A symbolic representation of the concept of political centrism in Italy. The image shows a large, ancient Roman-style scale standing in the middle of

“Alla società del non pensiero ancora oggi la Democrazia Cristiana propone una visione fondata sui valori umani e cristiani.”

Bisogna riportare le lancette degli orologi indietro nel tempo per cogliere l’importanza e le ragioni del sorgere del c.d. centrismo nella politica nel nostro Paese …

Il PPI nasce nel 1919 con Sturzo e poi De Gasperi che poi confluisce pure lui nel 1920 nel PPI.

A questi si unisce il futuro Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, allora sindacalista cattolico.

Il Partito si fondava sul popolarismo di Sturzo e la Dottrina Sociale della Chiesa. Grazie a ciò, molti cattolici tornarono in politica dopo il Non Expedit.

Il PPI raccolse anche molti Liberali cattolici antisocialisti e una grande parte della massa contadina, in quanto appunto non legato a una classe sociale borghese.

Il Manifesto di Sturzo è noto come «Appello ai liberi e forti», i cui capisaldi sono:

  • Il ruolo della Società delle Nazioni
  • La libertà religiosa
  • La famiglia
  • I sindacati cattolici

Il PPI ottenne il 20 % dei voti nel 1919 e circa 100 deputati. Altre istanze del Partito riguardavano: il decentralismo, la lotta al latifondo e il voto alle donne, temi dichiaratamente antifascisti.

Dopo la Marcia su Roma tuttavia don Sturzo aderì al nuovo governo di Mussolini con atteggiamento critico.

Nel 1924, i Popolari conobbero una sconfitta notevole, poiché diversi cattolici aderirono al Fascismo tanto che nel 1926 i Popolari si sciolsero.

In seguito, la DC raccolse diversi ex esponenti cattolici del Fascismo, tra cui Fanfani, Tambroni, Giuseppe Medici etc.

Nel 1942 De Gasperi, Gronchi, Scelba, Malvestiti, Andreotti e Moro con Fanfani e Dossetti, si radunarono presso la casa di Giorgio Falk per discutere la costituzione di un partito cattolico.

Il 1943 viene comunemente considerato come il momento di fondazione della DC con il relativo simbolo storico.

Venne inoltre elaborato qui nel luglio 1943 il c.d. Codice di Camaldoli, un documento programmatico che tratta tutti i temi della vita sociale: dalla famiglia al lavoro, dall’attività economica al rapporto cittadino-stato.

Si elencano inoltre anche i principi morali cui deve sottostare anche il mondo economico.

Nel 1944 Ivanoe Bonomi fu incaricato di costituire un nuovo governo, il terzo col suo nome, con appoggio di DC, PLI, PCI, PDL, nel quale De Gasperi rafforza la sua influenza.

Il comitato cattolico resta clandestino fino al Governo Badoglio. La DC partecipa alla Resistenza armata contro il Nazifascismo; uno dei capi di essa fu Enrico Mattei.

Nel 1945 Nacque il Governo Parri appoggiato da varie forze democratiche e in seguito il Governo De Gasperi che avrebbe dovuto organizzare le elezioni democratiche referendarie.

Era la mattina del 2 giugno 1946 quando per la prima volta in Italia anche le donne partecipavano ad una consultazione politica nazionale determinandone l’esito: votarono infatti circa 13 milioni di donne e 12 milioni di uomini. L’Italia il 2 giugno 1946 si sveglia una Repubblica.

Un esame degli avvenimenti più rilevanti da un punto di vista storico, sociale, politico, economico e antropologico ci fornisce uno spaccato per comprendere i primi passi del giovane paese repubblicano, nella prospettiva di intendere le prime significative scelte propedeutiche alla difficile ricostruzione dell’Italia post bellica proprio attraverso la politica del centrismo.

 

Il centrismo nella politica nasce con Alcide De Gasperi, figlio della cultura popolare e strumento operativo del “popolarismo sturziano”, la più alta forma di democrazia che aprì un varco in quella stagione storica così da generare una rinascita e una ricostruzione democratica dell’Italia sulle spinte riformiste.

Il centrismo rappresenta una cornice ideologica non nettamente definita, alla quale appartengono quei partiti che si collocano nel centro dello schieramento politico e che si fanno promotori di una posizione intermedia tra le posizioni estreme di destra e di sinistra in campo socio-economico.

In Italia, dal 1946 in poi, il centrismo è stato principalmente sinonimo di “cristianesimo” democratico.

La DC ha racchiuso al proprio interno variegate posizioni sia in campo economico- sociale che culturale, tutte, però, cresciute nel comune alveo della dottrina sociale della Chiesa cattolica e ha saputo coltivare una sorta di partito società, in quanto rispecchiava le diverse classi sociali caratterizzandosi per essere interclassista.

Questa scelta di politica moderata adottata dal centrismo sostanzialmente viene generata dalle condizioni storiche poste in rilievo che concentrano il loro momento topico sulle elezioni politiche del 18 aprile 1948: le prime dell’Italia Repubblicana, nelle quali la Democrazia Cristiana consegue un risultato inequivocabile, il Paese nel timore delle sinistre, coagula nel responso delle urne un consenso elettorale storico del 48,5 %: gli italiani scelgono di dare fiducia al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e al suo progetto di governo centrista.

Le contrapposizioni e le conflittualità non producono frutto se non indirizzate in una dialettica di reciproco ascolto che conduce ad una riflessione.

La politica senza dialogo, confronto e proficua riflessione sui problemi continuerà progressivamente a generare uno scollamento della gente dalla politica stessa, le persone alla luce degli scenari del tutto deludenti e inefficaci che certificano il fallimento della politica insensibile alle esigenze sociali ha prodotto sentimenti diffusi di incredulità e profondo pessimismo.

Il percorso del governo De Gasperi si profilava alquanto difficile e complicato, doveva fare i conti oltre che con le contingenze della storia anche con i contrasti tra i partiti della maggioranza e all’interno della stessa DC, dove il gruppo guidato da Dossetti e Fanfani si batteva facendo leva sulla conoscenza intellettuale per cambiare la realtà del Paese anche attraverso una diversa visione dello sviluppo economico e sociale, aspetto basilare per un effettivo cambiamento della società.

Dopo il successo elettorale della Democrazia Cristiana del 19 aprile 1948, nel quale ottenne il risultato storico del 48,5% dei consensi in Italia, De Gasperi, anziché optare per un governo monocolore, diede a battesimo quella scelta politica del centrismo che, nel prendersi cura delle Istituzioni democratiche, si rilevò profetica e rispondente ai bisogni del Paese.

De Gasperi mise insieme per sostenere l’azione di governo: “Socialdemocratici”, figli della tradizione culturale del pensiero marxista; “Repubblicani”, laici ispirati dai riferimenti culturali inizialmente ancorati alle posizioni di sinistra non marxista e anticlericale del pensiero mazziniano; “Liberali”, una parte della classe dirigente che partecipava attivamente alla vita politica ponendo in grande considerazione le questioni sociali che generarono un contributo alla discussione pubblica del tempo.

In queste diversità di posizioni politiche, De Gasperi non chiese una comunione di pensiero alla coalizione, ma un sostegno all’azione di governo per contribuire, ognuno nella propria autonomia di vedute politiche, alla costruzione della democrazia rappresentativa nel Paese.

La legislatura si chiude sulla inattuata e controversa riforma elettorale che tuttavia alle elezioni politiche del 1953 conferisce nuovamente la maggioranza allo schieramento centrista che segnerà anche la fine del percorso politico di Alcide De Gasperi che da saggio uomo politico quale era, si ritira dalla politica di quegli anni e morirà prematuramente l’anno successivo nell’agosto del 1954.

Le elezioni politiche del 1958 definiscono uno scenario politico interno e internazionale cambiato rispetto agli anni precedenti che avevano favorito la genesi e caratterizzato la stabilità dei governi figli del “centrismo degasperiano” e dell’indiscussa egemonia politica della DC, appoggiata dai partiti di centro minori da cui era scaturita la definitiva emarginazione governativa del PCI e del PSI.

Durante la II Legislatura della Repubblica Italiana in carica dal 25 giugno 1953 all’11 giugno 1958 la politica di governo del centrismo sopravvisse al suo fondatore in maniera sempre più instabile e mostrando ormai segni evidenti di deterioramento che nel 1958 ebbero il loro epilogo, in quanto la formula centrista adottata per contrastare la sinistra socialcomunista e per evitare accordi con la destra monarchica e neofascista segnava ormai il suo declino.

Si alternarono governi deboli e, da un lato il progressivo distacco del PSI dal PCI con la fine dell’unità delle Sinistre, e dall’altro l’involuzione conservatrice cui andò incontro il PLI, contribuirono a mettere in crisi la formula centrista sulla quale si era costruito il solco della democrazia rappresentativa, una esigenza inarrestabile del Paese.

Alle lezioni del 1958 la prognosi del primo declino dei governi centristi fu conclamata dalla storia, la DC sotto la guida di Amintore Fanfani prima, e di Aldo Moro poi, elaborò alcune coalizioni verso la sinistra che si batteva per una più equa distribuzione del reddito cercando di intercettare in ogni modo il consenso popolare.

Dopo le elezioni politiche del 1958, furono sperimentate le prime esperienze politiche di “centro- sinistra”, rese possibili dall’appoggio esterno dei socialisti, con la nascita nel 1962 del governo tripartito guidato da Amintore Fanfani, con la partecipazione di DC, PSDI, PRI e con l’astensione benevola del PSI, fino all’ingresso organico del partito progressista nel governo nel 1963, con la nascita del primo governo Moro.

Il 1969 aprì una nuova drammatica fase: con la bomba di piazza Fontana (MI) iniziò così la strategia della tensione, che per oltre un decennio condizionerà la vita politica italiana, gli anni di piombo culminarono nelle atrocità inflitte al sistema politico dall’uccisione, da parte delle Brigate Rosse, di un uomo politico illuminato, Aldo Moro.

La virtù nella quale Aldo Moro si elevò e distinse fu la preziosità del servizio nella politica.

L’agire politico di Moro è stato non solo il frutto maturo di una genialità intellettuale e giuridica, che tutti gli riconoscono, ma anche la fioritura di un’autentica testimonianza di vita nascosta che rileva il senso profondo della sua pratica di essere servo inutile di Cristo, servizio che reclama, per Aldo Moro politico, sapiente, saggio e interprete fedele della carità, gli onori dell’Altare a sugello della sua vita santa.

Aldo Moro, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Igino Giordani, autorevoli personaggi politici del dopoguerra, sono stati discepoli di Paolo VI, che in quegli anni formava i suoi ragazzi sui corposi testi, densi di profezia e attualità, di Jacques Maritain, San Tommaso e di quella nouvelle théologie che giungeva dalla Francia.

Questi allora giovani si sono formati sulle ferite delle atrocità della guerra e sulla profondità del pensiero illuminato dell’altissimo magistero del giovane Montini, divenendone figli spirituali e lasciando all’umanità un solco di eredità di pensieri politici che ancora oggi genera una fioritura di semina e una copiosità di messi.

Fu proprio Paolo VI ad accennare alla Santità di Aldo Moro quando, alle esequie ufficiali, nella preghiera, lo definì con quelle parole dense di profezia «uomo buono, mite, saggio, innocente e amico».

Il sistema politico centrista assesta la sua azione di governo facendo leva sulla base centrale degli assetti politici per contenere pulsioni e segnali estremi.

La politica governativa centrista, in una visione di corsi e ricorsi storici, potrebbe attrarre tutte le forze politiche moderate del Paese diventando coagulante sociale e politico delle diverse prospettive per dare realizzazione ad una politica a misura di uomo che si nutra dei valori umani e cristiani e dia valore al pensiero europeista degasperiano formidabilmente rifletto nel concetto espresso dallo statista della “Nostra Patria Europa” cercando di arrestare le spirali sovraniste di un nazionalismo anacronistico e di arginare le derive degli estremismi di destra e di sinistra con l’obiettivo di annientare definitivamente nostalgie pericolose e destabilizzanti.

Occorre una ricostruzione delle coscienze e del loro peso interiore, che passa attraverso l’educazione e la formazione che potrà poi, per intima coerenza e adeguato sviluppo creativo facendo tesoro dei propri vissuti, esprimersi con un peso culturale e finalmente sociale e successivamente politico per porre in essere una politica alta.

Per riscoprire il valore della “Politica” dobbiamo ritornare a comprendere il travaglio, il pathos, la sofferenza i drammi esistenziali e sociali del popolo, lasciato per troppo tempo fatalmente al suo destino sfrattato dalla sua stessa dimora: il Parlamento che attraverso le leggi avrebbe dovuto essere il fedele interprete delle esigenze sociali e invece è stato un luogo estraneo a chi avrebbe dovuto essere il vero sovrano e si è caratterizzato per aver dato tutela a interessi personali snaturandone la funzione e il ruolo democratico, divenuto sempre più cassa di risonanza di accordi presi fuori dal Parlamento.

Con il ritorno alla antropologia delle problematiche esistenziali e sociali riscopriremo l’immenso valore di Dio che governa la storia e che deve essere sempre al centro di ogni pensiero e azione che ha a cuore il futuro dell’uomo dobbiamo ricostruire insieme una nuova idea di futuro, se l’umanità vuole riscattarsi dalla deriva e dal caos che la pervade l’umanità deve rimettere al centro della storia Dio nella prospettiva di sentire il disagio, il bisogno altrui che determina il senso dell’umanità nella politica.

Senza la guida dall’alto attraverso l’umiltà dell’uomo e ispirato dallo Spirito non potrà non riconoscersi bisognoso di aiuto, l’esistenza si deprime e scade negli istinti e negli impulsi senza controllo che conducono allo smarrimento e alla dispersione dei valori e dei principi che dovrebbero edificare un mondo migliore dove prevalga il bene comune, la giustizia, la solidarietà e la pace.

Se in politica non cercheremo con sincero sforzo di comprendere l’altro, il prossimo che ci sta dinnanzi, sentire il suo dramma esistenziale, la sua sofferenza, il nostro agire politico non potrà rivestirsi di quella connotazione umana della Politica definita da Paolo VI come la più alta forma di carità” la politica in questa nobile accezione partecipa del divino.

Diceva La Pira dopo la mistica la politica e lo strumento che più avvicina a Dio.

Nella odierna dimensione politica porre al centro dell’agire il “servizio” rappresenta la via maestra che conduce alla ricerca del bene comune, obiettivo dimenticato da “certa politica” insensibile di questi anni. In questo cammino quasi messianico, possiamo trovare la giusta ispirazione in quella realtà evangelica da cui tutto ebbe inizio.

Allo stesso modo nella politica occorre pronunciare e testimoniare quel profetico “” di “Maria” che faccia nascere nella società una “nuova civiltà di diritti e soprattutto un “nuovo senso del dovere” per rimettere in campo la “speranza” nella giustizia per farci uniti-insieme ma diversi costruttori di pace partendo dal piccolo gesto, consapevoli che “ogni piccolo gesto è rivoluzione non violenta in sé”, se accompagnato da uno spirito solidale di tutti e di ciascuno perché “nessuno è dispensato dal partecipare alla costruzione della società che vogliamo” per renderla più libera, più giusta e solidale con i più bisognosi e deboli, al fine di raggiungere il bene comune, prima essenza della Politica che deve rivestirsi di carità.

Quel “nuovo senso del dovere” avvertito dalla sensibilità e profezia di “Aldo Moro” nel suo ultimo intervento in Parlamento, alla Camera del 28 febbraio 1978 : “Questo Paese non si salverà,

la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.

Parlare di doveri non è mai facile e si rileva al quanto complesso e difficile perché mentre i doveri segnano dei limiti, i diritti aprono spazi. I diritti richiamano libertà e democrazia; i doveri mobilitano gerarchia e autorità.

Di qui l’interesse più per i diritti che ci stimolano che per i doveri che ci comprimono.

Tuttavia, i diritti, pur costituendo l’essenza della democrazia, non sono sufficienti, da soli, a sostenerla; possono affermarsi solo in una società che adempie ai doveri nell’equilibrio delle due funzioni di stimolo e di compressione nelle quali si rivela la bellezza del vivere in armonia con le fluttuazioni del divenire della società.

Fattori questi propedeutici per rimettere in campo la “speranza” nella prospettiva della “giustizia” per farci tutti insieme ma diversi “costruttori di pace” nel Paese e nel mondo.

Molto spesso la politica si rivela per non essere per i più affar nostro, i giovani si disinteressano, le persone se ne allontanano perché non condividono gli esempi negativi di certi “politicanti” che hanno ridotto la politica ad un mercimonio, degradata oltre il prevedibile ad una attività da evitare, rendendola estremamente impopolare.

Tale deriva di pensiero nel quale è precipitata l’interpretazione disincantata di una politica lontana dalla gente che ha dimenticato la bellezza della polis, del pensare politicamente per risolvere i problemi del popolo sovrano, relegato in soffitta e defraudato dal diritto primario di scegliere attraverso l’esercizio del voto, la rappresentanza parlamentare, la classe dirigente che emerge dalle segrete stanze delle segreterie dei partiti generando l’aberrante logica della “partitocrazia”, una delle “tre male bestie” individuate da Don Luigi Sturzo unitamente allo “statalismo” e “l’abuso del denaro pubblico”.

La politica deve riscattarsi da questa disonorevole onta, dovrebbe riuscire a trovare soluzioni, aborrire il calcolo e sperimentare ancora la passione di un tempo, quando la politica si faceva proprio per passione vivendo la cultura dell’alterità e del servizio come missione perché se non serviamo agli altri a che serve vivere.

La politica è “affar nostro” perché anche se non ci occuperemo di essa, la politica non smetterà mai di occuparsi di noi, lasciare deleghe in bianco ai politicanti di strapazzo è un grave errore che non si dovrebbe fare perché lascia in meno a degli irresponsabili il timone della storia.

Dobbiamo riscoprire con Aldo Moro oltre alla conquista dei diritti una rimodulazione di “quel nuovo senso del dovere” che suona di profezia e attualità ancora oggi per dare un’altra possibilità alla politica.

Suonano di monito e di profezia l’attualità delle parole di Papa Francesco: “Non pensiamo che la politica sia riservata solo ai governanti: tutti siamo responsabili della vita della ‘città’, del bene comune; e anche la politica è buona nella misura in cui ognuno fa la sua parte al servizio della pace”.

In questo scenario di divisioni e disfattismo organizzativo occorre rivivere il valore cristiano dell’“eccomi” divenendo questa la risposta unanime al bisogno diffuso della gente, da troppo tempo inascoltato, affinché si innalzi un inno alla concretezza del fare per una politica più alta, più umana e caritatevole incrementando la pasienza e la capacità di ascolto fondamentali per sentire i bisogni del popolo.

L’eccomi sia strumento profetico della carità, come espresso dal pensiero illuminato del Pontefice Paolo VI nella Enciclica del 26 marzo 1967 Populorum Progressio.

Tale disegno potrà realizzarsi attraverso l’unica scelta possibile quella dell’amore: fare germogliare semi di speranza nella politica che facciano fiorire una nuova civiltà di diritti e soprattutto un nuovo senso dei doveri realizzando così la profezia di Moro.

Sul punto risuonano attuali e profetiche le parole del filosofo Carl Gustav Jung: «Dove l’amore impera, non c’è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l’amore. L’uno è l’ombra dell’altro».

La politica non deve accontentarsi di raggiungere nel dialogo, il minimo comune denominatore che non serve, se non a vegetare, così come ha fatto nel tempo senza più emozionare nessuno, senza generare entusiasmo, imitazione, partecipazione, relegandosi ai margini della società e determinando astensionismo, indignazione e disapprovazione.

Quando la politica non diviene strumento prolifico di servizio nel cammino verso il miglioramento delle condizioni dell’uomo, e strumento d’amore per il prossimo, rimane inefficace, si impoverisce la sua fondamentale forza naturale di essere generatrice di progresso e di sviluppo sociale, economico e culturale.

Sotto tale profilo, la politica dovrebbe vivere una nuova stagione storica che si alimenti della bellezza del “dialogo” che miri a sperimentare l’ascolto reciproco che nel confronto riesca ad elaborare una “riflessione” che cerchi di analizzare i bisogni e individuare il modo di risolvere i problemi che attanagliano la gente.

Se analizziamo la parola “dialogo” che letteralmente indica un incrocio, e ci sforziamo di ricercare un sinonimo possibile, lo possiamo trovare nella parola “incontro”, occorre mettere al centro del “dibattito politico” questa prospettiva dialettica di incrocio fatta di ascolti reciproci volti a elaborare una riflessione che coniughi le diversità contrapposte.

La parola “incontro” è formata da due elementi antitetici, la preposizione “in” che vuol dire andare verso, mettersi in ascolto, alla fine condividere; ma abbiamo anche l’avverbio “contro” che vuol dire di per sé “opposizione”, ecco perché il dialogo non deve essere omogeneizzazione del pensiero e non può e non deve accontentarsi di arrivare ad un minimo comune denominatore, deve andare oltre il dialogo.

Deve generare un confronto che per essere produttivo, fecondo deve tendere a comprendere le diversità di vedute, percependone le differenze, sentire le ragioni dell’altro e i suoi vissuti sperimentare in un cammino comune l’elaborazione di una riflessione.

Nella consapevolezza che è proprio da queste diversità, dal sentire le ragioni dell’altro, che una società cresce e progredisce in questa prospettiva di “incontro” di opinioni che generino nella riflessione la conoscenza, mutuando Wilde potremmo dire : “Le cose vere della vita non si studiano né si imparano, ma si incontrano.

Attualizzare il “pensiero della visione cristiana” nella politica e nella storia vuol dire analizzarne lo stato di salute e verificare se si sia di fronte ad una visione moribonda, anacronistica o al contrario sia ancora viva per svolgere il grande ruolo di unire piuttosto che dividere, ricucendo gli strappi e le lacerazioni attraverso una via: applicare alla politica il “codice materno” che vuol dire “prendersi cura dell’altro”, “non confondere mai le persone con il numero” essere al servizio degli altri e in particolare di chi è più debole e bisognoso.

Pensiamo quali effetti positivi potrebbe generare l’applicazione del “codice materno” alla politica, alla economia, alla imprese al vivere nelle sue diversificate forme del sociale.

La politica deve rivalutare e adottare il potere delle emozioni, deve puntare sul valore cognitivo delle emozioni che sostanzialmente precedono lo stesso valore cognitivo dell’intelletto.

Quando la politica riesce ad emozionare coinvolge le masse, genera imitazione, condivisione e partecipazione, senza emozione la politica rimane sulla soglia della conoscenza, ne conseguono disapprovazione e a tratti disprezzo, perché nessuno vi si rispecchia più; cresce progressivamente il risentimento e la sensazione ostile che nulla possa effettivamente cambiare, tutto ristagna e rimane così com’è a prescindere da chi vada a governare, tanto nell’opinione collettiva non cambierà mai nulla e il tasso dell’astensionismo, diventato ormai il partito di maggioranza assoluta ne è la più triste attestazione della sconfitta della politica.

Un pensiero se coltivato nel cuore della responsabilità, della fortezza e della libertà non muore, vive nella speranza le diverse stagioni della storia.

La politica si deve riappropriare della libertà di parlare pubblicamente il linguaggio della verità.

La verità la si incontra vivendo con l’amore dentro il senso profondo del servizio, e il vivere comprende tutto quanto ci accade, oltre a quello che facciamo accadere noi quando diventiamo strumento della nostra carità.

La politica senza carità diventa sterile conquista del potere per il potere e nessuna azione ci gioverebbe anche se conquistassimo il cento per cento dei consensi.

Questi sentimenti descritti germinano nella Democrazia Cristiana, realtà che deve riproporsi a tratti rinascere, ma per rotolare la pietra del sepolcro e risorgere deve ricordare, perdonare e innovare, nella prospettiva di quella attualizzazione profetica finora descritta applicando quel codice materno menzionato.

Da qui, riannodando i fili della memoria, diviene facile seguire il cammino verso l’incontro dell’uomo e nell’incontrare l’altro, i suoi bisogni riscoprire il senso profondo della nostra umanità e finalmente incontrare nell’altro, nel prossimo, nel bisognoso, nel povero il volto trasfigurato del Cristo la cui umanità dopo la rivelazione nella storia è in mezzo a noi.

E allora con Dossetti riapriamo una nuova stagione di riforme che pongano al centro la persona umana, la sua dignità e valore sin dal concepimento, con La Pira ridefiniamo la politica, guardiamo alla persona incontriamo la bellezza dell’altro e soprattutto del povero e bisognoso, su queste dinamiche di servizio riuscire ad incontrare il Cristo trasfigurato nei poveri e nei più bisognosi, solo in questo modo si potrà elevare la politica alla più alta forma di carità come teorizzato da Paolo

VI. In queste successioni di senso, generare una nuova stagione nella storia contemporanea nella quale la politica di centro, moderata può ancora avere un “ruolo centrale” nella politica nazionale, europea ed internazionale nel riportare in campo il “confronto” e nel “dialogo” la speranza dell’incontro dei popoli ricucendo lo strappo tra la politica e la gente.

In questa umanità nuova occorre che la DC divenga strumento indispensabile per risolvere e dissolvere ogni ingiustizia sociale che si verifica sempre come diceva Aldo Moro per una mancanza d’amore”.

Il mondo non ha bisogno di erigere muri, di chiudere i confini, di chiudere i porti. L’umanità e i popoli hanno necessità di costruire ponti, l’accoglienza è un principio fondativo, fondante e fondamentale di civiltà e di progresso a cui la politica non può rinunciare per esprimere la bellezza della umanità. Il mondo deve aprirsi alla libertà di transitare e potere decidere liberamente dove vivere nel rispetto delle culture e nel rispetto dell’altro e dello straniero in una prospettiva di reciprocità e nella equidistanza dei diritti. 

I diritti umani sono inviolabili e vanno garantiti al di là di ogni discriminazione di sesso, razza, di idee, di religione, di cultura. In questa stagione storica di buio nella politica, di disagio economico, di incertezza del futuro, sull’esempio di “Noè” dovremmo farci “piantatori di vigne” perché in questo semplice gesto Noè agisce non solo come strumento di Dio guidato dalla volontà del Signore ma anche facendo leva sulla sua umanità.

Quando “pianta la vignaNoè agisce nella sua umanità, come uomo che con il gesto simbolico di piantare la vigna restituisce l’avvenire al tempo e alla politica una nuova opportunità.

Dobbiamo sulla metafora della vigna generare un nuovo germoglio di speranza, promuovendo l’ “unione cristiana” su quel patrimonio di idee fondate sui valori umani e cristiani per ritrovarci “uniti-insieme”, ma diversi, a dare una nuova possibilità alla “Politica” che restituisca l’avvenire al tempo e riconquisti la fiducia perduta da parte del popolo così da farlo ritornare ad essere sovrano.

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