Un desiderio irrefrenabile di acquisti online

In alcuni momenti di crisi può succedere di mettere in atto delle modalità compensatorie per placare il disagio.

La nostra mente ci aiuta a gestire l’ansia attraverso la soddisfazione di desideri, uno  dei quali, molto comune tra le persone, è quello di possedere abiti, scarpe, borse, trucchi,  gioielli, oggetti d’arredo, libri, quadri ed altro.

Prima dell’avvento di internet, pur essendo presente questa ambizione, era più  complesso poterla soddisfare nell’immediato mentre oggi le opportunità di acquisto sono molto più celeri in quanto attraverso internet abbiamo accesso 24 ore su 24 a qualsiasi tipo di prodotto. È dunque possibile selezionare diversi negozi avendo  l’illusione di potere risparmiare.

L’acquisto online tende ad azzerare le dimensioni spazio-temporali in quanto alla persona viene offerto un “luogo virtuale” nel quale il prodotto in vendita è reso  accattivante da numerose informazioni e stimoli spesso di tipo subliminale.

Lo shopping compulsivo online ha in comune con quello che avviene fisicamente la tensione ed il bisogno irresistibile che si placano solamente con l’acquisto  dell’oggetto del desiderio.

Ciò che muta è la modalità d’acquisto ed una caratteristica importante è legata al  fatto che la persona può possedere ciò che desidera senza essere giudicata.

In passato già lo psichiatra tedesco Emil Kraepelin si era occupato del fenomeno  dell’acquisto compulsivo che identificò con il termine “oniomania”.

Oggi lo shopping compulsivo viene definito come un comportamento d’acquisto che  il soggetto sperimenta a causa di un bisogno irrefrenabile ed urgente di comperare.

Accade spesso che ciò che si è acquistato sia un qualcosa di inutile e la persona ne è  consapevole ma non riesce a farne a meno. Si innesca un comportamento ripetitivo nel tempo che può giungere a provocare e a causare danni alla vita relazionale, sociale, lavorativa ed economica.

Anche se la persona sostiene di voler interrompere questi comportamenti disadattivi, numerosi sono i tentavi fallimentari osservati.

Proviamo ora ad immedesimarci nella persona che di abitudine mette in atto comportamenti di shopping compulsivo.

Cosa prova?

Innanzitutto si sente pervasa da un senso di urgenza che era stato anticipato da sensazioni di noia, ansia, rabbia; segue poi la pianificazione dell’acquisto che prevede la selezione dei negozi da visitare; scelto il negozio il soggetto inizia a comperare oggetti che sente attraenti e riguardo ai quali sostiene di non potervi rinunciare.

Gli acquisti sono sempre accompagnati da una forte sensazione di euforia che in breve si trasforma in senso di colpa e frustrazione.

Perché ci si sente in colpa?

La riflessione prioritaria è che si è speso più di quanto ci si poteva permettere.

L’episodio di shopping compulsivo è sempre accompagnato da stati emotivi intensi.

L’infelicità sembra essere una tra le cause più attendibili della predisposizione allo shopping compulsivo e sono soprattutto le persone infelici che riescono a trasformare, acquistando, i propri sentimenti negativi in fittizi sentimenti positivi.

Tra le varie teorie che hanno cercato di analizzare il fenomeno dello shopping compulsivo riteniamo opportuno riflettere su quella psicosociale che sottolinea alcuni aspetti collegati alla distorsione dell’autonomia. In pratica sembra che le persone che non si sentono autonome si attivino per sfuggire all’impotenza che le caratterizza proprio attraverso l’azione del comprare.

Altrettanto interessanti e degne di  nota sono le teorie psicodinamiche che accennano al tema della seduzione infantile. In quest’ottica pare che l’atto dell’acquistare permetta di superare il senso di inadeguatezza sperimentato già a livello dell’infanzia. Sempre secondo le suddette teorie la causa potrebbe essere riconducibile al tema freudiano della castrazione femminile. Ulteriore causa potrebbe anche essere la rottura del legame con una persona di riferimento significativa nella vita dell’individuo.

Un basso livello di autostima è la caratteristica più comune tra chi soffre di shopping compulsivo.

Possiamo ritenere che lo shopping via internet venga utilizzato per sollevarsi dal dolore e sentirsi autonomi .

È stato osservato che chi soffre di shopping compulsivo ricerca l’acquisto per provare sensazioni forti.

L’acquisto compulsivo può portare ad un disturbo da accumulo, che si esprime nel  bisogno insaziabile di possedere il maggior numero possibile di quegli oggetti sui  quali ci si è fissati.

Sono noti a tutti gli accumulatori di scarpe il cui bisogno insaziabile può sfociare  nel      disturbo psicologico denominato “shoeaholic”.

Gli accumulatori di oggetti sono disposofobici e tendono ad accatastare negli  ambienti in cui vivono oggetti senza mai disfarsene. Queste persone possono  invadere tutte le stanze delle loro abitazioni con libri, vestiti, oggetti vari. Non leggono quei libri, non indossano quegli abiti, non utilizzano quegli oggetti .

Oggi gli acquisti online riguardano anche oggetti importanti. Possiamo notare come molte persone lascino fluire il loro bisogno compulsivo di collezionare opere d’arte.

Più l’oggetto è costoso maggiore sarà la gratificazione.

Riteniamo che il desiderio inarrestabile di acquisti online sia alimentato oggi dalla facilità di accesso ad internet che offre anche la possibilità di partecipare ad aste virtuali. Utilizzare carte di credito per i pagamenti rafforza inoltre la condotta compulsiva e facilita l’acquisto.

Se analizziamo artisti geniali, possiamo ritrovare spunti di fissazione sugli oggetti nelle loro opere d’arte.

Van Gogh ad esempio dipinse un numero rilevante di quadri dedicati alle scarpe.   

Interessante è anche l’arte seriale dove lo stesso soggetto viene ripetuto in quadri diversi all’infinito, e magari più volte nello stesso quadro, e a questo proposito pensiamo ad Andy Warhol quando ripropone in modo ossessivo le sue lattine di zuppa Campbell.

 

L’ossessione è ben espressa da Dino Buzzati in una frase tratta dal suo libro “Il colombre e altri cinquanta racconti”: “Navigarenavigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l’impazienza di ripartire”.

 

Così chi soffre di shopping compulsivo online acquista navigando in internet, si ferma un attimo ma il suo desiderio è quello di ripartire subito perché la compulsività  non gli lascia tregua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Norvegian Wood: ma non parliamo di Beatles…

Norwegian Wood è uno di quei libri che trovi in ogni libreria.

Ti corteggia dallo scaffale, ma tu sei combattuto tra la fiducia verso il mondo giapponese (se sei un amante delle sue arti già da prima) ed il dubbio per la sua onnipresenza che potrebbe essere sintomo di prevedibilità.

Il mio combattimento è terminato con un compromesso e, non conoscendo altre opere di Murakami Haruki, me lo sono fatta prestare.

Ho fatto bene.

La trama.

Watanabe Toru, ormai trentasettenne, sta arrivando in Germania con l’aereo.

Pochi istanti dopo l’atterraggio gli altoparlanti del velivolo cominciano a diffondere a basso volume “Norvegian Wood” dei Beatles.

Watanabe si sente male, un’intensa malinconia e nostalgia lo costringono a ricordare eventi e persone che popolarono i suoi anni giovanili, in particolare un periodo che va dal 1968 al 1970, mentre frequentava l’università a Tokio.

Attraverso un lungo flashback che comprende tutto il romanzo, Watanabe ripercorre quegli anni e il ricordo diventa concreto, diventa una nuova realtà da rivivere con gli occhi della mente e dell’emozione, ormai adulte.

Una persona in particolare ritorna subito alla memoria: Naoko, ragazza bellissima e pericolosamente fragile, della quale Watanabe si era innamorato.

I due si rivedono per caso per le strade di Tokio mentre stanno frequentando il primo anno di università: non si erano più incontrati dal funerale di Kizuki, migliore amico di lui e fidanzato di lei, morto suicida a soli 17 anni.

Iniziano così una frequentazione, durante la quale Watanabe si innamora sempre più di Naoko, più intensamente quanto più lei mostra i sintomi di un disagio psicologico che si fa sempre più grave, fino a diventare vera e propria malattia mentale.

Quando Naoko si allontana per questi motivi, Watanabe conosce ed inizia a frequentare un’altra ragazza, Midori.

Midori è completamente diversa da Naoko, anche lei ha sofferto parecchio nella sua giovane esistenza, ma è molto più vivace, vitale e disinibita.

Evidentemente, in questi termini, il libro non ha dei contenuti strepitosi, inauditi, la trama, di per sé, non ha nulla di nuovo.

Eppure, c’è una potenza, una forza che agisce tacitamente, che fa sì che ogni volta che lo apri, non lo chiudi, se non ne hai letto almeno cento pagine per volta.

Subito si coglie lo stile unico dell’autore, badate bene: non migliore, ma personalissimo.

E anche se troverete dei dialoghi infiniti, continuerete imperterriti nella lettura, perché, Murakami, prima di farvi avere i “fatti”, vi farà sudare.

E quello che accadrà, sarà esattamente quello non previsto, non calcolato.

Nel racconto, come nella vita.

E, stupendomi enormemente di una pazienza che non sapevo di avere, sono stata al suo gioco dall’inizio alla fine, senza irritamento o noia.

Forse perché c’è la consapevolezza intrinseca che ogni dialogo è essenziale per capire quel che accadrà dopo.

Del resto, al personaggio principale, Toru, succede sempre qualcosa di incredibilmente “pesante” e complesso.

Complessità non intesa per forza come difficoltà, ma come insieme di più concetti sottostanti.

Complessità come impatto emotivo del quotidiano, straziante e sublime per una persona in crescita e per una personalità in evoluzione.

Del resto nella vita di Toru ci sono persone tutt’altro che ordinarie: gli amici di una vita che sguazzano nella depressione; l’amico dell’università che ama troppo sé stesso per amare qualcun’altro; la ragazza esuberante e senza filtri (che in un paese come il nostro sarebbe la “porca” di turno) e così via…

Ma Murakami è un abile rappresentatore di realtà.

Questi personaggi non risultano mai caricature, anzi, sono descritti quanto più possibile in tutte le loro caratteristiche e, talvolta, perfino negli aspetti contraddittori tipici dell’essere umano.

Contraddizioni che poi portano a scelte ed azioni più o meno condivisibili ma che mai percepiremo come inadeguate o banali.
“Norvegian Wood” è una narrazione/viaggio fra i sentimenti, fra le emozioni e le inquietudini che si incontrano tra l’adolescenza e i primi anni della vita adulta: l’amore che nasce e che finisce, un amore non platonico ma completo, in cui il sesso ha una componente di fondamentale importanza, l’amicizia, il senso di responsabilità.

L’io narrante è un ragazzo che ha sostanzialmente dei buoni principi morali, è sensibile ed altruista, ma che rimane sempre concreto, reale, credibile.

Norvegian Wood è stato definito un grande romanzo sull’adolescenza, ma non ne consiglio la lettura a dei ragazzi.

Piuttosto, è destinato a dei lettori risolti e risoluti, perché altamente inquieto ed inquietante.

Straziante e sublime, come dicevo.

Il romanzo trasmette un intenso senso di inquietudine, malinconia e tristezza.

Eppure, anche nei passaggi più bui, la luce sulla vita, sul futuro e sull’amore non si spegne mai.

Si continua a leggere, come si continua a vivere, anche quando tutto intorno è un’immensa palude.

La persistenza delle contraddizioni dell’uomo le troviamo nello stesso personaggio che porta dentro di sé le turbe profonde, la solitudine, l’insicurezza e, insieme, la capacità di comprendere, giustificare, non esasperare e ponderare sempre quel che accade.

Così, sempre più, il lettore diventa il protagonista, ognuno di noi diventa quel Watanabe (Toru) che a volte ci può apparire passivo, ma mai apatico.

Il tratto distintivo di questo libro è l’onestà: non ci sono filtri nei pensieri di Toru, né nell’interazione con l’altro.

Attenzione, però, Murakami non scade mai in volgarità, nulla sembra “grezzo” o inopportuno.

Se è vero che l’arte è un artefatto culturale, allora dobbiamo ringraziare la cultura giapponese per produrre arte che ci permette di pensare che una società nella quale avere legami emotivi più sinceri, con meno tabù e più libertà di essere sé stessi, può esistere o, almeno, ce lo fa credere anche se solo per un poco.

Pur parlando di morte, malattia, solitudine, Norwegian Wood è un inno alla vita, che ti bacia tra le lacrime.

Forse è proprio questa la forza e la bellezza di “Norvegian Wood”.

Di Watanabe che ha scelto di vivere e di noi con lui che abbiamo scelto di vivere, “perché la morte si sconta vivendo”, ma anche la morte si sconfigge amando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando lo strafalcione diventa esame di stato, la scuola che non c’è più…

 




“La Conoscenza Rende Liberi”

”Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita. Io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima.”

– William E. Henley

È una delle citazioni preferite di Paolo Borzacchiello, Autore de “Il Codice Segreto Del Linguaggio” (Roi Edizioni), “La Parola Magica” e “Il Super Senso” (Mondadori), “HCE” – La Scienza Delle Interazioni Umane – Volume 1 (Gribaudo).

Basta il nome.

Sorrido mentre, in uno dei suoi libri, ritrovo il suo biglietto da visita: bianco, essenziale, elegantissimo. Sul fronte, nome e cognome in un font vintage Anni Sessanta. Sul retro, il “nulla” impreziosito da un contatto, scritto di suo pugno, in calligrafia. Un piccolo, preziosissimo dono.

Sul suo profilo di Facebook, Paolo Borzacchiello si descrive in tre parole: Autore, Consulente, Speaker. Ah, la Consapevole Sobrietà di chi mira all’Essenza! E brilla!   

Come un Faro nella Nebbia.

Paolo è Luce a rischiarare la via di odierni Ricercatori come noi, consapevoli del potere creativo delle Parole con cui scegliamo di raccontarci la Vita.

Del resto, che cos’è la Vita, se non Silenzio gravido di Parole?

Parole come Profezia di un Miracolo in continuo divenire.

Parole come Onde, che non tornano a vuoto senza aver compiuto e condotto a buon fine ciò per cui sono state pronunciate – grazie dello spunto d’Ispirazione, Profeta Isaia!

Parole come Strumento di Conoscenza, di ciò che accade al di qua e al di là della nostra pelle.

La Conoscenza che ci rende liberi di scegliere “Le Parole Giuste, nel Giusto Ordine” (la frase-Brand di Paolo) a salvaguardia del nostro Giardino interiore e del Territorio di cui siamo, più o meno consapevoli, Creatori.

La Mappa è il Territorio.

“Percezione e Realtà sono la stessa cosa, e la realtà si trasforma a seconda delle parole che scegliamo per raccontarcela.” (P.B.)

Paolo Borzacchiello ha recentemente messo in discussione uno dei Principi fondamentali della P.N.L.: “La Mappa Non è il Territorio”, sostenendo invece che “La Mappa È il Territorio”.

In altri termini:

Non esistono versioni personali di un’unica realtà oggettiva uguale per tutti.

Non esistono diverse mappe di un unico territorio uguale per tutti.

Esistono diversi territori quante sono le mappe, ognuna delle quali è “realtà oggettiva” per chi l’ha creata.

Partendo da questo presupposto e dato il particolare momento storico che stiamo vivendo, ho chiesto a Paolo di stilare un vademecum utile a:

  • ripristinare e mantenere un certo equilibrio dal punto di vista mentale ed emotivo;
  • operare delle scelte non suggerite dalla rabbia, dalla confusione o dalla paura ma scelte utili, ponderate, costruttive.
  • essere creativi nel trovare nuove soluzioni a sempre nuove sfide, spesso impreviste, da gestire.

Così che, anziché lasciarci dividere dalle rispettive opinioni – confusi, arrabbiati, addirittura spaventati – possiamo ritrovare una certa autonomia di pensiero e il Buon Senso.

Aumentando nel contempo le difese immunitarie!

Informazione o Propaganda?

Ai giorni nostri poi, esposti come siamo a una miriade di informazioni differenti e spesso contraddittorie, a chi possiamo credere? Di chi possiamo fidarci? Come possiamo distinguere un’etica informazione dalla propaganda?

Esistono degli indizi linguistici che ci permettono di distinguere l’una dall’altra?

Per seguire l’intervista, in video première sul Canale YouTube “Jasmine Laurenti” venerdì 28 agosto 2020 alle ore 23:30, clicca qui.

Se ancora non ti sei iscritto al Canale, questo è un ottimo momento per farlo. E, mi raccomando: ricordati di attivare le notifiche!

Così, come amo dire sempre, Viaggiamo insieme!

Ondina Wavelet (JL)




Fioramonti contro Azzolina

Fioramonti non si ferma.

Lorenzo Fioramonti, ex ministro dell’Istruzione, ex pentastellato, che lasciò il dicastero di viale Trastevere dopo non aver ottenuto dal secondo governo Conte gli investimenti chiesti per l’istruzione.

Ora, docente di economia politica, che mantiene due cattedre all’estero ed è deputato del gruppo Misto.

Bene, Fioramonti non si ferma.

E’ di poche ore fa la notizia (ANSA, ROMA 27 AGO) della sua presa di posizione contro il governo per le gravi mancanze nei confronti della scuola.

 “Nessuno degli studenti con disabilità deve rimanere indietro. Per questo, insieme ai deputati e senatori sia di maggioranza che di opposizione abbiamo presentato un appello alla Presidenza del Consiglio affinché nel primo strumento normativo utile, si possa intervenire per sanare la carenza di posti sul sostegno che la Scuola si troverà ad affrontare a settembre”.

Questo è quanto afferma Lorenzo Fioramonti del gruppo Misto alla Camera, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con il M5S fino a dicembre del 2019.

“Non è possibile immaginare – continua Fioramonti – che quasi 80.000 posti sul sostegno rimarranno in deroga anche a settembre.

Ad oggi, 14.224 sono gli specializzati che hanno superato le prove altamente selettive.

E’ necessario che vengano immessi in ruolo subito, e che vengano previste ulteriore specifiche per l’immissione in ruolo della restante parte.

Inoltre, è necessario che venga sanata l’assenza di previsione all’interno del bando per il concorso straordinario che miri a riassegnare i posti rimasti scoperti per il mancato possesso del requisito dei tre anni di docenza sul sostegno”.

E’ un impegno prima di tutto morale quello che viene richiesto alla Presidenza del Consiglio – continua infine l’ex Ministro -, affinché si possa intervenire presto nei confronti di quelle fasce più deboli della nostra comunità scolastica che hanno già dovuto patire tanto durante l’emergenza COVID-19, e che se ora non si interverrà adeguatamente, rischieranno di rimanere ancora più isolate

Dicevamo, non si ferma, perché già martedì 25 agosto, alle 21.30 su La7 è stato ospite a “In Onda” per parlare del rientro a Scuola a settembre.

Come redazione, riprendiamo quanto direttamente condiviso dallo stesso Fioramonti sulla sua pagina Facebook.

A commento della serata, Fioramonti ha postato:

” Abbiamo accumulato ritardi enormi, che ora stanno riaccendendo contrasti con le Regioni.

Non voglio entrare in queste dinamiche politiche, che forse una programmazione più puntuale ed efficace avrebbe potuto disinnescare.

Il Governo non ha voluto svolgere in tempi rapidi il concorso per i precari storici della Scuola, commettendo a mio avviso un errore, perché necessitiamo di più insegnanti di ruolo in tempi normali, figuriamoci oggi in questa situazione di grande incertezza.

E perché dobbiamo avere gruppi classe più piccoli, per ridurre i rischi di contagio e ritrovarci – dopo la pandemia – con una Scuola più funzionale alla didattica innovativa e laboratoriale di cui abbiamo disperato bisogno. Ma senza un numero sufficiente di organici di ruolo (in alcune scuole la metà del corpo docente è precario e cambia continuamente), le classi piccole hai difficoltà a farle.

Lo stesso dicasi per dirigenti, amministratori ed ATA.

E invece puntiamo a nuove assunzioni precarie, con il cosiddetto “personale Covid”, senza diritti e senza continuità, tutto sempre legato all’emergenza.

Ora siamo a fine agosto ed il tempo è scaduto. Ma qualcosa forse possiamo ancora farla:
1) assumere i docenti specializzati sul sostegno a fronte di 80 mila cattedre in deroga, per tutelare i bambini e le bambine più vulnerabili, completamente dimenticati dalla didattica a distanza (su questo abbiamo emendamento 29.0.34 al DL Semplificazione al Senato, prima firma Cario);
2) rivedere la responsabilità penale presidi, che rischiano molto per colpe che non hanno, anche per evitare tensioni e chiusure in autotutela da parte delle amministrazioni (su questo c’è un emendamento a prima firma Fattori, sempre al Senato);
3) modificare la norma sul dimensionamento scolastico, che ancora oggi è in totale contraddizione con le regole del distanziamento e che invece deve portarci ad avere scuole e classi più piccole anche dopo l’emergenza;
4) dare precedenza ai più piccoli, che non possono fare la didattica a distanza, neanche come misura residuale, prevedendo più spazi per la scuola dell’infanzia e la primaria anche negli istituti superiori, se necessario.”

Come dargli torto?!?

Per di più, persino Mario Draghi al meeting di Rimini, ha dato ragione a Fioramonti.

In tal senso riprendiamo l’intervista rilasciata dallo stesso Fioramonti a Maria Elena Ribezzo, apparsa su La Presse il 18 agosto con il titolo

Fioramonti: Bene Draghi su scuola e ricerca, avevo avvisato il Governo sulla loro importanza strategica
“Le idee giuste, anche in ritardo, in genere si affermano”.

La collega Ribezzo aveva commentato così quanto avvenuto a Rimini.

“Le parole di Mario Draghi al meeting di Rimini, sul rischio per il futuro dei giovani e sull’importanza di dare loro di più suonano come una ‘rivincita’ per Lorenzo Fioramonti, ex ministro dell’Istruzione” e, la Ribezzo aveva ragione.

Riprendiamo dunque l’intervista.
DOMANDA Ha apprezzato il discorso dell’ex governatore?
RISPOSTA Draghi ha detto tutte le cose che dovevano essere dette, mi dispiace che ci arriviamo sempre col senno di poi.

Mi lasci dire che la politica dovrebbe valorizzare chi l’aveva detto prima, chi cercava di avvisare.

Dopo, sono tutti bravi a sapere cosa va fatto.

Anche Draghi dice una cosa palese: se vuoi rilanciare l’economia, devi lavorare sulle condizioni per il rilancio, sull’innovazione, sulla formazione e sulla ricerca.

Chi non valorizza l’innovazione non capisce l’economia.
D. Ha anche messo in guardia sull’inefficacia dei sussidi, a lungo andare.

E’ d’accordo?
R. Ha parlato di sussidi non produttivi, ma esistono anche sussidi produttivi.

Il reddito garantito, per esempio, lo è.

Nei paesi del nord Europa quando una persona vuole fare imprenditoria, lo Stato la aiuta.

Sono favorevole a un reddito di cittadinanza fatto in maniera intelligente. Serve un’economia in cui i giovani si possano sentire sicuri, sapendo che la rete è sotto la fune.
D. Da docente soffre anche lei del gap di conoscenza tra gli studenti italiani e la media degli studenti nord europei?
R. Certo.

Abbiamo una grandissima tradizione, ma sono troppi anni che non investiamo in formazione docenti, in strutture, laboratori.

E tutto questo incide sull’apprendimento.

Poi abbiamo la classe docente più vecchia d’Europa.

Le riforme della scuola non le devono fare i contabili, sempre con l’obiettivo di risparmiare.

Si devono fare con un’idea di pedagogia, di investimento, di modello di formazione.
D. In questo momento però sono stati investiti 3,6 miliardi solo per la ripartenza a settembre.

  1. Se si fanno bene i conti, a essere stati investiti sono meno di 3 miliardi, molti dei quali non sono garantiti per personale e organico, ma sono destinati a spese infrastrutturali, come per i banchi.

Giusto avere infrastrutture nuove, ma il problema principale è abbassare il numero di studenti per aula e investire nell’organico.
D. Cosa dovrebbe fare il governo a questo punto?
R. Il presidente del Consiglio dovrebbe dire solo una cosa: sulla scuola bisogna investire tutto e di più.

Dovrebbe dire che sulla scuola investiremo ‘whatever it takes’, per riprendere le parole di Draghi in un altro momento.

Facciamo debito buono, che fa bene alla crescita e all’economia. Abbassiamo il numero di studenti per classe a 15 e non per l’emergenza Covid.

Investiamo per l’innovazione, la formazione, uno stipendio più alto per gli insegnanti.

Abbiamo la possibilità di fare la rivoluzione e noi cosa facciamo?

Usciamo con una scuola, se ci va bene, quasi come quella di prima.

Non capiterà mai più che l’Europa ci consenta di fare così tanto debito.

A questo punto, dopo aver investito, ti devi ritrovare con una Ferrari, non con un’utilitaria mezzo danneggiata.
D. A settembre la scuola riparte?
R. Riparte, poi si ferma, magari a singhiozzo.

È tutta una questione di dibattito giornalistico, no?

Allora la ministra si farà fare le foto davanti agli istituti che vanno meglio, ignorerà quelli che vanno un po’ peggio.

Riaprirà da qualche parte, da qualche altra no, ma dirà di aver comunque riaperto.

Una cosa è certa: la scuola ripartirà in condizione di fragilità.

Se non faremo tutti gli investimenti giusti, che solo adesso possiamo fare, sarà una grande occasione sprecata. L’unica di questa generazione”.

Come redazione, non possiamo che condividere ogni parola di Fioramonti, e congratularci che ci sia almeno qualche politico che ha il coraggio di dire le cose come stanno.

Finalmente, un politico che non fa mera propaganda.

Un addetto ai lavori che conosce la scuola ed ha il coraggio di dare voce al malessere generalizzato del mondo scolastico.

Finalmente un politico che obbliga l’opinione pubblica a riconoscere che la scuola è l’ombelico della società e dovrebbe essere la spina dorsale della nostra democrazia.

Ma davvero siamo ancora in un regime democratico, se certe prese di posizione non sono divulgate dagli organi di stampa?!?

Ai posteri, l’ardua sentenza.

Noi diciamo l’amara sentenza.

Tanto sappiamo, come addetti ai lavori, che le parole di Fioramonti sono profetiche.

Appuntamento al 14 settembre…

 




“Il Sanscrito: la lingua per parlare con Dio”

All’inizio fu il caos.

Sembra che all’inizio dei tempi il caos regnasse sovrano. Del resto, da un “Big Bang” non ci si può aspettare il massimo dell’ordine e della pulizia… Si è mai vista nascere un’aiuola dallo scoppio di un petardo? Ecco.

Così, Lassù – “lassù”, dal punto di vista del pianeta terra – Qualcuno decise di dare una bella rassettata, fischiettando un motivetto.

Me ne ricorderò la prossima volta che devo rigovernare casa: “firulì firulà”, ed esco a fare una passeggiata.

Scherzi a parte …

Poi, il Suono.

Dopo aver saputo che Chiara Sparacio, Caporedattore cronaca del mio giornale online preferito – indovina quale … 😉 – oltre a occuparsi di cronaca ed educazione è anche un’appassionata studiosa di culture e filosofie orientali nonché esperta traduttrice dal Sanscrito, ho subito voluto intervistarla.

Dal nostro incontro su Skype è nata una piacevolissima conversazione, che prende l’abbrivio dalla domanda:

“Posto che siamo consapevoli del potere creativo della Parola come combinazione e articolazione di Suoni – ben lo sapevano gli inventori del Sanscrito, l’unica lingua inventata a tavolino per comunicare con il trascendente, l’universo, Dio – come possiamo far tesoro di questo Potere per far fronte agli imprevisti che la vita ci riserva?

… e la Parola sacra!

Caporedattore Consulente e Autrice, Chiara ha al suo attivo tre libri. Uno di essi, “La Cadenza delle Parole” – cito la recensione –  “… è una raccolta di pensieri, riflessioni e storie raccontate da punti di vista inusuali e dissacranti prospettive. Un libro da leggere lentamente, un pezzo per volta, aspettando di trovare il brano che entrerà in sintonia col lettore, facendolo vibrare e risuonare, riconoscendo se stesso in quella storia”.

Nel corso della nostra chiacchierata tocchiamo vari argomenti: dalle antiche civiltà con le loro caste sacerdotali e i rispettivi approcci col trascendente, all’uso sapiente e accorto dei mantra per chi pratica la meditazione come rituale quotidiano, alla presa di coscienza che la parola è potente non solo in quanto “parola”, ma anche come risultato dell’accostamento di suoni articolati nella giusta combinazione, la cui onda vibratoria, propagandosi nel Cosmo, ne altera per sempre l’assetto.

Una ricca e piacevole conversazione, la nostra, per scoprire come sia possibile, grazie al potere creativo delle parole, gestire con equilibrio e saggezza il nostro mondo interiore, le impreviste circostanze e i cambiamenti che ogni giorno la vita ci riserva.

Venerdì 21 agosto 2020 alle 23:30, sul Canale YouTube “Jasmine Laurenti”.

Per raggiungerci al Soul Talk, clicca qui.

LOve, Ondina Wavelet (JL)

 




DAD E LE MAMME: LA MORTE SUA…LORO!

Per favore, riaprite le scuole!

Una mamma su tre pensa di lasciare il lavoro se continua la didattica a distanza.

Lo svela una ricerca della Bicocca di Milano.

La pedagogista Giulia Pastori, professoressa dell’Università Bicocca di Milano, a capo del team che ha realizzato un’indagine sulla didattica a distanza, ha dichiarato:

“Durante il lockdown le lavoratrici hanno dedicato 4 ore al giorno ad aiutare i figli con i compiti: è un segnale allarmante. Nel resto d’Europa non è così”.

Ma, facciamo un passo indietro, giusto per capire.

La Ministra Azzolina, in un’intervista al Corriere della Sera del 17 aprile 2020, aveva ribadito sostanzialmente tre concetti

1) la didattica a distanza ha funzionato alla grande, la scuola ha chiuso, ma non si è mai fermata.

2) i genitori possono tornare tranquilli al lavoro, perché sono garantiti dai congedi parentali e dal bonus baby-sitter.

3) a settembre si potrebbe anche ripartire con la didattica a distanza perché (vedi il punto 1) ha funzionato alla grande.

Cara Ministra, o mi sono distratta io, o si è distratta lei.

Nel primo caso, non è così tanto grave.

Però, se si è distratta lei, adesso il report delle mamme la pensa come me.

Cioè, non solo la DAD non ha funzionato, ma è stata un incubo per le madri, soprattutto per le madri lavoratrici.

Accogliamo per buone le sue parole e l’affermazione che la didattica a distanza abbia raggiunto il 94% degli studenti.

Diamo per scontato che le piattaforme siano state tutte splendidamente accessibili e che le famiglie abbiano avuto a disposizione più strumenti tecnologici per il magico accesso.

Facciamo anche finta di credere che il rapporto insegnanti-docenti sia stato splendidamente superato dal medium tecnologico.

Non possiamo però fingere di non sapere che per i bambini della primaria e perlomeno per i ragazzi della prima secondaria inferiore, l’accesso alla fantastica didattica a distanza sia stato garantito dalla presenza dei genitori.

E diciamo “genitori”, utilizzando il politicamente corretto, ma perlomeno per il 94% dei casi (esatto la stessa percentuale di cui sopra) ci stiamo riferendo alle madri, alle donne.

Ma, per carità, la sottolineatura non va neppure pronunciata, perché, nella vita reale, è talmente scontato, che ripeterlo sembrerebbe inutile.

Tutto quello che si riesce a dire è che per ovviare alla difficoltà si è messo in atto un sussidio, quando il problema non è stato solamente economico, ma del diritto all’emancipazione femminile, frase che sembra appartenere agli anni ’70.

Infatti, nel giro di una notte, quella del 9 marzo, quando è stato annunciato il lockdown, la figura della donna è stata ricollocata, senza farne menzione ovviamente, nella dolce casella: “angelo del focolare”.

E così, ogni donna lavoratrice, per quattro mesi, ha cucinato, pulito, lavato, ma anche fatto da coadiuvante alle insegnanti, seguito i figli nei compiti, dialogato con la rappresentante dei genitori (donna anche lei), cercato, affannosamente di capire come, quando e perché tutto era così, maledettamente, assurdo.

E la Ministra Azzolina, donna anche lei, ha pensato di cavarsela con il bonus parentale! 

Dunque, come dicevo, adesso abbiamo dei dati che confermano i sospetti, miei, e dell’universo femminile italiano.

Non c’è stato bonus parentale che compensasse il disastro della DAD ed il suo impatto sulle donne, madri e lavoratrici.

I quesiti sono arrivati a 7mila nuclei familiari formati con figli minorenni: solo un genitore avrebbe dovuto rispondere, ma a farlo per il 94% sono state le donne “e già questo la dice lunga sul fatto che la cura dei figli in Italia sia ancora completamente femminile”.

E’ emerso che sono state le mamme, praticamente soltanto loro ad occuparsi dei figli, ma, soprattutto che la ricaduta sociale della didattica a distanza è stata molto pesante sulle donne, madri e lavoratrici.

Addirittura, dal sondaggio della Bicocca, è risultato che “Il 65% delle madri ritiene che la didattica a distanza non sia compatibile con il lavoro”.

Inoltre, alla domanda diretta se abbiano valutato di lasciare l’occupazione nel caso che i bambini non ritornino in aula al completo a settembre “oltre il 30%ha risposto chiaramente di sì”. 

Secondo Pastori, pur comprendendo la difficoltà dei provvedimenti presi in emergenza Covid, “si è ragionato troppo poco sull’importanza dell’apertura delle scuole dal punto di vista della tenuta sociale e del lavoro femminile” e si rischia di fare lo stesso errore in vista del nuovo anno scolastico e nel caso di una seconda ondata. 

Durante il lockdown, infatti, le mamme hanno dedicato in media “4 ore al giorno ad aiutare i figli: praticamente un secondo lavoro part-time che si è aggiunto a quello vero e alla cura della casa”.

A rispondere alla ricerca sono state donne, il 98% di nazionalità italiana, con almeno un diploma superiore (41%), oppure una laurea (38%), o anche un master post laurea (13%).

Da considerare che le intervistate si trovano mediamente in condizioni di relativo benessere ed abitano soprattutto al Nord.

Il 67% di loro ha continuato a lavorare dall’8 marzo in modalità smart-working, il 62% lo ha fatto avendo un lavoro dipendente (il 18% erano partite Iva e il 4% circa ha anche affrontato la cassa integrazione).

Si tratta di madri mediamente di 42 anni che hanno 1.4 figli, in linea con il dato nazionale: per la maggioranza bambini da scuola elementare: 2855 su 7mila.

Quello che irrita, leggendo questi dati, è la facilità, la noncuranza, la superficialità, con cui si è agito.

Cioè, è evidente, che, con la DAD è stato dato per scontato che la donna, quasi per ordine divino, dovesse rinunciare alla sua indipendenza, abdicando, nel contempo, ad ogni idea di emancipazione, non solo economica, ma soprattutto civile.

E’ ovvio dunque che, sempre nel sondaggio le mamme abbiano definito la DAD, brutta, inefficace, difficile, demotivante, spiacevole, impossibile.

Del resto, cosa ci si poteva aspettare da chi ha fatto, acrobazie quotidiane nella gestione della famiglia con lo smart-working, annullando i confini tra la vita privata e quella lavorativa e non concedendosi mai riposo né recupero?!?

La difficoltà di tutte è stata tenere insieme i pezzi dell’angelo del focolare!

E adesso, avvertono: la chiusura della scuola non può essere l’unica soluzione anche in caso di seconda ondata o ne va della tenuta delle famiglie e del Paese”.

La situazione italiana – commenta inoltre Pastori – “non ha paragoni col resto d’Europa: solo in Italia la chiusura è stata completa, per tutti gli istituti e fino a fine anno scolastico. Questo dovrebbe farci riflettere”.

Per il nuovo anno la prima preoccupazione delle mamme sono le strutture e le infrastrutture: non tutte sono convinte che nei plessi dei figli ci siano gli spazi adeguati o si riesca a ricavarli, per mantenere il distanziamento sociale.

Subito dopo c’è il protocollo di igiene e la propensione dei figli a seguirlo.

Infine “la preparazione tecnologica delle scuole e la formazione degli insegnanti”.

Anche in questo non siamo messi bene al confronto con il resto d’Europa: “Le strutture sono ridotte all’osso, e questo porta con sé una concezione didattica e pedagogica vecchia.

Il grande assente nel periodo del lockdown secondo la ricercatrice – che ha lavorato con una squadra di psicologi del lavoro e dell’educazione – è stato il malessere dei bambini, ma soprattutto dei ragazzi: si pensa che soprattutto quelli del liceo abbiano affrontato meglio la situazione, ma in realtà proprio loro soffrono l’assenza di vita sociale, perché sono in una fase della vita in cui hanno voglia di immergersi nel mondo”.

“Durante il confinamento sono aumentati nei ragazzi la scarsa concentrazione e la noia, i sentimenti malinconici, di solitudine e di rabbia”.

Ancora una volta a farne le spese sono state le madri, improvvisate psicologhe oltre che insegnanti, e in difficoltà a gestire i figli a casa per tante ore al giorno: “La frustrazione è dilagata anche in loro, mentre parallelamente nei figli aumentavano la dipendenza e il bisogno d’aiuto”.

Mi si dirà che non si potevano fare miracoli, che è stata solo una misura temporanea.

Va bene, ma visto che il tema è stato stato derubricato a mero incidente di percorso, anzi ad una vecchia pretesa del Novecento, adesso, BASTA, non c’è più il silenzio sottomesso ed accudente dell’angelo del focolare.

Le mamme adesso gridano. “Ministra Azzolina, visto che è donna anche lei, non pensi di cavarsela con il bonus parentale!

Ormai siamo a settembre.

Che non le venga in mente di ripartire con la favolosa didattica a distanza”

“Rinforzate la scuola. La chiusura sia ‘l’extrema ratio”.

Non cerchiamo di risolvere tutto gettando il peso sulle spalle delle famiglie e soprattutto delle donne” questo è dunque l’appello finale che emerge dall’indagine.

E speriamo tanto che venga ascoltato…
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonti:

gi.it/cronaca/news/2020-08-11/mamme-lasciano-lavoro-se-continua-didattica-distanza-9391897/

Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

Ritorno a Scuola!!! Ovvero ritorno ai problemi di sempre…

 

 




Il Ministro Azzolina, verso l’infinito e oltre

Ci stupisce sempre ogni volta pensiamo che abbia toccato il punto massimo e ogni volta supera sé stessa.

Il Ministro Azzolina verso l’infinito e oltre.

Premessa.

La redazione i Betapress è vicina a tutti gli insegnati e ai cittadini che quotidianamente devono confrontarsi con i soprusi e le leggerezze del ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina.

Il concorso a dirigente scolastico del 2017

Il tema del concorso a dirigente scolastico del 2017 è uno degli argomenti che, negli ultimi mesi, porta alla nostra redazione più sollecitazioni.
Non c’è giorno che in redazione non ci arrivi una segnalazione di una persona che ha fatto il concorso e vuole raccontare la sua storia o che non ci mandino degli aggiornamenti sui ricorsi in atto.

Del concorso abbiamo parlato già diverse volte (e ancora abbiamo da dire) e in calce all’articolo riportiamo una bibliografia minima interna ed esterna.

Per dovere di narrazione, però, riportiamo una velocissima cronistoria.

Cronistoria

Nel 2017 la professoressa Lucia Azzolina si iscrive al concorso per dirigente scolastico (lecito)

Nel 2018 si svolge il concorso nelle sue varie e travagliate vicissitudini (rocambolesco)

Il 1 Agosto 2019 vengono pubblicate le graduatorie del concorso e la professoressa Azzolina si classifica 2542 esima su 2416 posti richiesti da bando per risultare vincitrice e 2900 per figurare tra gli idonei (qui cominciano le magie ma lo vedremo più avanti)

l 13 settembre 2019 Lucia Azzolina viene nominata Sottosegretario di Stato al MIUR durante il governo Conte II (congiunzioni astrali )

Il 28 dicembre 2019, durante la conferenza di fine anno, il premier Giuseppe Conte annuncia l’imminente sua nomina a ministro dell’Istruzione (inizia il Kali Yuga del mondo scolastico italiano).

Tra colpi di scena, dichiarazioni, decreti e pandemie,  nel mondo di chi chiede  l’applicazione delle regole si susseguono ricorsi al TAR di varia natura per segnalare una serie di illeciti riscontrati durante il concorso e dei quali è possibile avere cognizione attraverso gli articoli sotto citati.

Il punto è che il 4 agosto 2020, alla fine della fiera, per una serie di motivi che possono essere più o meno ragionevoli il ministro ne ha fatto un’altra delle sue.

Il Ministro Azzolina, nel pieno delle sue facoltà istituzionali, con un avviso firmato dal capo dipartimento Marco Bruschi,  ha deciso di abilitare tutti i figuranti in graduatoria fino ad esaurimento.

Oggi il mondo politico e della formazione grida allo scandalo.

 

Dettagli

Prima di andare avanti torniamo indietro una una cosa successa circa un anno fa e sopra riportata:
Il 1 Agosto 2019, con pubblicazione della graduatoria, risulta che la professoressa (già pronta per la nomina a sottosegretario di stato) è risultata (attraverso un conteggio di punti che appare fantasioso ma sul quale aspettiamo pronuncia ufficiale dallo Stato) 2542 esima su 2416 (che diventeranno poi 3400.

Insomma, il ministro, dopo tanta fatica riesce ad avere un posto dignitoso in graduatoria.

L’unica particolarità è che secondo quella graduatoria, lei risulta idonea ma non abilitata.

Idoneità e  Abilitazione sono nei concorsi pubblici due stati differenti: l’abilitata è senz’altro idonea ma l’idonea può anche non essere abilitata potremmo dire con un gioco logico.

Ciononostante il ministro dell’Istruzione facendo finta di niente vuole, come hanno detto alcuni “assumersi da sola” e lasciare che la graduatoria scorra fino al suo nome fino a ricoprire il ruolo di dirigente scolastico.

Abbiamo detto che la decisione del Ministro riportata nell’avviso del 4 agosto 2020 ha senza dubbio delle ottime ragioni.

Laddove le ragioni non sono circostanzialmente dichiarate però, ognuno può trarre le proprie e ognuno le trae a seconda della propria indole e della propria esperienza.

I malpensanti potrebbero pensare che, nel dubbio per incerti tempi moderni o forse anche per un gesto di amore per la scuola,  il Ministro stia pensando ad assicurarsi un lavoro da fare dopo la carica attuale.

I benpensanti potrebbero pensare che sia tutto solo casuale e che il fatto che il nome del ministro sia in quella graduatoria e che lei certamente gioverà della sua attuale decisione, sia solo una fortunata coincidenza di avvenimenti.

E sempre i benpensanti saranno convinti che non ci sia assolutamente nessun legame tra i muri di sbarramento e gli ostacoli che il Ministro dell’Istruzione frappone continuamente ed indefessamente tra chi chiede verità sul concorso e l’accesso a tutti gli atti.

L’ingiustizia del Ministro

In molti, a proposito di questo fatto, hanno parlato di abuso di potere, conflitto di interesse e abuso di ufficio, in buona parte a ragione.

Oltre a tutto questo, però,  il vero problema di cui il Ministro nella sua spensierata ingenuità sembra non tenere conto, è che le cariche pubbliche conquistate attraverso concorso, possono essere ricoperte solo e unicamente dai candidati idonei e non dai candidati abilitati.

Insomma, è una svista indegna di chi conosce bene la giurisprudenza.

Sì perché, stando a quanto ci è stato detto dalla commissione che l’ha esaminata, sulle domande di giurisprudenza, al concorso del 2017, era andata più forte.

Quello che pensiamo, con ragionevole e accondiscendente logica, è che a forza di dedicarsi alla politica nel suo partito e nel suo ministero, la dottoressa Azzolina abbia trascurato lo studio e dimenticato anche le materie che prima conosceva meglio.

Forse vuole andare avanti nel suo intento anticostituzionale perché, di fronte un ulteriore esame, avrebbe delle difficoltà a mettersi a studiare.

In bocca al lupo.

 

Betapress sostiene la battaglia contro un certo modo di fare le cose,  perché è veramente assurdo e pazzesco che nessuno insorga davanti a questo modo di agire.

Come è assurdo e pazzesco quello che sta succedendo per l’avvio della scuola, sempre che non ci sia un altro lock down, dove gli unici che prenderanno un sacco di mazzate saranno i presidi, visto che nessuno si prende la briga di fare le cose in maniera logica.

Sinceramente ci sembra accanimento, tutto in smart working tranne le scuole, dirigenti scolastici con la massima responsabilità per il rientro degli alunni, banchi con le rotelle, insomma, non era meglio riflettere un attimo di più ed invece che buttar via tutti questi soldi dare alle famiglie i soldi necessari per trovare dei tutor che affiancassero i figli e far momentaneamente ripartire le scuole in DAD?

Avremmo anche aumentato il lavoro per i giovani, per gli educatori, avremmo affrontato il problema con più calma, perché non vorrei che da un accanimento contro la scuola si finisse a vilipendio di cadavere!

(N.d.D.)

 

 

Chiara Sparacio

Bibliografia

https://www.orizzontescuola.it/concorso-dirigenti-scolastici-ecco-la-graduatoria-nazionale/

Il ministro Azzolina e il concorso del 2017

Concorso DS 2017 – il TAR concede l’accesso ai codici sorgente

 

 

https://www.orizzontescuola.it/concorso-dirigenti-scolastici-idonei-inseriti-in-graduatoria-nel-triennio-potranno-essere-assunti/

 

https://scenarieconomici.it/la-azzolina-si-e-autonominata-dirigente-scolastico-un-concorso-molto-strano-di-cui-vogliamo-parlarvi/

 

 

 

 

 

 

 

 




Panichi: pensare ed agire, Montaigne!

Nicola Panichi, professore ordinario di Storia della filosofia del Rinascimento alla Scuola Normale Superiore di Pisa, spesso soprannominata Nicoletta, è l’unica donna, professore ordinario, alla Normale di Pisa.

Fa parte di comitati scientifici di riviste nazionali e internazionali.

È autrice, inoltre, di numerosi saggi in svariate lingue.

Ha collaborato al Dictionnaire de Michel de Montaigne, Paris 20072 (Prix de l’Académie française).

Ha passato una vita sviscerando Montaigne, filosofo, scrittore e politico francese del ‘500.

Tra le sue pubblicazioni: Antoine de Montchrestien. Il circolo dello Stato (Milano 1989); La virtù eloquente. La civil conversazione nel Rinascimento (Urbino 1994); Picta historia. Lettura di Montaigne e Nietzsche (Urbino 1995); Plutarchus redivivus? La Boétie e i suoi interpreti (Napoli 1999, Roma 2008, tr. fr. Champion, Paris 2008); Michel de Montaigne. L’immaginazionei (Firenze 2000; 20102); I vincoli del disinganno.

Per una nuova interpretazione di Montaigne (Firenze 2004, tr.fr. Champion, Paris 2008); F. Bonaventura, Della ragion di stato e della prudenza politica (a cura di, Roma 2007); Montaigne (Roma 20182); Ecce homo. Studi su Montaigne (Pisa 2017; 20182).

Bene, nel corso di lunghe passeggiate , Nicola mi affascina sempre più, coinvolgendomi in un viaggio di sola andata alla scoperta di Montaigne e della straordinaria attualità del suo pensiero.

Nasce così quest’intervista, un viaggio sul senso della vita e della morte, passando attraverso etica ed estetica.

 

Betapress– Partiamo dagli Essais di Montaigne, per i nostri lettori, di cosa si tratta?

Nicola Panichi– Gli Essais di Montaigne, per espressa dichiarazione dell’autore sin dalla lettera al lettore, si presentano come autobiografia filosofica.

Negli Essais, i pronomi preferiti sono la prima persona singolare (moi o je) l’io e il noi. E tutto si tiene, per chi, come sollecitava Montaigne stesso, non perde l’argomento: ogni uomo porta la forma intera dell’umana condizione (III, 2).

Betapress-Quando l’uomo costruisce un capolavoro con la sua vita?

PanichiIl capolavoro dell’uomo è la vita come specchio dei ragionamenti.

La filosofia degna dell’uomo in quanto uomo, è quella che tende alla costruzione di un modello di vivere congruo agli insegnamenti della natura che bisogna continuare a ricercare.

Un motto montaigneano, meno noto ma luminoso, mette sulla buona strada:

J’ouvre les choses, plus que je ne les descouvre (apro le cose più che scoprirle).

Con la sua capacità di aprire i sileni, Montaigne trova, come La Boétie, la libertà nella natura.

Betapress– La libertà esiste anche nella storia?

Panichi– La libertà nella storia deve essere possibile; di qui, rifiutandosi a qualsiasi piano provvidenzialistico, Montaigne segue la riflessione della ragione “adulta” sui vincoli individuali e sociali.

In un recente passato ci si è chiesti come mai, in un testo così molecolarmente intessuto di antropologia come orizzonte della condizione umana, manchi un capitolo intitolato Della storia.

Domanda forse ingenua.

La storia è lo sfondo ineludibile degli Essais (Montaigne era avido dei libri di storia universale) e scrive che la storia è il liquido amniotico di cui si alimenta la loro riflessione.

Betapress– La storia ci insegna?

PanichiL’esemplarità della storia non sempre ci può insegnare qualcosa, a volte ci insegna a rovescio.

Prima di Bacone e del Libertinage érudit, Montaigne aiuta a pensare il senso della libertà di pensiero (parlare e agire) come consapevolezza della mutevolezza dell’io e come capacità di accettazione dell’esemplare mal formato.

Dunque Montaigne sfugge al topos historia magistra vitae.

Betapress– Qual è la responsabilità dell’uomo nella costruzione del suo destino?

PanichiNei confronti del mondo in perenne movimento, l’io decide di impegnarsi, secondo il principio di responsabilità.

Il desengagement, il disimpegno dell’anima bella, per Montaigne è una sorta di spilorceria dello spirito (ladrerie spirituelle).

Se il soggetto deve vivere del proprio (il suo vero capitale), non deve però sottrarsi alla conference, alla conversazione, a sfregare il proprio cervello con gli altri, lo abbiamo anticipato, a misurarsi, pesarsi, pensare in comune.

Per diventare spirito libero, il cammino statico nella solitudine inoperosa dell’anacoreta o l’essere stilita non serve.

Lo sdegno e la dignità del soggetto sono facce di uno stesso volto, prendono le mosse dalla riforma di un io che non può prescindere dal mondo e dal suo teatro; se bisogna imparare a esaminare sé stessi, non ha alcun senso rimanere a parte sui.

Betapress– Quando un intellettuale è inutile per Montaigne?

Panichi-Quando non è impegnato nell’agire.

La filosofia di Montaigne si rifiuta al solipsismo che guarda alla torre come metafora di un’agognata solitudine dotta.

Un tale intellettuale è inutile alla società.

Bisogna impegnarsi a volte non solo con la penna, scrive, ma anche con il sangue, se è necessario, e non tenere il piede in due staffe…

E in questo chiamava in aiuto il De officiis di Cicerone.

Betapress– L’uomo impara più in solitudine o in società?

PanichiLa solitudine è indispensabile per raccogliere l’io nel profondo ed esaminarlo, anche se la sua conoscenza, al pari del resto, è impenetrabile, come stringer l’acqua nel palmo della mano; ma non se ne deve rimanere prigionieri.

Lo studiarsi va esercitato sempre in una consustanziale dialettica con l’alterità, il mondo.

Per capire la logica della vita, bisogna ammettere quanto, la differenza delle forme della natura, sia più feconda della similitudine e dell’identità.

E bisogna riconoscere quanto, la paura dell’altro, sia dovuta piuttosto alla nostra ignoranza.

La differenza è forma della natura, dunque niente può essere mostruoso perché semplicemente diverso da noi.

Così, la tolleranza diviene corollario della diversità.

Betapress-Cosa ci insegna la filosofia di Montaigne?

Panichi-Tale filosofia si caratterizza per il tentativo di alludere, indicare con il dito, secondo una espressione montaigneana di grande respiro, routes pour nous sauver, le strade per la nostra salute/salvezza, in un tempo malato e cornucopia di mali, morali e fisici.

Betapress– Montaigne insegna o racconta?

PanichiL’attitudine di Montaigne è raccontare l’uomo (non insegno, racconto) uomo come essere mutevole, camaleontico e vacillante, doppio in se stesso per sua propria essenza (l’io di adesso e l’io di prima siamo due).

Questa riflessione è alla radice della modernità e del celebre: Je suis un autre di Rimbaud.

Ma rimanda anche all’eraclitismo del soggetto e del mondo (il mondo è un’altalena perenne; tutto si muove anche le rocce del Caucaso e le piramidi d’Egitto, e la costanza è solo un movimento più debole).

Una delle affermazioni di maggior spessore filosofico di Montaigne, affermazione che segnerà l’‘ontologia’ dei saggi, è: “non descrivo l’essere, ma il passaggio”.

Betapress-Cosa significa vivere per Montaigne?

PanichiVivere significa sperimentare la vita con l’impresa di un’opera aperta, polifonica, dal titolo inconsueto, ma pienamente aderente al progetto filosofico (Essais: saggi, tentativi, esperimenti, definiti solo ironicamente cibreo, escrementi di un vecchio spirito).

Dunque, vivere sperimentando la progressiva liberazione dai pregiudizi nel pensare e nell’agire.

La rinuncia al pregiudizio è l’unica via per esercitare, come voleva Socrate, il peso e la forza della metamorfosi: divenire ciò che si è, uomo à divers estages, a più piani, homme meslé, uomo cosmopolita – quale la natura umana, essente in possibilità, sarà capace di farlo diventare.

Betapress– Chi è l’uomo Montaigne?

PanichiMontaigne è sismografo dell’anima, del mondo e della storia; in grado di concepire un’idea della morale secondo natura, autonoma dalla religione (quindi eteronoma), della filosofia separata dalla teologia (filosofia e teologia non devono confondere i loro percorsi: la censura era avvertita).

Il filosofo perigordino assume il rischio della sfida verso il lucreziano “mondo a rovescio” e non vi rinuncia; anzi, invita alla pratica del sapere aude, motto carico di sostanza, ripreso da Orazio e divenuto celebre poi con Kant.

Betapress-Imparare a vivere significa imparare a morire?

PanichiL’impegno richiesto all’uomo engagé nella società non ammette deroghe, nemmeno quando si affaccia (a tratti, divenendo dominante) il pensiero della morte: siamo nati per agire.

Il motivo senecano che Montaigne riattiva in un capitolo dominato da Epicuro e Lucrezio, e tartassato dalla futura censura romana, è considerato all’interno del proposito filosofico di “imparare a morire”.

Tale proposito, rappresentato nella sua naturalità, si converte in un desiderio: che la morte lo cogliesse mentre sta agendo, magari mentre sta piantando i cavoli nel suo jardin imparfait

Il giardino incompiuto è la metafora della vita che sperimenta il mondo in tutte le sue forme.

Ma la sperimentazione non avviene a caso. 

Ha bisogno di ordine nel progetto.

Il perigordino ritorna al punto: nella sua molteplicità vicissitudinale, la vita assume l’io come timone e bussola della giurisdizione interiore.

E la ragione è giudice e imputato al tempo stesso.

Betapress– Vivere come si può o come si deve?

Panichi– Montaigne ci lancia una bella sfida: il capolavoro del soggetto è vivere come si deve e come voleva Socrate, lo abbiamo anticipato, diventare quello che l’uomo è.

Ma l’uomo ignora sin dove possa spingersi la possibilità della natura nel suo infinito e vicissitudinale moltiplicarsi di forme

Dunque, all’uomo non resta che essayer la vie, sperimentare la vita in tutte le sue forme, aprendosi alle nuove terre di orizzonti fisici e mentali inesplorati.

Nietzsche coglierà bene questo aspetto e rilancerà: noi siamo esperimenti.

Betapress-Esiste la paura per Montaigne?

Panichi– Certo! E’ imprescindibile dal coraggio.

Per avere paura ci vuole coraggio, scrive, mentre il sapere aude, il cuore del saggio dedicato all’educazione dei fanciulli, abbandona la latitudine di una educazione ‘a tempo’ per divenire, come gli Essais, un esempio di institutio e di formazione permanente degli adulti e della loro ragione, apprendistato che deve durare, appunto, tutta la vita.

Betapress-Gli Essais, sono moniti, sentenze o aforismi?

Panichi-Gli Essais non sono una raccolta di sentenze o di cristalli di sapere.

Piuttosto portano con loro il privilegio del corpo organico, della vitalità del pensiero, dell’inesauribilità della question de l’homme.

In questa forma hanno potuto influenzare percorsi e sentieri intellettuali, sollevare polemiche o accoglienza in lettori, che li leggeranno e rileggeranno, a partire dai contemporanei: Lipsio, Charron, i libertini, Florio, Bacone, Descartes, Hobbes,

Rousseau, Kant, Kierkegaard, Nietzsche, Emerson…, per citarne pochissimi.

Nel Novecento italiano, Pirandello, Bo e Sciascia, su fronti e per motivi diversi ne rimarranno folgorati.

Betapress-Quale monito sembra riguardarci più da vicino?

Panichi– Nella sua folgorante immediatezza, penso che sia tout mouvement nous découvre – ogni movimento ci scopre.

 

E con l’augurio di avere spronato i nostri lettori a scoprire (o riscoprire Montaigne), ringraziamo di cuore Nicola Panichi per avere condiviso con noi queste eterne pillole di vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Distanziamento A-sociale

Il distanziamento sociale non è cosa nuova, viene dal passato, e fu usato per i casi di lebbra, e viene già descritto nel libro del levitico nel VII secolo avanti cristo.

Quindi nulla di nuovo, semplicemente un metodo che è utile quando non ce ne sono altri, come si direbbe l’ultima spiaggia.

Ma c’è un prezzo da pagare, un costo sociale che è ancora da comprendere e che mostrerà la sua luce non a breve.

Ancora oggi, con la parola lebbroso identifichiamo qualcuno da tenere alla larga, pericoloso, da rinchiudere.

Sicuramente ci sarà un impatto economico, la distruzione di un benessere raggiunto negli ultimi anni che certamente non sarà più alla portata di questa società, e questo a mio avviso porterà ad una rivolta sociale che oscurerà il futuro di questa generazione.

Vi è però un altro prezzo che pagheremo, più oscuro e nascosto, meno visibile perché poco percepito, ma comunque gravissimo: la perdita della emotività sociale.

L’uomo è un animale sociale, il suo io è imperniato sul concetto di appartenenza, di accettazione, di gruppo.

Lo scambio sociale permette all’individuo di relazionarsi con se stesso, costruendo pertanto un io equilibrato.

Il prolungarsi del distanziamento come metodo antivirale porterà sicuramente, e già lo ha fatto, ad una riduzione della capacità degli individui di crearsi un mondo interiore stabile.

Infatti senza confronti e senza gestione del vicinale sarà difficilissimo modellare la propria dimensione personale verso una dimensione sociale.

Cosa perderemo?

Sicuramente la capacità di confronto, ma di più la fiducia, questa ci è minata dalle continue dichiarazioni in cui appare che nessuno possa essere considerato sicuro.

Questo approccio molto nichilista ha un’influenza negativa sulla psiche dell’individuo, perché mina in lui, già alla base, le certezze e le sicurezze relazionali individuali.

Il danno di queste scelte sarà visibile nei prossimi anni, e anche nelle prossime generazioni che soffriranno di covidmania, ovvero una paura diffusa della relazione, un profondo, inconscio, motore di insicurezza.

Problema di struttura della emotività sociale del paese, gravissimo perché impercettibile, ma devastante come il virus da cui ci si è voluti difendere.

Invece che pensare ai banchi a rotelle sarebbe utile prevedere dei programmi specifici per recuperare i danni del distanziamento, e certo smettere con la teoria del terrore che a ben poco serve, se non ad instillare paure più nel livello inconscio che in quello conscio.

Evidente il comportamento di tutti in questo periodo, una ricerca delle vecchie modalità di vita, allentato il momento si cerca di riprendere quello che inconsciamente si sa di aver perso.

Inutile continuare a terrorizzare perché ormai non si agisce più sulla leva cosciente della massa ma su quella inconscia, quindi la più pericolosa.

Siamo ormai entrati in un momento in cui l’uso del distanziamento diviene sempre più strumento A-sociale, i messaggi sono ormai subliminali, non toccano più la parte cosciente dell’individuo, che ormai anela alla normalità precedente, che mai ci sarà più, ma quella parte che genera e stimola le paure e le insicurezze.

Credo sia il caso di fermarsi, anche se ormai potrebbe essere troppo tardi…

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

 

 




Il gioco d’azzardo tra passato e presente

Affrontare il tema del gioco d’azzardo patologico, oggi conosciuto come GAP, significa riflettere su qualcosa di presente nel tempo e nocivo alla vita individuale, famigliare, scolastica e lavorativa.

Sembra che il gioco d’azzardo sia nato in Cina per poi diffondersi nel resto del mondo.

È interessante notare come nei dipinti di famosi artisti siano ritratti soggetti di fascia sociale povera intenti al gioco.

L’arte ha voluto essere testimone di un fenomeno che abbraccia tutti i tempi e tutti i popoli.

Per esempio citiamo verso la fine del 1500 il dipinto “I bari” di  Caravaggio dove alcuni soggetti vengono sbirciati mentre sono intenti al gioco delle carte.  

Intorno al 1600 Georges de La Tour propone invece l’opera “Il baro” dove vengono mostrate alcune figure femminili, anch’esse intente al gioco delle carte, con un uomo che sfila dalla cintura due assi. 

A sua volta Paul Cézanne realizza, attraverso la scomposizione della realtà in forme geometriche, l’opera “I giocatori di carte” rappresentando uno spaccato del popolo francese dedito al vizio del gioco e dell’alcool.

Risale al 1887 l’opera di William Holbrook Beard intitolata “The poker game” che ritrae al tavolo da gioco degli scimpanzé impegnati in una partita a carte.

Nel 1948 l’americano Norman Rockwell crea “Bridge game” ma in questo caso viene rappresenta una scena di relax dove il gioco del bridge diviene un piacevole momento di condivisione teso a rispecchiare lo stile di vita americano del dopoguerra.

Di grande impatto sono le tele raffiguranti cani che giocano a carte dell’artista Cassius Coolidge, il quale aveva realizzato, con la società pubblicitaria Brown & Bigelow, un accordo per produrre 16 dipinti raffiguranti cani in atteggiamenti umani e ben nove di queste tele raffigurano tali animali intenti a partecipare ad una partita di poker.

Come si può notare il gioco rappresenta, sia nelle sue sfaccettature positive che negative, motivo di interesse per le espressioni artistiche del contesto socioculturale di tutti i tempi.

L’arte che mostra il gioco diviene ai giorni nostri spunto di riflessione per affrontare un tema che suscita allarme e cioè quello del gambling.

È risaputo che la tecnologia ha reso maggiormente accessibile il gioco d’azzardo e ciò può dipendere dal fatto che i costi per iniziare a giocare online sono molto ridotti se paragonati a quelli del casinò ed è garantito l’anonimato del giocatore.

Il gioco d’azzardo sembra essere passato da fenomeno sociale a fenomeno asociale.

La persona è meno consapevole di quanti soldi perde e, perlomeno inizialmente, sono  minori i sensi di colpa.

Uno dei giochi d’azzardo online che ha avuto recentemente un forte incremento è il poker.

Questo grazie al fatto che le persone possono imparare gratuitamente a giocare, si possono puntare cifre irrisorie e si può partecipare ad una partita in ogni  momento e in ogni luogo tramite internet.

Una forte attrazione verso il gioco rischioso sta coinvolgendo varie fasce d’età dalla giovinezza alla senescenza.

Il GAP è stato riconosciuto come patologia dalla comunità scientifica ed è considerato una dipendenza non oggettuale e cioè una dipendenza in assenza di  sostanza.

Ci troviamo di fronte ad un agito persistente nel tempo che va a ledere il vissuto personale e sociale.

Essere posseduti totalmente dal gioco porta a mutare radicalmente il proprio stile di  vita.

Il soggetto intrappolato sente la necessità di investire denaro pensando di recuperarlo e di aumentarlo, tende a cambiare umore e diventa irascibile, utilizza stratagemmi per nascondere alla famiglia il suo stato, le sue relazioni ed il suo lavoro divengono a rischio.

L’illusione di poter vincere diventa un input molto forte poiché fa emergere un desiderio di  potenza. Il gioco assume il ruolo di un surrogato che colma le lacune di un sistema di vita in crisi.

Riconoscere il proprio disagio e chiedere aiuto non è facile nel caso del GAP in quanto l’accettazione del gioco, quale fenomeno socialmente condiviso, mira a nasconderne la pericolosità.

“Il giocatore” di Dostoevskij del 1866 può essere preso come emblema del dramma dell’uomo che finisce nella spirale del gioco d’azzardo. L’autore analizza con sapienza quest’ultimo in tutte le sue forme ed evidenzia i diversi tipi di giocatori, da quelli ricchi a quelli poveri, che si giocano tutti gli averi.

Simbolica è la frase tratta dal testo dello scrittore sopracitato: “I giocatori sanno bene che si può resistere addirittura per ventiquattr’ore di seguito con le carte in mano senza neanche gettare un’occhiata a destra o a sinistra”.

Il potere ipnotico del gioco patologico può dunque catalizzare a tal punto la persona che è caduta nella trappola da allontanarla dalla realtà come viene espresso in alcuni dei quadri di cui abbiamo precedentemente parlato.

Si salva forse la scena di Norman Rockwell dove il gioco del bridge diviene momento conviviale e di socializzazione.

Il gioco ha in sé le caratteristiche dell’ambivalenza: seguire il lato positivo può  aiutare la persona a socializzare ed è infatti risaputo come il bridge sia fonte di  benessere per l’anziano che, inoltre, attraverso la sua pratica può rafforzare le capacità mnemoniche; seguire il lato negativo, come ad esempio il gioco online condotto in solitudine, può diventare distruttivo in quanto quasi sicuramente condurrà la persona ad una dipendenza con conseguente isolamento, perdita di denaro e danni a se stesso oltre che alla famiglia di appartenenza.

  

 

 

 

 

 

 

 

Lo scollamento

“Il Potere Creativo Del Logos”