La vera Guerra inizia adesso

L’orribile pandemia ha seminato morte e sofferenza ma anche cambiato il nostro dizionario quotidiano, forse, per sempre.

La “Fase Uno” e la “Fase due” ci tormentano da mesi: la prima con il suo carico di ansia e terrore, la seconda con trame intrise di speranza.

La speranza di un ritorno alla normalità, al lavoro, agli aperitivi con gli amici dove trovare il tempo perfino di annoiarsi.

Il Mondo è tornato a vivere, nei parchi e negli spazi pubblici si gioca e si corre forse per dimenticare il confino quella realtà aliena vissuta sin dal giorno della pubblicazione del decreto di marzo sul distanziamento e l’isolamento sociale.

Eppure non stiamo sognando.

La fase due ci permette di pensare che sia tutto finito, ma non è cosi.

Il Virus ancora circola liberamente e nessun vaccino è stato ancora messo a punto nei centri di ricerca.

Cosi’, accanto ai morti, balzano ai nostri occhi i danni economici.

Molti esercizi commerciali, quelli dove per anni abbiamo preso il caffè o mangiato il gelato, non riapriranno più.

Si è perso tempo.

L’emergenza è stata gestita con il ricorso ad un “management by necessity” culminato con decisioni non condivise e nomine di consiglieri economici e staff tecnici senza prestare attenzione alle indicazioni esistenti, si pensi al “Piano Nazionale di risposta a una pandemia influenzale”, operativo già dal 2008.

La debolezza del paese, unita alla opacità degli intenti messi in campo dalla sua classe dirigente, hanno trovato la massima forma espressiva in sede europea.

Cosi’ il tema degli aiuti all’emergenza sanitaria diretti e indiretti ed il sostegno ai sistemi economici sono diventati merce di scambio per l’unica cosa che interessa all’Unione a trazione tedesca:

l’attivazione delle condizionalità previste dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e che consentiranno di imporre ai paesi aderenti in difficoltà “ricette” di politica economica draconiane per ricondurre in equilibrio i conti pubblici. (Art.7 Reg 472/2013).

Una vera e propria usurpazione di sovranità già tristemente sperimentata dalla Grecia per la quale, nella crisi nel 2010, i programmi di aggiustamento macroeconomico imposti dalla Troika (Commissione

europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Europea degli Investimenti) hanno portato a forti riduzioni della spesa pubblica e tasse fino al taglio dei crediti detenuti dal settore privato nella misura di oltre il 50%.

D’altronde i fatti sono sotto gli occhi di tutti.

Dal picco dell’epidemia l’Unione europea si è chiusa intorno alle analisi sugli effetti delle asimmetrie finanziarie piuttosto che sulle cause e sulle misure di sostegno dividendo cosi popoli e paesi.

Il Consiglio d’Europa del 23 aprile scorso alla presenza dei capi di stato e di governo, convocato per superare l’impasse nella quale erano finiti i lavori dell’eurogruppo ha soltanto puntualizzato i termini del dibattito.

Il varo dei Recovery Fund (collegati al bilancio della Unione 2021-2027), la concessione di 540 miliardi euro suddivisi tra il fondo Sure (Support to mitigate Unemployment risck in an emergency),

una sorta di cassa integrazione europea, per 100 md, Mes fino a 240 miliardi per spese sanitarie dirette ed indirette ed un pacchetto di aiuti per 200 miliardi destinati a piccole e medie imprese con l’intervento diretto della Banca Europea degli Investimenti (BEI).

Non c’era bisogno di ribadire, nella riunione, il rifiuto alla proposta italiana incentrata sulla emissione di euro bond (coronabond) o l’intento di spedire in soffitta le condizionalità del Fondo Mes.

A quest’ultimi, infatti, si erano già date ampie risposte con la votazione del parlamento europeo del 17 aprile che sulla “risoluzione sulla azione coordinata della UE per lottare contro

la pandemia del covid19” ha escluso il varo dei coronabond ed esortato i paesi aderenti all’uso del Mes con un’ampia maggioranza.

E’ evidente che la Germania ed i paesi del blocco nordico abbiano fatto diventare il Mes un’autentica “Linea Gotica”.

Negli ultimi mesi la politica italiana si è dovuta confrontare con un forte fuoco di sbarramento sui meccanismi condizionati voluti dall’Unione provenienti dalle opposizioni ma anche da gruppi del Movimento 5 stelle, dentro e fuori del parlamento.

La votazione sull’ordine del giorno presentato dalla formazione politica Fratelli d’Italia il 24 aprile contro l’adozione del Meccanismo Europeo di Stabilità in forma originaria o “light” ha fatto definitivamente chiarezza anche in casa nostra.

Con il voto contrario il governo italiano ha ribadito, questa volta senza alchimie comunicative, la propria disponibilità all’adozione del Mes.

 

La Germania, tuttavia, nonostante la formale adesione dell’Italia ai meccanismi di sostegno evocati, teme uno scollamento del paese reale una volta che le politiche di controllo macroeconomico imposte al paese produrranno i loro effetti.

Timori resi più forti dalla tenuta nei sondaggi di opinione delle opposizioni, Lega e Fratelli d’Italia che rappresentano ancora una problema per la tenuta del governo e potrebbero far esplodere fermenti nazionalisti ed anti europeisti di eccezionale portata.

Non è quindi un caso se dopo tanto parlare le misure di sostegno da varare in sede europea, siano state diluite all’interno di appelli alla solidarietà e molteplici riunioni al momento soltanto convocate creando di fatto uno slittamento progressivo delle decisioni.

Cosi, il 6 maggio si riunirà la Commissione europea per formulare una proposta di funzionamento del Recovery Fund.

Seguirà la riunione dell’Eurogruppo dell’8 maggio per un’ulteriore analisi dei Recovery Fund e l’adozione di nuove misure di credito per i paesi che richiederanno l’attivazione del Mes.

La riunione riprenderà molto probabilmente in seduta comune con l’Ecofin (organismo che racchiude i Ministri delle finanze degli stati membri) il 18 maggio per esaminare le proposte della Commissione europea.

Poi sarà il turno del Consiglio europeo convocato per il 1° giugno per regolare l’erogazione dei 540 miliardi di aiuti discussi lo scorso 23 aprile.

L’11 giugno sarà ancora la volta dell’Eurogruppo e dell’Eurofin per attivare il progetto dei Recovery Fund.

Il 18 e 19 giugno il Consiglio europeo si riunirà per dare il via, ma non prima del 1° luglio, ai fondi di sostegno messi a punto nelle riunioni precedenti ed assistiti, finalmente,

dall’adesione incondizionata dell’italia alla tecnicalità giuridica inserita nelle norme fondative del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes).

Potrebbe sembrare tutto facile oppure la partita non è stata ancora vinta ed i fautori del nuovo ordine europeo si riservano di continuare ad usare a loro vantaggio  la leva degli eventi sfavorevoli, circostanze o casualità che siano.

La situazione economica, del resto, è disastrosa.

Il crollo della produzione industriale, del prodotto interno lordo e dell’occupazione, l’aumento del deficit e del debito pubblico sono ormai dati a tutti noti.

Circostanze gravi ma che non sono sufficienti per sopraffare definitivamente l’opinione pubblica e assicurare un cammino senza ostacoli alla politica rigorista che i paesi del blocco nordico vorrebbero imporre.

In quest’ottica, la recentissima sentenza della corte costituzionale tedesca che ha accolto “parzialmente” i ricorsi contro il Quantitative Easing,

a suo tempo messo in opera dalla BCE guidata da Mario Draghi

e che arriva proprio a ridosso delle prossime riunioni di Commissione ed Eurogruppo non servirà di certo a placare gli animi degli scettici alimentando il sentimento di abbandono delle economie periferiche.

 

Sulla stessa lunghezza d’onda potrebbe essere colto il declassamento del debito pubblico italiano ad opera di Fitch previsto dal calendario ufficiale per il 10 luglio 2020 ma anticipato al 23 aprile scorso

(lo stesso giorno in cui si è tenuta la seduta del Consiglio europeo).

La Commissione europea, il prossimo 7 maggio, si riunirà per fare il punto sulla stima attesa dell’impatto del virus sui paesi dell’unione mentre per il prossimo  8 maggio sono previsti gli aggiornamenti dei rating di DBRS  e Moody’s.

Vale la pena di ricordare che per quest’ultima società di rating il merito di credito del nostro paese è già considerato prossimo al livello speculativo.

Casualità o meno sono ormai diverse le circostanze che irrompono, con cadenza quasi simbolica, nel dibattito di una comunità in lotta con sé stessa e che lasciano presagire un finale senza sorprese.

 

Sun-tzu nell’”Arte della Guerra” afferma che il vero stratega sconfigge il nemico prima ancora di impegnarlo nel combattimento.

In altri momenti dell’opera il generale vissuto nella Cina tra il V ed il IV secolo A.C., ricorda come non sia necessario che i soldati conoscano i fondamenti della strategia preferendo l’ignoranza delle truppe alla condivisione delle informazioni e fa, dell’astuzia e della flessibilità, armi letali.

Alla fine del capitolo II si legge “un comandante intelligente si sforza di sottrarre i viveri al nemico” e ancora “…chi uccide il nemico prova rancore. Chi invece lo prende prigioniero, trae vantaggio dalle risorse dell’avversario”.

Il dubbio è che il dibattito in sede comunitaria si sia cinto delle vesti del generale cinese e che la politica italiana abbia mostrato la debolezza di quei soldati per i quali l’ignoranza è preferita alla conoscenza ed alla partecipazione.

La lotta contro il virus non è ancora vinta.

Ci attende ancora una lunga battaglia ma la comunità sociale ed economica sarà ricostruita con audacia e passione.

Cosi hanno fatto i nostri nonni ed i nostri genitori.

Cosi faremo noi ed i nostri figli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano Marshall oggi più che mai!!

Europa: cronaca di una morte annunciata…

Conte ed i fantastici 17

Eurexit

CORONABOND e ITALEXIT: FALSI PROBLEMI

 




Maturità, t’avessi preso prima …

E’ proprio finita!

Spariti gli esami di terza media, o per gli amanti della forma, soppressi gli Esami di Stato del I°ciclo.

Quest’anno, complice il covid 19, il percorso si conclude con una tesina.

Niente presenza a scuola, niente prove scritte.

Il Ministro Azzolina, ieri a colloquio con gli studenti di Skuola.net ha accennato agli studenti che quest’anno concluderanno il I ciclo “faremo preparare una tesina, lavoreranno insieme ai loro insegnanti, la consegneranno e poi ci sarà lo scrutinio finale”.

Dato che non si rientrerà più in classe entro la fine dell’anno scolastico, si seguirà quanto indicato nel DL 22/20 dell’08 aprile 2020.

Quindi gli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione 2019/20 non si svolgeranno e ci sarà soltanto la valutazione finale del consiglio di classe che terrà conto anche di un elaborato del candidato.

L’ordinanza, che il Ministro dovrà emanare, dovrà definire:

  • le modalità di composizione dell’elaborato;
  • le modalità e i criteri per l’attribuzione del voto finale.

E gli scrutini, sempre secondo quanto previsto dal decreto dell’8 aprile 2020, si svolgeranno in modalità telematica

Spariti gli esami di terza media, dicevamo, e salvata l’apparenza degli esami di maturità.

Infatti, l’esame finale per le scuole superiori, la maturità 2020, pietra miliare per generazioni di studenti, è stato “preservato” ed attende i maturandi, il prossimo giugno, in versione snellita e mistificata.

Siamo infatti passati dai tre scritti ed un orale di tre anni fa, ai due scritti ed un orale di due anni fa, al solo orale di quest’ anno.

Certo, avrà una veste totalmente nuova rispetto al passato, data la situazione fuori dal comune, questa è la giustificazione.

In realtà, se cambiamo significati cambiamo però anche il nome: non possiamo più parlare di Maturità se il nuovo esame NON sarà neppure svolto come imposto dalla riforma della buona scuola di Renzi, ma si presenta ancor più svilito dalla Ministra Azzolina.

Cambiano i governi, ma il gioco al massacro della scuola non finisce mai!

Stupiti ed attoniti, questo è come si rimane guardando le nuove regole dell’esame di maturità, o meglio del passaggio di fine superiore.

Non è più un esame, ma solo una formalità che chiunque potrà superare, ed a cui chiunque sarà ammesso.

Quindi a che serve?

Decisamente a nulla, un poco come il titolo di studio ed il suo valore legale, oggi a cosa serve essere diplomati se questo titolo di studio sul mondo del lavoro non vale più a nulla??

Non vale più nemmeno nei concorsi pubblici!!!

Svuotare così la scuola pubblica di ogni significato non sarà una mossa per favorire quella privata?

Ma procediamo con ordine, oggi parliamo di maturità e di come in tutto questo cammino si sia riusciti a farla diventare immatura.

Già da tre anni a questa parte, il governo aveva proposto che non servisse più il sei in ogni materia per essere ammessi, ma solo la media del sei (compreso il voto di condotta) e non si facesse più la terza prova …

Il 14 gennaio 2017, infatti, erano stati pubblicati sul sito del ministero dell’Istruzione e della Camera i testi degli otto decreti legislativi approvati dal Consiglio dei Ministri riferiti alla legge 107, cioè sulla riforma scolastica del luglio 2015, in breve, la BUONA SCUOLA di Renzi …

Il testo che più degli altri aveva fatto notizia, era l’atto 384:

“L’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di stato”.

In particolare, l’art.15, si occupava delle ammissioni dei candidati interni agli esami di stato finali delle superiori, cioè chi era ammesso alla maturità.

E qui veniva il bello …

Era necessaria, come prima, la partecipazione ad almeno il 75% delle ore di lezione, cioè, uno studente poteva continuare a stare a casa un giorno su quattro che, comunque, frequentando i ¾ del monte ore annuale, aveva assolto l’obbligo di frequenza.

Così, era sempre più istituzionalizzata anche l’assenza strategica o la malattia psicosomatica per allergia a quel prof tanto spietato che voleva pure interrogarlo nella sua materia professionalizzante…

In più, rispetto a prima, erano previsti gli obblighi alla partecipazione alle prove Invalsi, allo svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro ed infine, una votazione di ammissione non inferiore alla media di 6/10 compreso il voto di condotta.

Dunque, non era più richiesta la sufficienza in tutte le materie.

Questo significa che si poteva essere ammessi all’esame di stato anche con un 5 (o un 4 o un 3!!!) purché ci fossero dei 7 (o degli 8 o dei 9) a compensare su altre materie.

Ed allora, il nostro candidato tipo poteva affrontare la maturità classica con un bel 4 in latino od in greco, il suo amico maturando dello scientifico poteva esibire il suo 4 in matematica od in fisica ed un futuro ragioniere rivendicava il suo 4 in economia aziendale od in finanze …

Che, intanto, le insufficienze erano indicate in modo generico.

Era irrilevante che fossero nelle materie professionalizzanti …

Allora, le assenze strategiche avevano ragione di esistere? …

Un mio alunno aveva detto: “Prof, Dio c’è !!!”

C’erano delle novità anche per le prove Invalsi: si era introdotta una nuova prova di inglese, oltre quelle già previste di italiano e della seconda materia.

Però la prova Invalsi, requisito per l’ammissione all’esame, non confluiva più nel voto finale.

Da povera addetta al lavoro, in classe da 31 anni, mi ero già augurata solo che i quesiti delle prove Invalsi proposti nelle superiori fossero un po’ più accordati alle conoscenze richieste ed alle competenze certificate di alunni reali e non virtuali …

Perché, considerati gli Invalsi proposti negli esami di terza media, vi avevo assicurato che, ogni anno, il MIUR partoriva un tale inventario di quesiti scollati dalla realtà scolastica in atto, che, mi ero sempre chiesta, chi fosse ad inventarli e che cosa volessero verificare, se non servissero solo per abbassare la media finale anche degli studenti migliori…

Oppure, dubbio amletico, i nuovi quesiti avrebbero dovuto dimostrare che i nostri alunni non erano come ci aspettavamo ed allora, rinforziamo l’errore, la prova Invalsi non consideriamola nel voto finale, usiamola solo per far vedere che la nostra buona scuola funziona…

Ma sì, andava tutto bene per quelli del MIUR…

Il decreto prevedeva, sempre per l’esame di maturità, l’eliminazione della 3° prova e della tesina portata dal candidato introdotta dal ministro Fioroni nel 2007.

Eh sì, povero il nostro candidato, gli avevamo tolto pure l’insonnia da “notte prima degli esami” eliminando il famoso “quizzone “…

Intanto, nella vita, succede proprio così, è tutto sempre più facile…

La prima prova scritta era italiano, la seconda era la materia che caratterizza il corso di studi, ed infine c’era il colloquio orale.

Infine, con il nuovo decreto, il voto finale restava in centesimi, ma si dava maggiore importanza al percorso fatto negli ultimi tre anni, in modo progressivo.

Il credito scolastico aveva un peso maggiore passando da 25 punti a 40, le due prove scritte e l’orale potevano valere invece fino a 20 punti ciascuno.

E qui, almeno, si iniziava a riconoscere il percorso più o meno meritevole e non solo la prestazione finale…

Ma, quest’ anno, un bel colpo di spugna, ha cancellato tutto e dato la grazia anche a chi si è parcheggiato per cinque anni nella scuola 

La formula sarà quella, ormai confermata, del maxi orale, che la ministra dell’Istruzione vorrebbe si facesse in presenza, a scuola, davanti alla commissione interna ad eccezione del presidente esterno.

Il giorno della data dell’esame di maturità sarà il 17 giugno “e l’esame orale partirà da un argomento che non sarà una tesina ma un argomento da cui partiranno scelto con i loro prof. Si parte da un argomento di indirizzo”.

Ma vi rendete conto?!?

I docenti devono concordare con gli alunni quello che chiederanno nell’esame?!?

Il nostro caro maturando si accorderà preventivamente su quello che dovrà dire?!?

E guai a fargli una domanda fuori dal seminato!

Che saranno tutti pronti a dire che l’ha detto la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina “L’esame di stato non è un interrogatorio ma l’apice di un percorso e non può riguardare quanto non è stato fatto”.

Appunto, lo dice bene la ministra, non si può certo chieder quanto NON E’STATO FATTO, a forza di tagliare i programmi, di gonfiare i voti, di alzare le medie, di salvare gli alunni con PDP, PEI, PON (per chi non lo sapesse, esistono davvero Pino Didattico Personalizzato, Piano Educativo Individualizzato, Programma Operativo Nazionale)

Per questo i crediti prima della pandemia erano 40, poi c’erano gli altri 60 legati alle prove.

Ora, si deve valorizzare di più il percorso di studi: 60 saranno i crediti dai quali gli studenti potranno partire e 40 la prova orale.

Questo sarà un giusto riconoscimento all’impegno!

E già!

Posso dirla tutta “ Ma andate a c…re !”  

Che intanto voi del Miur, come dicono a Roma, fate i froci con il c…o degli altri, in pratica il nostro, ma noi in aggiunta ci mettiamo la nostra dignità e professionalità!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Quando lo strafalcione diventa esame di stato, la scuola che non c’è più…

La Maturità immatura!

San Gennaro esiste…

 




Concorso a Cattedra, ridicolmente infernale…

Ma cosa ho mai fatto di male a voler fare l’insegnante?!?

Da ieri, i quattro concorsi per assumere insegnanti, dalla scuola primaria ai licei, sono in Gazzetta ufficiale.

I bandi, che diventeranno la guida per i candidati – un potenziale tra 180 e 240 mila -, sono pronti.

 

Peccato che sia un girone infernale, pieno di ostacoli ed ingiustizie.

Con quattro percorsi diversi, previsti tra luglio e ottobre, per la nostra cara Ministra Azzolina si porteranno in cattedra 61.863 docenti, chiamati a ridurre l’eccesso di supplenti della scuola italiana (siamo vicini al rapporto di un precario ogni quattro docenti di ruolo) e a sostituire i trentamila maestri e professori che a giugno andranno in pensione.

 

Analizziamo insieme i nodi spinosi ed i punti dolenti dei vari vaneggiamenti ministeriali.

 

Primo problema. Il momento, in piena emergenza sanitaria.

 

Abbiamo aspettato anni e, proprio adesso, dove tutto è vietato, perché pericoloso, si espongono 80000 persone al contagio!

Il primo bando riguarda infatti la procedura straordinaria per il personale precario della scuola secondaria (I e II grado): 24.000 posti disponibili, 77.000 candidati, attesi in giro per l’Italia, tra assembramenti e spostamenti.

I famosi party, vietati da Conte, ma ammessi dalla Azzolina!

Secondo problema. La ragione.

Invece di indire altri concorsi, perché non attingere e portate a termine le due graduatorie di merito dei concorsi 2016 e 2018?

Perché non smaltire le gae (graduatorie ad esaurimento)?

E’ necessario dare il ruolo subito ai vincitori del concorso 2016 nella regione dove hanno superato il concorso, prima di creare dei nuovi docenti sospesi!

Non ci sono già abbastanza abilitati in condizione precarie, itineranti sulle varie scuole? Perché non stabilizzare questi che già hanno maturato esperienza e competenza, soprattutto in questo periodo della DaD?

Perché congelare le graduatorie di istituto e licenziare gente che già lavora, per illudere altri, promettendo un posto che non c’è?

Tant’è vero che, l’ha detto la stessa Azzolina “Chi non risulterà vincitore, otterrà comunque l’abilitazione alla professione che consentirà la partecipazione futura a concorsi ordinari”.

Ciak, si gira!, diciamo noi…

Le domande per questa prova si potranno inviare dal 28 maggio al 3 luglio e, secondo la ministra Lucia Azzolina, il concorso si potrà svolgere sempre nel mese di luglio:

“Dobbiamo portare i vincitori in cattedra già a metà settembre”

E dunque…

Terzo problema. Il tempo.

A settembre?

A tale proposito, diamo la parola al senatore Mario Pittoni, presidente della commissione Cultura a palazzo Madama e responsabile Istruzione della Lega.

“Il bando appena pubblicato non ha alcuna possibilità di centrare il risultato, già poco più che simbolico con 200 mila precari, di portare 24 mila docenti in cattedra a settembre con un contratto a tempo indeterminato.

Il documento chiarisce infatti che la presentazione delle domande scade il 3 luglio e, visto che gli Uffici scolastici regionali hanno bisogno di almeno 3 settimane per porre in atto le complesse procedure propedeutiche all’effettuazione della prova, è scontato che l’iter si concluderà fuori tempo massimo.

È la conferma che solo il grande piano di stabilizzazione che porteremo al voto la settimana prossima in commissione al Senato può garantire insegnanti definitivi dall’inizio dell’anno scolastico, per affrontare l’emergenza sanitaria con la necessaria efficacia”.

Quarto problema. La modalità

Innanzitutto, il quizzone di 80 quesiti in 80 minuti è una lotteria e non si può sottoporre alla sorte un precario che ha investito parte della sua vita nella scuola.

Per consentire ai 77.000 candidati di poter svolgere la prova (test a crocette) con il distanziamento necessario, il ministero dell’Istruzione ha previsto di utilizzare ottomila istituti sul territorio.

Ma dove?!? Con tutte le scuole che necessitano di interventi di edilizia straordinaria, necessari per la difficile fase di riapertura di settembre!

Saranno 33.000 le postazioni disponibili.

Nei singoli plessi potranno entrare solo dieci candidati alla volta. 

Le prove si svolgeranno in diversi giorni, divise per classi di concorso: una procedura simile a quella che sarà adottata dal ministero dell’Università per l’ingresso nelle specializzazioni mediche, sempre a luglio.

Le aule utilizzate saranno sanificate prima dell’ingresso dei candidati.

Bene, ammesso e non concesso che tutto funzioni, ma, qualcuno si è preso la briga di calcolare quanti giorni ci vogliono?!?

E poi, la batteria di test è sempre la stessa? E qui, comunque si faccia, si sbaglia.

Sempre gli stessi quiz? Poco serio, gli ultimi hanno già ricevuto le risposte ed affrontano la prova facilitati.

Quiz ogni volta diversi?

Poco corretto, perché le domande, cambiate ogni volta, possono essere più o meno facili, e la prova non è oggettivamente equivalente come difficoltà.

Quinto problema. Il calcolo del punteggio dei titoli e del servizio

Il punteggio minimo attribuito agli anni di servizio è ingiusto, non c’è una giusta spiegazione logica, a parte quella non giusta di far fuori i precari più anziani;

Addirittura, il titolo di dottorato è valutato, per il concorso straordinario, cinque volte tanto un anno di insegnamento nella scuola e, per il concorso ordinario, è valutato dieci volte tanto un anno di insegnamento nella scuola.

Anche in questo caso non c’è una giusta spiegazione logica, a parte quella non giusta di sistemare nella scuola qualche dottore di ricerca per il quale non si trova un posto accademico.

Sesto problema. Il contributo d’esame

 

Un’altra cosa astrusa è relativa al contributo d’esame: nel caso del concorso ordinario, per le tre prove, più eventuale preselettiva, il contributo di esame è di 10 euro; invece, nel caso del concorso straordinario, per una sola prova computer based, il contributo è di 40 euro (procedura per il ruolo) o di 15 euro (procedura per l’abilitazione).

L’unica spiegazione logica è quella perversa di boicottare il più possibile per impedire immissioni in ruolo, mantenendo lo status quo di precariato che fa bene alle casse dello Stato e a chi ci guadagna attraverso i ricorsi, i corsi universitari, i corsi telematici per l’acquisizione di punteggio, ecc.

 

Settimo problema. Gli insegnanti di sostegno

 

La prova straordinaria abilitante è riservata a tutti gli insegnanti con un’anzianità di servizio di almeno tre anni, anche sul sostegno, però ASSOLUTAMENTE ne serve almeno uno trascorso nella classe di concorso per la quale affronteranno la selezione.

È FATTO GRAVISSIMO AVER ESCLUSO I DOCENTI CON TRE O PIÙ ANNI DI SERVIZIO ESCLUSIVO SUL SOSTEGNO.

 

Insegnanti con esperienza magari decennale, avrebbero POTUTO PARTECIPARE QUANTOMENO ALLA PROCEDURA STRAORDINARIA AI FINI ABILITANTI PER LA CLASSE DI CONCORSO DA CUI SONO STATI CHIAMATI DA GRADUATORIE INCROCIATE. SEGUIRANNO MIGLIAIA E MIGLIAIA DI RICORSI

Ottavo problema. L’idoneità

Per l’idoneità gli aspiranti docenti dovranno ottenere una votazione minima di 28 punti su 40 nella prova scritta al computer.

I vincitori andranno subito in cattedra e saranno ammessi a sostenere un anno di prova che sarà rinforzato con una formazione universitaria mirata per 24 crediti formativi universitari.

L’anno si concluderà con un colloquio di verifica in cui bisognerà conseguire il punteggio minimo (i 7/10, appunto), ALTRIMENTI, il ruolo non sarà confermato.

I vincitori del concorso dovranno restare almeno cinque anni nella sede di prima assegnazione per assicurare la continuità didattica.

Nono problema. Il merito

Tutti insieme, appassionatamente, precari storici e neolaureati, senza nessuna meritocrazia

Perché lo scopo è ben altro…

I docenti che risulteranno “idonei”, ma non collocati in posizione utile per la nomina in ruolo, potranno abilitarsi all’insegnamento nella classe di concorso per la quale hanno partecipato e sosterranno una prova orale (sempre con un punteggio minimo di 7/10) e un anno di formazione per l’acquisizione dei 24 crediti.

Poi potranno partecipare a nuovi concorsi.

Noi di betapress ci limitiamo a dire che è vergognoso.

Tutti sappiamo che sarà impossibile svolgere le procedure del concorso straordinario prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, che a settembre gli attuali precari saranno ancora tali e le classi saranno ancora scoperte.

Nella fase in cui la riapertura richiederà stabilità delle cattedre e certezze, il ministero scarica sulle scuole l’onere di nominare quasi 200.000 supplenti.

E la cara Ministra Azzolina si riempie la bocca di propaganda politica pigliando in giro, chi, anche adesso sta facendo i salti mortali per far funzionare la scuola, DaD compresa!…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo

 

Buona Notte, cara Ministra, vada a dormire, che è meglio…




Riaprire la Scuola

Scuola ombelico delle riforme post covid 19

Oggi le principali scelte che la tutela della salute impone sono:

a) ridurre gli assembramenti

b) igienizzare e sanificare in modo quotidiano e continuo

c) allontanare tra loro le persone

d) conciliare le esigenze dei bambini e degli studenti con gli altri dispositivi di sicurezza che sono propri dei luoghi in cui ci sia compresenza e movimento di persone.

Dunque il ritorno a scuola implica rispondere a dei bisogni precisi.

Ma, a tale proposito, esistono domande, sinora inevase, che è doveroso da parte dei Comuni porre, perché ne saranno investiti:

a) Si deve ragionare degli spazi

Tutti gli ambienti scolastici dovranno essere predisposti in modo adeguato, specie negli spazi comuni di passaggio e nei servizi igienici o negli impianti: areazione sterilizzata, igienizzazione …

Il problema si aggiunge a tutti i problemi edilizi pregressi del patrimonio degli edifici scolastici.

b) Si deve ragionare di Bisogni Educativi Speciali

Oggi con la scuola a distanza “chi è avanti continua ad esserlo, chi è a metà continua ad esserlo, chi è indietro rimane molto più indietro” (Mila Spicola).

La riapertura delle scuole, se è per tutti gli studenti e le studentesse auspicabile, per chi era in difficoltà già prima, è essenziale.

Gli studi ci diranno poi quali effetti, in positivo come in negativo, possa aver avuto sugli alunni con disabilità la sostituzione della classe reale con una virtuale.

Ma di certo, per molti ragazzi in condizioni di disagio e privi di una buona mediazione familiare, l’esperienza è stata pesante.

c) Si deve ragionare di trasporti

La mobilità è sicuramente uno dei temi da affrontare prioritariamente e con maggiore forza: investire su mobilità pubblica e tecnologie digitali, e incentivare mobilità ciclo pedonale, anche con azioni decise di contenimento e contrasto all’utilizzo dell’auto.

La città avrà necessità di rivedere il sistema dei trasporti.

Per consentire agli alunni (ad esempio quelli delle secondarie superiori, ma non solo) di andare a scuola, il contingentamento obbligato dei numeri dentro autobus e metropolitane, andrà confrontato con la necessità che i ragazzi ci arrivino, alla loro scuola.

Alcune proposte ci vengono dai tanti comitati e associazioni impegnati sull’ambiente e sulla mobilità sostenibile.

Ebbene, ognuna comporta costi:

  • Prevedere servizi “circolari” da coordinare con la partecipazione delle associazioni di categoria per l’individuazione di itinerari predefiniti nelle principali città.
  • Favorire, anche finanziariamente e con l’utilizzo di giovani come accompagnatori, l’attivazione di servizi di “pedibus” per gli spostamenti degli alunni delle scuole.
  • Prevedere finanziamenti per l’attivazione in tempi brevi di servizi di bike e car sharing nelle principali città

 Ma, in tal senso, sono previsti investimenti o finanziamenti per implementare il servizio di trasporto scolastico o la mobilità in sicurezza o si pensa che sarà tutto a carico dei Comuni?

Se alcuni interventi sembrano facili o semmai già esistenti in alcuni Comuni, per quelli meno popolosi, non si può immaginare che ciascuno si “arrangi” da solo, semplicemente ampliando la scala dei servizi!

Si stanno ipotizzando a livello governativo investimenti sulla mobilità sostenibile e sicura?

d) Si deve ragionare di sicurezza e prevenzione igienico-sanitaria

Per le igienizzazioni, superata la fase iniziale su cui il MIUR ha investito 43 milioni di euro a livello nazionale, si pensa di assicurare in modo regolare anche nei bilanci regionali fondi per il mantenimento degli standard previsti o viceversa si ipotizza che poi le spese se le caricheranno le singole scuole o i Comuni o, ancor peggio, le famiglie?

Partiamo per esempio dai dispositivi di protezione e dall’accertamento sanitario: mascherine e guanti per studenti e personale, sistemi di test efficaci e ripetuti.

Parliamo di dieci milioni di persone, che anche se diventassero la metà con una scuola a tempi alterni sono comunque tanti.

Al primo focolaio indotto da dentro la scuola o portato fuori dalla scuola a casa o altrove, si scatenerebbe di certo nel Paese una bufera di polemiche difficili da contenere.

Una guerra di tutti contro tutti alla ricerca della “responsabilità”, intesa come colpa.

Lo sanno gli Enti, lo sanno le scuole, lo temono i Dirigenti scolastici, datori di lavoro.

e) Si deve ragionare di inclusione sociale

La scuola è anche uno degli spazi di welfare più significativi di questo Paese, spazio di inclusione per eccellenza: ad essa si affianca il lavoro del privato sociale, di tante associazioni, di tanti centri che la supportano senza sostituirla, o almeno così dovrebbe essere.

Quale destino si ipotizza per i centri educativi diurni?

E per tutte le attività di accompagnamento basate ovviamente sulla vicinanza fisica (educative territoriali, progetti extracurricolari, campi estivi, solo per fare qualche esempio)?

L’elenco delle domande potrebbe continuare…ma, non vogliamo scoraggiare i nostri lettori dal pensare che ce la faremo.

La scuola deve riaprire.

Per tutti, non uno di meno.

Le soluzioni vanno trovate insieme.

Ma insieme alla riapertura delle scuole dobbiamo chiedere un cambio di passo alla gestione del presente e del futuro prossimo, e non può bastare una caritatevole attenzione verso il mondo della scuola e verso le difficoltà dei Comuni (quella è stata poca in verità, finora).

Come redazione di betapress, rivolgiamo un monito a chi sta governando i processi e ipotizzando soluzioni.

Il governo deve riaprire le scuole, ma deve guardare alla questione con una prospettiva ampia, aprendo il dialogo agli enti locali e al mondo vivo della scuola “reale” e di chi le ruota intorno, per garantire misure veramente efficaci; e perché siano efficaci deve mettere in conto risorse consistenti, non meno di quante ne servano per la Sanità.

Perché la salute e l’istruzione viaggiano insieme. 

Sono diritti ineliminabili della persona.

Lo dice la nostra Costituzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sdidatticamente parlando e non solo




quando è troppo è troppo!

Adesso basta! L’esasperazione della Confcommercio

Confcommercio replica al nuovo Decreto del presidente del consiglio Giuseppe Conte: “Tutti gli imprenditori si aspettavano di riaprire i battenti dal 4 maggio.

Invece sono stati liquidati un’altra volta, come contassero poco o nulla, quando è chiaro a tutti che il Paese si regge su di loro”

La presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini e il direttore regionale Franco Marinoni commentano il nuovo Decreto del presidente del consiglio Giuseppe Conte.

La loro è una forte critica e una precisa presa di posizione.

Siamo governati da incompetenti senza coraggio, senza visione, senza rispetto.

Il discorso del premier Conte di ieri sera – approssimativo e confuso, per nulla rassicurante – è solo la punta dell’iceberg di una situazione insostenibile.

Di questo passo il tracollo del sistema Paese è vicino, a partire da quello dell’economia”.

“Sconcerto e dolore. Queste sono le uniche emozioni che provo dopo una intera notte insonne –  prosegue la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini – in questi due mesi abbiamo fatto la nostra parte con responsabilità, come era giusto e doveroso, abbiamo stretto la cinghia sforzandoci di riporre fiducia in una classe dirigente che, a dire il vero, ormai da molti anni mostra purtroppo tutte le sue inadeguatezze, che la pandemia non ha fatto altro che portare alla luce.

Ora, però, ha messo un’altra volta all’angolo il mondo delle imprese, rinviando ancora una volta la ripartenza ma soprattutto, ed è quello che più ci preoccupa, senza illustrare piani concreti di sostegno e di modulazione del futuro prossimo.

Le nostre imprese sono allo stremo e non hanno più margini per navigare a vista come ci viene richiesto”.

“Dietro il paravento delle norme di sicurezza anti-contagio questa classe politica pare nascondere l’incapacità di assumersi responsabilità nei confronti del Paese e l’incapacità a progettare una vera ripresa – aggiunge il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni – Tutti gli imprenditori si aspettavano di riaprire i battenti dal 4 maggio.

Certo, con molte prescrizioni e molti veti, ma almeno cominciando a prendere dimestichezza con la situazione che si presenterà da qui ai mesi a venire, fino a che non finirà l’epidemia.

Invece sono stati liquidati un’altra volta, come contassero poco o nulla, quando è chiaro a tutti che il Paese si regge su di loro. 

E quello che più sconcerta è che gli interventi di sostegno al sistema economico restano poco più che proclami, incapaci di incidere nella realtà delle cose.

Credito a fondo perduto, moratoria fiscale e su tutti i pagamenti, sostegno al reddito: di questo ha bisogno l’Italia.

Ma anche di progetti seri per la ripartenza”.

I due rappresentanti di Confcommercio continuano: “Se la prima preoccupazione di tutti deve essere la salute, qualcuno ci spieghi perché aprire un negozio, un bar o una qualunque altra attività nella quale entrerebbero al massimo una o due persone alla volta, con guanti e mascherine e nel rispetto di tutte le regole necessarie, viene considerato più pericoloso che aprire una fabbrica con centinaia di lavoratori.

Credo proprio che il buon senso abbia abbandonato chi ci governa –  prosegue aspra la presidente Lapini – I commercianti, i baristi, i ristoratori, gli agenti di viaggio, quelli immobiliari e di commercio, i tour operator, gli albergatori, le guide turistiche, i parrucchieri, le estetiste e tanti altri imprenditori, insieme ai loro collaboratori e alle loro famiglie, non sono più disposti a sopportarlo.

Si chiede al mondo delle piccole imprese un sacrificio troppo grande senza dare in cambio misure concrete compensative”.

“Siamo stati in casa, abbiamo spento le luci delle nostre attività in silenzio, con un sacrificio enorme, abbiamo passato il nostro tempo ad organizzarci con le aziende, con le banche, con le scadenze, con la certezza che, dopo una prima fase di sgomento che sarebbe durata un mese (e sarebbe stato già terribile!) avremmo potuto riprendere a lavorare – spiega la presidente –

ma quello che Conte ha detto ieri sera senza dare nessuna spiegazione scientifica e tecnica, è inaccettabile.

Ha scambiato la nostra ubbidienza, il nostro senso del dovere in sudditanza.

Non è così!

Noi non faremo la fine della rana bollita.

Non siamo disposti ad abituarci a questa situazione senza farne parola”.

“Non ci condannerete al fallimento trovandoci inermi – conclude la presidente di Confcommercio Toscana – siamo pronti a reagire con la forza della disperazione, con la forza del nostro orgoglio, con la forza della nostra onestà, lealtà, determinazione, passione e desiderio di ricominciare per il benessere della nostra collettività”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lettera di un medico al Ministro Conte




Meridionali mon amour

Quando un grande Direttore come Vittorio Feltri ci consegna una lezione come quella dell’altra sera, per tutti noi piccoli direttori di testate insignificanti non c’è che da imparare.

In effetti dai grandi si impara in grande, ed io, piccolo, ho imparato in grande: ho imparato come non si fa.

Ho imparato che i ruoli sono importanti e la direzione di un giornale, seppur piccolo come il mio, comporta grandi responsabilità, come quella ad esempio del rispetto.

Il rispetto è anche nell’uso che si fa della propria posizione, nel peso che le parole assumono quando si ricoprono dei ruoli importanti.

L’Italia è un paese unico ed irripetibile, bello da morire e brutto da impazzire, saggio come nessuno e stupido peggio di un bambino, altruista e generoso ma anche furbo e traditore.

E’ un paese estremo, assoluto, indimenticabile.

Ma tutto questo è intimamente legato agli italiani, al popolo, al nord ed al sud, nella sua dimensione nazionale.

Questo Paese l’ho girato in lungo ed in largo, conoscendone gli abitanti in tutte le loro sfaccettature, ho avuto a che fare con il bello ed il brutto, ma ho avuto modo di conoscere gli italiani, profondamente italiani, sempre.

Ho visto mondi diversi, ho visto vite diverse, ho visto tradizioni diverse, ma mai nessuna era inferiore alle altre.

Fatico molto caro Direttore Feltri a capire da dove Le sia uscita la considerazione sull’inferiorità dei meridionali.

Nella storia del nostro paese non l’ho trovata, anzi il meridione da dopo la caduta dell’impero romano è rimasto una culla di civiltà, nella prima guerra mondiale il sud fu portatore di soldati al fronte e pagò a caro prezzo con il maggior numero di morti.

Nelle arti meno che meno, il sud è sempre primeggiante fiero ideatore di filosofie, musiche, dipinti, opere.

Ho visto accogliere senza chiedere sia al nord che al sud, non riesco davvero a pensare che ci siano anime inferiori in questo paese

Forse Lei si riferiva alla criminalità, al fatto che il sud si sia piegato alle mafie?

Però caro Direttore ha visto il pegno umano che il Sud ha pagato per la lotta alla mafia?

Ha visto che uomini sono usciti da queste battaglie, ha visto che levatura morale, che intelligenza, che amore per lo Stato (che sinceramente a volte questo stato non si merita).

Forse Lei, caro Direttore, non conosce il Sud, e Lei mi dirà con la sua simpatica prosopopea “e chi se ne frega!”, ebbene io me ne frego, caro Direttore, e sa perché?, perché questo paese si salverà solo grazie agli italiani, polentoni o meridionali che siano.

Perché, caro il mio Direttore, il diverso è dentro di noi, non fuori, il mostro, se c’è, lo creiamo noi.

Io amo i meridionali, li ho conosciuti, hanno un cuore grande.

Diceva Montanelli questo: l’Italia non si salverà perché non si ricorda del proprio ieri, ma gli italiani si salveranno perché non hanno unità nazionale e sono i migliori mestieranti d’europa (nei mestieri servili), non hanno una entità nazionale si adattano, si assimilano.

 

Io vorrei invece che questo paese si salvasse assieme a tutti i suoi italiani, perché io sono italiano, sono polentone, sono terrone, sono un italiano che si ricorda della storia del suo paese, fin dalle origini.

Mi ricordo di chi ha costruito e di chi ha distrutto, amo i primi e compiango i secondi.

Come Direttore di un piccolo giornale però le dico per me non esiste nord sud centro, per me esiste un grande paese che potrebbe essere guida delle genti, come è stato quando nessuno pensava che ci fosse un nord ed un sud, ma quando tutti pensavano che c’era un’Italia prima da unire e poi da difendere.

Siamo sempre stati un grande paese, ma noti caro Direttore, lo siamo stati quando lo abbiamo pensato davvero.

Forse allora è anche una nostra responsabilità far pensare agli italiani che c’è l’Italia, non il nord ed il sud.

Non riesco a vedere un diverso nel mio paese, perché non ci sono diversi, ci sono differenze, che in realtà uniscono molto di più delle similitudini.

Si è sempre meridionali di qualcuno, diceva Luciano De Crescenzo, per questo io Le dico: Meridionali mon amour.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’indipendenza di Stampa

 

L’Italia e l’ultradestra




Quando Diego incontrò Maradona…

Diego Armando Maradona.

C’era una volta un ragazzo di nome Diego, buono, premuroso, innamorato perdutamente della sua famiglia e del calcio.
I suoi occhi ed il suo sorriso erano lo specchio di un’anima gentile.

Un giorno incontrò una città italiana, bellissima ma anche maledetta per chi non ne conosceva il potere magico e le insidie.

In questa città, difficile e troppo grande per lui, Diego incontrò Maradona, un uomo che parlava di se’ in terza persona, che indugiava nei vizi e nella lussuria.

Maradona conobbe la camorra e la cocaina e pensando di poterle usare entrambe , presto diventò loro prigioniero.

La sua vita cambiò profondamente e iniziò ad emettere tanti assegni in bianco senza alcun destinatario, erano a favore dell’universo, non scriveva mai la data ed il destinatario ma la somma era sempre più alta.

Apparentemente Diego e Maradona stavano bene, continuavano a vivere la loro vita ed a vincere tutto.

Era per tutti gli appassionati il dio del calcio: il suo dono non poteva che essere di provenienza divina!

Quando Diego e Maradona entravano in campo si fondevano, tornavano in equilibrio, erano di nuovo una sola cosa; bastava che sfiorasse la palla con il piede sinistro ed il tempo si fermava.

Giorno dopo giorno per Diego la sveglia sempre più tardi, Maradona tornava a notte fonda e Diego non aveva più la forza né lo spazio per esprimersi.

Dopo la finale mondiale persa in Italia contro la Germania, era l’estate del 1990, Diego ormai non c’era più; erano spariti per sempre lo sguardo e quegli occhi dolci e timidi del ragazzo cresciuto nella favelas di Villa Fiorito.

C’erano solo gli occhi di Maradona, rabbiosi, freddi e duri, pronti a sfidare il mondo.

Il mondo inizio’ però ad odiare quell’uomo arrogante e bugiardo al quale tanto si era concesso fin lì.

Non ci volle molto, gli assegni in bianco emessi nel corso degli anni, iniziarono ad arrivare all’incasso.

iego non aveva la forza di reagire né di emergere, troppo debole e prigioniero di quel Maradona che si sentiva tradito da tutti, troppo debole per protestare contro i suoi tanti carcerieri e sfruttatori.

Nessuno poteva aiutarlo poiché lui non voleva essere aiutato: d’altronde nella sua vita se l’era sempre cavata da solo, anzi, a dire il vero si era sempre fatto carico di tutto e di tutti già dall’età di quindici anni.
Diego non ce la fece e vinse Maradona, fuggiasco dopo l’ennesimo scandalo.

Oggi, a distanza di quasi trent’anni, Maradona non esiste più, c’è Diego nella sua consapevolezza, tristezza e solitudine.

Non c’è più il ragazzo felice ne’ l’uomo arrogante e di successo.

Esiste solo il mito, l’icona, null’altro.

 

Tanio Cordella

 

Perdere lo Sport…

  




L’Immobiliare trema, terremoto covid…

TANTA PAURA SULLE SORTI DEL MERCATO IMMOBILIARE.

QUESTA VOLTA SAPPIAMO COSA FARE

 

In molti si stanno chiedendo se e come cambierà il mercato immobiliare ed il terrore inizia ad impadronirsi di molti investitori e di molte persone che lavorano nel settore.

I dati però parlano chiaro: l’italiano è proprietario della casa in cui abita, quando non lo è fa di tutto perché ciò si realizzi.

Circa l’80% nelle aree a media e bassa densità, il dato statistico scende al 70% nelle città metropolitane.

Questo dato è lampante, può succedere di tutto nel nostro Paese, ma l’italiano vuole tutta per sé la sua casa.

 

Giovanni Pascoli così esprimeva questo concetto ne Il Focolare “non li scalda il fuoco, ma quel loro soave essere insieme”

La famiglia, mura e tetto solidi, il focolare, sono tutte immagini made in Italy che ci rassicurano.

Il mercato immobiliare subisce dei cambiamenti poiché tutto risponde all’economia globale.

Il fallimento della Lehman Brothers nel settembre del 2008 ci ha insegnato tanto, stravolgendo il vecchio sistema che vedeva prima un’inarrestabile crescita della richiesta e dei prezzi.

Da lì, la grande sofferenza del mercato immobiliare nelle modalità conosciute.

Il denaro non è stato più concesso con superficialità e la frenata della richiesta n’è stata l’immediata conseguenza.

Qual è la verità?

A distanza di anni la risposta è semplice, il mercato era drogato e gonfiato.

Eppure, nonostante il tracollo e la chiusura di tante aziende del settore, in molti hanno costruito la loro ricchezza sulle macerie dello scoppio della bolla immobiliare (negli USA già dal 2006!) facendo affari d’oro.

Il perché è presto detto: hanno capito che dal quel momento avrebbero dovuto fare i conti con una nuova realtà senza invece attendere una ripresa così come loro la desideravano.

Nulla sarebbe stato come prima!

Oggi siamo nella stessa condizione, non sappiamo quel che accadrà nel post COVID-19 ma sappiamo, appunto, che nulla più sarà come prima.

Per vendere e comprare case si dovrà saper leggere la scena, ossia osservare il mercato, le tendenze, le esigenze.

Centrare questi elementi sarà fondamentale.

Certo non credo si possa vendere tutto quel che si compra.

Le regole ci sono e sbagliare la ricetta potrà portare molti a rovinose cadute.

Le case però continueranno anche dopo questo nuovo grande “terremoto” ad essere un bene richiesto e oggetto di un business molto interessante.

L’italiano saprà starci dentro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piano Marshall oggi più che mai!!

 

Andrà tutto bene! Parte quarta

 




Occorre muoversi…

 

La peste nera.

Nell’immaginario collettivo la “peste nera” è sicuramente nell’immaginario collettivo la più grande pandemia della storia conosciuta.

Sviluppata in Europa a partire dal 1346 si era generata, come molte epidemie nell’Asia centro-settentrionale.

Elevatissimo l’impatto che ebbe nella società del tempo dalla religione alla letteratura – uno su tutti il decameron di Boccaccio – e per più di un secolo vi furono rappresentazioni artistiche a tema. 

 

Si stima che causò in Europa circa 20 milioni di morti, con un tasso di mortalità vicino al 50%, numeri che grazie a fortuna e progresso scientifico fanno impallidire il nostro Covid-19 che comunque ci tiene in casa da svariate settimane. 

 

Ora si inizia a parlare di “fase 2” quella della ripresa, della ripartenza delle attività produttive e di un graduale ma deciso ritorno alla vita normale.

 

Finalmente, dopo quasi due mesi, si intravede la luce, si può pensare nuovamente al futuro però dobbiamo fare tesoro di questo momento per iniziare a prevenire che la prossima pandemia sia la più devastante di sempre. 

 

E’ già iniziata, da molti anni.

Leggendo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, coinvolge una persona su quattro e uccide già 5 milioni di persone ogni anno.

 

Costa 90 miliardi di dollari ogni anno negli Stati Uniti e 80 in Europa.

Si chiama inattività!

 

E’ il momento di muoversi, di farlo davvero e nel vero senso della parola!

Se il virus è silenzioso, invisibile e subdolo, l’inattività è forse ancora più insidiosa da combattere perché è già dentro di noi dalla scelta dell’ascensore al posto delle scale, all’usare la macchina anche per fare pochi metri, passando per il divano di casa. 

 

La vita diventa sempre più sedentaria e lo “smart working” forse non è così “smart”; non aiuta certo il movimento.

In questi giorni dove “si ha più tempo per riflettere” cit. potrebbe essere una buona idea iniziare a costruire, o ricostruire, il nostro stile il modo più sano.

 

Non vivremo sempre con una mascherina, guanti e gel igienizzante, ma, quantomeno per la nostra esperienza terrena, il nostro fisico sarà con noi e allora tanto vale evitare di essere contagiati dall’inattività. 

 

All’inizio delle restrizioni sono state vietate anche le corsette in solitaria, se proprio uno sforzo si doveva fare è stato fatto ma ora è necessario ripartire e anche quelli che, in modo un po’ furbo,

si erano improvvisati podisti per guadagnarsi una boccata d’aria sarebbe un’ottima idea se continuassero a farlo con il doppio beneficio di evitare le sanzioni e combattere la nuova pandemia.

 

Se, l’inattività, il poco movimento, ha un nome meno accattivante e tecnico di “Sars-CoV-2” non vuol dire che sia meno pericolosa.

 

Non ci sono millantatori di cure miracolose sui social network, perché la terapia è più miracolosa di quanto si possa immaginare: basta fare attività fisica!

 

E allora cogliamo questo momento per inserire lo Sport nella nostra costituzione con la clausola che tutti i proventi derivanti dalle attività sportive rimangano al mondo dello Sport in termini di investimenti in impiantistica, insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole e sopratutto un’educazione all’attività fisica.

Possiamo e dobbiamo farlo! è questo il momento di fare tesoro di una pandemia per combatterne una più grande … con la prevenzione!

 

 

 

 

 

 

 

Covidisaster 2020

 




Il 3D del Covid

La fase del primum vivere non si è ancora consumata a giudicare dalle migliaia di vittime che la pandemia ci ha costretto a contare ma tutti i paesi pensano alla Fase II, al ritorno alla normalità.

Una normalità, purtroppo, divenuta concettuale.

Una proiezione nel futuro di un mondo che conoscevamo prima che il virus colpisse l’umanità intera.

Il problema è che finora l’approccio della comunità scientifica e politica è apparso lento ed imbrigliato nelle maglie della burocrazia pre Covid.

La ricerca di un vaccino che dovrebbe essere la principale soluzione alla pandemia sconta la complessità dei protocolli sanitari non più attuali in tempo di guerra.

Eppure, la ricerca ed il buon senso di ricercatori e medici hanno già delineato trattamenti che potrebbero sopraffare il virus e restituirci la normalità.

Il punto non è di secondaria importanza perché, senza la messa a punto di una cura e di terapie preventive che possano impedire il rischio di contagio, la Fase II potrebbe scontare paurose miopie  concettuali.

La sensazione, infatti, è che si guardi alla riorganizzazione del sistema con le cifre interpretative del mondo pre Covid ma senza un vaccino efficace si dovranno ridisegnare le modalità di convivenza sociale ed economica.

In questi giorni si sta affrontando la questione della riapertura delle attività, dei servizi pubblici e dei lavori divisi sulla base:

del più o meno elevato livello di contatto fisico

dell’esposizione al rischio di contagio.

Pensiamo ad esempio ai trasporti pubblici.

Ipotizzare di aggiornare la rete attuale ed i modelli di servizio esistenti scaricando i costi della prevenzione sui gestori o sugli utenti renderà il trasporto collettivo non più sostenibile.

Le società gerenti dovranno diluire il costo della prevenzione nei propri bilanci spesso già dissestati o scaricarlo sul costo del biglietto:

il che renderebbe privo di senso il principio di economicità alla base dei mezzi di trasporto collettivo.

La situazione non cambia per il trasporto aereo per il quale i costi operativi e conseguentemente il prezzo delle tariffe lieviteranno notevolmente cancellando dal dizionario la parola “low cost”.

Un ragionamento analogo riguarda il mondo della sport, della formazione e del tempo libero a cui si guarda con soluzioni vittime della stessa miopia.

Se si tratta di un complotto o di incidenti sfuggiti alla macchina del controllo potremmo pensare che il gioco è andato al di là di ogni limite e tra non molto si tornerà alle nostre abitudini.

Se così non è, se il virus, invece, esiste si dovrà accettare l’idea di un regime di convivenza reso più precario dai focolai di ritorno e dall’esistenza di pazienti asintomatici.

In questa situazione occorre immaginare scenari nuovi, forse visionari.

Non  sarà sufficiente, infatti, aggiornare leggi e regolamenti ai paradigmi del distanziamento sociale o del corretto uso dei dispositivi individuali di protezione.

Il modello economico post moderno si è evoluto attraverso transizioni economiche che hanno innescato dinamiche sociali.

Dall’agricoltura, all’industria e poi al terziario fino all’avvento dell’era digitale intere categorie di lavoratori hanno abbandonato le campagne e le periferie,

creando centri urbanizzati e polarizzati nei quali sono stati concentrati servizi e centri di convivenza sociale.

Il pianeta è divenuto globale ed ha offerto ad ognuno di noi la chance di vivere come cittadino del mondo.

Il Covid19 ha cancellato ogni certezza, aprendo per milioni di persone le porte alla paura della morte ed all’isolamento sociale.

Il paradigma del mondo post pandemico dovrebbe essere letto con le cifre delle “3 D”:

destrutturazione, de-globalizzazione e digitalizzazione all’interno di una rappresentazione grafica circolare che unisca i tre vettori in modo continuo ed aperto.


Il distanziamento sociale dovrà diventare la conseguenza di una ridefinizione dei modelli di produzione ed offerta piuttosto che il risultato di limitazioni alla libertà individuale
.

La destrutturazione dovrebbe riguardare la definizione organizzativa della convivenza civile ed il sistema dei servizi amministrativi a disposizione di cittadini ed imprese.

In questa direzione giocherà un ruolo fondamentale  la capacità dei governi di  rendere più sicura la mobilità dei fattori della produzione

(merci, capitale e lavoro) agendo sulle leve della flessibilità e della minore burocrazia.

Cittadinanza digitale e open government, temi già inseriti nei programmi di riforma della Pubblica  Amministrazione, rappresenteranno la stella polare di un progressivo processo di destrutturazione.

 La de-globalizzazione è un processo complesso.

Non è facile, infatti, convertire al localismo l’immaginario di diverse generazioni di individui.

Eppure il modello civile ed economico dell’era del post Covid dovrà basarsi sulla valorizzazione delle  periferie e ridisegnare  il profilo urbano,

economico e produttivo su basi di dispersione piuttosto che di concentrazione.

Nuovi presidi amministrativi decentrati e servizi commerciali di prossimità  vedranno rifiorire gli ambiti distributivi che i grandi centri commerciali hanno costretto a chiudere.

Chi è cresciuto negli anni settanta e ottanta (..quando non esistevano internet e gli smartphone ed il sogno di molti giovani era la carta inter-rail delle Ferrovie dello Stato)  troverà l’approccio visionario …

più sopportabile e forse anche più credibile.

Del resto nulla potrà essere immaginato come prima.

L’ultimo paradigma, la terza “D”, riguarda la transizione digitale, la digitalizzazione.

Un processo in atto che la pandemia ha accelerato creando una discontinuità per imprese private e la pubblica amministrazione.

Non si tornerà indietro su questo.

Le giovani generazioni viaggeranno forse di meno ma saranno protagoniste di un’era nella quale l’innovazione tecnologica  diventerà il

collante ed il fluidificatore di un sistema meno globale e strutturato che continuerà a comunicare ed a socializzare.

La destrutturazione e la de-globalizzazione, del resto, non potrebbero affermarsi al di fuori di un mondo digitale e connesso

perché il distanziamento sociale unito alla rottura di una coscienza collettiva globale, riporterebbero l’umanità all’età della pietra

La transizione digitale non si limiterà allo smart-working o alla formazione ed al commercio “on line” che trovano un formidabile campo di applicazione in questi mesi.

Le innovazioni si estenderanno alle applicazioni scaricate sui nostri telefonini  che semplificheranno le nostre giornate fino alla gestione dei processi relativi allo sviluppo dei “Big Data “ e della “Computer Vision”

che renderanno possibile il controllo di veicoli autonomi, la video sorveglianza anche nell’ambito della medicina preventiva oltre ad una sempre maggiore interazione tra uomo informazioni complesse e computer.

Il virus, se non sarà vinto da un vaccino, imporrà nuovi stili di vita ma anche nuove speranze.

L’unica cosa da fare è continuare a vivere accettando i  cambiamenti che inevitabilmente definiranno le nostre vite ma senza  rinunciare alla nostra umanità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus: andrà tutto bene?

Conte ed i fantastici 17