadeguata ad interpretare le sfide che attendono il sistema Italia ancora in piena urgenza virale con il risultato di vedere ancora ampliato il distacco tra il paese legale e quello reale.

La domanda, in questo contesto, se il Governo Draghi riuscirà a portare avanti il piano vaccinale e le riforme non più rimandabili, resta di pungente attualità e purtroppo i dubbi prendono sempre più il posto delle certezze.

 

 

LA REDAZIONE DI BETAPRESS