“Il Violinista sul Balcone”

L’imprevedibilità della vita 

Il 24 febbraio 2020, una decina di giorni prima dell’inizio del “lockdown” in tutta Italia, al Teatro alla Scala di Milano viene scoperto un caso di coronavirus.

Aldo Sebastian Cicchini, violinista dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, proprio in quei giorni – in via del tutto eccezionale – si trova lì.

Ironia della sorte, il suo periodo di quarantena inizia proprio a “ChinaTown”, il quartiere cinese a Milano dove abita con la moglie Ana e le loro splendide bambine, Sol e Victoria.

Ma facciamo un passo indietro …

Nato nel 1988 a Montevideo – Uruguay in una famiglia che, riconoscendo il suo precocissimo talento – a due anni  chiedeva di poter ascoltare ogni giorno “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi – lo affida alle cure della Maestra di musica Ludmila Cavallaro, Aldo impara a suonare il violino “giocando”.

Intraprende quindi il suo percorso di Studi, contrassegnato da diplomi a pieni voti e importanti riconoscimenti, in varie parti del mondo.

La domanda più importante

La domanda più importante di tutte è racchiusa in una parola: “Perché”?

“Perché faccio quel che faccio?”

Per Aldo, più che suonare il violino, la cosa più importante è suscitare emozioni nei suoi ascoltatori e vederle riflesse sui loro volti.

Come gli mancava questo aspetto del suo lavoro, durante il lockdown! Come gli mancava il suo adorato pubblico!

“La cosa che più mi appaga non è il violino in sé – mi confida nel corso dell’intervista – ma è poter vedere gli sguardi della gente, vedere le emozioni nei loro volti mentre sentono la musica che produco o che faccio anche coi miei colleghi … Allora ho pensato: ok, la situazione è questa. Cosa posso fare per reinventarmi?”

Alla nostalgia si è presto aggiunto un senso di impotenza, stemperato subito in fiducia: “Non sono un medico e non posso salvare vite umane … Ma una cosa la posso fare: suonare il violino e, attraverso la musica, porgere un Messaggio di Incoraggiamento e di Speranza.”

Sincronicità

Venerdì 13 marzo 2020: Aldo decide di realizzare un concerto da casa alle 19:30, in diretta su Facebook e Instagram. Ha già preparato un tappeto sonoro di chitarra, che userà come sottofondo per suonare il violino.

Il giorno stesso, Aldo riceve l’invito a partecipare a un gigantesco flashmob da tenersi alle 18:00: dalle finestre e dai balconi di tutta Italia ogni musicista, alla stessa ora, suonerà per allietare i propri vicini di casa.

Aldo mette insieme le due idee: mentre partecipa al flash mob dal suo balcone, trasmette il suo concerto live sui social.    Così, può raggiungere i vicini di casa e i follower in rete, contemporaneamente.

La meraviglia dei vicini non si fa attendere: neppure sapevano che lui fosse un musicista!

In un batter d’occhio si sporgono dalle finestre e dai balconi, sorpresi da inattesa meraviglia.

Il successo strepitoso dell’evento, convince Aldo a ripetere l’esperienza. Quello che doveva essere un episodio speciale e isolato, sarà per lui il primo di ventitré concerti, uno ogni sera, fino alla fine del periodo di lockdown previsto per il tre di aprile.

La sua è un’avventura umana e mediatica che verrà ricordata a lungo. Tra notizie di cronaca non proprio felici, si narrerà la storia del violinista che, dal balcone di casa, ha consolato gli inquilini del suo condominio e quelli del palazzo dirimpetto: due stabili a forma di semicerchio, posti l’uno di fronte all’altro, a far cassa di risonanza in un teatro all’aperto.

Aldo realizza che il suo Dono, oltre a far bene agli ascoltatori, fa bene anche a lui: “Era il nostro appuntamento – ricorda – il nostro momento per dimenticare le brutte notizie, la morte … volare insieme in un mondo perfetto, senza sofferenza, senza paure … Si è formata una specie di squadra: c’erano i compleanni dei bambini e cantavamo tutti insieme “Tanti auguri”. Abbiamo cantato l’Inno insieme, abbiamo cantato “Nel blu dipinto di blu” … Tutti i vicini a squarciagola mentre io suonavo … Era bellissimo … Non potendo starci vicini, comunque ci abbracciavamo in questo modo ed era bellissimo.”

Anche la condivisione delle sue performance sui social viene presto premiata.

La vicina cinese di pianerottolo riprende un suo concerto col telefonino e gli chiede di poterlo postare su Weibo – l’equivalente di Facebook in Cina.

Il video diventa “virale” – mai metafora fu più azzeccata! – totalizzando in brevissimo tempo un incredibile numero di visualizzazioni.

Ironia della sorte: grazie ai social, le note di Aldo raggiungono gli estremi confini della terra. Specialmente la Cina, da cui tutto ha avuto inizio.

E, guarda caso, proprio da “China Town”: il quartiere cinese di Milano dove Aldo Sebastian Cicchini, violinista di fama internazionale, ha scelto di abitare con la sua bellissima famiglia.

Morale della storia

Com’è vero che il virus non conosce confini è altrettanto vero che la Musica, sorvolando le barriere del pregiudizio e delle differenze culturali, offre a ciascuno di noi il Pretesto per riconoscerci uguali, di fronte alla morte e alla Vita.

“La Musica è il Linguaggio Universale che ci unisce tutti” dice Aldo.

“Se la Musica è portatrice di un messaggio, il tuo è sicuramente un Messaggio d’Amore – aggiungo io – che tu ne sia consapevole o meno …

“Sì sì, lo sono, lo sono” … e si accende in un sorriso.

Se di questo importante periodo storico possiamo far tesoro di qualcosa, forse è proprio di questo: aldilà di fatti di cronaca e attribuzioni di responsabilità, al di sopra di opinioni, giudizi e pregiudizi, oltre la paura della morte c’è la Vita, con il suo irresistibile Richiamo a viverla per ciò che essa è, nella sua vera Essenza: Esperienza, Miracolo d’Amore, Opportunità per riscoprirci, dietro un velo di illusorie differenze, UNO.

Ondina Wavelet

Per guardare la video intervista clicca qui.

P.S.: grazie di cuore a Christian Gaston Illan e Maria Giulia Linfante, fondatori del fantastico Gruppo Smart Villag(g)e Cloud, per avermi dato la fantastica opportunità di conoscere Aldo e di apprezzare il suo bellissimo cuore.

Per conoscere questa splendida iniziativa, clicca qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




“Il buio dietro il sole”: Franz Schubert

 

Stavo guardando ed ascoltando un breve video in cui Luca Ciammarughi veniva intervistato a Piano City Milano, quando mi è preso questo impulso di scrivere.

Luca ha, così, in tutta serenità e semplicità, dall’alto della sua disparata conoscenza musicale – schubertiana in particolare – espresso alcuni concetti e visioni che hanno perfettamente incontrato le stesse mie impressioni.

Impressioni e ipote­si che mi sono fatto a suo tempo, quando il mio percorso di studi musicali mi ha portato ad avvicinarmi “seriamente” alla figura di Schubert, affrontando la sua Sonata in La minore D784.

 

Non conosco molto della vita di Franz Schubert.

Senza vergogna aggiungo anche che credo di ricordare molto poco, e che quanto so è quel che si può trovare nei più comuni libri di storia della musica o affini.

Quel che ricordo sono bagliori isolati, concetti sparsi che, probabilmente, nel mio inconscio hanno un loro senso, seppur tratteggiato.

“Maestrino”, ricordo: un vezzeggiativo di cui tanti anni fa mi disse un mio maestro di pianoforte.

A quanto pare, così era spesso velatamente – ma neanche troppo – sbeffeggiato Schubert da certi suoi contemporanei: in un’epoca in cui il fantasma beethoveniano imperava ancora profondamente sul mondo musicale.

Ricordo di aver letto della “gavetta” di voce bianca di Schubert, della sua voce apprezzatissima e del suo amore per la vocalità, la quale, guarda caso, ha ispirato un numero a quattro cifre di lieder.

Ricordo che morì giovane, ahimè; ma come Mozart, lasciando a noi posteri una produzione disparata di musica di grandissima importanza.

 

Fino a una decina di anni fa del repertorio schubertiano – se si escludono le composizioni pianistiche arcinote come i due cicli di Impromptus, i Moments musicaux, la Wanderer-Phantasie, la Sonata D960 e i brani per duo a 4 mani come le Marce militari, la celebre Fantasia in Fa minore e il Divertimento all’ungherese – conoscevo più che altro la musica cameristica.

I quartetti d’archi primi su tutti, i cui i più noti Der Tod und das Madchen (La morte e la fanciulla) e Rosamunde non sono che due ovvi esempi.

Ma anche l’ultimo, pazzesco e meraviglioso, Quartetto in Sol maggiore D887 che, non mi si chieda il motivo, mi riporta spesso alle sfumature del Sestetto per archi n.2 Op.36 di Johannes Brahms (altro compositore di cui amo probabilmente più il lascito cameristico che di altro genere), specialmente nei momenti in cui il tono popolareggiante emerge più spiccatamente.

Conoscevo i due trii con pianoforte, opere monumentali dense e ricche di aspetti interessanti; l’incredibile Quintetto in Do maggiore, sempre per archi, e il ciclo liederistico Winterreise, un vero e proprio viaggio – appunto – non solo nel freddo dell’inverno, ma fuori dal tempo e dal corpo.

Ignoravo quasi tutte le sonate.

Ignoravo le sinfonie e ancor di più la musica sacra.

Ignoravo perché riconoscevo una mia personale fatica a entrare in vero contatto con l’autore, unita all’esiguità delle occasioni nelle quale poterlo ascoltare.

Come dicevo, è stato l’incontro-scontro con la Sonata in La minore D784 a dipanare alcune nebbie e avvicinarmi con un’altra disposizione d’animo alla figura poliedrica e alquanto misteriosa di Schubert.

La D784 non lo rese uno dei compositori più vicini al mio sentire, tantomeno mi fece innamorare perdutamente di tutto quel che ignoravo.

Ma, indubbiamente, creò uno spazio in più; mi diede un’ulteriore ricchezza che a sua volta mi regalò molto.

 

D’impatto potrei dire che Schubert, ben più di altri – per i quali sarebbe forse più ovvio o prevedibile dirlo – è un compositore con un non-so-ché di “inquietante”.

Anche quando ci propone una melodia dolce e pacifica, dalla fisionomia chiara, o un tema delicato e tranquillo, trasmette allo stesso tempo qualcosa di ombroso e sfuggente.

Non riferendo unicamente alla sonata della quale ho accennato, ma più in generale a tutta la sua musica.

Un po’ come Schumann, che di Chopin una volta disse “cannoni sotto i fiori”, di Schubert si potrebbe dire “il buio dietro il sole”: come un’ambigua smorfia di tensione che cerca di rannicchiarsi dietro un sorriso bonario, o una sorta di freddo alito dietro l’orecchio nel pieno di un momento di pace.

 

Mi torna alla mente una frase della cantante Björk: “la musica non è questione di stile, ma di sincerità”.

La musica schubertiana è non poco ambivalente: tanto schietta ed eloquente da un lato quanto metaforica ed “equivoca”, diciamo, dall’altro.

La rassegnazione che percepisco quando ascolto, ad esempio, l’apertura della Sonata D960 è qualcosa che non riesco ad ignorare: questo tema così morbido, semplice e pulito, mi restituisce anche un senso di accettazione “passiva”, di arresa, di abbandono a un triste destino forse già annunciato.

Schubert è capace di evocare, con lo stesso motivo, luoghi molto reali e terreni quanto piani molto più elevati e lontani.

La prima volta che ascoltai in disco la Sonata in La minore, interpretata dall’immenso Radu Lupu, rimasi sconvolto, nel primo movimento, dalla ripresa del secondo tema: quell’aura di semplicità popolare che lo rivestiva nell’esposizione si trasforma in qualcosa di ultraterreno, sognante ed elevato al suo richiamo, in La maggiore.

Questo canto rinasce estremamente timido, e dal punto più intimo dell’io; quasi di controvoglia, come se Schubert volesse tenerselo per sé ma si rendesse conto che ormai l’ha scritto e l’ha portato nel piano reale, e lo osservasse, da lontano, andare per la sua strada.

E’ quasi una preghiera, detta con unimi e semplici proprie parole, innocente come un bambino arrossato da un velo di vergogna.

 

E di nuovo nella D784 ho percepito un aspetto della musica di Schubert, aspetto che anche altri hanno sottolineato: il suo “camerismo”, se così si può dire, la vicinanza con la scrittura per quartetto d’archi o con quella dei lieder.

Spesso al limite della trascrizione.

Tale aspetto pone non di rado parecchi problemi e punti interrogativi con la tastiera, in quanto non sempre è possibile evocare pienamente certe sonorità con il pianoforte.

Diversi passi di questa sonata hanno immediatamente richiamato a me sonorità d’arco – lo stesso motivo iniziale, così essenziale e legato, enunciato con le mani all’ottava, ne è chiaro esempio – o anche di fiati e di voci.

Soltanto il finale può essere considerato un po’ più pianistico, seppure non manchino tessiture adatte a un possibile trio o a una linea di canto con accompagnamento.

 

Un’altra cosa di cui mi sono accorto, è che la musica pianistica di Schubert non cerca facili virtuosismi, non ama gli effetti strumentali fini a loro stessi, non ha del “biedermeier”.

In un contesto musicale come il primo romanticismo, dove i grandi dominatori della tastiera solcano gli orizzonti (e i palchi dei teatri, o i tappeti dei salotti più in voga), lui percorre e traccia una strada tutta sua, coraggiosamente.

Non ama le parafrasi, gli studi da concerto, le cascate di note vaporose e le scritture “di bravura”.

Trova il suo nutrimento in un terreno in cui l’eloquio narrativo è il fattore predominante.

Schubert si fa cantastorie di situazioni salottiere e di ritiri al limite dell’ascetico.

E’ qui che sento – almeno personalmente – quella sua profonda radice del canto, quella sua voce bianca.

E’ qui che mi accorgo dell’agilità melodica e della disinvoltura costruttiva e discorsiva di Schubert.

Cose che, un po’ più avanti, adotterà il già citato Brahms, il quale ripudierà i funambolismi dei lisztiani (al limite dell’addormentarsi ascoltandoli) e cercherà, nel riappropriarsi di forme più classiche e convenzionali o in un rievocato rigore contrappuntistico, i punti di forza della sua poetica musicale.

Così pare essere Schubert, che fra terra e cielo, inquietudine e riposo, rarefattezza e intensità, rinuncia a tutto ciò che sembra non essergli necessario, curandosi invece di portare avanti l’essenza, l’anima indispensabile della musica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Rocchi




“Tutto Andrà Bene”

“Tutto andrà bene”

“Metti in conto che ci sarà della solitudine sulla strada della libertà. Metti in conto che prima o poi, su quella strada, ci troverai tutta la gente con il tuo stesso coraggio, metti in conto che, trovando te stesso, non avrai più bisogno d’altro. Metti in conto di sentire tutta la ricchezza del mondo, vissuto da vivo. Metti in conto di accorgerti di… respirare. Metti in conto la disapprovazione degli obbedienti, l’incomprensione dei saccenti, il sospetto dei disamanti, il sorriso dei poeti. E la simpatia dei santi. Metti in conto l’amore. E tutto andrà bene.”

Luciana Landolfi – Brescia, 21 ottobre 2003

 

… anche oggi.

È ora di pranzo e suona il campanello. È il postino che suona una volta, con piglio deciso. Sembra voler dire: “Tanto lo so che sei in casa”. Anche se non ci sei. Così, se in un millisecondo non ti affacci alla finestra per urlare: “Eccomi! Arrivo!” lascia l’avviso nella cassetta delle lettere. Ed ecco che trovo, al mio ritorno, l’avviso di una raccomandata.

La descrizione dice “lettera”. Viene dall’Italia. Corro all’Ufficio Postale. È una busta gialla, di quelle rivestite di bollicine d’aria che se le premi schioccano. Adoro le buste gialle misteriose: contengono sempre bellissime sorprese. Mentre appongo la mia firma “digitale” esulto come quando, da bambina, pregustavo l’arrivo degli zii Inglesi che, ogni anno nel periodo di Natale, tornavano a casa.

Il mittente è la mia cara amica Luciana Landolfi. Mi aspetto di trovare il suo ultimo libro “Tutto andrà bene”, uno di quelli che metti in borsetta per tenerlo, ovunque tu vada, vicino al cuore. A casa penso a come sorprenderla a mia volta. Realizzo, emozionata, una diretta su Instagram. Inattesa come un treno in ritardo di un minuto alla stazione di Lugano, raggiungo tre spettatori. Ma va bene così: la diretta è terapeutica per me. Non dò il tempo alla mente di “prepararsi” le cose da dire. Così, è il mio cuore a parlare.

 

Le interviste

Ho incontrato Luciana di persona tre volte. Per parlare di “Respira come se fossi felice”, libro-intervista scritto con Paolo Borzacchiello (Autore del best seller “La Parola Magica”); in occasione della pubblicazione di “Dimmi Che Ti Amo”, raccolta di aforismi, pensieri, poesie, condivisi da Luciana sui social e raccolti per la prima volta in un libro da assumere a piccole dosi quotidiane, tanto è profondo e taumaturgico (anche aprendolo in una pagina a caso!); in pieno periodo “emergenza sanitaria” invece, in concomitanza con l’uscita del suo ultimo “Tutto Andrà bene”, ci siamo video-chiamate su Skype.

(Guarda il video corredato all’articolo)

 

Nonna Olivia

“Tutto Andrà Bene” – per chi si fosse imbattuto nello striscione arcobaleno a rallegrare il balcone di un simpatico dirimpettaio, nei post-it multiformi e coloratissimi appiccicati un po’ ovunque in città, in foto bene auguranti sui social o nelle catene di messaggi su whatsapp (l’elenco potrebbe continuare all’infinito) … è lo slogan del periodo di emergenza sanitaria, il “mantra” amuleto, la formula magica che, cacciata via la paura, ravviva la luce della Fede.

In realtà “Tutto Andrà Bene”, oltre a essere il titolo di svariate poesie di Luciana – la prima di esse, in apertura di articolo, è datata 2003 – riassume la filosofia di vita di nonna Olivia, “Essere Soprannaturale” stupendamente tratteggiato nel primo capitolo.

Donna-Medicina, Donna-Preghiera, Donna-Amore, nonna Olivia è Fonte di Ispirazione per la piccola Luciana, gloriosa incarnazione delle tre parole che, due generazioni più avanti, diverranno Atto Poetico personale e collettivo, Atto di insensata Bellezza, Modo di Vivere e di guardare gli Altri, ritenendoli in grado di affrontare gli eventi della vita. Anche e soprattutto quelli imprevisti, quelli che da un momento all’altro non è più lo stesso.

 

E il Verbo si fece carne

In principio era il Verbo. Come dire: in principio era il Suono. Il Suono prodotto da una Vibrazione. Musica creatrice.

A quanto pare due elementi preesistevano alla Creazione, così come ci viene descritta nel libro della Genesi: il Verbo ha assistito alla sua Creazione. (Anche l’acqua, a quanto pare, non è stata creata. Semplicemente, “c’era”)

Il Verbo si fa “carne” in chi Lo accoglie e ripone la sua fiducia in Esso. Risuona in chi si lascia attraversare dal suo atto Creativo,  vibrando alla stessa frequenza.

La Parola sostiene ciò che crea. È Promessa mantenuta, nell’eterno Presente.

Così, “Tutto Andrà Bene” è Atto Profetico che si fa Dono per l’Umanità. Varcando i confini di nazioni e continenti, culture e linguaggi, religioni e filosofie di vita, ci rende Uno.

 

Il Futuro ci salverà

Soprattutto, in un periodo storico importante come questo, “Tutto Andrà Bene” è il Messaggio che viene da un Futuro salvifico.

Se sapremo guardare tutti insieme verso di Esso – Porto di Quiete al riparo dai marosi della Vita, Rifugio sicuro nei momenti di incertezza, Giardino Sacro di Pace interiore – non temeremo più il Cambiamento: ritroveremo Noi Stessi e lo Scopo per cui siamo vivi, in questo splendido Universo.

Ondina Wavelet (JL)

 

http://https://youtu.be/qnyIpDtWbzs

 

 

 

 

 

 

 

 




CONCORSO DSGA, COME SEMPRE UNA VERGOGNA ASSURDA!!!!

Scrivere questo articolo è difficile perché dovrò cercare di non usare parolacce che invece sarebbero necessarie a iosa.

Il concorso per il ruolo di DSGA è stato bandito nel 2018 e solo ora sta arrivando malamente alle conclusioni.

Malamente perché era già partito vergognosamente.

Il ministero dell’istruzione università e ricerca ( si lo so che adesso è stato diviso in due, ma la cosa non cambia nella stupidità e nella vergogna delle azioni intraprese), ha tenuto delle persone a svolgere il ruolo di dsga (i vecchi segretari delle scuole ora direttori dei servizi generali ed amministrativi, dsga appunto) anche per più di dieci, anni senza riconoscergli il ruolo; ovvero questi poveretti di anno in anno venivano nominati su posto vacante ed incaricati di svolgere il ruolo senza, ovviamente, l’adeguamento di stipendio e senza una sicurezza sul loro futuro.

Ad un certo punto il MIUR si è reso conto che rischiava la paralisi delle scuole visto che i DSGA andavano via via in pensione e non venivano più sostituiti, ed ha quindi avviato il concorso per il ruolo di DSGA, ma attenzione attenzione, non ha assolutamente considerato chi il ruolo lo svolgeva  già da anni!!!

Questi DSGA veri e reali, ma non formali, sono stati trattati dal MIUR come pezze da piedi, usati e poi gettati, non considerati e usati alla stregua di un qualsiasi schiavo che per anni ha svolto il ruolo, ma che alla fine  viene abbandonato con un calcio in quel posto e nemmeno con un grazie buttato lì.

Il MIUR ha bandito un concorso senza neppure pensare che se queste persone da anni stavano svolgendo il ruolo forse meritavano di essere confermati nel ruolo stesso, senza subire l’umiliazione di un concorso pubblico pesante e difficile (ma anche molto assurdo nella sua composizione), da intraprendere con sulle spalle una scuola intera (infatti chi svolgeva il ruolo da “precario” comunque aveva da fare il suo pesantissimo lavoro).

Non dimentichiamo che il lavoro da DSGA all’interno delle scuole, se fatto bene, è pesantissimo, complicatissimo e senza grandi supporti.

Ma nemmeno a questi, oltraggioso ed assurdo, il MIUR ha riconosciuto, che ne so, un punteggio in ingresso, un concorso riservato, un qualche modo per tenere persone con una competenza che nella scuola si costruisce solo con anni di lavoro; nulla, buttiamo via dedizione, competenza, lealtà, ma sopratutto stato bipolare, per dieci anni li nomini dsga gli fai fare il lavoro, li sfrutti e poi li butti via il giorno dopo.

MA CHE VERGOGNA INAUDITA.

Ancora più vergognoso che nessun sindacato abbia fatto nulla ma si sia solo arricchito con i corsi di preparazione al concorso.

Quindi tutti questi nostri leali dipendenti dello stato sono stati presi a pesci in faccia, e va bene, hanno dovuto fare il concorso senza un minimo di riconoscimento, ma attenzione un concorso che era aperto a tutti, quindi tutti questi si sono trovati al fianco giovani neolaureati con magari un sacco di tempo per prepararsi, o talmente freschi di studio che riuscivano ad affrontare le prove con meno difficoltà.

Ora a parte questa situazione che è vergognosa, veniamo al concorso.

La Lombardia ha esposto i risultati delle prove scritte dopo le prove preselettive:

su 102.000 domande pervenuto per 2004 posti in tutta Italia, la Lombardia è riuscita a far accedere all’orale 207 candidati per 451 posti, quindi all’orale sono arrivati il 50% dei necessari per coprire i posti.

Ma che minchia fate????????????? (e qui mi è scappata la parolina ma era impossibile non dirla)

 

ma fate invece una graduatoria da cui attingete per i posti vacanti e poi per le sostituzioni…

E poi sembra che qualcuno sia riuscito a comprare le domande dello scritto… ma dai!!!!

Ed ancora a far capire che c’è del marcio in Danimarca, oggi l’USR Lombardia ha incitato tutti i candidati a non mandare gli accessi agli atti, che ieri sono arrivati in quantità industriale, via PEC ma solo tramite posta ordinaria, in netto sfregio agli articoli del Codice dell’Amministrazione digitale, e solo con il modello che dicono loro e solo con le modalità che dicono loro!!!!

MA CHI INCITA A VIOLARE LA LEGGE NON COMMETTE REATO???????

Ma stiamo scherzando!!!!!!

Ma la fatica di tutti i candidati alle prove, sia che fossero DSGA facenti funzione o semplici nuovi aspiranti nessuno la considera?????

Le griglie di valutazione erano troppo “libere” ( se hai scritto troppo ti “seghiamo”, era PER ESEMPIO un valore della griglia), ma qui dobbiamo richiedere un intervento forte degli organismi inquirenti, basta con questi concorsi, i primi che non li sanno fare sono chi li organizza.

VERGOGNA, VERGOGNA,VERGOGNA.

 

QUESTO E’ SOLO IL PRIMO ARTICOLO DI UNA SERIE, NON CI FERMEREMO QUI, BETAPRESS Andrà AVANTI ED APPROFONDIREMO IL PIU’ POSSIBILE QUESTA VERGOGNOSA STORIA, COME ANCHE IL CONCORSO 2017, CHIUNQUE VOGLIA CONTATTARCI O SEGNALARCI QUALCOSA O DIRE LA SUA SCRIVA A

INFO@BETAPRESS.IT

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concorso DSGA: note di malcostume italiano

 




L’arte come compensazione della disabilità fisica

L’artista messicana Frida Kahlo (1907-1954) è un simbolo di come la disabilità fisica possa trovare una compensazione positiva nell’espressione artistica.

La sua vita è difficile sin dall’infanzia per una malattia, non ben definita se poliomielite o spina bifida, che l’aveva colpita rendendola claudicante.

La sua sofferenza per quella gamba così magra e legnosa è descritta nei suoi ricordi dai quali emerge anche il disagio per essere stata vittima di  derisione da parte dei compagni di scuola.

A 18 anni subisce poi un terribile incidente che così descrive:

“Il tram schiacciò l’autobus contro l’angolo della via. Fu un urto strano: non fu violento, ma sordo, e tutti ne uscirono malconci, io più degli altri”.

Possiamo riscontrare una conferma della profonda sofferenza dell’artista osservando le sue numerose opere artistiche.

In Frida, al dolore fisico che la costringerà per molti anni in un letto, si aggiunge lo  spettro di una solitudine che ben emerge dai primi quadri in cui rappresenta  esclusivamente se stessa.

Lo specchio sul soffitto della sua camera diviene simbolo di quella donna isolata dal mondo che così afferma:

“Dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono io la persona che conosco meglio”.

Tra le sue opere citiamo per esempio “La colonna rotta” del 1944 dove si esprime tutta la sofferenza per le numerose operazioni chirurgiche subite.

La spina dorsale non può più sostenere l’artista ma l’artista lotta nonostante sia trafitta dai chiodi.

La disabilità si collega al concetto di inferiorità d’organo ma possiamo notare come chi ha avuto la vita spezzata all’inizio o interrotta successivamente a causa di incidenti, possa ben recuperare attraverso quella che in psicologia chiamiamo  “compensazione”.

L’inferiorità d’organo non preclude il coraggio di essere combattivi e Frida Kahlo ne è un esempio.

Ci sono tante persone meno celebri dell’artista che vivono inferiorità d’organo ed  hanno saputo canalizzare la loro vita costellata dalla sofferenza verso una meta costruttiva.

Coloro i quali sono portatori di una disabilità fisica possono, a seconda dei casi, sprofondare nello scoraggiamento ed abbandonarsi a quella che viene tradizionalmente definita “dipendenza sociale” oppure possono occuparsi in senso positivo delle loro debolezze e costruire su di esse una “compensazione positiva” indirizzata verso il lato utile della vita.

Il tipo di compensazione positiva che si  verifica è  di solito culturale e possiamo notare come la “mancanza” si  trasformi in “opportunità”.

Se prendiamo come esempio Demostene, uno dei più grandi oratori dell’antichità, sappiamo dalla storia che era balbuziente e così Beethoven soffriva di disagi uditivi.

Certamente la compensazione positiva da inferiorità d’organo è strettamente legata al  contesto sociale in cui il soggetto è inserito.

Frida Kahlo ha avuto genitori sensibili  ed attenti al dramma della figlia.

Il corpo martoriato può divenire espressione della psiche ma la psiche può rispondere anche in modo costruttivo.

La rappresentazione del disagio del corpo nel quadro di  Frida Kahlo sopracitato ci emoziona e ci fa comprendere come l’artista sia andata oltre la sofferenza accettandola e mostrandola agli altri attraverso la realizzazione di un’opera d’arte che desta stupore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

https://betapress.it/intelligenza-emotiva/




Lo scollamento

Si parla con la gente, noi giornalisti, e si ascoltano molte cose, e magari le si capiscono, certo se si ascolta.

Ma noi giornalisti siamo una razza particolare, ormai siamo diventati preda dei click e dei clack, dei social e delle visualizzazioni.

Tanti anni fa quando collaboravo con le redazioni di giornali, quelli di una volta, quelli che gli articoli li dovevi scrivere entro le ventuno perché poi si andava in stampa, quelli che un articolo lo valutavi se per strada la gente si fermava e lo commentava, o se ti arrivavano le lettere pro o contro, oggi un articolo vale per le sue visualizzazioni, ovvero se te lo leggono.

E va bene ce ne faremo una ragione, ma questo ha cambiato la faccia del giornalismo, quantomeno lo ha trasformato in una orrenda meretrice che volge la sua attenzione a ben altri valori che quelli della verità, della coerenza o, utopia delle utopie, della giustizia.

Se fa notizia, se arrivano click, bene è da pubblicare, altrimenti chissene…

Proprio per questo motivo, il dio soldo, i giornali non sono più tali da tempo.

Correndo dietro alla velocità richiesta dai nuovi strumenti di oggi abbiamo perso il valore che un giornalista vero può dare alla notizia, la credibilità.

Siamo infatti nel mondo delle fake news, dove solo facendo il giornalista vero puoi combatterle.

Ma dovresti perdere tempo su una notizia, verificarla, aspettare i risultati di certe indagini, sentire più fonti… impossibile, se perdi il momento perdi la notizia e quindi i click clack.

Quindi oggi anche le notizie più importanti vengono buttate in pasto alla folla senza nulla, così, alla spera in dio.

Questo ha generato lo scollamento, una nuova forma sociale di dissociazione del cittadino che qualsiasi cosa legge o sente scuote la testa e dice “tutte cazzate, tutte fake news, ma questi qui dove vivono”.

Visto che i giornali, le tv ed internet sono diventati gli strilloni dei politici, il fenomeno dello scollamento è diventato seriale.

Il paese è da una parte, chi lo deve raccontare da un’altra, chi lo deve governare è in viaggio per chissà dove.

Scollamento triplo con avvitamento seriale inarrestabile.

Lo scollamento crea un grave elemento, nasconde la verità, nasconde quello che succede.

In realtà lo scollamento ha anche una grande componente involontaria legata ad un altro fenomeno dei giorni nostri, ovvero al fenomeno del commentatore laureato.

Eh già, ormai chiunque si sente opinionista, editorialista, tutti scrivono i quartini di prima pagina, basta scrivere tre fesserie sul Facebook di turno ed ecco nato il commentatore laureato, unico detentore della verità, certo di questo fatto perché ha pubblicato un qualcosa su un qualcosa.

Se non fosse tragico ci sarebbe da morir dal ridere.

Eppure la gente vera, quella che deve pagare le bollette e le tasse, quella che deve dar da mangiare ai propri figli, quella gente lì lo sa dove sta il paese reale, quella gente lì è ben consapevole di cosa sta succedendo.

E sono proprio loro che quando leggono scuotono la testa si incazzano e poi corrono a lavorare per non essere lasciati a casa, sempre più con delle scuse stupide, sempre più stringendo i denti ed accettando quattro lire, ops, euro pur di far mangiare i propri figli.

Eppure una volta i giornalisti ascoltavano la gente e riportavano quello che diceva, ma non dei trafiletti per far passare una linea o l’altra, ma il pensiero della gente, quello vero.

Lo scollamento usato ad hoc, per far pensare che le cose stiano in un certo modo, furbi!

Ho visto di recente una serie di filmati dove alcuni imprenditori si alzavano all’inno di Mameli, ahahahah nessuna delle loro aziende aveva più la sede legale in Italia.

“Ma che cxxxo ti alzi ci prendi per il cxlo” questo avranno detto tutti gli italiani che hanno visto il filmato, questo avranno riportato tutti i giornali, però io non ho visto nulla di tutto questo.

Scollamento.

Ma forse anche questo mio articolo è inutile, perché forse a quegli italiani che non basta lo stipendio è venuta la rassegnazione del cristiano al colosseo, forse speriamo troppo in un miracolo.

Io no, io sono per difendere il paese anche dallo scollamento; come posso fare? forse anche scrivendo questi articoli, facendo in modo che almeno su queste pagine venga detto cosa pensa le gente, sperando che ai politici interessi ancora qualcosa, visto che ormai hanno trovato il modo di fregarsene anche del nostro voto, dato che in modo sempre più colluso tra le funzioni del potere si eleggono quasi da soli.

Ma io mi ricordo di quando ero piccolo ed annusavo la colla, mi piaceva, perché mi piaceva pensare che tutto si può sistemare, magari anche solo con un poco di coccoina .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’indipendenza di Stampa

 




EZIO BOSSO, UNO DEI MODS: Intervista a Oskar degli Statuto.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=JteNID-yuMc?feature=oembed&w=640&h=360]

 

«Un grande musicista, il più grande compositore contemporaneo!» Così Oscar Giammarinaro (Oskar) degli Statuto ha definito l’amico Xico alias Ezio Bosso (rappresentati entrambi nella foto di testa, esclusiva per Betapress).

Ezio ha iniziato la sua carriera da musicista nella band Mod più famosa d’Italia, appunto gli Statuto, diventati celebri per il grande pubblico quando parteciparono al Festival di Sanremo nel 1992 con il pezzo Abbiamo vinto il festival di Sanremo, (Ghetto, Piera e Qui non c’è il mare sono, a mio avviso, altri capolavori di Zighidà)

https://it.wikipedia.org/wiki/Zighidà 

(terzo album della band torinese; n.d.a.).

La British Invasion degli anni sessanta aveva fatto conoscere in Italia la musica Beat e Ska ed anche la cultura Mod.

Uno dei Mods è stato un successo tutto “italiano” degli anni sessanta di Ricky Shayne, un 45 giri che ho consumato quando avevo poco più di 7 anni e che mi ha da sempre incuriosito.

Uno dei Mods è anche quel che pensa Oskar di Xico.

Ho letto molte cose su Ezio Bosso, ma non sempre mi hanno trovato d’accordo, anche perché pochi hanno compreso la grandezza umana di una persona che ha vissuto il reale in modo vero, fino alla fine!

Noi di Betapress, per comprendere chi era Ezio Bosso, abbiamo voluto chiedere un aiuto ad Oskar.

PERTH: Antonella Ferrari (Caporedattore di BetaPress) ha scritto di Ezio Bosso non appena ci è giunta la notizia della sua tragica scomparsa

Il mondo della musica, e non solo, piange Ezio Bosso

 

Nel suo pezzo Antonella ha cercato di fotografare la vita di uno dei più grandi talenti della musica italiana e non solo.

Chiedo a te, che sei uno dei suoi cari amici, com’è nata e cos’ha voluto dire per te quest’amicizia nata intorno alla Piazza (Statuto; n.d.a.)?

OSKAR: Ci siamo conosciuti nel 1985 quando ha iniziato a frequentare la scuola media annessa al Conservatorio G. Verdi di Torino, era stato inserito nella stessa classe di contrabbasso.

Lui era più giovane di me e rimase subito affascinato dal mio modo di vestire, dalla musica che ascoltavo, dalla mia Lambretta e dai miei racconti delle nostre avventure con gli altri Mods, di lì a poco iniziò a frequentare Piazza Statuto Mod con tutti noi.

Quando nel 1987 decisi che non volevo più suonare il basso, ma solo cantare negli Statuto, lui si propose immediatamente come bassista e suonò con noi per circa due anni.

Era talmente creativo, che le sue tante note erano perfino esagerate per le nostre canzoni e quando bisticciò con il nostro maestro, smise di suonare anche con noi e andò a studiare all’estero.

Siamo però rimasti sempre in contatto, quando era a Torino veniva regolarmente da noi in Piazza al sabato pomeriggio e ci siamo sempre sentiti, fino all’ultimo dei suoi giorni.

PERTH: «…era uno di noi, uno dei Mods» hai detto in più occasioni, «ha legittimato i mods», ed ancora «uno nasce Mod, lo capisce… e ci rimane per sempre» ci racconti qualche aneddoto che possa chiarire ai lettori come è nata in te ed anche in Ezio la coscienza di essere un Mod?

OSKAR: Mod non si nasce ma si scopre di esserlo.

Sia io che lui l’abbiamo scoperto appassionandoci all’abbigliamento italiano anni ’60 e all’amore per la musica afroamericana e giamaicana.

A Xico piaceva e suonava molto bene anche il jazz e il termine “Mods”, deriva proprio dal termine “Modernists” che era usato per i primi ragazzi inglesi che ascoltavano questo genere a fine anni ’50.

PERTH: In un tempo in cui la mercificazione “usa e getta” generata da “Reality” e “Talent” produce progetti musicali sterili e poco “artistici” tu esci con il tuo primo lavoro da solista, Sentimenti Travolgenti,

https://music.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_mio4DRIWNyYpd0WIGvBfLtYd34QsxHWcY

parlando di Eleganza.

Non trovi che la raffinatezza compositiva sia oggi fuori dal coro?

Cos’era l’Eleganza per Ezio?

OSKAR: La “raffinatezza” delle composizioni di Xico va decisamente oltre qualsiasi classificazione materiale.

Basta ascoltare le sue “12 stanze” ad esempio, per capire con quanta semplicità ed eleganza riusciva a esprimere sequenze di note leggere e avvolgenti, trasmettendo forti emozioni e vera sensazione di eleganza sonora melodico-armonica.

Più che “fuori dal coro”, lo definisco “straordinario” e “unico”, oggettivamente il più Grande compositore contemporaneo.

PERTH: Ezio ha fatto sua una frase di Antoine de Saint-Exupéry: «L’essenziale è invisibile agli occhi».

Pensi che l’esplosione di creatività e questa certezza degli ultimi anni sia conseguenza della sua malattia?

OSKAR: E’ sempre stato molto talentuoso e creativo, già nelle nostre “canzonette” trovava riff e giri di basso pazzeschi.

La malattia l’ha fatto crescere come uomo, l’ha reso infinitamente saggio, paziente e tenace.

Ha saputo tirare fuori tutta la sua eccezionale creatività grazie anche al tanto studio di composizione, direzione, pianoforte e (perché no?) anche storia, negli ultimi 20/25 anni.

Ormai era diventato un riferimento fondamentale non solo per i musicisti, ma per la cultura in generale.

PERTH: In un’intervista a Fanpage.it Ezio diceva «Dal mondo della musica classica ho subito tanti schiaffoni, ingiustizie, insulti, come quello che esistevo solo perché avevo una malattia (…)» sono rimasto impietrito quando ho letto la sua intervista.

Te ne ha mai parlato?

OSKAR: Certo e posso confermarlo.

In Italia (e solo in Italia!) tanti “professorini” provetti della musica classica sbalordivano ascoltando le sue sinfonie oppure a sentirlo suonare il pianoforte (strumento che lui ha studiato soltanto negli ultimi anni della sua carriera, quando, tra l’altro, stava già cominciando a mancargli la funzionalità delle dita) e quindi pativano e lo invidiavano a tutto tondo e vergognosamente.

Ma lui ha sempre saputo rider loro in faccia, perché il pubblico, tutto il grande pubblico d’ogni parte del mondo, lo adorava.

PERTH: «Se uno è capace di fare le domande trova le risposte… in quello che accade» una concretezza che guarda al mistero di quel che c’è dietro alle cose, l’importante è cercare la bellezza, la giustizia la verità.

Ezio era un “cercatore”?

OSKAR: Xico era contro ogni pregiudizio, anche “positivo”, come piaceva dire a lui.

Conseguentemente, non fermarsi a regole e soluzioni statiche, implica cercare e ricercare, inventare e creare.

Quando ha dovuto smettere di suonare il contrabbasso, Xico si è trasformato in pianista, diventando un concertista e tenendo recital sold-out in tutta Italia.

Lui ha sempre cercato e, soprattutto, trovato una risposta a ogni questione gli si ponesse, anche le questioni più atroci, come la sua malattia.

Era più che un “cercatore”, direi un “trovatore” (ovviamente niente a che fare con i celebri compositori francesi dell’undicesimo secolo…).

PERTH: Hai detto spesso che Ezio non si lamentava mai della sua condizione, anzi, era un amante della vita.

In una delle ultime telefonate ti ha perfino confortato in merito al periodo che stiamo tuottora vivendo di emergenza Coronavirus.

Qual era la sua forza? Come era possibile tutto ciò, tu che lo conoscevi bene?

OSKAR:  Credo che il suo amore per la Musica e per la gente gli abbia dato la forza per trasformare in forza e serenità la forte sofferenza procuratagli dalla tremenda malattia.

In tanti anni mi ha sempre parlato di futuro, di prospettive avanti nel tempo, senza contemplare mai un giorno in cui lui non ci fosse stato più.

Un’energia soprannaturale e non lo dico faziosamente.

PERTH: La sindaca di Torino ha proposto di intitolare un luogo della città alla memoria di Ezio Bosso e a mio modesto parere credo debba essere molto vicina alla Piazza Statuto.

Cosa ne pensi?

OSKAR: Abbiamo raccolto più di 16.000 firme per questa causa, anche la sua famiglia è d’accordo, speriamo di essere ascoltati.

PERTH: Sono stato affascinato da queste due frasi di Ezio:

«Perché è questo quello che fa la musica: dilata il tempo della felicità. La bellezza ci rende felici e il miracolo della musica è il miracolo della bellezza»

e ancora: «…la vera domanda non è “cos’è la musica per me?”, ma “cosa posso fare io per la musica?”».

Da un lato la “bellezza” di cui non parla più nessuno e dall’altro “mettersi al servizio” che è un tabù.

Da amico di Ezio e da artista cosa ne pensi?

OSKAR: Per lui ogni musicista è parte della Musica  e appartiene al pubblico e non viceversa.

Con la partecipazione generale di chi suona e chi ascolta, si ottiene la “bellezza” della Musica… anzi, la bellezza in assoluto.

PERTH: Un’ultima domanda Oskar, ci racconti de La musica magica?

OSKAR: Adesso è ancora presto…

PERTH: Allora ci dobbiamo rivedere assolutamente! Grazie Oskar!

Vi lascio all’ascolto di uno dei capolavori di Xico.

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=AHe6AzhRa3o

 

 

Perth

in testa una fortografia inedita concessa da Oskar a Betapress

 

 

 

 

 

 

 

 

Intesta di articolo una fotografia inedita ed esclusiva concessa da Oskar a Betapress, degli Statuto, Ezio Bosso è il secondo da sinistra ed Oskar è il terzo da sinistra.

 

GIANKA: LA FORMA DELL’AMORE

KARMA – INTERVISTA AD ANDREA “CONTE” BACCHINI

 

UN THE CON SKARDY: la musica del cuore.

 




LETTERE DA ENDENICH

Qualche considerazione sui coniugi Schumann in seguito alla lettura di “LETTERE DA ENDENICH” (Filippo Tuena/Anna Costalonga)

di Andrea Rocchi

 

Nel Novembre 2017 mi trovavo in visita a Verona, e, alla ricerca di un oggetto ricordo, sono inciampato in Lettere da Endenich, piccolo libro edito da “Piccola biblioteca di letteratura inutile” e curato da Filippo Tuena e Anna Costalonga che descrive gli ultimi anni di vita di Robert Schumann facendo leva sulla  corrispondenza epistolare del compositore dal sanatorio di Endenich luogo nel quale egli stesso chiese di essere internato.

 

L’introduzione di Tuena – intitolata di paesi e uomini stranieri, in chiaro richiamo al titolo della prima delle celebri Kinderszenen – illustra come la figura di Robert Schumann, negli ultimi anni di vita e in particolare dal suo internamento, si possa paragonare a uno specchio andato in frantumi.

Frantumi che non possono, ahimé, essere riassemblati ottenendo un’immagine completa e unitaria; ma frammenti dai quali sta al lettore interessato dedurre, fare ipotesi più o meno plausibili e giustificate al fine di stilizzare una fisionomia più o meno veritiera del volto del compositore.

Il frammento è la lanterna dell’eremita, l’indizio che può condurre, forse, verso una visione meno evanescente e più nuda, più cruda di Schumann.

Come infatti Filippo Tuena dice, “l’uomo che si è specchiato affronta i propri fallimenti”: il nostro compositore si disincanta gradualmente, si discosta dagli entusiasmi artificiali e dalle sognanti speranze che giungono dai cari; scruta dentro se stesso, senza filtri, istigato dal graduale svelarsi di un elemento sconosciuto che induce uno senso di disturbo, di profonda e crescente inquietudine.

L’uomo-artista guarda in faccia il proprio sdoppiamento: quella zerrissenheit che, già tempo prima, aveva partorito le figure di Florestano e Eusebio, che ora sembra come rigirarglisi contro – o, meglio, addosso – sempre di più, rendendolo inerme, incapace di imporsi in qualche modo.

Fra gli elementi caratterizzanti di questa condizione di sudditanza emergono le allucinazioni auditive – cominciate da un leggero “fischio” per raggiungere suoni precisi (un la) o intere melodie, orchestre suonanti; un doppio tentativo di suicidio, mai effettivamente accertato; una forma di depressione dalle svariate manifestazioni – quasi un senso di “inutilità di sé” – forse a seguito di una qualche malattia venerea, contratta in giovinezza; o ancora l’alcolismo, che pare involontariamente amplificato dall’emergere della figura amica di Johannes Brahms. Schumann descrive quest’ultimo quale fiera e coraggiosa stella nascente del panorama musicale, colui “che doveva giungere”; si entusiasma per le sue composizioni, ne scrive ampiamente e con calore in più di una lettera.

Eppure, forse è possibile scorgere, correlatamente, un velato ma passivo, intimo senso di invidia.

Dalle lettere che costituiscono l’anima di questo libricino, quel che mi ha colpito maggiormente è l’imprevedibile apparente – probabilmente anche simulato di proposito – stato di quiete del compositore, diametralmente contrapposto all’angoscia urlante della moglie, Clara Wieck.

Il che è indubbiamente comprensibile quanto non biasimabile; ma la sensazione che se ne trae, che anche Tuena non si esime di sottolineare, è quella che rende il dolore di lei il fulcro, il reale focus della vicenda: l’attesa forzata di sei mesi dall’inizio dell’internamento dell’amato marito prima che lei possa scambiare con lui anche una sola lettera; per non parlare, poi, di due lunghi anni prima poterlo rivedere, ormai agli sgoccioli della sua esistenza, la sfiniscono.

A ciò si unisce quello stato di indeterminatezza, di “non veramente detto” che lui tiene nelle lettere (forse per evitarle maggior dolore, ma che lei percepisce bene) non la aiutano: si ha l’impressione che Schumann non faccia che chiederle piccoli o grandi favori senza considerarla più di tanto od esprimere parimenti sensazioni di mancanza, di desiderio.

Clara nella sua quotidianità non ha che Brahms e Joachim a sorreggerla, che ciclicamente si recano a Endenich a fare visita a Schumann in sue veci, tenendola informata sull’evolversi della malattia e sui comportamenti del marito; non può contare sulla voce del suo Robert, che negli ultimi quattordici mesi interrompe drasticamente la corrispondenza con lei, accrescendo enormemente la sua angoscia.

Eppure, nonostante tutto questo, Clara deve portare avanti il suo lavoro di pianista concertista – per lei non poco debilitante: soffre spesso di tendiniti – e compositrice, mantenere se stessa e le figlie, pagare la degenza di Endenich…

I frammenti messi a disposizione in Lettere da Endenich hanno al loro interno una fragorosa capacità comunicativa.

Le lettere, i loro toni, ci raccontano gli effettivi valori attribuiti da Schumann alle sue relazioni umane, i quali appaiono non di rado ridimensionati rispetto a quel che ci si potrebbe aspettare o si è solito conoscere per consuetudine storica.

Quando, poco sopra, ho accennato ad una possibile invidia del compositore nei confronti di Johannes Brahms, l’ho fatto sulla base di considerazioni tratte dando uno sguardo più acuto al linguaggio che l’uno utilizza con l’altro (diversamente che con altre persone), cosa che Tuena a sua volta sottolinea quando scrive che “le lettere svelano molto dell’uomo che le scrisse e persino dei destinatari che le ricevettero; soprattutto svelano molto dei rapporti intercorsi tra i corrispondenti in quel periodo essenzialmente velato dalla «non comunicazione»”.

Voli pindarici alquanto estesi e approfonditi sulle composizioni di Brahms – quasi “lettere dentro le lettere” – in un’epistola che non principia con alcun “caro…”, e che magari termina solo con un poco coinvolto “a presto”, danno adito all’idea di una forte emozione iniziale associata al tentativo di mantenere uno strano distacco; un senso come di “fastidio” una volta spentosi l’ardore scaturito sfogliando le Variazioni o le Ballate brahmsiane.

Pur sapendo della venerazione di Schumann per il giovane amburghese, forse non fuori luogo supporre che essa potesse rimbalzare in lui negativamente, con un vago ma invadente senso di invidia, di “gelosia” verso quel temperamento umano e musicale (ovvero non per Brahms in sé); riportando ancora, e con violenza, davanti quello specchio ormai in pezzi, e impossibile da ricomporre: quel riflesso crepato irrimediabilmente portatore di un senso di ingiustizia subita così difficile da digerire, alla cui accettazione si associa una rinuncia di obiettivi, di sogni così vitali ed essenziali e forse, paradossalmente, anche a un vero contatto con la realtà.

Gli ultimi giorni di vita del compositore emergono anch’essi in sgretoli, dalle strazianti descrizioni: ancora una volta è la moglie al centro della scena, nella disperata ricerca di un segno negli occhi del suo Robert che le suggerica di essere riconosciuta o le comunichi ancora amore, che non vanifichi le lunghe attese e gli sforzi fatti.

Clara si prostra fino alla fine, con il dubbio di non essere realmente considerata dal marito – ormai in stato irriconoscibile, ad occhi chiusi nel letto: gli arti tremanti, incapace di articolare parole comprensibili, in continua lotta con i suoi spiriti, e che dalle dita di lei a malapena beve qualche goccia di vino.

Soltanto rari barlumi danno a lui il coraggio di tentare di stringerla a sé, ma ciò si traduce solo in un braccio goffamente gettatole intorno.

Non si è presenti alla vicenda eppure sembra quasi di vederli, immancabilmente innamorati, nell’estrema sofferenza, profondamente uniti anche negli ultimi momenti prima dell’inevitabile separazione.

Alla morte di Robert Schumann corrisponde quella di una parte delle persone che lo amavano – soprattutto, appunto, di Clara – e il trascinarsi dei suoi misteri in un baratro in cui forse mai troveremo risposte alle nostre domande.

Ci possiamo però consolare, con le sue musiche: in particolare le ultime (citate anche nelle lettere), come i Gesänge der Frühe o il Concerto per violoncello e orchestra, sperando possano suggerirci, in un linguaggio altro, se non il nome del male che affliggevano Robert o dei demoni che lo assillavano, almeno qualche aspetto di quell’universo al contempo celestiale e infernale da lui tenuto in petto e dispensatoci, come fece Clara con il vino, a poche gocce, direttamente dalla sua penna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Rocchi




Original Blues Brothers Band e Blues4people band in aiuto ai banchi alimentari

 

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=J2JJT1lIsoo?feature=oembed&w=640&h=360]

 

 

 

In Europa la crisi Covid-19 negli ultimi 3 mesi non ha solo portato lutti e sofferenza ma anche una nuova emergenza alimentare.

La richiesta di cibo è aumentata anche del 50% in più rispetto ai mesi pre-covid19 e per i prossimi mesi le prospettive non sono di certo migliori.

Nel 2018 Eurostat ha stimato 36 milioni di cittadini europei in povertà materiale ma a questi ora si sono aggiunti altri milioni di persone che per la prima volta si trovano a dover chiedere aiuto per mettere qualcosa da mangiare a tavola.

 

“I 430 Banchi Alimentari che operano in Europa hanno fatto il possibile, pur con mille difficoltà, per continuare la distribuzione di alimenti alle associazioni che ogni giorno accolgono il grido di aiuto di padri, madri, anziani e giovani che a loro si rivolgono.

Allo stesso tempo molte altre persone sono venute in nostro aiuto: cittadini, aziende e amministrazioni pubbliche.

Purtroppo, il fiume di povertà continua ad ingrossarsi e il rischio che tracimi è alto.

Per questo abbiamo accolto con gratitudine la proposta della Blues4people band e della Original Blues Brothers Band di realizzare un video con loro.

La canzone e le immagini non vogliono farci dimenticare quanto sta accadendo, anzi dicono un messaggio molto chiare: è possibile lavorare e faticare anche in situazioni difficili (vedi l’esempio dei medici e degli infermieri) ma tutto il nostro lavoro non basta.

Occorre che sempre più persone ci diano una mano, immediatamente.

Fare una donazione non è il premio al nostro sforzo ma il sostegno a chi può confidare nell’impegno per la solidarietà. Non possiamo farcela da soli.”

afferma Jacques Vandenschrik, Presidente della European Food Banks Federation.

 

Oltre a tutti componenti della Blues4people band, la European Food Banks Federation ringrazia Lou Marini e i fantastici musicisti della Original Blues Brothers Band, i volontari dei Banchi Alimentari che lavorano in 29 paesi europei, Carlo Cottarelli, Francesco Moser, Giacomo Poretti, Nadia Puma.

Un ringraziamento speciale a Riccardo Denaro e Giulia Reali che, con i colleghi di Areastream, hanno prodotto il video gratuitamente.

 

Per aiutare la European Food Banks Federation e i suoi 430 Banchi Alimentari che nel 2019 hanno distribuito 768.000 tonnellate di alimenti a 45.283 associazioni caritatevoli aiutando

9.5 milioni di persone povere in Europa.

 

Perth

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BLUES4PEOPLE




Pittoni: call veloce inutile ripiego.

#SCUOLA #PRECARI #LEGA #PITTONI #AZZOLINA # COPRIRE CATTEDRE CON CALL VELOCE

Piano straordinario assunzioni Lega bocciato.

Il piano straordinario di assunzioni docenti, proposto dalla Lega e bocciato, sia in Senato che alla Camera, nell’ambito del Decreto Scuola, proponeva lo scorrimento delle graduatorie di istituto, in modo che i precari ottenessero il ruolo nel territorio da loro già scelto.

La risposta del governo è stata la CALL VELOCE ai docenti inclusi in graduatoria (sia Gae che Gm), cioè la chiamata diretta ad anno scolastico avviato.

Ma, per la Lega, non sarà probabilmente la call veloce a risolvere il problema delle cattedre di ruolo che, anche quest’anno rimarranno vuote, perché mancano docenti nelle graduatorie corrispondenti.

 Come redazione di betapress, abbiamo voluto sentire direttamente il senatore Mario Pittoni, presidente della commissione Cultura a palazzo Madama e responsabile Istruzione della Lega.  

 

Betapress – Senatore, un commento a caldo…

 

PITTONI – A settembre, dopo molti anni, la scuola poteva tornare a disporre di docenti tutti titolari, invece che supplenti.

Il ministro ha rifiutato la nostra proposta emendativa al decreto Scuola e ora per riempire i buchi (anzi, la probabile voragine vista l’emergenza pandemica da gestire) annuncia di volersi affidare alla cosiddetta “call veloce”, che però si rivolge a docenti (inclusi in Gae o in Gm) cui è assicurato dalla legge il diritto alla nomina in ruolo nella regione/provincia di appartenenza.

Betapress – Dunque, i docenti precari, sarebbero ancora chiamati a lavorare ben lontano da casa…

PITTONI – Questo è il problema di sempre, peggiorato dalle ultime disposizioni di legge.

Infatti, c’è da dubitare che i precari interpellati si rendano disponibili a farsi sbattere per 5 anni a centinaia di chilometri da casa, lontano dalla famiglia e con stipendi che in trasferta difficilmente consentono di arrivare alla fine del mese.

Betapress – Ma qual’ è la disposizione che li svantaggia ulteriormente?

PITTONIUna disposizione di legge non superabile anche in sede di contrattazione collettiva, prevede infatti che i neo immessi in ruolo dall’anno scolastico 2020/21 siano vincolati per 5 anni alla sede ottenuta, senza poter chiedere neanche l’assegnazione provvisoria o stipulare contratti a tempo determinato.

Betapress – Ma allora, quale precario può accettare una nomina lontano da casa?

 PITTONI – In pratica la call è appetibile solo per quei docenti che si aspettano di dover attendere più di 5 anni per conseguire la nomina in ruolo nel proprio territorio.

Betapress – Senatore, ma quali sono i reali numeri dei docenti precari?

PITTONI – Non si giochi con i numeri del precariato.

Nell’anno scolastico 2019/20 ci sono state più di 38.000 supplenze annuali e quasi 150.000 supplenze fino al termine delle attività, cui andrà aggiunta la copertura dei pensionamenti 2020/21 (circa 27.000).

Siamo quindi ben oltre le 200.000 unità di personale docente precario che ci si prepara a utilizzare il prossimo anno scolastico, alla faccia delle rassicurazioni del ministro.

Betapress – Senatore, cosa vuol dire a Conte, dopo che il Governo ha bocciato la proposta della Lega di stabilizzare i docenti precari?

PITTONI – Mi sento solo di dire

Grazie Presidente,
il ripensamento non c’è stato.

Ci eravamo illusi che la sinistra avesse ripreso a fare il mestiere per cui era nata:

difendere i deboli, come le centinaia di migliaia di precari che hanno dato i loro anni migliori alla scuola e ora rischiano di ritrovarsi ai margini della società, per un’interpretazione distorta e semplicistica del “merito”, che somiglia tanto a un dispetto a chi ha osato infastidire il “potere” chiedendo attenzione per la disperazione di chi teme di perdere quella che in molti casi è la sola fonte di sostentamento, in un’età che non offre più grandi alternative, magari con la responsabilità di una famiglia”.

Betapress – Il concorso straordinario conferma che il governo non ha alcuna intenzione di tener conto dell’emergenza epidemiologica, la quale consiglierebbe di puntare sul rafforzamento e la stabilizzazione dell’organico docenti. Secondo Lei, perché?

PITTONI – Con la marcia indietro di Pd e Leu, nuovamente appiattiti sulle posizioni dei 5 Stelle, il prossimo anno scolastico partirà con zero assunzioni a tempo indeterminato;

anzi, 30 mila precari in più a seguito dei pensionamenti, che porteranno il totale dei supplenti a 200 mila.

Il contrario dell’impegno preso su nostra sollecitazione – a parole – da esponenti della quasi totalità delle forze politiche di garantire tutti gli insegnanti titolari in cattedra il prossimo settembre, per affrontare con la dovuta efficacia la crisi pandemica, a partire dalla necessità di sdoppiare le classi per consentire i distanziamenti.

Betapress – La soluzione per superare il precariato con la vostra proposta di assunzione da graduatorie, già utilizzata per le Gae, è giuridicamente valida?

PITTONI – Sì, assolutamente sì, e le spiego anche il perché.

Il concorso per soli titoli, nato nel 1989 e conosciuto come “doppio canale”, nel 1999 è stato convertito dalla legge 124 in graduatoria permanente (ora ad esaurimento).

Trasformazione ribadita dalla giurisprudenza della Cassazione (esempio: Sentenza 3 ottobre 2006 n. 21298).

Le graduatorie possono essere permanenti (tuttora attive per il reclutamento del personale ATA e un tempo attive pure per il reclutamento dei docenti) oppure ad esaurimento (oggi strumento alternativo al concorso ordinario, previsto specificamente dalla legge e ribadito anche da una sentenza della Corte Costituzionale).

Lo strumento “graduatoria” pertanto è pienamente legittimo, ha pari dignità rispetto al concorso ordinario ed è anche “tutelato”, dal momento che la Suprema Corte ha sancito che ad esso va assegnato il 50% dei posti annualmente disponibili, percentuale pure aumentabile nel caso di esaurimento di parallele graduatorie concorsuali.

Betapress – E considerata la situazione di emergenza?

PITTONI – Situazioni particolari come l’attuale legittimano l’istituzione di uno strumento aggiuntivo, subordinato a quelli preesistenti, unico a poter garantire l’assegnazione in tempo utile dei docenti alle classi con la creazione di una maxi-graduatoria finalizzata alle immissioni in ruolo, che utilizzi solo ed esclusivamente i punteggi con cui gli aspiranti sono inclusi nelle rispettive liste.

Betapress -Tra l’altro il numero di posti del concorso straordinario targato Azzolina è talmente esiguo che tutta la procedura ricorda la solita montagna che partorisce il topolino…

PITTONI- Servirebbero non meno di 100 mila assunzioni.

Con la proposta del Governo il risultato, oltre ad arrivare – se va bene – l’anno dopo, non coprirà più del 10-20% del necessario.

Oggi è interesse pubblico primario coprire tutti i posti vacanti e disponibili.

Ovviamente, detratti quelli delle procedure ordinarie preesistenti (GM varie e GAE), la quota assegnata con procedura straordinaria per le esigenze eccezionali del momento va recuperata negli anni successivi per garantire parità di accesso a chi parteciperà al futuro concorso ordinario, che nell’attuale stato d’emergenza appare indispensabile procrastinare almeno di un anno.

Betapress -Quello contro i precari della scuola da parte di certa politica è diventato quasi un tiro al piccione…Anche all’estero è così?

PITTONI – Assolutamente no. All’estero non è così.

In Francia i concorsi per il reclutamento, tanto nella scuola statale che in quella privata, avvengono con assoluta regolarità e praticamente non si formano mai sacche di precariato, poiché gli insegnanti sono assunti in pianta stabile sia nello Stato che nel privato man mano che si manifesta la necessità.

Anche in Spagna non ci sono particolari sacche di precariato, poiché le assunzioni sono regolari e la formazione in ingresso più agile rispetto a quella farraginosa italiana.

Betapress – Senatore, che posizione ha preso la Lega in questi mesi?

 PITTONI – A marzo, quando la pandemia ha cominciato a manifestarsi in tutta la sua virulenza e, come Lega, ho lanciato l’appello ad affrontare insieme le grandi criticità che ci ritroveremo a settembre, mi aspettavo reale collaborazione.

I fronti su cui lavorare sono sostanzialmente due: didattica d’emergenza

(con la necessità di raddoppiare gli spazi e sdoppiare le classi per ridurre gli alunni da gestire) e organico docenti insufficiente già prima dell’emergenza e quindi precario in percentuale rischiosa per la tenuta del sistema.

Ho proposto un grande piano di stabilizzazione che consenta, per la prima volta dopo parecchi anni, di avere tutti gli insegnanti titolari in cattedra già all’inizio dell’anno scolastico.

Betapress – Che reazioni ha suscitato la vostra proposta?

PITTONI – Esponenti di diverse forze politiche (escluso il M5S) sono più volte intervenuti riconoscendo l’importanza, in un momento tanto grave, di disporre di un organico docenti adeguato e stabile.

E’ un diritto dei ragazzi disporre di insegnanti che abbiano il tempo di conoscerli e capirli, altrimenti di che qualità cianciamo?

Betapress – Sì, ma poi, nei fatti, non è così…

PITTONI – Naturalmente neanche in questo secondo decreto Scuola c’è traccia degli interventi da tempo attesi da decine di migliaia di precari e “ingabbiati” della scuola.

Non c’è alcun percorso specifico per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento dedicato a docenti in possesso di adeguata esperienza professionale.

Non c’è traccia del corso di specializzazione per l’insegnamento di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado dedicato specificamente a coloro che sono in servizio, a qualunque titolo e legittimamente, su posti di sostegno della scuola primaria, secondaria e dell’infanzia senza essere in possesso del titolo di specializzazione.

Non c’è traccia, a parte il solito tavolo, della programmazione del percorso accademico ordinario per conseguire l’abilitazione, strumento indispensabile per l’insegnamento previsto dalla normativa comunitaria oltre che da quella nazionale.

Non c’è traccia di un vero concorso riservato per gli insegnanti di religione, in attesa di entrare in ruolo anche da più di vent’anni.

Non c’è traccia di iniziative per superare il contenzioso dei concorsi a dirigente scolastico.

Non c’è traccia delle nostre proposte per limitare i danni dei ritardi nel concorso transitorio della secondaria.

Non viene affrontata in modo adeguato l’emergenza delle scuole prive di DSGA e non si corrisponde agli impegni presi in merito ai cosiddetti “DSGA facenti funzione”.

Non c’è alcuna disposizione che risolva il problema dei docenti di scuola primaria diplomati magistrale ante 2001/2002

licenziati a seguito di giudizi definitivi, ma non ricompresi nel novero dei partecipanti al concorso straordinario indetto nel 2018 in forza delle disposizioni contenute nel decreto Dignità.

Betapress -Come Lega, avete sempre difeso le scuole paritarie

PITTONI – Sì, ma anche qui il governo ci ha risposto picche.

La rinnovata intesa tra le forze di governo non ha lasciato scampo neanche alle proposte che riguardavano fondi, contributi, crediti d’imposta, esoneri, detraibilità e rimborsi, oltre al 10 per mille chiesto dalla Lega, per salvare le scuole paritarie, a rischio chiusura.

Betapress – Perché?

PITTONI – Di fatto PD e Italiaviva si sono piegati al volere dei 5 Stelle, che da sempre non mostrano particolare simpatia per la scuola pubblica non statale, con la scusa che il decreto Scuola non dispone di fondi adeguati, per cui sarebbe tutto rimandato eventualmente al decreto Rilancio.

Intanto con le briciole stanziate finora, molte non statali rischiano di non riaprire il prossimo anno scolastico e questo potrebbe tradursi in un carico finanziario enormemente superiore per la scuola statale rispetto a oggi.

Betapress -Dunque, Senatore, la Lega continuerà ad opporsi…

PITTONI – Senza dubbio!

Per tutti questi motivi il voto della Lega Salvini Premier – Partito Sardo d’Azione a un provvedimento all’insegna del pressapochismo irresponsabile della cui inefficacia purtroppo ci si renderà conto solo a settembre, non può essere che contrario.

E noi, come redazione, non possiamo che riconoscere il merito a chi le critiche al sistema scuola le aveva mosse da tempo, critiche con contro proposte efficaci ed efficienti.

Soluzioni alternative nate dalla competenza e dalla professionalità di chi, la scuola, la vive come missione, e non come propaganda politica o audience mediatica…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pittoni Mario, l’esperienza al servizio dello Stato.

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