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Il nuovo light motive italico è “senza gli stranieri non saremo in grado di pagare le pensioni, è un nostro dovere dare loro la cittadinanza italiana”.

Quel “saremo” va inteso che lo Stato non riuscirà a onorare i propri impegni con gli italiani in ordine alle loro pensioni.

Premetto che la prima domanda che mi sovviene è se questo accade per colpa di un errore strategico nel sistema pensionistico italiano o per, forse anche evidenti, meccanismi di “malaffare” e “malagestio” dovuti al sistema burocratico e politico che governa gli Enti preposti alla erogazione delle pensioni agli italiani.

Su questo punto lascio a chi mi onora nel leggermi la risposta.

Alcune considerazioni, a prescindere dalla sopra rappresentata domanda, mi sovvengono nel ragionare sulla ansiògena impostazione che porterebbe a ritenere che sia “imprescindibile” il concedere la cittadinanza italiana con nuove, e meno stringenti, regole al fine di “salvare le pensioni agli italiani”.

Partiamo da alcuni numeri.

A giugno 2024 gli occupati in Italia erano 16 milioni 37mila, a questi è necessario sommare 5 milioni 144mila lavoratori autonomi.

Non tutti sono italiani, alcuni di questi lavoratori sono stranieri con regolare permesso di lavoro.

Già da questa semplice deduzione si evince che non esista correlazione fra il diritto a lavorare nel rispetto delle leggi in Italia e la cittadinanza.

Permettetemi di tediarvi con qualche numero.

Al primo gennaio 2023 gli stranieri regolarmente residenti in Italia erano poco più di 5 milioni, l’8,6% della popolazione totale.

Una percentuale già assai significativa che denota la lungimiranza del legislatore nel permettere a persone nate altrove di integrarsi nella nostra amata Patria rispettando le nostre leggi e la nostra cultura senza perdere le proprie origini, rimanendo se stessi.

Sempre al 2023 gli italiani residenti nella nostra amata Italia nella fascia di età 15/65 anni erano 37.471.805.

Il tasso di disoccupazione ad aprile 2024 è stabile al 6,8%, al contrario è salito al 20,5% nella fascia “sotto i 30”.

Purtroppo non sono riuscito, voglio credere per mia incapacità, ad avere dati più aggiornati.

Certamente noto che molti giovani italiani, pur se vi siano ampi spazi di offerta di lavoro inevasi, non trova occupazione.

Quali le cause?

Certamente fra esse una errata impostazione culturale che ha delegittimato il lavoro manuale, artigiano.

A causa di questo risulta assai difficile trovare un elettricista, un idraulico, un giardiniere italiano. Professioni artigiane, queste, che garantiscono a chi le svolge tenori reddituali spesso assai più elevati di molte attività sedentarie.

È un fatto, non una opinione.

Facile comprendere, però, che un giovane, al quale per tutta la vita è stato insegnato che il titolo di studio ti garantisce una vita agiata dietro una scrivania a prescindere dalle reali competenze che l’università ha permesso al giovane stesso di acquisire attraverso il proprio percorso di studi, si senta “non adatto” a svolgere attività artigiane.

Questa cultura porta i giovani a ritenere molto più etico essere disoccupati che occupati attraverso una attività artigianale.

Però le “pensioni lo Stato potrà onorarle solo attraverso il dare la cittadinanza italiana a stranieri”.

Una vera baggianata.

Il tema del riconoscere la cittadinanza italiana ad una persona che ha genitori stranieri, sia che il candidato sia nato in Italia o meno, non riguarda per nulla i temi macroeconomici.

Esso afferisci a temi culturali e legati alle tradizioni italiane.

La domanda è se gli italiani ritengano corretto sradicare le proprie radici per divenire parte di un sistema socio politico senza profonde identità.

La mia personale opinione è che, a prescindere dal colore della pelle che poco ci appassiona, la cittadinanza possa essere concessa a chi si sia profondamente radicato nelle tradizioni e nella cultura italiana, una cultura che deve ricordarsi le proprie origini giudaico cristiane, a cui non possono che essere abbinate le tradizioni che trovano origine nel pensiero filosofico ateniese e a quello illuminista.

Questo mi costringe a ragionare sul concetto di “nazione” al fine di identificare il significato intrinseco del sostantivo.

A tal fine, chi mi onora nel leggermi sa che provo una profonda simpatia per il mai sufficientemente compulsato Treccani, vado a cercare il significato intrinseco della parola.

Interessante notare come il termine “nazione” è già presente nell’antica Roma ove con “natio” si indicava “un gruppo di persone legate da nascita o discendenza comune”.

La “natio” definiva le popolazioni che formavano l’impero, cioè le singole tribù, le singole stirpi.

Ognuna di queste era “legate da vincoli di origine, di sangue o di lingua, senza che ciò implicasse un significato di appartenenza a comunità in senso politico”.

La “natio” era in molti casi in opposizione a “populus” o a “civitas”.

Se proseguiamo nei secoli, sempre il Treccani, ci riporta alla memoria come sia in epoca medievale sia in quella rinascimentale “nazione” fu un termine utilizzato per definire “una dimensione, regionale o cittadina, di corporazione e di ceto sociale”.

Infine, oggi, la parola “nazione” acquisisce “una specifica e necessaria accezione politica, entrando direttamente in relazione, sebbene in maniera non univoca, con l’idea di Stato”.

Fu la Rivoluzione francese ad identificare la “nazione” come una “entità collettiva”, cultura che trovava stimoli filosofici in Vico e Voltaire, solo per citarne alcuni.

“Popolo” come elemento portatore di una “autocoscienza” politica e fonte di legittimazione dello Stato.

Fu Fitche, con altri, ad identificare nel fattore linguistico un elemento preminente collegando la lingua alle tradizioni.

Il principio di nazionalità, per il quale ogni “nazione” si organizza attraverso uno Stato costituì l’idea centrale del 19° secolo e fu Giuseppe Mazzini il suo ideologo fondamentale.

La “nazionalità” divenne, per questo, il “principio costitutivo degli Stati”.

La Società delle Nazioni ne fu una diretta conseguenza.

Oggi tutto questo percorso storico e filosofico viene messo in discussione da una nuova “filosofia” denominata “globalismo”.

Difficile identificarne i “pensatori”, molto più facile comprendere gli “interessi” che a detta teoria filosofica soggiaciono.

Interessi che favoriscono pochi a discapito di molti.

Difficile comprendere perché sia così “strategico” cambiare le leggi che permettono a qualcuno di divenire cittadino di uno Stato, primo fra tutti quello italiano.

Forse a “qualcuno” interessa modificare repentinamente i “pesi elettorali” nella propria nazione.

Come sempre nel nostro occidente i processi politici si originano in Stati Uniti.

Proprio quegli Stati Uniti ove fra circa 80 giorni si vota ed ove alcuni pensano di poter “abbattere” la probabile vittoria del “cattivone” Trump, per gli europei al potere da queste parti, modificando i corpi elettorali al foto finish.

Perché seguire questi “trucchetti” anche dalle nostre parti, soprattutto se rappresenti un pensiero cristiano liberale, oggi si direbbe “sovranista”?

Difficile comprenderlo….. o forse no.

Troppo “l’amore” per quell’asse “Cino – germanico” in alcuni “poteri” italiani.

Ignoto Uno

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