Cimabue in mostra al Louvre

Cimabue, Maestà del Louvre, particolare, 1289, Museo del Louvre
Cimabue in mostra al Louvre
Il Museo del Louvre rende omaggio a Cimabue, il maestro della pittura italiana del XII secolo.
In programma fino al 12 maggio, la mostra Revoir Cimabue (Rivedere Cimabue) trasporta i visitatori alle origini della pittura italiana.
Il Louvre offre la prima retrospettiva in assoluto dedicata al più grande pittore del Duecento.
La pittura italiana medievale è in mostra al Louvre attraverso alcuni capolavori di Cimabue, il maestro di Giotto.
Cimabue è considerato uno dei maggiori pittori dell’arte occidentale, nonché uno dei precursori del rinascimento.
Riscoprire Cimabue
Il Museo del Louvre dedica una mostra a Cimabue, il grande maestro di Giotto ed uno degli artisti più importanti del XIII secolo.
Fin dall’inizio del XIX secolo, la presentazione dei “primitivi” occupa un posto importante all’interno del Museo.
Il Louvre possiede infatti due dei suoi capolavori, una grande pala raffigurante la Madonna in trono, nota come la Maestà del Louvre, e il Cristo deriso di recente acquisizione.
Sono proprio queste due opere, il cui restauro è stato appena completato, le protagoniste della mostra.
La mostra trasporta i visitatori nell’Italia del Duecento, secolo caratterizzato da grandi trasformazioni filosofiche, spirituali, scientifiche e artistiche.
Dal mito letterario alle scoperte delle opere. Dante e Cimabue
Ben poco si conosce della vita e dell’opera di Cenni di Pepo, conosciuto col soprannome di Cimabue.
Fu attivo principalmente nel tardo Duecento, tra Firenze, la sua città natale, Roma, Pisa e Assisi.
È stato un artista avvolto a lungo nel mistero.
Il primo a menzionare Cimabue è stato Dante Alighieri, il sommo poeta, nella Divina Commedia.
Solo alla fine dell’Ottocento, e soprattutto nella seconda metà del Novecento, si delineano delle conoscenze più precise.
Ad oggi gli sono attribuiti una decina di dipinti, oltre a un ciclo di affreschi ad Assisi, alcuni mosaici a Firenze e a Pisa e gli splendidi crocifissi di Firenze e Bologna.
La pittura italiana alla metà del duecento e l’influenza dell’arte orientale
La sezione introduttiva della mostra è dedicata al contesto della pittura in Toscana, in particolare alla Pisa della metà del XIII secolo.
Nell’Italia del Medioevo, l’arte era utilizzata soprattutto per rappresentare figure e scene religiose.
Le città toscane, Pisa prima fra tutte, prosperano grazie al commercio marittimo, divenendo così il principale punto di accesso per la cultura proveniente dall’oriente e dal mondo islamico.

Alla metà del Duecento, l’arte delle icone e dei manoscritti provenienti da Bisanzio e dai regni latini instaurati dai Crociati in Terra Santa, gode in Italia di un immenso prestigio.

In tale contesto Cimabue svolge un ruolo ben più importante di quello che gli era stato fino ad ora attribuito e di cui la mostra intende delineare i contorni.
Restauri e acquisizioni del Louvre
La mostra è il risultato di due eventi che riguardano Cimabue di grande importanza per il museo del Louvre.
Si tratta del restauro della grande Maestà, in dotazione al Louvre e della recente acquisizione di una tavola inedita di Cimabue riscoperta in Francia nel 2019 “La derisione di cristo”.
La tavola fa parte di otto pannelli in parte andati perduti.

Presente in mostra anche la Maestà Gualino attribuita per molto tempo a Duccio di Boninsegna, e proveniente dal museo sabaudo di Torino.

I due dipinti, il cui restauro è stato completato nel 2024, e la Madonna, costituiscono il punto di partenza della mostra, con circa una quarantina di opere esposte.
La Maestà del Louvre: l’invenzione di una pittura moderna
La Maestà del Louvre di Cimabue può considerarsi l’atto di nascita della pittura occidentale
La Maestà si trovava nella chiesa di San Francesco a Pisa e fu oggetto delle spoliazioni napoleoniche.
Dopo le restituzioni la grande tavola fece parte di quei circa 250 dipinti che rimasero in Francia.
Fu restaurata nel XIX secolo, mediante un intervento assai criticato che avrebbe portato ad una pulitura eccessiva del colore.
Un ulteriore restauro fu compiuto nel 1937-1938.
Il recente restauro della Maestà: i colori ritrovati e i dettagli riscoperti
Il recente restauro ha permesso, oltre a recuperare la varietà e la sottigliezza dei colori, di riscoprire molti particolari nascosti dai precedenti interventi.
La percezione dei colori, invece, risultava alterata per via dei numerosi strati di vernice ossidata di cui erano ricoperti.
L’ingiallimento di questi strati protettivi faceva infatti apparire di una tonalità verdastra il blu scintillante del manto della Vergine.

La scoperta di questi colori chiari e luminosi, ignoti nell’arte del maestro fiorentino, getta una nuova luce sulla storia della pittura del periodo, che Cimabue contribuì fortemente a rivoluzionare.
La rimozione delle ridipinture e dei numerosi strati di vernice ha portato alla luce elementi inaspettati, come le iscrizioni pseudo-arabe del bordo rimaste fino ad allora celate alla vista.

Questa è la prova che l’Oriente, sia bizantino che islamico, evocava in Cimabue e nei suoi committenti un grande fascino.
È soprattutto in tutto il suo splendore è rinato il colore blu lapislazzulo, il blu prezioso pari all’oro, originario delle miniere dell’Afghanistan.

Un nuovo sguardo sul mondo
Nella composizione della Maestà, Cimabue rappresenta la Madonna col Bambino ispirandosi alle icone, ma per la prima volta raffigura i personaggi, con i loro abiti e oggetti, in modo naturalistico.
I personaggi e le loro vesti appaiono meno distanti, appartenenti a un mondo più vicino, soggetto alle stesse regole di quello degli uomini.
Il pittore conferisce alla mano del Bambino una resa volumetrica e riesce a suggerire la pressione che deforma il rotolo, come accadrebbe nella realtà.

Allo stesso modo, gli ornamenti sulla tunica degli angeli sono rappresentati come se fossero veramente cuciti sulla tunica con un elegante filo nero.
Nella sua Maestà, Cimabue adorna il trono di un tessuto orientale con motivi di aquile e iscrizioni pseudo-arabe, che decorano anche la cornice del dipinto.
Sempre in rottura con le convenzioni del suo tempo, Cimabue Vestì le sue figure mistiche secondo la moda del tempo, per avvicinarle allo spettatore.

Cimabue riuscì ad anticipare le variazioni di dimensione e di percezione delle forme.
I soggetti sono dipinti leggermente più grandi in alto e leggermente più piccoli in basso.
In tale maniera riuscì a dare l’illusione che fossero tutti della stessa dimensione dal nostro punto di vista di spettatori.
La modernità di Cimabue ne “La derisione di Cristo”, un tesoro nazionale acquisito dal Louvre
Il percorso prosegue con una sezione costruita attorno al dittico di Cimabue, di cui il Louvre riunisce per la prima volta gli unici tre pannelli finora noti.
Il dipinto, uno dei più suggestivi di Cimabue, raffigura il momento in cui Cristo, bendato, viene colpito dai suoi aguzzini, che lo deridono.

Cimabue pone in risalto l’umanità dei personaggi, che indossano abiti duecenteschi. I loro muscoli tesi sono dipinti con precisione e accentuano l’effetto di violenza e di movimento che pervade la scena, concepita per suscitare un’intensa emozione.
I tre pannelli riuniti per la prima volta nella mostra
L’opera faceva parte di un dittico di cui si conservano oggi altri due pannelli, la Piccola Maestà con angeli (Londra, National Gallery) e La Flagellazione di Cristo (New York, Frick Collection). Studi scientifici condotti al Centro di ricerca e restauro dei musei di Francia (C2RMF) hanno confermato la loro appartenenza allo stesso gruppo e hanno dimostrato che la Maestà del Louvre e il Cristo deriso sono stati dipinti in origine sulla stessa tavola nel 1280 circa.
In seguito alla sua scoperta e all’asta di cui è stato oggetto nel 2019 a Senlis, il Cristo deriso di Cimabue è stato classificato come Tesoro Nazionale.
La procedura di classificazione come Tesoro Nazionale ha permesso al Museo del Louvre di acquisirlo e di arricchire in modo eccezionale una delle più importanti collezioni di pittura italiana anteriore al 1500 al di fuori dell’Italia.
Grazie a questa procedura, il Museo del Louvre lo ha acquisito nel 2023 e con questa mostra lo espone al pubblico per la prima volta, a restauro concluso.
Il suo meticoloso restauro, che ha rivelato la ricchezza e la maestria tecnica dell’artista, ci invita anche a scrivere un’altra storia sulle origini della pittura italiana.
La Derisione di Cristo manifesta un tale naturalismo, una tale vivacità, un tale senso della messa in scena senza precedenti nella storia della pittura italiana, che è di fondamentale importanza.
La Derisione di Cristo è certamente l’opera importante dell’arte primitiva italiana scoperto negli ultimi decenni.
L’opera mette in luce un aspetto poco noto dell’arte di Cimabue e consente di comprendere meglio il ruolo decisivo svolto da Cimabue nella rinascita della pittura alla fine del XIII secolo.
Rapporto tra Duccio e Cimabue
La mostra affrontata anche la questione cruciale del rapporto tra Duccio e Cimabue.
Il decennio 1280-1290 si contraddistingue come un periodo di grande fermento e di emulazione nel campo della pittura.
Il giovane pittore senese Duccio di Buoninsegna è molto colpito dalle novità introdotte da Cimabue, con il quale forse collabora in alcuni cantieri fiorentini.
La rivalità tra le scuole fiorentina e senese, di cui Cimabue e Duccio erano rappresentanti, ha contribuito a definire il panorama artistico dell’epoca.
Le loro opere possono essere viste come punti di riferimento per comprendere l’evoluzione della pittura medievale verso il Rinascimento, con Cimabue che rappresenta una transizione verso il naturalismo e Duccio che esplora la narrazione e l’emozione.
La Madonna Gualino
La mostra prosegue con la terza ed ultima delle opere di Cimabue esposta: la Madonna Gualino, il grande dipinto su tavola, rappresentante la Vergine in trono con Bambino e due angeli.
Fu realizzato intorno al 1285 ed è ancora oggi oggetto di studio e dibattito tra gli esperti dell’arte perché attribuito ora a Duccio di Buoninsegna, ora a Cimabue.
Appartiene alla collezione Gualino ed è arrivata da Torino come prestito eccezionale della Galleria Sabauda.
Cimabue e Duccio di Boninsegna, pur operando in contesti diversi, hanno entrambi avuto un impatto significativo sulla storia dell’arte, contribuendo a gettare le basi per il Rinascimento e influenzando generazioni di artisti successivi.
Gli anni ottanta del duecento: un periodo di fermento artistico
La mostra evidenzia anche la grande influenza di Cimabue in altri pittori italiani sia contemporanei sia successivi.
Agli albori del XIV secolo, Duccio e Giotto, entrambi profondamente influenzati dall’arte del grande Cimabue, scomparso nel 1302, incarnano ormai i sentieri del rinnovamento della pittura.
Cimabue nella iconografia tradizionale della Madonna col bambino stabilì un nuovo canone con il quale si dovettero confrontare i pittori successivi, soprattutto Giotto.
Giotto conclude la mostra
La mostra si conclude con la presentazione del grande San Francesco d’Assisi che riceve le stimmate di Giotto, destinato alla stessa sede della Maestà del Louvre, il tramezzo (il divisorio che separa la navata dal coro) di San Francesco a Pisa, dipinto qualche anno dopo dal giovane e talentuoso discepolo di Cimabue.

Cimabue, che aprì molte nuove strade, esplorate in seguito da diverse generazioni di pittori. Ritratto di un artista, la mostra vuole anche e soprattutto essere quella di uno dei periodi più dinamici e fertili della creazione artistica.
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