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Intervista esclusiva a Corrado Faletti su L’Impero Interiore e il futuro dell’educazione

Betapress: Buongiorno, professor Faletti il suo libro L’Impero Interiore susciterà un grande dibattito sulla necessità di ripensare l’educazione moderna. Da dove nasce questa sua convinzione che sia necessario tornare a un modello educativo più olistico?

Corrado Faletti: L’Impero Interiore nasce proprio dall’osservazione di quanto il nostro sistema educativo si sia impoverito, trasformandosi sempre più in una macchina di trasmissione di competenze tecniche e conoscenze utilitaristiche. Questa visione riduttiva lascia poco spazio alla formazione integrale della persona: l’educazione dovrebbe formare individui completi, capaci di pensare, di sentire e di agire con consapevolezza. Credo che abbiamo perso di vista il fatto che l’essere umano non è solo un futuro lavoratore, ma prima di tutto una persona, un cittadino e un membro di una comunità.

Betapress: Nel suo libro, lei fa riferimento ai modelli educativi dell’antica Roma. Cosa possiamo imparare oggi da quella tradizione?

Corrado Faletti: L’educazione romana era straordinaria perché puntava a sviluppare l’intero spettro delle capacità umane: intellettuali, morali, fisiche e civiche. I giovani romani non erano solo addestrati a eseguire compiti, ma venivano formati a vivere in armonia con la comunità, a contribuire al bene comune e a mantenere un equilibrio personale. Figure come il pedagogus romano non erano semplici trasmettitori di informazioni, ma guide morali e mentori che aiutavano i giovani a costruire un senso di sé e del loro ruolo nella società.

Betapress: Ritiene che l’attuale sistema educativo manchi di questa visione integrale?

Corrado Faletti: Assolutamente. Oggi ci troviamo di fronte a programmi scolastici troppo settoriali, dove le discipline sono frammentate e spesso disconnesse dalla vita reale. L’educazione è sempre più orientata al mercato del lavoro, con l’obiettivo di produrre individui “utili” piuttosto che persone consapevoli. Questo approccio rischia di ridurre la scuola a un luogo di mera certificazione di competenze, privandola del suo potenziale trasformativo. Dobbiamo tornare a pensare alla scuola come a un laboratorio di crescita personale, dove si sviluppano valori, capacità critiche e un senso di responsabilità verso sé stessi e gli altri.

Betapress: Questo comporterebbe un cambiamento radicale nei programmi scolastici. Quali modifiche suggerirebbe?

Corrado Faletti: Prima di tutto, occorre ripensare le materie insegnate. Non si tratta di eliminare le discipline tradizionali, ma di integrarle con percorsi più trasversali che mettano al centro la filosofia, l’educazione civica, la retorica e l’etica. La filosofia, ad esempio, non dovrebbe essere confinata agli ultimi anni di scuola, ma introdotta fin dall’infanzia, come strumento per imparare a pensare in modo critico. La retorica, tanto apprezzata dai romani, potrebbe insegnare ai giovani non solo a parlare bene, ma anche a riflettere su come comunicare in modo responsabile ed efficace.

Inoltre, occorre dare più spazio all’educazione socio-emotiva, insegnando ai giovani a gestire le emozioni, a sviluppare empatia e a lavorare in squadra. L’obiettivo non è semplicemente preparare individui per un mercato del lavoro, ma cittadini capaci di vivere in una società complessa e di contribuire al suo miglioramento.

Betapress: E per quanto riguarda la figura del docente? Come andrebbe ripensata?

Corrado Faletti: Questo è un punto fondamentale. Il docente deve smettere di essere visto come un semplice fornitore di informazioni. Oggi, con l’accesso illimitato alle informazioni grazie a internet, il suo ruolo dovrebbe evolversi in quello di un pedagogo nel senso più alto del termine: una guida che aiuta gli studenti a orientarsi nel caos informativo, a sviluppare un pensiero critico e a coltivare valori morali.

Il docente dovrebbe essere un modello di integrità e curiosità, capace di ispirare gli studenti non solo con ciò che sa, ma anche con il modo in cui vive il suo ruolo. Per fare questo, però, è necessario un profondo cambiamento nella formazione degli insegnanti, che deve includere non solo la preparazione disciplinare, ma anche un percorso di crescita personale e una formazione sulle competenze relazionali.

Betapress: Crede che queste idee possano essere accolte nel sistema educativo italiano?

Corrado Faletti: Non sarà facile, perché un cambiamento del genere richiede una trasformazione profonda non solo del sistema educativo, ma anche della mentalità collettiva. Tuttavia, credo che il primo passo sia iniziare a discuterne seriamente, portando queste idee nel dibattito pubblico. La scuola deve tornare al centro della società come luogo di formazione umana e civica, non solo come preparazione al lavoro. Se vogliamo una società più giusta, coesa e capace di affrontare le sfide del futuro, dobbiamo ripartire dall’educazione.

Betapress: Professore, parlando di formazione umana ed educativa, secondo lei il tempo dell’apprendimento è adeguato? Quanto tempo ci vuole per formare un uomo completo?

Corrado Faletti: Questa è una domanda profonda, e la risposta, a mio avviso, richiede di andare oltre il concetto di un tempo prestabilito. Formare un uomo non è un processo che si conclude con la fine degli studi scolastici o universitari. L’apprendimento è un percorso che dura tutta la vita, perché l’essere umano, nella sua complessità, è sempre in evoluzione. Tuttavia, possiamo individuare delle fasi cruciali: l’infanzia e l’adolescenza, in particolare, sono periodi in cui i riferimenti educativi e valoriali devono essere solidi per permettere alla persona di sviluppare una visione del mondo che integri autonomia individuale e responsabilità comunitaria.

La cultura latina ci insegna che la formazione di un uomo completo implica l’armonia tra virtus, pietas e disciplina. Questo significa che non si tratta solo di apprendere competenze tecniche o nozioni, ma di coltivare una coscienza morale, un senso di appartenenza alla comunità e una visione del mondo che tenga conto degli altri. I romani, ad esempio, non si limitavano a educare per preparare magistrati o soldati, ma per creare cittadini capaci di servire la res publica, il bene comune. Questo ci ricorda che il tempo dell’apprendimento non è solo quello dedicato alla scuola, ma ogni momento in cui si costruiscono legami, si condividono esperienze e si riflette sul proprio ruolo nel mondo.

Oggi, purtroppo, l’educazione è spesso ridotta a un accumulo di competenze specifiche da utilizzare nel mercato del lavoro. Ma per formare un uomo completo, serve una visione educativa che includa lo sviluppo dell’empatia, della capacità di cooperare, del rispetto per il mondo naturale e della consapevolezza delle proprie radici culturali. Questo richiede non solo tempo, ma un ambiente che favorisca il dialogo, la curiosità e la riflessione.

In termini pratici, il periodo dell’istruzione obbligatoria dovrebbe essere ampliato per integrare questi aspetti, con una maggiore attenzione a discipline come filosofia, educazione civica e storia del pensiero umano. Ma il vero cambiamento deve avvenire nella mentalità: dobbiamo riconoscere che il tempo dedicato alla formazione non è mai “troppo”, perché ogni momento speso per crescere come persone consapevoli e come membri di una comunità è un investimento per il futuro.

Come diceva Marco Aurelio nelle sue Meditazioni: “Nessun uomo è un’isola; ogni uomo è parte di un tutto più grande.” La vera formazione, quindi, è quella che ci insegna a vedere noi stessi come parte di una comunità, e questo è un apprendimento che non si esaurisce mai, ma si approfondisce in ogni fase della vita.

Betapress: Professore, un tema molto dibattuto è quello del valore legale dei titoli di studio. Secondo lei, questo sistema è ancora adeguato o rappresenta un limite nel processo educativo?

Corrado Faletti: Il valore legale dei titoli di studio, così com’è concepito oggi, riflette una visione dell’educazione che considero ormai obsoleta. Si tratta di un sistema che misura il percorso formativo con una logica “a punti”, in cui il titolo diventa una meta da raggiungere per certificare competenze specifiche. Questo approccio rischia di ridurre l’apprendimento a un processo meccanico e utilitaristico, finalizzato al semplice ottenimento di un documento che legittima l’ingresso nel mondo del lavoro. Ma l’educazione è molto più di questo: è un viaggio continuo di crescita personale, intellettuale ed emotiva, che non può essere racchiuso in un pezzo di carta.

Il valore legale dei titoli di studio incoraggia spesso una mentalità superficiale, in cui l’obiettivo è “passare l’esame” piuttosto che comprendere, riflettere e integrare ciò che si apprende nella propria vita. Questo sistema crea l’illusione che l’educazione abbia un punto di arrivo, quando invece è un processo che non si esaurisce mai. La cultura latina ci offre un esempio illuminante: per i romani, il valore di una persona non si misurava con un attestato, ma con la sua capacità di agire con virtus e pietas, di contribuire al bene comune e di vivere in armonia con la comunità.

In un mondo in cui il sapere è accessibile a chiunque grazie alla tecnologia, il valore legale dei titoli rischia di essere un ostacolo all’innovazione. Dovremmo spostare l’attenzione dall’obiettivo di ottenere un certificato a quello di coltivare un apprendimento consapevole, che metta al centro la crescita della persona e la sua capacità di affrontare le sfide del futuro. Questo significa insegnare ai giovani non a “raggiungere un punteggio”, ma a sviluppare competenze critiche, creatività e una visione etica del mondo.

Abolire il valore legale dei titoli di studio non significa negare l’importanza dell’istruzione, ma riconoscere che la qualità di un individuo non può essere misurata da un foglio di carta. Dobbiamo invece costruire un sistema educativo in cui il riconoscimento del merito sia basato su ciò che una persona è in grado di fare, di pensare e di essere, non solo su ciò che ha formalmente raggiunto. Come diceva Seneca: “L’educazione non serve a riempire un vaso, ma ad accendere una fiamma.” È questa fiamma che dobbiamo coltivare, senza limitarla a confini burocratici o formali.

Un mio caro amico, il senatore Mario Pittoni è anni che combatte una giusta battaglia per liberare questo paese da una stortura ideologica che al giorno d’oggi non dovrebbe esistere più, a lui il mio supporto assoluto per questa battaglia.

 

Betapress: Professore, quest’anno ha pubblicato diversi libri, suscitando curiosità e ammirazione per la sua produttività. Alcuni si sono chiesti se abbia utilizzato l’intelligenza artificiale per scrivere queste opere. Cosa può dirci in merito?

Corrado Faletti: Sì, posso confermare che ho utilizzato l’intelligenza artificiale per alcune fasi del lavoro, in particolare per velocizzare le ricerche e organizzare le fonti. L’AI è stata uno strumento straordinario per accedere rapidamente a informazioni che altrimenti avrebbero richiesto molto più tempo da raccogliere. Tuttavia, ci tengo a sottolineare che i miei libri sono il frutto di riflessioni e spunti che ho coltivato negli ultimi quindici anni.

Sono una formichina operosa, come mi piace definirmi: nel tempo ho messo da parte trattati, appunti, articoli che ho scovato o che mi sono stati segnalati, e ho annotato idee e conversazioni avute con amici e colleghi. Tutto questo materiale è rimasto lì, in attesa di essere trasformato. La verità è che scrivere è stato per me l’unico modo per affrontare un brutto periodo lavorativo, e in un certo senso è stata una forma di terapia.

Questi libri erano, come si suol dire, nel cassetto della mia mente da tempo. L’AI ha contribuito a rendere il processo più efficiente, ma il cuore di ogni pagina, le idee, i concetti, le intuizioni, viene da anni di studio, di esperienze personali e di dialogo con il mondo che mi circonda. Probabilmente ne scriverò altri, perché ho capito che scrivere non è solo un lavoro per me, ma un bisogno profondo di esprimere e condividere ciò che ho imparato.

Betapress: Questa combinazione tra tradizione personale e innovazione tecnologica è davvero affascinante. I suoi libri riflettono una sensibilità che non può essere sostituita dalla macchina, ma è bello vedere come l’intelligenza artificiale possa diventare uno strumento a supporto della creatività umana.

Corrado Faletti: Esattamente. La tecnologia è uno strumento, e come ogni strumento dipende dall’uso che se ne fa. Credo fermamente che l’essenza della scrittura – e dell’educazione, se vogliamo collegarci al nostro discorso precedente – sia umana. È il risultato di emozioni, di storie vissute, di riflessioni maturate nel tempo. L’AI può aiutare a organizzare tutto questo, ma non può sostituire la scintilla creativa che nasce dalla vita e dalle esperienze.

Betapress: Un messaggio finale per i nostri lettori?

Corrado Faletti: Vorrei ricordare che l’educazione non è un compito esclusivo della scuola, ma una responsabilità condivisa tra famiglie, comunità e istituzioni. Tornare a un modello educativo che formi persone complete non è un’utopia: è una necessità. Come diceva Seneca, “Non è mai troppo tardi per cercare un mondo migliore.” E quel mondo migliore inizia dalla formazione delle nuove generazioni.

 

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