SCUOLE SUPERIORI QUADRIENNALI, QUALI VANTAGGI?

Ad oggi ci sono 1000 classi che funzionano secondo un percorso quadriennale (Fonte: Anagrafe Nazionale Studenti agg. al 1/12/2021) e a queste il Decreto 344 del 3/12/2021 ne aggiunge altre 1000.

La sperimentazione permetterà agli studenti di conseguire il diploma a 18 anni, un anno prima rispetto a quanto previsto oggi con il vantaggio (?) di arrivare un anno prima all’Università o al mondo del lavoro, così come già accade in molti Paesi europei.

Intanto il CSPI ha espresso parere negativo perché il Decreto esplicita una prefigurazione della futura Riforma non suffragata dalla valutazione degli esiti della sperimentazione in atto.

Si sottolinea la necessità di una organica proposta metodologico-didattica, supportata da validi criteri di selezione del campione rappresentativo e di strumenti di verifica e valutazione condivisi.

Infatti per l’attualità gli studenti iscritti ai corsi quadriennali costituiscono un gruppo selezionato per capacità o background sociale e l’assenza di riscontri relativi alle esperienze effettuate e ancora in atto, non consente di utilizzare tali dati per analizzare la scelta di ampliare la sperimentazione.

Del resto per i più capaci la possibilità di completare il percorso in quattro anni è già prevista con “abbreviazione per merito”.

Tuttavia sembra questa la via tracciata dal Ministero, decisione che suscita qualche dubbio di metodo e di merito.

Innanzitutto non vi è alcun automatismo tra disponibilità di tempo e possibilità di occupazione, perché non sembra che ci siano reali vantaggi nel fare un anno di meno a scuola, visto che viviamo in media fino a 80-90 anni e che il mondo del lavoro è così variegato che non si può dire con certezza che un anno in meno a scuola comporterà un sicuro vantaggio competitivo.

Inoltre in un percorso ridotto è possibile che gli studenti soffrano di carenze organizzative, soprattutto se «la scuola non ha già avviato un rinnovamento del metodo didattico» e così un percorso di quattro anni invece di cinque rischia di essere troppo pesante per gli studenti, senza permettere loro una corretta assimilazione dei concetti.

Probabilmente sarebbe oggi più opportuno concentrarsi sulla perdita di apprendimenti causata della pandemia.

Il nodo è sempre quello, riemerso potentemente nel tempo della didattica a distanza: vogliamo più scuola perché crediamo nel ruolo della scuola nella crescita culturale, sociale e dunque anche economica del paese, o pensiamo di ridurre il tempo scuola solo per andare incontro ad un più rapido inserimento nel mondo del lavoro?

Certamente più tempo i ragazzi trascorrono in una scuola ricca di stimoli e proposte, più tempo avranno per studiare, ricercare, confrontarsi con la cultura, più libertà di scelta avranno nel costruire in autonomia e libertà il proprio futuro.

L’informazione è inutile se non si trasforma in conoscenza e la conoscenza per trasformarsi in competenza ha bisogno di tempo.

Avere più tempo a disposizione a scuola, mantenere le scuole aperte mattina e pomeriggio (e magari abolire la settimana corta) potrebbe realizzare più intrecci e scambi tra apprendimenti formali e informali.

Non si tratta solo di allungare il tempo scuola, ma di ripensare con flessibilità e intelligenza l’intera offerta formativa di una scuola aperta al territorio. Si potrebbero introdurre, infatti, accanto allo studio e alla ricerca intorno a saperi di base imprescindibili, proposte varie, anche opzionali, che valorizzino la conoscenza di sé e del mondo attraverso attività espressive come la musica, le arti plastiche, il teatro e la produzione di video, alimentando l’aspetto culturale e di ricerca di linguaggi largamente praticati dai più giovani.

Più si differenziano le proposte e meno studenti si perdono. Più si è capaci di coinvolgerli a partire dalle loro domande e inquietudini e più porte si aprono al futuro, arricchendo l’immaginario dei più giovani.

Solo in un contesto di ascolto capace di moltiplicare gli stimoli è infatti possibile sviluppare il rigore e l’impegno necessario a ogni vero apprendimento e contrastare sul nascere la dispersione scolastica.

Purtroppo la via sembra intrapresa e con un certo e unico vantaggio: il “Sole 24 Ore” ha calcolato che, se il percorso di quattro anni fosse adottato da tutte le scuole superiori, nelle casse dello Stato rientrerebbero circa 1,38 miliardi di euro con riduzione di personale docente e ata.

Allora, oltre al risparmio, quali i vantaggi del “biglietto ridotto” per accedere al diploma?

Pio Mirra DS IISS Pavoncelli, Cerignola (FG)




Competenze non Cognitive: dov’è la novità?

Competenze non cognitive a scuola.

Ma è una novità?

La Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge n.2372 per l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico, che ora passa al Senato.

È prevista l’introduzione sperimentale e volontaria, nell’ambito di uno o più insegnamenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, delle competenze non cognitive, quali l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale, nel metodo didattico.

Obiettivo specifico è incrementare le cosiddette ‘life skills’, ovvero le abilità che portano a comportamenti positivi e di adattamento, che rendono l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni.

Tra questi, la capacità di gestire le emozioni, la comunicazione efficace, il pensiero creativo e quello critico, la capacità di prendere decisioni e quella di risolvere problemi (il problem solving).

Ma dov’è la novità? Si tratta di aspetti dell’ordinaria pratica di insegnamento che un bravo docente disciplinarista promuove a pieno titolo per far acquisire ai suoi allievi un buon metodo di studio.

Un bravo docente ha infatti un “occhio di riguardo” nei confronti dei processi di apprendimento dei propri allievi, spostando l’attenzione dal “che cosa” al “come”, puntando a far riflettere gli allievi su aspetti che riguardano la propria personale capacità di apprendere, di stare attenti, di concentrarsi, di ricordare, di risolvere i problemi, di argomentare, di lavorare in gruppo, di relazionarsi.

Sono pertanto i docenti disciplinaristi, che devono conoscere ed insegnare la loro disciplina scorporandone ed evidenziandone i processi mentali implicati.

Successivamente a turno saranno gli allievi-apprendisti ad essere messi alla prova con la medesima prassi, naturalmente su compiti diversificati ma simili, finché l’abitudine ad esternare processi cognitivi e non cognitivi sarà consolidata e finchè la competenza, che sappiamo si acquisisce “facendo”, quando ancora non si sa fare, un po’ alla volta si rafforzerà anche di fronte all’imprevisto.

Allora per aumentare la qualità dell’offerta formativa non sono necessarie nuove sperimentazioni, ma occorre puntare sulla qualità dei formatori per far acquisire ai nostri ragazzi basi solide del sapere.

Ulteriore riflessione.

La premessa alla nuova proposta di Legge fa riferimento ai test INVALSI 2019, che hanno rilevato una situazione allarmante per quanto concerne il livello di preparazione degli studenti e il «Rapporto sulla conoscenza» del 2018 dell’ISTAT da cui emerge che al termine del primo ciclo di istruzione il 34,4% dei giovani non aveva raggiunto un livello sufficiente di competenze alfabetiche, un dato che saliva al 40,1% se si consideravano le competenze numeriche.

Allora basta con l’eccessiva enfasi sulle “competenze”.

Si possono avere competenze senza conoscenze? È importante riprendere la strada maestra con un primo ciclo d’istruzione che punti sulla struttura del sapere (leggere, scrivere e far di conto!!!) e un secondo ciclo sulle competenze trasversali e specialistiche a seconda del corso di studi frequentato.

La scuola è una cosa seria!

Pio Mirra, DS IISS Pavoncelli di Cerignola (FG)




IN PRESENZA! A DISTANZA! C’È UNA TERZA VIA?

Come al solito sulla scuola si è sempre divisivi e per il rientro dopo le festività natalizie ci si divide tra coloro che, a ragione, propongono la scuola in presenza e chi suggerisce la “didattica a distanza”.

Certo è opportuno coniugare il diritto all’istruzione con il principio di assicurare la sicurezza sanitaria e il contrasto alla diffusione del virus in questo difficile contesto di emergenza. Ma c’è un’altra via?

Considerata la crescita esponenziale dei contagi, favorita dai convivi natalizi e dal più favorevole rigore invernale, probabilmente sarebbe stato utile rinviare il rientro a scuola, allungando il periodo di sospensione delle lezioni con successivo adattamento del calendario scolastico.

Salvaguardando la validità dell’anno scolastico, che per l’art.74, comma 3 del Testo Unico n.297/94 prevede lo svolgimento di almeno 200 giorni di lezione, il rientro a scuola poteva slittare di 12 giorni e fissarsi al 24 gennaio 2022 con recupero delle giornate non prestate per 4 giorni durante le vacanze pasquali e per i restanti 8 giorni nel mese di giugno, posticipando la fine delle lezioni dal 9 al 18 giugno, in tempo utile per gli esami di Stato fissati al 22 giugno.

Invece si è scelta la strada più semplice nella forma, ma nella sostanza? Le scuole al rientro si sono trovate a gestire assenze di docenti, sostituzione di docenti sospesi e classi semivuote per contagi, contatti o semplici fobie.

Nella sostanza il rientro si è tradotto in un giorno di scuola perso.

Allora? Allora speriamo che la situazione si stabilizzi nei prossimi giorni o forse sarebbe stato meglio seguire la terza via.

Pio Mirra, DS IISS Pavoncelli di Cerignola (FG)




La mia scuola è più bella della tua!

LICEI C/ TECNICI&PROFESSIONALI
ISCRIZIONI A.S. 2022/23

Come ogni anno le scuole iniziano le azioni di marketing, mascherate da orientamento, per promuovere i più belli e i più bravi: licei contro tecnici e professionali.

Ma l’Italia è il Paese dei temi “divisivi” e anche sulla scuola ci si divide come fazioni di opposte tifoserie.

Da un lato c’è chi sostiene la unicità della cultura liceale, dall’altro chi rivendica l’unicità degli orientamenti tecnici e professionali.

Ciò rimanda ad un immaginario appunto divisivo tra i licei di serie A e i tecnici e professionali di serie B e in questo immaginario svolge un ruolo importante la “percezione”.

Infatti la parola magica “liceo” rimanda ad un’istruzione “percepita” di livello superiore, non dimenticando che solo gli storici liceo classico e scientifico offrono un’istruzione generale completa, relegando di fatto gli altri licei a scuole di seconda serie.

Se anche i tecnici e professionali si chiamassero licei cambierebbe la “percezione” senza creare quella odiosa separatezza tra saperi, con buona pace di quei genitori che potrebbero dire: “anche mio figlio frequenta il liceo”.

La denominazione comune “Liceo”, peraltro, esiste da sempre in Francia, dove i percorsi tecnici e professionali non sono affatto percepiti come minori, ma come una scelta alternativa e degna, alla pari degli altri indirizzi. E Il nostro istituto agrario sarebbe chiamato lycée agricole.

Al di là delle future scelte ministeriali per il rilancio dell’istruzione tecnica e professionale, se vogliamo aumentare le competenze degli studenti, ridurre gli abbandoni, incrementare il numero dei diplomati, ridurre il gap con il mondo delle imprese, occorre investire nell’istruzione tecnico-professionale puntando sulla “contaminazione dei saperi”, teorici e pratici in un continuum tra la IdeAzione del prodotto e la RealizzAzione dello stesso.

Competenze intellettuali e pratiche devono mescolarsi continuamente per raggiungere il “saper fare”, possibile solo in una scuola legata al mondo delle Imprese, con uno sbocco lavorativo reale ma in un quadro di innovazione e non classista.

Pio Mirra, DS IISS Pavoncelli di Cerignola (FG)




LA SETTIMANA CORTA? DIDATTICA RIDOTTA!

Tra le novità per le iscrizioni 2022/23 il pezzo forte per “richiamare” nuovi studenti è la settimana corta.

Il sabato libero viene reclamizzato all’interno dell’offerta formativa.

Formativa?

Dovendo distribuire in cinque giorni 30/32 ore di lezione, gli studenti sono costretti a fare 6/7 ore di lezione al giorno.

Non serve essere un esperto di scienze dell’educazione per comprendere che non si possono reggere con profitto 6/7 ore di lezione.

Le ultime ore certamente sono poco produttive perché i ragazzi sono ormai stanchi ed affamati.

Si impone così un ritmo troppo stressante che ricade negativamente sull’efficacia del processo di apprendimento e sulla possibilità stessa di riuscire a completare a casa i compiti assegnati.

E tutto questo è ancora più deleterio per i ragazzi più fragili, con bisogni educativi speciali che semplicemente hanno bisogno di più tempo per apprendere.

La scuola, l’educazione ha bisogno di tempo per far consolidare la conoscenza che si trasforma in competenza, ha bisogno di “lentezza”.

Negli apprendimenti la lentezza è “fisiologica”, infatti il nostro cervello sembra sia dotato di due sistemi, uno rapido e istintivo e uno lento di supporto ai ragionamenti logici.

La combinazione del funzionamento di questi due sistemi, con una rapidità nelle reazioni (es. focalizzazione dell’attenzione su uno stimolo) alternata a una lentezza in alcuni processi cognitivi (es. elaborazione cognitiva approfondita dello stimolo), sia adattiva per la nostra specie, e che per questo sia ben radicata nel nostro funzionamento cerebrale.

I tempi di concentrazione di ognuno sono variabili, ma sembra che si possano tenere livelli ottimali di concentrazione per circa 25 minuti, prima che questa inizi gradualmente a diminuire, se non si fanno delle piccole pause.

È dimostrato che rallentare i ritmi diminuisce la tensione emotiva e, di conseguenza, migliora la “performance”, che sia di studio o di lavoro.

Allora la settimana corta non ha nessuna valenza “formativa”, ma è una scelta certamente dettata da motivazioni che nulla hanno di didattico, del tipo: un giorno di riposo in più; più tempo libero da passare con famiglia e amici; i docenti fuori sede possono tornare a casa per il weekend; risparmio sulle utenze scolastiche (luce, gas, acqua ecc.); minor traffico per le strade; vantaggi per locali, negozi, centri commerciali ed esercizi pubblici.

Da un lato si invoca la scuola aperta al territorio con attività pomeridiane per combattere le emergenze educative, dall’altro si chiude per un giorno intero.
Ma la scuola è coerenza!?

 

Pio Mirra, DS IISS Pavoncelli di Cerignola (FG)




Sciopero inutile, parola di Prof.!!!

“Adesso basta, la scuola si ribella”.

Questo il titolo che accompagna la campagna informativa per il nuovo sciopero proclamato dai sindacati.

Flc Cgil, Uil Scuola, Gilda e Snals – partecipa anche Anief ma in forma separata – hanno annunciato per venerdì 10 dicembre una nuova giornata di agitazione sindacale per protesta contro il presunto immobilismo del governo in materia di istruzione.

Un déjà vu, uno slogan datato, smentito dai fatti.

Non bastava lo sciopero nazionale proclamato per il 16 dicembre, secondo i sindacati, la scuola anticiperà la contestazione.

Ed i sindacati prevedono pure un’adesione massiccia del personale scolastico…

Per me, che vivo e lavoro nella scuola da quasi mezzo secolo, lo sciopero di dopo domani sarà un altro flop, perché pochissimi docenti vi parteciperanno, e quei pochi che andranno in piazza, anziché a scuola, provocheranno le famiglie e non le istituzioni…

Le famiglie, che oltre a tutte le difficoltà legate all’emergenza sanitaria e ai continui stop a singhiozzo, quarantene e Dad affannate e difficoltose, dovranno pure gestire uno sciopero di quei “fannulloni dei prof., che non gli bastava, l’8 dicembre, e due settimane di vacanze a Natale, pure lo sciopero dovevano fare!”

NO, tranquilli, i vostri figli andranno a scuola, vedrete, i prof. non faranno sciopero.

Ma quando mai, i prof. fanno sciopero?!?

Ma procediamo con ordine.

Le ragioni dello stop della scuola secondo i sindacati

Nel mirino dei lavoratori della scuola c’è la Manovra 2022: una Legge di Bilancio che porta in dote 33 miliardi, ma che destina “solo” lo 0,6% al fondo che dovrebbe premiare la professionalità dei docenti.

Una percentuale che i sindacati trovano “inadeguata” rispetto all’”effettiva necessità di rendere merito al lavoro della classe insegnante” attaccano.

Poi c’è la questione degli aumenti: 87 euro in più in busta paga, cifra che le sigle sindacali bollano come “decisamente troppi pochi”.

Altro tema caldo l’organico Covid, su cui il Governo avrebbe “fatto ben poco”: 300 milioni sono stati trovati per gli insegnanti, ma zero risorse, invece, per il personale Ata, spiegano Flc Cgil, Uil Scuola, Gilda e Snals.

Cosa chiedono i sindacati con lo sciopero

“Serve dare stabilità al lavoro di migliaia di precari valorizzando di più il lavoro che si fa in classe.

Aumento dei posti dei collaboratori scolastici, presìdi sanitari e sistemi di sanificazione nelle scuole.

E poi basta con le reggenze, un dirigente e un Dsga per ogni scuola” lamentano i sindacati.

Secondo le confederazioni le misure che servono immediatamente sono:

  • concorso Dsga Facenti Funzioni anche se privi del titolo di studio
  • riduzione del numero di alunni per classe
  • abolizione dei vincoli sui trasferimenti del personale
  • fine delle incursioni legislative in materia di contratto
  • snellimento delle procedure e meno burocrazia
  • rispetto degli impegni sottoscritti con le organizzazioni sindacali nel Patto per la Scuola
  • risorse per un aumento salariale a 3 cifre nel rinnovo del contratto
  • proroga dei contratti Covid anche per il personale ATA
  • risorse per la valorizzazione professionale e non per un premio alla “dedizione”
  • percorsi riservati per la stabilizzazione dei precari con 3 anni di servizio
  • sblocco della norma di legge del vincolo sulla mobilità per i neo immessi in ruolo dal 2020/21
  • intervento strutturale sulle classi numerose non a costo zero.

Tante belle parole, demagogia allo stato puro.

Ecco perché, come vi dicevo, cari genitori, state tranquilli, i vostri figli andranno a scuola, vedrete, i prof. non faranno sciopero.

Ve lo dice una prof che è pronta a scommettere su una verità sperimentata in più di trent’anni di esperienza.

Gli insegnanti non scioperano.

 

Gli insegnanti non scioperano da anni, ormai.

E non perché sono “pecoroni” come spesso la società li indica ma, perché scioperare è un sacrificio economico inutile che ingrassa solo i sindacati.

Se solo pensiamo che una giornata di sciopero costa 100 euro sul misero stipendio dei docenti, si capisce come e perché non sia possibile lo sciopero ad oltranza…

E allora, cosa fare per protestare contro un governo che vuole i docenti poveri tra i più poveri ed un ministro che non sa neanche di cosa sta parlando?

Insegno da 35 anni, ho sempre speso tutte le mie energie per un lavoro che amavo (oggi lo amo un po’ meno grazie a chi la scuola l’ha distrutta), ho sempre fatto parte delle varie commissioni (orientamento, inclusione, salute, bullismo…).

Mi sono sempre dedicata anima e corpo ai miei alunni (insegnando francese, ho minimo 9 classi su due scuole)

Non ho mai “rubato” il mio stipendio, non ho mai lesinato ore alle mie classi.

Nonostante diversi km di distanza, sono tornata a casa a pomeriggio inoltrato per anni, e vi assicuro che, seppure retribuite, molte attività extracurricolari, visto il lavoro svolto, sono spesso state ore di missione e volontariato.

A scuola non esiste il pagamento degli “straordinari” come per tutti gli altri impieghi della PA, non esiste il conto delle ore effettive in più (pagate a cottimo a 17,50 euro lordi), non esiste l’avanzamento di carriera…esistono gli IMPEGNI, quelli sì…

Allora, per provocare disagi (e non ai DS che sono consapevoli di quanto ho scritto e mai contro il corpo Docenti) cosa fare?

 

– Le tessere sindacali?

 

Mi viene da ridere, più volte ho espresso il mio pensiero sui sindacati ormai burocrati e difensori di se stessi…

 

– Piegarsi al principio del minimo sforzo?

 

Faremmo contenti tutti…

Ministro, genitori e studenti…tutti promossi, anche gli asini!

(Ma questo un vero insegnante non riesce più a farlo!)

 

Cosa ci resta per protestare?

 

Dopo lunghe riflessioni con me stessa, ritengo ci sia un unico modo per protestare e cercare di ottenere qualche risultato che ci dia un minimo di dignità, cioè,

 

RIFIUTARE QUALSIASI INCARICO AGGIUNTIVO…

 

Semplicemente fare solo lezione e tutto quanto previsto dal nostro contratto e dalla nostra etica professionale e

 

STRAPPARE TUTTI LE TESSERE DEI SINDACATI.  

 

Pensate ad una scuola senza collaboratori, senza FS, senza referenti di alcun tipo, consigli di classe senza coordinatori e segretari, senza tutor…

Allora sì, il caro Ministro si renderebbe conto di quanto e quale sia il lavoro degli insegnanti, allora si, i sindacati ritornerebbero -forse- a svolgere il loro ruolo, allora si, potremmo riacquistare dignità e riconoscimenti anche economici …

Pensiamoci!

 

 

 




Istituto Ferrari di Susa: Scuola piemontese apre collana editoriale e mira a pubblicare il 100% dei suoi libri di testo

A Susa, provincia di Torino, l’Istituto E.Ferrari, scuola di eccellenza e fiore all’occhiello della valle, il Dirigente Scolastico Anna Giaccone ha dichiarato che entro il prossimo anno conta di avere il 100% dei libri di testo del primo anno pubblicati sulla collana editoriale della propria scuola.

Il liceo, ITIS, IPC Enzo Ferrari ha avviato con la casa editrice CCEditore il progetto Gutenberg, il progetto che aiuta le scuole a diventare collane editoriali e a pubblicare i propri libri in modo da poter seguire nel modo migliore il percorso formativo degli studenti.

Il progetto, oltre a promuovere la scuola a collana editoriale a tutti gli effetti, viene infatti fornita di codice ISSN, prevedere la formazione agli insegnati, il supporto editoriale e grafica fino alla finale pubblicazione dell’opera con l’attivazione del codice ISBN, che lo rende quindi reperibile utilizzabile da qualunque altra scuola.

Il progetto Gutenberg è il simbolo della buona scuola attiva e attenta ai suoi studenti.

Dal minuto 4,18 ascoltate le parole della D.S. Giaccone.

Video dell’intervento al Salone dell’Orientamento

 

Le maestre che non hanno paura dei libri

Pio Mirra, DS Pavoncelli Cerignola: come noi sempre più scuole pubblicano i propri libri

Pio Mirra, DS Pavoncelli Cerignola: come noi sempre più scuole pubblicano i propri libri

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A scuola di amore – Progetto YAMA per l’Africa

“Y.A.M.A.” – acronimo di You Are Missione Africa” – è il Progetto che prevede la costruzione, in Africa, di un Villaggio e di una Scuola rivoluzionaria per struttura, concezione e materie insegnate.

Tutto nasce da un’idea di Cristian Buzzelli, viaggiatore visionario.

Il nome dell’influencer è balzato agli onori della cronaca per aver fatto a tasche vuote il giro della Sardegna e della Sicilia in bici. Obiettivo: dimostrare al maggior numero di persone che si può essere felici con poco o nulla e che il mondo è pieno di persone buone e generose.

Sul suo profilo Instagram, seguito da più di ventimila follower, il trentasettenne nativo di Fano documenta le sue avventure.

Dopo le prime due “missioni” – “Missione Sardegna” che lo ha ispirato a scrivere il suo primo libro e “Missione Sicilia” – Cristian avverte la necessità di “esplorare la sua anima e di scavare a fondo dentro di sé per dare corpo allidea” che lo accompagna sin dall’infanzia: costruire una scuola in Africa.

Intraprende così il Cammino di Santiago. Parte a piedi da Lourdes, arriva a Santiago e procede per Fatima, percorrendo un totale di 1578.60 km in sessantotto giorni.

“Non avrei mai immaginato – racconta – che sarebbe diventato IL viaggio di esplorazione del mio sé interiore”. “Passo dopo passo, la mia visione è diventata chiarissima.”

Y.A.M.A. è la manifestazione concreta di questa visione.

Il Progetto è molto articolato e prevede: 

  • la costituzione di un’Associazione No Profit,
  • l’apertura di Centri Olistici dislocati in tutta Italia,
  • l’organizzazione di percorsi e ritiri su argomenti dedicati alla crescita personale e spirituale,
  • la costruzione di un Villaggio e di una Scuola, in Africa, unici al mondo per le finalità perseguite: l’educazione dei bambini all’Amore incondizionato, alla Felicità come frutto di una decisione cosciente, alla responsabilità nell’uso delle parole, alla profonda conoscenza delle leggi che regolano il funzionamento dell’Universo.

Cristian Buzzelli
Cristian Buzzelli, ideatore del Progetto YAMA

 Qual è lo scopo del Progetto?

C.B. Lo Scopo del Progetto, che parte dallAfrica per estendersi in altre parti del mondo, è quello di diffondere Luce e Amore ovunque ce ne sia bisogno, su questa Terra”.

Perché è nato questo Progetto e perché proprio in Africa?

C.B. “Perché il mio sogno, fin da quando ero piccolo, era fare qualcosa per rendere le persone felici. Una scuola rivoluzionaria in Africa che, anziché limitarsi a istruire, educhi i bambini a vivere la vita in modo autentico, pieno e consapevole, è il mio contributo alla costruzione di un mondo migliore.” 

Come sarà questa scuola? 

C.B. Sarà una scuola visionaria, assolutamente fuori dagli schemi. Una scuola a tempo pieno, senza compiti per casa. Allesterno è prevista unarea riservata agli animali che i bimbi imparano a conoscere, rispettare, proteggere, nutrire, amare. Poi ci sono lorto e il frutteto e i bambini si prendono cura delluno e dellaltro, dalla semina al raccolto.”

Quali sono le materie di insegnamento?

C.B.: Alle materie tradizionali – letteratura, aritmetica, storia, geografia, astronomia – si affiancano le lezioni di meditazione, yoga, reiki e altre discipline olistiche. Ci sono poi la danza, la musica, il canto e il teatro. I bimbi possono scoprire le loro doti, esercitare i loro talenti, mettersi in gioco ed esibirsi in pubblico, accrescendo il loro livello di autostima.”

In che modo i bambini verranno preparati a costruire il mondo di domani?

C.B.: “Verrà insegnato loro che le parole sono importanti e vanno usate responsabilmente … che hanno delle conseguenze a livello energetico e che portano allesistenza ciò che esprimono.”

Cosa rende questa scuola unica al mondo?

C.B.: Tre materie bellissime: Legge Universale, le eterne leggi che regolano il funzionamento dellUniverso; Amore incondizionato, per se stessi, per gli altri, per la Natura, per la Vita; Felicità’, affinché i bimbi imparino a essere felici a prescindere da ciò che hanno, dalle circostanze e dagli inevitabili imprevisti della vita.”

Come verrà finanziata?

C.B.: Grazie all’apporto di volontari e donatori. E poi ci sono i fondi raccolti organizzando percorsi e ritiri spirituali, le iniziative editoriali, i servizi resi nei centri olistici, la vendita dei gadget. Tutto il ricavato viene devoluto alla realizzazione e al mantenimento del Villaggio e della Scuola.”

Il Progetto Yama’ – conclude Cristian con aria trionfante – è pronto a partire per questo Viaggio meraviglioso. Allacciate le cinture, perché sarà un’avventura spettacolare! E il mio cuore può solo gioire ed essere profondamente grato per tutto l’Amore che mi circonda. Come dico sempre … la Vita è una Figata!”




Maestra Televisione

QUANDO LA TELEVISIONE EDUCAVA

La televisione dal 1954 in poi ha contribuito alla formazione e all’identità culturale degli italiani e le stesse produzioni televisive degli anni del “boom economico” hanno contribuito ad accelerare i progressi economici e sociali di quell’epoca.

La televisione di allora con molti programmi scolastici ed educativi, che parlavano di arte, di letteratura, di cultura, di editoria e di società, pur con tutti i suoi limiti, era uno strumento pedagogico e di coesione sociale.

Oggi invece, nonostante il più alto livello di istruzione e di benessere economico, si assiste a programmi di sempre più bassa qualità, che rispondono prevalentemente a dinamiche di mercato, in grado di alterarne la funzione etica e sociale. La televisione è sotto accusa, imputata di decadimento culturale, imbarbarimento sociale, impoverimento etico e distorsione educativa delle giovani generazioni.

I programmi spazzatura, gli spettacoli artefatti, falsi e ingannevoli inculcano nei giovani la convinzione di una realizzazione di sé, basata solo sull’apparenza, sull’ostentazione della bellezza estetica, sulla costante ricerca di essere ciò che gli altri vogliono e non di ciò che siamo.

Fa spettacolo, audience, la maleducazione, l’ignoranza, la povertà morale e culturale e si trasformano in modelli da imitare personaggi che non hanno valori, non hanno cultura, non hanno alcuno spessore morale.

I nostri studenti emulano esasperatamente ciò che vedono, comportandosi come replicanti degli imbarazzanti personaggi televisivi, per cercare di essere come loro.

E da “Grande fratello”, “Uomini e Donne”, “Amici”, “La Scuola” passano a film dove la violenza è la trama, con delitti, assassini e atti criminali.

Nessuno pensa che molti ragazzi vi assistano senza una coscienza critica, ma assorbendone l’aggressività che poi esplode in casa, a scuola, con gli amici, con gli adulti, con loro stessi.
Spegniamo la TV e apriamo un giornale, un libro per leggere.

Per dirla come Nicola Gratteri: “Ragazzi studiate, fottiamoli”.

 

Pio Mirra

Dirigente Scolastico




Ignoto Militi: tra storia e simbolismo

Ignoti militi.

Due parole che creano un’aurea attorno a un figura – un mito – che si articola attraverso cent’anni di storia e di celebrazioni che attraversano tutte e tre le fasi dell’Italia unitaria: l’Italia liberale, l’Italia fascista e l’Italia repubblicana.

La storia del milite ignoto inizia nel giugno del 1921, quando si decise di scegliere una salma che rappresentasse tutti i soldati italiani morti, e non indentificati, durante la guerra appena conclusa.

La proposta si tramutò in legge in breve tempo – seppure ci furono delle contestazioni da parte dei socialisti – che portò alla programmazione della scelta della salma fino al traposto di essa all’altare della patria, in vista del 4 novembre, giornata della vittoria italiana sull’esercito austriaco.

Ad Aquileia, la salma venne scelta tra undici soldati italiani non indentificati da una madre – Maria Bergamas – la quale rappresentava tutte le madri italiane che non avevano una tomba dei propri figli su cui piangere.

Dopo un lungo viaggio, costellato da tutta una serie di tappe in diverse città italiane, con relative cerimonie in omaggio alla salma scelta, il milite ignoto arrivò il 2 novembre alla stazione termini di Roma, dove fu accolto in pompa magna da tutte le cariche dello stato, inclusa la famiglia reale, e una rappresentanza di tutti coloro che presero parte al primo conflitto bellico.

Milite ignoto - vignetta satirica

Due giorni dopo – il 4 novembre – la salma del milite fu portata al Vittoriale, monumento inaugurato dieci anni prima, dove dopo una solenne cerimonia il corpo fu tumulato sotto la statua della dea romana – la quale raffigura la personificazione dello stato romano – dove tutt’ora riposa oggi.

Da quel momento il milite ignoto divenne una figura centrale per la pedagogia e commemorazione nazionale; tematiche che vengono raccolte e fatte proprie nell’immediato da parte del regime fascista: nel 1924 il ministro dell’istruzione Giovanni Gentile impose l’obbligo della celebrazione del milite ignoto, sostenendo che: «contribuirebbe ad ispirare negli allievi vivo amore e profonda devozione alla Patria».

Il fascismo non si limitò a usare le due figure – il Vittoriale e il milite ignoto – come figure legate solo a una forma di pedagogia patriottica in ambito scolastico, ma venne usato in una prospettiva più ampia: come “palcoscenico” in un’ottica di manifestazione nazionali – politica introdotta dalla propaganda di regime.

Il fascismo cercò di valorizzare un sentimento patriottico e di “martirio per la patria” attraverso la figura del milite ignoto, attraverso l’uso – come già accennato – di eventi all’altare della patria, l’uso di immagini e video dove ritraevano parate o momenti di commemorazione che si svolgevano al Vittoriale – mostrando sempre in qualche scena il milite ignoto.

A causa dell’uso propagandistico da parte del fascismo dell’altare della patria, di conseguenza anche del milite ignoto, iniziò una lenta decadenza, seppur le celebrazioni da parte delle autorità politiche e militari continuarono per lungo tempo – si voleva tenere in vita il vero valore che quei due luoghi trasmettevano.

Nonostante questo sforzo, l’opinione pubblica si dimostrava contrariata all’uso commemorativo: il ricordo delle folle oceaniche delle manifestazioni fasciste erano ancora vivo nelle mente degli italiani e il sentimento nazionalistico nutrito nel ventennio era del tutto sparito arrivando provare sentimenti di disprezzo.

Questo comporto un oblio verso i veri valori e i caratteri celebrativi che si erano attribuiti al milite ignoto, per questa ragione le celebrazioni erano sempre meno partecipate; tant’è che dopo l’attentato che il Vittoriale ebbe a subire il 12 dicembre del 1969, il luogo venne definitamente chiuso al pubblico per trent’anni, raggiungendo l’oblio da parte degli italiani.

Altra della patria

Con la nomina alla presidenza della repubblica da parte di Carlo Azeglio Ciampi ci fu un recupero dei simbolismi nazionali, che ormai erano completamenti spariti dai cuori degli italiani, cercando di “ricreare” delle commemorazioni che potessero far rivivere quei sentimenti di appartenenza che erano presenti in altri paesi – come ad esempio in Francia.

Da questo desiderio si ripresero tutte quelle festività nazionali – come il 4 novembre – o celebrazioni che potessero ricreare questi sentimenti; tra questi vi era anche la resa omaggio del milite ignoto.

Seppur questa visione di recupero dei sentimenti nazionali è stata a lungo messa in discussione, quasi ostacolata, da molte forze politiche – soprattutto di matrice secessionistica che hanno cercato di rimarcare la non necessità di ripercorrere questa forma di pedagogia nazionale.

Nonostante ciò, un effimero recupero di questi sentimenti fu fatto e nel corso degli anni 10 del nuovo millennio ci furono diverse commemorazioni in cui si vide protagonisti diversi simboli, tra cui il milite ignoto – in sinergia con altare dalla patria.

Un esempio lo possiamo trovare nella commemorazione che si tenne nel 2011 – alla presenza di una folla festosa – all’altare della patria, dove si vide l’effettivo recupero dei valori originari del 1921: il sentiero di identificazione nazionale verso un luogo e una figura.

Il recupero della celebrazione al milite ignoto ha comportato di conseguenza il ripristino di tutta una serie di elementi, che per le ragioni che abbiamo già trattato poco fa, furono del tutto dimenticati. La resa omaggio al milite ignoto si individua tre date chiave: il 25 aprile, il 2 giugno e il 4 novembre – in forma eccezionale il 17 marzo 2011.

La cerimonia prevede di rendere omaggio al milite ignoto appoggiando sulla tomba una corona d’alloro da parte del capo di stato – in questo caso il presidente della repubblica – “affiancato” da tutte le alte cariche dello stato (il presidente del consiglio, il presidente del senato, il presidente della camera e il presidente della Corte costituzionale) e da una rappresentanza dei corpi militari assieme alle relative alte cariche militari.

il presidente Mattarella rende omaggio al milite ignoto

Rispetto alla prima fase della storia del milite ignoto, dove esso rappresentava il sacrifico dei soldati italiani morti durante la prima guerra mondiali, ora la salma del soldato non indentificato rappresentata tutti soldati italiani che sono morti per conto dell’Italia.

In conclusione, si può affermare con certezza che il milite ignoto ha lasciato alle sue spalle il proprio oblio che aveva attraversato nel secondo dopo guerra, riportando un interesse sempre maggiore da parte degli italiani; seppure non raggiungendo lo stesso livello di sentimento patriottico che possiamo trovare in altri paesi, ma un parziale recupero di ciò è stato portato a termine.

Nozza Giorgio.