Digiscuola negata.

Era già tutto previsto, anche quello che, come Betapress, vi avevamo già anticipato nei nostri recenti articoli sulla didattica a distanza, cioè, luci ed ombre della scuola italiana emerse in questi giorni di emergenza.

Continuano ad arrivare, in redazione, segnalazioni da diverse scuole di tutta Italia che confermano come la didattica digitale è un falso ideologico, cioè non esiste.

O se esiste, è schizofrenica.

La didattica digitale dà la prova, nei fatti, che il sistema scolastico italiano non è stato preparato in modo adeguato, o, per lo meno, in modo uniforme.

Dunque, anche adesso, la scuola sta rispondendo in modo contradditorio.

Primo, le infrastrutture.

Non sempre sono all’altezza, in alcuni territori non esiste fibra ottica, le connessioni non reggono, il wifi è scarso, le linee telefoniche sono inadeguate, in altre zone invece tutto funziona bene.

Secondo, gli strumenti.

Ci sono scuole che, da anni, hanno acquistato strumenti e sistemi di didattica digitale, ed altre in cui mancano persino i computer.

Terzo, le competenze.

Per esperienza diretta, vi dico che ci sono professori competenti, aggiornati e professionali che si destreggiano tra piattaforme digitali ottimizzandone i risultati, ed insegnanti che manco sanno di che stiamo parlando, che è già bello se sanno usare il registro elettronico.

Anche se, per onestà intellettuale, devo dire che, nessuno, dal Miur, ha mai imposto un’adeguata formazione sulla didattica digitale e sull’utilizzo delle piattaforme collegate, nessuno, dal Miur ha mai impostato un serio progetto nazionale di trasformazione della didattica verso un impianto digitale.

E la prova, sta nel far west di questi giorni.

Quarto, i soldi.

E qui viene il bello!

Alcune scuole hanno avuto i soldi per potersi adeguare altre no, in alcune regioni o provincie si sono fatti investimenti, in altre si sono “mangiati” i soldi.

Perché le scuole non hanno avuto, negli anni, i soldi per poter avviare dei progetti digitali?

O, per lo meno, perché poche, davvero poche, sì, e la maggioranza no?

A tal proposito, che fine hanno fatto i soldi dei PON? Chi ha controllato il loro utilizzo?

Anche qui, si sono utilizzati i soldi per i progetti più disparati, ma a pioggia, regione per regione, provincia per provincia, ognun per sé e Dio per tutti, senza un impianto nazionale.

La stessa idea del bonus docenti, un altro fallimento.

Perché era l’occasione buona per un progetto serio di didattica innovativa, dando i soldi alle scuole con indicazioni chiare e, soprattutto, facendo controlli precisi sui singoli.

All’inizio, 500 euro in busta paga, solo per gli insegnanti di ruolo, e si doveva documentare con lo scontrino dove, come e quando li avevi spesi, altrimenti erano persi.

L’anno dopo c’era invece la carta docente, da attivare, e qui già il sistema si è impallato, con docenti che hanno speso tempo ed energie per lo spid e, alla fine, hanno persino, loro malgrado, dovuto rinunciare per i disservizi.

In seguito, il sistema è ripartito, con le modalità, “fatta la legge, trovato l’inganno”.

Il principio della buona scuola era formare ed informare gli addetti ai lavori, affinché, finalmente, si aggiornassero.

Ma cosa è successo?

Gli onesti, hanno acquistato computer, hanno seguito corsi sulla formazione digitale, hanno partecipato a seminari di enti accreditati…

I disonesti, hanno comprato computer a non finire, regalandoli a destra e a manca, addirittura li hanno rivenduti o li hanno barattati con una lavatrice, con la compiacenza del rivenditore.

Per non parlare della” formazione trasversale interdisciplinare”.

Cinema, teatro, musei…Ognuno è andato a vedere quel cavolo che voleva, senza nessun controllo.

Io non sono un politico, sono però una cittadina, addetta ai lavori, insegno da più di 30 anni, non ce la faccio a stare zitta!

Possibile che, al Miur, non abbiano ancora capito poche cose chiare?

Quelle che, ogni giorno, in classe applichiamo con in nostri alunni?

Si lavora per tutti, meglio poco, e bene, ma per tutti, ed insieme.

E, soprattutto, si controlla e si dà il buon esempio.

Invece, la scuola di questi giorni, conferma che il Miur non ha mai proposto e/o imposto un progetto nazionale di didattica a distanza serio, visto che manco è stabilita una piattaforma di riferimento unica (assurdamente il ministero ne ha consigliate tre o quattro).

Non esiste un processo organizzativo uguale per tutti (oggi i professori sono tutti volontari, magari protagonisti, magari parassiti).

La formazione dei docenti sulle tecnologie è lasciata allo scrupolo o alla volontà dei singoli.

La conversione dei contenuti didattici tradizionali in formato digitale non si improvvisa (la didattica digitale non è il clone di quella frontale)

Sono io per prima che riconosco i miei limiti…

La didattica digitale non è mandare i pdf via skype o fare la lezione frontale tradizionale in video conferenza…

Questi sono soluzioni di emergenza, che ben vengano, pur di mantenere un contatto con gli alunni.

Perché, mai come in questi giorni, emerge la dimensione relazionale ed emotiva della scuola!

Ma proprio perché la Scuola contiene moltitudini, comportamenti, autonomie, responsabilità, immediatezza, praticità, contatto, che nessun mondo virtuale può sostituire, a maggior ragione, non possiamo fare finta che la didattica, frontale o digitale che sia, si possa improvvisare.

Se la didattica a distanza oggi è l’unica soluzione per cercare di mantenere legati gli alunni alla scuola, ammettiamo che non sta funzionando benissimo, ammettiamo che alcuni alunni si sono persi, altri sono sostituiti dai loro genitori (finiti insieme ai loro figli nel casino digitale di questi giorni) ed altri ancora annaspano, come i loro prof.

Ammettiamo che abbiamo scuole e didattiche a strati, chi riesce benissimo, chi riesce benino, chi non ci riesce, chi attua forme di trasferimento pdf, chi invia compiti via sms.

Questa è la tragedia vera come Stato, non stiamo dando a tutti i ragazzi le stesse opportunità.

Situazione che inevitabilmente sta allontanando i genitori dalla scuola.

Perché, giustamente, i genitori non fanno il mestiere di professori.

Sono a casa, devono seguire i loro ragazzi, vero. Ma magari devono pure loro lavorare, oltre pensare a tutto il traffico domestico di questi giorni, e gestire una situazione che spaventa un poco tutti.

Infine, ultimo punto, la valutazione.

I sistemi on line che si stanno utilizzando non possono permettere una valutazione effettiva dei risultati in quanto non sono certificati, quindi quest’anno sarà rocambolesco valutare gli alunni sull’ultimo quadrimestre, forse è opportuno pensare di confermare i risultati del primo quadrimestre, salvare il salvabile, ed organizzare dei corsi intensivi a settembre.

E per quanto riguarda gli esami, non c’è da invidiare chi, anche stavolta, dovrà fare da cavia, sia come docente che come discente.

Già, perché, non bastava quello che, stava succedendo da diversi anni a questa parte.

Cioè che, ogni anno, più o meno sotto Pasqua, il Miur ci faceva il regalo di un nuovo tipo di esame.

Quest’ anno la sorpresa sarà speciale!

Voglio proprio vedere cosa inventerà stavolta.

Ma il problema sarà ancora nostro, di chi è alle prese con quest’ ennesima farsa della didattica digitale.

Perché, per gli altri, per quelli del Ministero intendo, il 6 politico è assicurato e pure la poltrona attaccata al di dietro, per non usare un francesismo, proprio io che insegno francese!

 

 




Ormai è finita, di Giacomo Mammucari

Nessuno l’avrebbe mai detto, mai pensato o immaginato.
Non l’ho guardato.
Non ho guardato quel banco, il mio compagno.
Il banco era mio compagno intendo.
Lasciamo stare quella ragazza dai capelli camaleontici che mi era sempre vicino.
Che in realtà era vicino anche al mio compagno, il banco.
Era testardo e duro di comprendonio, ma si lasciava far tutto: scrivevo sopra il suo volto, delle volte veri e propri disegni, altre volte tatuaggi di pennarelli indelebili.
E quando lo prendevo a pugni non si arrabbiava, mi faceva da spalla per un pisolino leggero, interrotto dalle urla stridenti degli altri compagni, i banchi.
Il mio compagno, il banco, non era solo: c’era lei, signora e regina, che schiena a schiena, era serena.
La mia compagna, la sedia, era sempre quella e sempre con me la portavo: altro che amore che porti nel cuore!
La compagna, la sedia, lei era il mio vero amore!
Era spesso contesa per le sue gambe fine e i suoi pantaloni blu, perché ti rilassava ed era comoda, o poco più.
Il mio compagno il banco era spesso geloso, ma quando io andavo via sapevo con certezza che avrebbero stretto amicizia.
Per lo meno lo speravo, o mi sarei sentito in colpa per averli lasciati soli. E ora soli parlano di me e dei nostri momenti vissuti anch’essi soli.
E poi c’erano loro, che sapevano tutto, che apprendevano come spugne, i miei compagni i muri.
Loro si che parlavano con saggezza, bastava avvicinarsi ad essi che la versione di latino veniva perfetta.
Altre volte insultavano pesantemente, forse stanchi di tutta quella gente ma erano sempre protettivi quei miei cari amici.
Ai muri la lavagna, diciamo anche lei mia compagna, non andava molto a genio.
Appesa ferendoli con chiodi, la lavagna, diciamo mia compagna, amava di più i professori e forse chi la rendeva splendente, i collaboratori.
E io tutto questo non l’ho guardato.
Non ne ho sentito le voci, non l’ho toccato, non gli ho parlato o salutato.
No, sono andato via ridendo e scherzando, ma chi mai avrebbe detto sarebbe stato l’ultimo dell’ anno. Ma che dico: l’ultimo di una vita intera.
Ma il banco, la lavagna, la sedia e i muri, i miei compagni, mi hanno fatto apprezzare anche ciò che li riempiva e li rendeva grandi.
Con loro il vuoto non c’era, diciamo, con quelle poche persone che eravamo!
E con loro, i professori, genitori un po’ troppo pretenziosi.
I miei amici fidati, quelli che non ho mai sopportato, sono rimasti lì, per sempre, nei segni e nei ricordi indelebili dei miei compagni.
Che fai adesso, piangi?

Giacomo Mammucari
5^ G
Liceo Falconi di Velletri




La scuola siamo noi di Angela Ferraro

La scuola siamo noi

 

Una volta tanto mi fa piacere impiegare una frase o delle parole che seppure molto usate, non perdono significato nel loro riutilizzo, ma diventano più forti, al contrario di quanto accade a termini stra-abusati, ed oggi se ne fa abuso a iosa, che si sviliscono e perdono la loro funzione significativa.

E quindi, “La scuola siamo noi”, persone che la vivono quotidianamente, per cui tutto ciò che è burocrazia liturgica e struttura, ne rappresenta solo il contorno e mai la sostanza. Questo momento di “sospensione” in cui non si sospende tuttavia la relazione umana ed educativa con gli allievi, ce lo evidenzia nel modo più forte.

E’ vero, manca l’incontro fisico, il contatto, la struttura contenitore con le sue liturgie: dalla campanella, all’appello, alla chiacchera con il compagno di banco, pur tuttavia da questo campo di mancanze, spunta prepotente il germoglio della ricerca del contatto, del rinsaldamento della relazione con i docenti, quelli che ti cercano, che sono disponibili ben oltre il solito orario, a supportarti e offrirti un punto di arrivo di un filo di comunicazione che è più saldo di prima.

La motivazione che guida questi docenti non è il mero adempimento lavorativo o l’adesione ad una indicazione ministeriale, bensì è volontà di essere con gli studenti, di immaginare e collocare la scuola in uno spazio altro, non fisico ma relazionale, che non solo continua ad esistere ma diventa paradossalmente più vivo.

Tutti rimarcano che in questo momento la scuola si scopre classista, nel divario socio-economico derivante dalla disponibilità o meno dei device per realizzare la cosiddetta “didattica a distanza”. Eppure basta un cellulare (ovviamente mi riferisco alla scuola secondaria di secondo grado) per parlarsi, contattarsi, vedere video, scrivere elaborati, fare videochiamate e via discorrendo.

Allora ciò che fa la differenza, ancora una volta, è la parte umana, la voglia di “restare” con i propri alunni, di star loro vicino, di continuare a seguirli in quel processo che è si didattico ma soprattutto formativo ed umano. Noi docenti siamo per loro modelli e punti di riferimento umani e culturali, questa “sospensione” ci offre l’opportunità per rinsaldare legami, per coltivare confronti, idee e relazioni in un momento di angoscia e paure collettive.

E di angosce ora i ragazzi ne hanno molte, perché non tutti i giovani sono quelli degli aperitivi, delle manie di onnipotenza o del menefreghismo nei confronti dei più anziani o dei più deboli, molti dei nostri ragazzi partecipano più di prima a tutto ciò che la didattica a distanza consente, nelle varie situazioni specifiche, si mostrano empatici, maturi, dotati di sensibilità sociale e umana, in grado di rispondere alle sollecitazioni dei docenti che li contattano, in modo ben superiore alle aspettative.

Dunque la scuola non si è affatto né fermata, né chiusa, né si può identificare col freddo e impersonale assegnare compiti da svolgere, quella non è scuola, ma pseudo-adempimento burocratico.

La scuola è l’insieme di quei docenti che si adoperano, per fortuna molti, e tutti gli studenti che partecipano. La scuola sono le relazioni che nessun decreto né emergenza può fermare, perché fioriscono e crescono anche sui terreni più difficili ed impervi.

 

Angela Ferraro

Docente di liceo

 




sdidatticamente parlando e non solo

Prendo spunto dall’articolo che abbiamo pubblicato qualche giorno fa, sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza, della nostra cronista Antonella Ferrari professoressa in una secondaria di primo grado per fare alcune riflessioni con la calma necessaria.

La didattica digitale ha dimostrato chiaramente che non eravamo preparati, inutile alzare muri di orgoglio nazionale o locale, non lo eravamo ed ancora non lo siamo.

Il Paese non era preparato, le infrastrutture sono comunque non all’altezza, in alcuni territori non esiste fibra ottica, le connessioni non reggono, il wifi è scarso, le linee telefoniche sono inadeguate, in altre zone invece tutto bene tutto funziona.

In alcune zone esistono scuole che da anni hanno sperimentato sistemi di didattica digitale in altre è già bello se ci sono i computer o i tablet, alcune scuole hanno avuto i soldi per potersi adeguare altre no, in alcune zone i comuni e le regioni o provincie hanno fatto investimenti in altre no.

Ci sono professori che sanno di cosa parlano altri no, ci sono i maghetti superfighi e quelli che “ma manco se me pagano”, ci sono professori che sanno cos’è edmondo e professori che pensano che sia un attore argentino (che peraltro è un nome di origine anglosassone).

Non fraintendetemi, hanno ragione i professori, nessuno gli aveva detto prima che dovevano imparare perfettamente la didattica digitale  e le piattaforme collegate, nessuno ha impostato un progetto nazionale di trasformazione della didattica verso un impianto digitale.

Non mi dite che non è vero perché altrimenti non saremmo in questa situazione, al limite se c’era è clamorosamente fallito, alla prova dei fatti.

Nemmeno le scuole hanno avuto negli anni i soldi per poter avviare progetti in tal senso (alcune si ma molto poche) e non parlatemi dei PON, perché con quelli si sono utilizzati soldi per i progetti più disparati ma a pioggia e senza costrutto nazionale.

Un progetto di didattica nazionale a distanza, non la giungla che troviamo adesso, richiede alcuni elementi minimi:

la scelta di una piattaforma di riferimento (assurdamente il ministero ne ha consigliate tre o quattro)

un processo organizzativo uguale per tutti (oggi i professori sono tutti volontari)

la formazione dei docenti sulle tecnologie (mai avvenuta se non per volontà del singolo)

la riscrittura del patrimonio didattico in chiave digitale (i set informativi digitali non sono la stessa cosa di quelli utilizzati per la didattica frontale)

Nessuno di questi punti è presente oggi.

La didattica digitale non è mandare i pdf via skype o fare la lezione frontale tradizionale in video conferenza, queste sono grandi falsi ideologici, al limite strumenti dell’emergenza, ma non servono nemmeno come palliativo alla mancanza della scuola intesa come dimensione educante.

La Scuola è una dimensione insostituibile perché contiene un elemento che il virtuale non può sostituire contiene la gestione relazionale uno a molti, dimensione che non può essere demandata ad uno switch di videocamera.

Non solo, la Scuola contiene moltitudini, comportamenti, autonomie, responsabilità, immediatezza, praticità, contatto, che nessun mondo virtuale può sostituire.

Ma anche comprendendo l’emergenza, non possiamo perdere questo punto di vista, che riporta la scuola oggi al centro più che mai nella formazione delle nuove generazioni.

Nonostante tutto la didattica a distanza oggi è l’unica soluzione per cercare di mantenere legati gli alunni alla scuola.

Ma non ha funzionato benissimo, molti alunni sono persi e molti altri sono avatar del loro genitori, che sono stati buttati nel pozzo del digitale.

Quindi abbiamo scuole e didattiche a strati, chi riesce benissimo, chi riesce benino, chi non ci riesce, chi attua forme di trasferimento pdf, chi invia compiti via sms.

Questa è la tragedia vera come Stato, non stiamo dando a tutti i ragazzi le stesse opportunità.

Chi ha il professore maghetto o la scuola attrezzata usa piattaforme fantascientifiche, chi invece no deve stampare i compiti pdf che riceve, fotografarli e mandarli via telegram al docente.

Non è colpa di nessuno (magari invece sì), ma la situazione è questa.

La stessa idea del bonus docenti, che si e rivelata anch’essa fallimentare, poteva essere veicolata verso un progetto serio di didattica innovativa dando i soldi alle scuole con indicazioni chiare.

Situazione che inevitabilmente sta allontanando i genitori dalla scuola, perché cari professori, i genitori non fanno il mestiere di professori, sono a casa e devono seguire i loro ragazzi, vero, ma magari devono anche lavorare al computer, fare la cena ed il pranzo, gestire una situazione che spaventa un poco tutti.

Non pensate che il vostro mestiere sia mandare quintali di compiti o di videolezioni con l’idea che tanto sono a casa, probabilmente oggi serve più un contatto umano, qualche domanda simpatica in video, di certo non è utile esasperare i genitori, perché alla fine temo che l’esame di fine anno lo dovrete fare a loro.

Ritengo che questo momento del paese abbia alcune considerazioni fondamentali da tenere come punti fermi:

abbiamo bloccato in casa famiglie intere che prima si vedevano tre, quattro ore al giorno.

c’è una pressione psicologica dei mass media, giustificata dall’emergenza, ma che non può essere sottovalutata.

stiamo costringendo gli individui a vivere in pochi metri quadri, la frase leone in gabbia dovrebbe farci pensare.

la paura è un compagno continuo del popolo, ed un popolo che ha paura non sempre è razionale.

Tutto questo è dentro nella rabbia dei genitori che ulteriormente esplode quando non riescono a capire cosa fare per i loro figli.

Analizziamo inoltre un pochino il fine anno.

I sistemi on line che si stanno utilizzando non possono permettere una valutazione effettiva dei risultati in quanto non sono certificati, quindi quest’anno sarà impossibile valutare gli alunni sull’ultimo quadrimestre, forse è opportuno pensare di cristallizzare i risultati al primo ed avviare corsi intensivi a settembre per tutti.

Sarà obbligatorio il sei politico, perché qualsiasi bravo avvocato in questa situazione sarà in grado di far riammettere qualsiasi bocciato.

Ma soprattutto a settembre, speriamo, la scuola dovrà riaccogliere i suoi pulcini spaventati, sbandati e sicuramente un poco più ignoranti di prima e ridare la sensazione di essere parte di un paese vero, non virtuale, sicuro non infetto, dovrà garantire alle famiglie che ci sarà ancora un futuro per tutti.

La scuola avrà, come sempre, un ruolo importantissimo.

E forse finalmente avremo capito che dobbiamo cambiare come popolo, dobbiamo capire meglio chi siamo e con chi siamo, gli errori fatti nel passato, le quantità pazzesche di soldi buttati dalla finestra e riavviare progetti in linea con il futuro, che, come abbiamo visto, non è mai certo.

Quando usciremo da questa crisi non saremo più gli stessi, non avremo più lo stesso benessere, non avremo più la stessa fiducia, quasi spavalda, dei nostri mezzi, ma certamente saremo più italiani di prima, e questo è sicuramente un grande vantaggio.

 

 




Sdidatticamente parlando… ovviamente a distanza.

Didattica a distanza?!? Ma, per favore, non prendiamo in giro…

Premesso che sono nella scuola da 30 anni e che sono pure bergamasca, aggravante di questi tempi, lasciatemi dire perché la didattica a distanza non funziona, e men che meno, non funzionano le prime indicazioni operative del Miur.

Sul piano normativo, i sindacati (tutti, incredibilmente concordi) chiedono l’immediato ritiro della circolare, sottolineando che in questo momento straordinario in cui il Governo ha decretato la sospensione delle attività didattiche, l’attivazione della didattica a distanza non può limitarsi a replicare contenuti e modalità tipiche di una situazione di normalità”.

Io, mi limito a dire che non è menzionato, nel contratto nazionale, il fatto che io debba firmare il registro elettronico, men che meno, se non entro, materialmente, in classe.
Non tutti i miei alunni sono provvisti di connessione valida per la didattica a distanza.
L’adesione degli alunni è volontaria, il loro patto formativo non prevede attività a distanza e valutazioni a distanza obbligatorie.

Le valutazioni fatte al di fuori dall’aula scolastica ed in orari in cui non è prevista didattica sono illegali, come lo certificano innumerevoli sentenze del TAR.

E poi, la privacy, dove la mettiamo? L’impiego di video lezioni o comunque di strumenti che facciano uso dell’immagine fisica del docente e dei suoi studenti, non rispettano la privacy.

Se gli studenti, attraverso i genitori, possono fornire delle liberatorie in merito all’uso di immagini e filmati, come fa, invece, un docente a garantire la propria privacy? Come fa un docente ad essere certo che, mentre sta svolgendo una video lezione, non venga filmato da qualcuno e che questo video non finisca pure su you tube?

E poi, lasciando fare ai sindacati la loro parte, sul piano dell’esperienza, la didattica a distanza esaspera due mali della scuola italiana: il protagonismo ed il parassitismo.

Dal momento in cui hanno sospeso le lezioni, alcuni di noi si sono fiondati in una gara di competenze tecnologiche digitali trascinando con sé gli alunni e le loro famiglie in un vortice infernale di link, password, piattaforme digitali ed allegati virtuali.

Altri, dall’oggi al domani, sono spariti, su quel treno che li ha riportati a casa, oppure si sono defilati con la scusa dei problemi di connessione, o, magari, si sono dimenticati di essere gli animatori digitali tanto invocati dalla scuola che si fingeva d’avanguardia…

Ma, c’è anche chi, come la sottoscritta, in coscienza, sa di non appartenere a nessuna delle due categorie precedenti. Non mi sento né protagonista, né parassita.

Non mi sento più niente. Questa scuola non mi appartiene.
Per me, la didattica a distanza è una fatica immane.

Io da sempre vivo (e non semplicemente faccio) una didattica in presenza, una didattica di relazione e non di prestazione.

Io non offro un prodotto, ma stimolo un processo.

Io, quando entro in classe, scendo in campo. E la lezione reale è un gioco di squadra, per tutti.

La didattica digitale non è così, è altamente esclusiva. Sia per i docenti che per i discenti.
Lo sperimento ogni giorno.

Più il tempo passa più ci stiamo perdendo, tra di noi, docenti, ma, soprattutto perdiamo i nostri studenti.

È una catastrofe.

Non parlo della mancata presa visione dei compiti da parte delle famiglie.

Non parlo delle difficoltà nell’invio degli elaborati agli insegnanti.

Ci può stare…
Parlo dell’assurda pretesa di valutare i risultati dei nostri alunni, perché, ditemi voi, che senso ha valutare dei compiti svolti a distanza, senza nessun controllo?!?

Che senso ha chiedere loro delle competenze strumentali da nativi digitali che primo non esistono, e qualora ci fossero, confermano la mancanza di giudizio critico, di capacità di riflessione, di formulazione di ipotesi?

(Manco sanno costruirti una mappa concettuale in presenza, figurati on line?!?)

Lasciamo stare poi, i programmi, o meglio la programmazione didattica, come dicono loro, quelli del Miur.

La programmazione didattica va rimodulata, ci suggeriscono…

Bene, la programmazione didattica è saltata in aria, vi dico io, come le nostre vite.

Se mai, per grazia di Dio, dovessimo ritornare a scuola, giusto in tempo per fare gli esami, non penso proprio che chiederò ai miei alunni di parlarmi di un argomento di civiltà…

Perché la scuola è altro.

È il luogo dello stare.

Dove devono stare i ragazzi per imparare.

E’ il luogo dell’emozione e della relazione.

Dove si apprende insieme, costruendo la lezione non per gli alunni, ma con gli alunni.

La scuola è cura, è luogo di accoglienza, di incontro, di costruzione del sapere.

È un luogo pubblico in più. Gratuito o quasi.

È il LUOGO per eccellenza a fronte di tanti NON LUOGHI.

E poi, come se non bastasse tutto questo, guardiamo i fatti.

Cosa sta succedendo in questi giorni di lezioni on line e di classroom?

Spariscono gli alunni.

La didattica a distanza uccide la scuola, perché incrementa il suo abbandono.

Con le lezioni virtuali perdiamo gli studenti più fragili, quelli meno motivati, spesso già trascurati in famiglia.

Da che non sono più entrata in classe, di almeno 20, anche 25 studenti, io ho perso traccia.

E non parlo solo di stranieri, anche di ragazzi seguiti dai servizi sociali, di ragazzi borderline per gli addetti ai lavori… 25 alunni persi, scomparsi.

Il 10- 15% sul totale delle mie classi.
E mi direte voi… chi se ne frega!

E no! È il mio mandato istituzionale tenerli a scuola!

Non funziona così!

Ti mando i compiti.

Magari! Non funziona.
Non si tratta di compiti, fosse solo quello il problema!

E comunque chi ho perso: fra i tanti deboli, quelli ancora più deboli, per mille motivi; famiglia assente, nessun controllo, nessun strumento digitale, niente soldi per i giga, niente supporto di educatori comunali…

DSA, BES, stranieri, tutti quelli che arrancavano ora si sono persi.

Ed io con loro.

Ed allora, alla sera, quando non dormo, penso all’immunità di gregge, quella della scuola italiana del 2020, quella che vogliono quelli del ministero, quando ci parlano di didattica a distanza.

A loro, proprio a loro, vorrei dire “non vantatevi più tanto delle vostre scuole super tecnologiche, che tanto in Italia, non esistono.

Non inventate dei sondaggi docimologici per farci credere che siamo tutti bravi.

Voi che pensate di aprire le danze e di trovare noi che balliamo a tempo…

Io non ci sto, io continuo a pensare a chi resta indietro. A chi arranca, a chi brancola nel buio”.

Forse perché, mai come in questi giorni, mi sento una di loro…

 




La scuola ai tempi del coronavirus

In questi giorni di sospensione delle lezioni e, da domani, di chiusura totale delle scuole, emerge sempre più la mancanza di alfabetizzazione emozionale, non digitale dei nostri figli, nonché alunni della scuola italiana.

Che senso ha parlare di conoscenze, di competenze, di abilità, quando i programmi sono saltati, non si sa se e quando si torna a scuola e, soprattutto cosa sta succedendo a tutti noi?!?

Che lo sappiano quelli del MIUR, che, dopo un paio di settimane di pseudo didattica digitale, propongono un sondaggio per censire l’alfabetizzazione digitale della scuola italiana!

Sempre scollati dalla realtà di chi, la scuola la vive, davvero!

Non ha senso fornire un report taroccato come nelle prove invalsi, per far vedere che siamo bravi, che i nostri alunni hanno studiato, che siamo all’avanguardia, che ci destreggiamo tra lezioni on line, piattaforme digitali, classroom…

Mai, come in questi giorni, siamo tutti consapevoli che l’educazione emotiva deve assolutamente entrare nelle scuole: la scuola, in un momento di crisi delle famiglie e di collasso della società, rimane un’istituzione fondamentale, capace di fare la differenza.

Un insegnante emotivamente intelligente può fare la differenza, in una lezione frontale, passando tra i banchi, come in una lezione digitale, sorridendo dietro uno schermo.

E’ evidente, proprio in questi giorni!

Per molti giovani, il contesto familiare non offre più un punto d’appoggio sicuro nella vita.

Ecco perché le scuole restano il solo istituto al quale la comunità può rivolgersi per correggere le carenze di competenza emozionale e sociale dei ragazzi.

La scuola deve accogliere l’ansia dei ragazzi e restituirla loro bonificata.

Oggi più che mai.

Adesso più che mai.

Deve prenderli per mano, facendosi carico della loro fatica di crescere e traghettarli verso l’età adulta.

Un’ età adulta, vaccinata, loro malgrado, da questa sofferenza precoce, di nome covid19.

Siamo sinceri, ci sentiamo smarriti, inqueti, travolti dagli eventi noi adulti, figurarsi loro, che non sono neanche strutturati, emotivamente parlando!

Questo non significa che la scuola sia la panacea di tutti i mali.

Ma, poiché quasi tutti i bambini ed i ragazzi italiani vanno a scuola, anche in questi giorni in cui la frequenza è sospesa, almeno adesso, facciamo sì che la scuola sia un luogo che permette di raggiungere ognuno di essi e di fornirgli lezioni fondamentali per la vita.

Che l’emergenza coronavirus sia un’esperienza di vita, un allenamento emotivo, una palestra di disagio gestito.

L’alfabetizzazione emozionale comporta che il ruolo sociale delle scuole si estenda e vada a compensare le deficienze familiari e collettive nella crescita dei ragazzi.

Due le sfide da vincere: gli insegnanti devono oltrepassare i limiti della propria missione tradizionale e la comunità dev’essere più coinvolta nella vita della scuola.
“Come ti senti? Come stai in questi giorni? Cosa stai provando di fronte alle notizie? Che paure hai? Chi ti manca? Che cosa ti aspetti? Quali sogni coltivi?”

Queste sono le domande che dobbiamo rivolgere quotidianamente ai nostri alunni, prima di chiedere l’esecuzione dei compiti e l’invio dei files.

EDUCAZIONE EMOZIONALE. Non c’è forse materia più importante per valutare la qualità degli insegnanti.

Se c’è una competenza da censire è il modo in cui un insegnante gestisce la classe, perché IL MODO è infatti in sé stesso UN MODELLO, una lezione di fatto, testimonia se l’insegnante è dotato di competenza emozionale o ne è carente o, addirittura, sprovvisto.

Ogni atteggiamento di un insegnante nei confronti di un allievo è una lezione rivolta ad altri venti o trenta studenti, in presenza o on line.

Introdurre nella scuola l’alfabetizzazione emozionale e l’educazione sentimentale significa tornare a concepire l’educazione come formazione integrale della persona: una formazione in cui le conoscenze sono centrali, ma che non può rinunciare all’etica e alla conoscenza di sé.

Dunque, cari esperti del Miur, non prendeteci in giro anche stavolta, abbiate la compiacenza di ammettere che la scuola vera non sono i vostri voli pindarici in una scuola virtuale, in tutti i sensi!

 

 




Dirigenti Scolastici, Vicepresidi, DSGA, ATA, Collaboratori scolastici, eroi incompresi

Oggi tempo di Coronavirus, tutto chiuso, città deserte, strade vuote, serrande abbassate, nessuno in giro…

Beh, non è vero, qualcuno in giro c’è, a parte i lavoratori delle imprese, ci sono i presidi ed i vicepresidi, i DSGA, gli ATA ed i collaboratori scolastici.

Non chiedetevi il perché ci sono in giro queste persone, nessuno lo sa, potrebbero tranquillamente stare a casa, ma il governo ha solo sospeso le attività didattiche quindi loro devono andare a scuola.

Bastava scrivere chiuse le scuole invece che sospendere le lezioni e queste persone non avrebbero corso rischi inutili, ma nessuno ha riflettuto su questo, nessuna novità.

Però mentre tutta Italia osanna la foto dell’infermiera crollata sul posto di lavoro, nessuno dice niente rispetto a queste persone che stanno combattendo senza nemmeno la soddisfazione di sentirsi dire grazie.

Anzi i Dirigenti stanno prendendo bastonate dai genitori per il caos generato dalla didattica digitale, devono organizzare un servizio a cui le scuole non sono preparate, senza strumenti, o almeno senza strumenti consolidati ed in una selva di provvisorietà che lascia alla loro responsabilità far funzionare cose che in Italia non sono mai state standard, ma nemmeno testate correttamente.

Inoltre la didattica italiana non è ancora pronta per il digitale, le lezioni dei docenti sono ancora strutturate per un tipo di lezione frontale, salvo rari casi, per cui in due giorni non si possono inventare lezioni on line, e nemmeno si è in grado di bilanciare i compiti on line …

Insomma un vero caos che si muove tra informative privacy, consensi, professori che vogliono google, altri che vogliono edmondo, altri che vogliono chissà che caspita di piattaforma è …

I genitori ancora più nel caos, che già abituarsi al registro elettronico non è stata una passeggiata.

Insomma Scuola Italiana, Brancaleone alle crociate.

Però Dirigenti Scolastici, Vicepresidi, DSGA, ATA, Collaboratori scolastici sono i veri eroi incompresi, perché nonostante l’assurdità dell’ordine ricevuto loro non mollano, combattono, escono di casa e compiono il loro dovere senza nessuno che li fotografa e li rende eroi virali.

Fanno il loro dovere, con abnegazione, nel nome della scuola de dei ragazzi, come i legionari, nella difesa del decadente impero romano, combattevano, sapendo già di aver perso, nelle provincie di confine, ma Roma era Roma.

Oggi per loro la scuola è la scuola, impero di educazione e di conoscenza, la difendono nonostante tutto.

Noi vogliamo rendere loro omaggio e ricordarli, ringraziarli in nome di tutti.

 

 

 




Coronavirus, italiano addio, etica addio, riprendiamoci il paese, Avanti Savoia!

Capisco che è facile fare polemica, capisco che mi si potrebbe rispondere vorrei vedere te, ma io sono un Direttore di Giornale, seppur piccolo ed insignificante rispetto ai grandi nomi che comunque hanno sparato a zero su quello che è successo pur di far notizia senza un minimo senso di responsabilità, almeno a parer mio, cosa che noi di Betapress non abbiamo fatto, quindi mi permetterò adesso di fare qualche piccola considerazione.

Intanto osservo che abbiamo chiuso le scuole ma in realtà abbiamo sospeso le attività, e no caro governo sospensione è una cosa, chiusura è altra cosa.

Non è difficile se chiudo non entra nessuno, se sospendo entrano tutti tranne i bambini ed i docenti.

Ma governo, tu che vuò fà?

Vuoi che le persone non entrino troppo in contatto e quindi salvaguardare i cittadini allora CHIUDI le scuole.

Vuoi che si salvino solo i docenti ed i bambini, allora SOSPENDI le lezioni.

Ma che ti hanno fatto i Dirigenti e gli ATA nonché i collaboratori scolastici?

Ma poi siamo sicuri che sia così utile fare questa via di mezzo?

Comunque a voler vedere alcune osservazioni:

Le lezioni sono sospese, ma i parchi pubblici sono pieni di bambini e baby sitter, le piste da sci sono gremite di persone che fanno vacanze inaspettate, ma l’obiettivo era spostare il luogo di contagio?

Non ci capiamo sull’italiano, ma nemmeno sulle misure, forse qui dovevamo chiudere le scuole e comunque tutti i luoghi in cui le persone si trovano in numeri elevati.

Però mi scuso, in partenza forse l’idea era un’altra (si ma quale?).

Ma anche sul virus prima era terribile, adesso è solo un’influenza un poco più grave del solito, prima un flagello, adesso normale, prima una catastrofe, adesso gestibile, però adesso chiudiamo il mondo … quando è gestibile?

L’unica verità è che non siamo preparati, il mondo non è preparato, ma nemmeno riusciamo a riflettere: in questi casi è necessario dare almeno la sensazione di avere tutto sotto controllo, ad esempio chiudere le scuole ogni settimana lascia l’idea che non sappiamo che pesci prendere (ma forse è proprio così) o peggio che non sappiamo di cosa parliamo.

In tutto questo incredibile “bordello” (ahi serva ITALIA …) nemmeno riusciamo a dire le cose minime per tranquillizzare i cittadini, ad esempio abbiamo instaurato una commissione che vigila sui prezzi dei beni di consumo per evitare sciacallaggi (vedi amuchina), o fare considerazioni sull’impatto economico ed il costo in vite professionali che tutto questo comporterà (non possiamo pensarci dopo) per poter definire una serie di sussidi alle imprese ed ai privati, ma anche solo pensare che nelle scuole ci sono centinaia di laboratori di chimica che potrebbero produrre disinfettanti a basso prezzo sia per i Cittadini che per lo Stato (invece stiamo buttando migliaia di euro per comprare disinfettanti), avremmo comunque dando inoltre l’idea di un paese pronto.

Lettori, il coronavirus non sarà una tragedia per la salute degli italiani, ma lo sarà per il sistema economico Italia, una spallata al già nostro traballante equilibrio economico che, se non gestita in tempo, non sarà una sciocchezza.

Intanto siamo diventati i paria del mondo, quasi che l’infezione l’avessero creata gli Italiani, tra un poco mi aspetto che la Cina ci mandi degli aiuti umanitari!!!

Poi ci siamo anche resi conto che le nostre strutture sanitarie non sono pronte o quantomeno carenti per gestire un evento simile (va beh e questo ha la sua logica, una pandemia [pandemia=Epidemia con tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi territori o continenti] non è qualcosa su cui si può programmare un dimensionamento, un poco come pensare di esser preparati ad uno tsunami).

Anche chiudere le scuole forse lascia delle riflessioni: facciamo la scuola on line, l’Italia non è pronta, non ci sono le tecnologie nelle scuole e sopratutto il nostro sistema di lezioni non è strutturato per l’erogazione on line, infatti stiamo facendo la stessa tipologia di didattica frontale (tranne qualche mosca bianca) pensando di usare chat, blog, compiti a casa, slide sul registro elettronico… ahahahah …

inoltre, abbiamo sicuramente risolto il problema dell’abbandono scolastico perché appena i ragazzi che non venivano più a scuola capiranno cosa sta succedendo rientreranno tutti, sicuramente ci sarà una sanatoria per le assenze e chi avrà mai il coraggio di bocciare quest’anno???

Qualche Professore o Dirigente Scolastico si prenderà questa responsabilità con schiere di avvocati dei genitori che andranno a nozze con quanto sta succedendo?

Ma poi è mai possibile che venga detto ai dirigenti di attivare la modalità di didattica on line senza passare dal collegio dei docenti, organo sovrano in tal senso?????

Per tutelare i diritti passiamo sui diritti? Stato di Guerra?

Ma come cavolo si fa a passare dal popolo di santi poeti e navigatori a quello di infetti, malati ed untori …

Caro il mio Governo, nella paura tutto diventa piccolo, anche la capacità e l’orgoglio!!

Ma porcaccia miseria, etica, diritti, correttezza, italiano: persi …

Noi siamo Italiani, abbiamo organizzato l’Europa, abbiamo inventato il diritto, ma che succede?

Noi non dobbiamo avere paura, noi siamo l’Italia, noi siamo un popolo di eroi,
di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori, noi siamo Leonardo, noi siamo Marconi, noi siamo Giulio Cesare, noi siamo Leopardi, noi siamo Manzoni, noi siamo Caravaggio, noi siamo Giotto,
noi siamo papa Giovanni, noi siamo san Francesco, noi siamo Don Milani, noi siamo Dante, noi siamo Boccaccio, noi siamo Tommaso d’Aquino, noi siamo Michelangelo, noi siamo Cicerone, noi siamo Costantino, noi siamo Galileo, noi
siamo Ottaviano Augusto, noi siamo Cristoforo Colombo, noi siamo Italiani, ecco chi siamo, e voi chi siete?

Italiani Galantuomini, Avanti Savoia!

 

 

 

 

 

 

 

 

Coronavirus, stare dall’altra parte!

Coronavirus, ma la vita è altrove…

 




Sereni è, Sereni sarà, ma si rasserenerà?

Sciopero, Istituto Sereni, si torna a scuola!!!

Oggi, 10 febbraio 2020, riprenderanno le lezioni i circa 200 studenti dell’Istiituto Agrario Emilio Sereni di Roma,

I ragazzi hanno iniziato lo sciopero mercoledì 5 febbraio.

Uno sciopero breve si direbbe, ma proprio questo ci fa capire la serietà dei suoi partecipanti, il livello di insostenibilità raggiunto e lo stato di necessità che li ha spinti a indire lo sciopero.

È stato uno sciopero bianco: i ragazzi sono comunque andati a scuola e hanno marcato presenza.

Non hanno creato disagio, non hanno apportato danni alla struttura, non sono stati in alcun modo violenti o coercitivi.

L’unica cosa di diverso che hanno fatto rispetto al solito, è stato riunirsi in aula magna e aspettare che le loro richieste venissero ascoltate.

Hanno un problema molto grosso i ragazzi del Sereni: sono abbandonati dal loro Dirigente Scolastico, Patrizia Marini, che, manco a farlo apposta, ha già attirato l’attenzione della nostra redazione quando era DS del l’Istituto Agrario Garibaldi (vedi articolo in calce).

Il Dirigente Scolastico non si fa vedere in succursale dal 6 dicembre. Non si è presentata neppure quella volta che è scoppiato un incendio in istituto: del materiale informatico abbandonato in un sottoscala davanti l’entrata di un laboratorio ha preso fuoco misteriosamente e un bidello è rimasto intossicato.

L’assenza del Dirigente Scolastico

Il motivo per cui la Preside Marini è andata in istituto, è stata una cerimonia di premiazione: gli studenti della succursale Bufalotta del Sereni hanno vinto il concorso indetto dal III Municipio di Roma, per la notte bianca.

Il premio consisteva nella somma di 5.000 euro che i ragazzi volevano devolvere in lavori per la  loro serra, che necessita urgentemente di manutenzione e per sostenere le spese di gestione delle loro attività.

I soldi sono stati incassati, dovevano essere utilizzati entro il 31 dicembre ma, in questo momento, non ne abbiamo ancora trovato traccia e la serra, che necessita, conti alla mano, di una spesa di circa 600 euro, è ancora da sistemare.

L’auto-tassazione

Per quanto riguarda invece le spese di gestione delle attività, queste aprono un altro capitolo dolente.

La scuola ha bisogno di tanto: ha bisogno di animali, di manutenzione, di materiali, di carburanti… la rappresentante dei genitori, per portare sollievo a questo stato di totale abbandono ha proposto la soluzione estrema: l’auto-tassazione da parte dei genitori.

Ed è così

Se oggi al Sereni – Bufalotta ci sono le capre, è merito dei genitori, se c’è il vigneto, è merito dei genitori, se ci sono i pali per far crescere il vigneto, è merito della generosità dei genitori degli alunni.

Ma non è tutto: se c’è il gasolio per il trattore, è merito dei docenti, che si autotassano anch’essi con qualche euro a settimana.

I punti della dichiarazione dello sciopero

É una scuola molto amata la succursale Bufalotta dell’Istiituto Agrario Emilio Sereni di Roma.

Molto amata dai 200 studenti che, anche visto il numero, sono quasi una famiglia, molto amata dai loro genitori, che fanno di tutto per permettere un’istruzione ai figli, molto amata dai professori, che non si rassegnano a lasciare i loro studenti del tutto allo scuro della parte pratica.

É una scuola molto amata da tutti e, per questo, ecco i motivi dello sciopero estratti dal verbale di sciopero:

  • Sede abbandonata dalla dirigente scolastica
  • Mancanza di attrezzatura di vario tipo (gasolio, utensili agricoli ecc…) siamo costretti a limitare le nostre attività tecnico- pratiche compromettendo significativamente la didattica.
  • Difficoltà nel mantenimento delle arnie che necessitano manutenzione e alimenti.
  • Ripristino del corso di apicultura.
  • Difficoltà ad usufruire del laboratorio di informatica perché molti computer necessitano di manutenzione e controlli”(N.d.A.: i computer nuovi sono stati comprati ma mandati in centrale, la succursale ha quindi cambiato i suoi obsoleti e preso i vecchi computer dismessi della centrale).
  • La serra risulta ad oggi ancora inagibile -N.d.A.: avrebbe dovuto essere aggiustata con i fondi del concorso della notte bianca erogati il 6 dicembre 2019-  ed è quindi impossibile effettuare attività di qualsiasi genere”.

Il nostro sostegno

Sono bravi ragazzi, bravi genitori e bravi professionisti quelli della succursale Bufalotta dell’Istiituto Agrario Emilio Sereni di Roma.

Meritano attenzione e riguardo perché le persone come loro fanno da esempio in un mondo di lassismo e superficialità.

Noi di Betapress li abbiamo ascoltati e abbiamo riportato la loro storia meritevole di attenzione.

Lo sciopero per ora è rientrato, dicevamo, e i ragazzi oggi torneranno a scuola perché la Preside Patrizia Marini ha risposto al loro appello: li incontrerà, andrà da loro.

Ha preso l’impegno per il 2 marzo: 22 giorni esatti da oggi, 88 giorni esatti dall’ultima volta che ha visitato la succursale.

 

Ma la scuola dove sta andando? (N.d.D.)

Davanti a casi come questo sorgono spontanee domande, ma che razza di scuola stiamo gestendo a livello di stato?

Quali sono i finanziamenti  e dove sono soprattutto i soldi necessari affinché i nostri ragazzi possano frequentare delle scuole adatte a farli diventare bravi cittadini ma anche bravi professionisti???

Vediamo troppi casi di scuole in difficoltà e soprattutto di scuole gestite in modo inadatto, passano i governi ma nessuno si sta chiedendo che scuola serve, tutti stanno facendo la scuola con i soldi che ci sono, il che non sarà mai la scuola che questo paese dovrebbe avere per poter tornare ad essere esempio di virtù e di scienza.

Ripensare anche il ruolo degli organi collegiali dovrebbe essere una priorità, come peraltro sarebbe necessario rivedere ruoli e stipendi del personale scuola, cercando di capire come tutto deve essere integrato, e come, ad esempio, gli stessi collaboratori scolastici  abbiamo un forte ruolo educativo, anche solo con il loro esempio e la loro dignità quotidiana .

Ma la scuola che serve davvero per vincere le sfide del futuro e per poter dare ai nostri giovani, appunto, un futuro vero, qualcuno la progetterà mai?

 

 

Riferimenti

Sito dell’Istituto Agrario Sereni di Roma ?

Articolo ?Chi ha ferito il Garibaldi?




La notte in cui Pietro rinnegò sé stesso

La notte in cui Pietro rinnegò sé stesso, eravamo tutti là

Che notte memorabile,
che notte sconvolgente.

Si erano portati via il suo amico, la sua guida,
Per tutta la strada dal Getsemani al Sinedrio lui non aveva fatto che ripetersi “Amico mio io non ti lascio, Amico mio io non ti lascio”

E continuava a ripeterserlo attorno al focolare, tra chi andava e veniva e si aggrappava alla speranza di recuperare il suo amico e di far tornare tutto com’era prima, dileguando quell’assurdo incubo.

Le notizie però non erano buone,
pareva che fossero tutti molto arrabbiati col suo amico e volessero ucciderlo.
Lui non capiva bene il motivo della colpa e neppure gli altri, ma era così.

A quel punto cominciò ad ascoltare meglio il mantra che faceva girare dentro di lui e sentì che non era “Amico mio io non ti lascio” ma “Amico mio senza di te son perso”

All’improvviso, nella desolazione della notte, Pietro iniziò a pensare alla sua vita senza il suo amico e piano, piano, guardò in faccia la sua paura.

La sua vita senza il suo supporto?
 Come fare?!
Quello sconosciuto era arrivato un giorno e aveva cambiato tutto.
Finalmente aveva una strada, uno scopo, una certezza divina.

Gli aveva fatto cambiare pure il nome.
Aveva un’altra identità, era diventato un’altra persona.

Nei giorni precedenti a quella notte, Pietro viveva la chiara percezione di far parte di una rivoluzione, unirsi a quelle persone era stata la cosa migliore che avesse fatto.

E adesso tutto era in pericolo.
Se si fossero portati via il suo amico, tutto sarebbe finito.
E Pietro si sentì solo.
All’improvviso gli veniva a mancare il porto sicuro, la persona che gli diceva cosa fare e come,
chi rispondeva alle domande, il faro, l’albero che gli faceva ombra.
Tutto quello che aveva rivoluzionato la sua vita e gli aveva dato una nuova, bellissima e corretta, dimensione di stabilità e serenità.

Ma perché doveva rinunciare?

Non poteva farcela.
Era un salto troppo grande.
Cosa ne sarebbe stato adesso di lui?


Mentre pensava così, passò una donna che lo fissò e disse:
“Io so come parli e cos’hai da dire, tu sei uno di quelli che possono arrivare nelle profondità di loro stessi e trovare la strada”.

“Non so, non capisco quello che vuoi dire”.

Sentì che non era il caso di fermarsi lì in mezzo e si allontanò un poco.
Si guardò intorno, di lì a poco sarebbe sorta l’alba,
in lontananza sentì il gallo cantare.

Ma la donna sapeva dentro di sé, aveva capito che Pietro era molto di più di quello che credeva e continuò:
“Tu puoi distruggere la paura ed esplorare la vita lì dove tutti gli altri hanno paura di arrivare per via dell’attaccamento nei confronti della comodità”.

“Non so e non capisco cosa vuoi dire.
Cosa vuoi da me?
Mi stai confondendo con le tue parole, vai via!”

La fuga durò poco, la voce continuava:
“Io ti conosco, lo vedo chiaramente: tu puoi fare cose grandi e noi tutti abbiamo bisogno di te”.

“Per il cielo e per la terra! Per le cose visibili e per le cose invisibili! 
Andate via da me! Voi non sapete quello che dite!
 Io non sono quello di cui parlate”.

Ed ecco che il gallo cantò per la seconda volta e Pietro si ricordò delle parole di Gesù
“Prima che il gallo canti due volte, nella notte delle tue paure, tu rinnegherai te stesso tre volte.
Da questo capirai che c’è molto più di ciò che vedi e che le tue paure sono infondate”.

E allora capì che la verità era che lui era pronto e che doveva salpare.
Da quella notte, nulla fu più come prima.


La notte in cui Pietro rinnegò sé stesso, c’ero anche io e ci sono ancora ed è una notte affollata.

Ci siamo tutti noi che attraversiamo la lunga notte della paura e non facciamo che rinnegare noi stessi, prede dell’incertezza e della precarietà del futuro che vediamo.

Tutti noi che sappiamo che quello che vediamo è solo a un metro da noi mentre l’orizzonte è ampio chilometri e chilometri eppure …

Tutti noi che, anche se non lo abbiamo mai fatto e non crediamo di poterlo fare, siamo pronti a camminare da soli e andare lontano incontro alla nostra sconosciuta e ricchissima strada.