Caro lettore la critica è attività giornalistica.

Rispondo ad un nostro caro lettore che mi segnala che a volte la critica a questo paese è immotivata.

Mi dica Lei caro lettore se questo paese è scevro da possibilità di critica, che in realtà non andrebbe diretta a questo paese, ma a chi lo governa.

Mi trovo a scrivere queste righe con un misto di amarezza e amore profondo per la nostra amata Italia, una terra che, nonostante tutto, continuo a sentire nel cuore come una parte fondamentale della mia stessa essenza.

È impossibile non notare il degrado morale e politico che ha pervaso la nostra nazione negli ultimi decenni.

La corruzione dilagante, la perdita dei valori tradizionali, l’indebolimento delle istituzioni e la crescente disuguaglianza sociale sono tutte piaghe che minano la grandezza di questo paese che, un tempo, era faro di civiltà e cultura per il mondo intero.

La gloriosa storia della nostra patria sembra essere dimenticata, sepolta sotto un cumulo di decadenza e superficialità.

Non posso nascondere il mio disprezzo per ciò che l’Italia è diventata.

Mi rattrista vedere come il nostro spirito nazionale sia stato eroso da una globalizzazione sfrenata e da un relativismo morale che tutto abbraccia e nulla valorizza.

Siamo diventati una nazione che sembra aver perso il senso di sé, incapace di riconoscere la propria identità e i propri meriti.

Eppure, nonostante tutto, amo profondamente questo paese.

Amo l’Italia non solo per la sua storia gloriosa, ma per ciò che essa rappresenta nella sua essenza più pura.

Le nostre nobili tradizioni, la nostra cultura millenaria, la nostra arte sublime, la nostra lingua melodiosa, sono tutte testimonianze di una grandezza che non può essere cancellata da nessuna crisi contemporanea.

Amo l’Italia dei grandi pensatori, dei poeti, dei musicisti, degli artisti che hanno plasmato il volto della cultura mondiale.

Amo l’Italia dei patrioti, di coloro che hanno combattuto e sacrificato la propria vita per un ideale di libertà e unità.

Amo l’Italia delle persone comuni, dei contadini, degli artigiani, dei lavoratori che, con il loro impegno quotidiano, hanno costruito e continuano a costruire le fondamenta della nostra società.

Critico l’Italia dei maneggioni, dei raccomandati, dei politici incapaci, delle istituzioni insulse ed inutili.

Credo fermamente che, nonostante le difficoltà attuali, l’Italia abbia in sé la capacità di risollevarsi.

Le nostre radici sono profonde e solide; la nostra cultura è un patrimonio che nessuna crisi può davvero distruggere.

Dobbiamo riscoprire i valori che ci hanno resi grandi, rispolverare l’orgoglio di essere italiani e lavorare insieme per costruire un futuro che sia all’altezza del nostro glorioso passato.

Il mio amore per l’Italia è una fiamma che non si spegnerà mai, alimentata dalla speranza che un giorno, non lontano, potremo vedere una rinascita della nostra grande nazione.

Fino a quel momento, continuerò a lottare, a criticare, a sperare e ad amare questo paese con tutto me stesso.

E le aggiungo, amato lettore, che la critica, quando diviene strumento per il miglioramento, è sicuramente Attività giornalistica con la A maiuscola.

 

se ha due lire da splendere compri pure il mio ultimo libro potrebbe essere un aiuto a capire come mai siamo giunti qui.

 

 

 

Il vero partito deve essere l’Italia

 




“Una famiglia di stelle”

“Ballando, cantando e sfilando con le stelle”

In “Suor Soubrette”, la mia autobiografia, racconto di come sia riuscita, nonostante e grazie agli impedimenti di varia natura, a realizzarmi nelle mie sacrosante aspirazioni.

Ad alcune di queste ho dovuto rinunciare perché meno “urgenti”, ma non per questo meno importanti. E comunque, finché c’è vita, c’è speranza. 

Il mio messaggio ai ragazzi di ogni età è “Fregatene e risplendi!”: un incoraggiamento ad affrontare e vincere le sfide che la vita ci offre – sotto forma di pareri non richiesti, per quanto autorevoli, tutt’altro che costruttivi – sul non sempre facile sentiero dell’auto realizzazione. 

“Campioni si nasce o si diventa? O tutte e due?”

 In che misura l’ambiente familiare è determinante, affinché un figlio possa realizzarsi pienamente nelle proprie aspirazioni? Esiste un’isola felice, una famiglia ideale, naturalmente imperfetta, dove si respiri un clima di rispetto reciproco e i figli vengano educati all’amore per l’Arte e la Bellezza? 

Per rispondere a questa e ad altre domande ho raggiunto Pinuccia Matta e Raffaello Lucchese, titolari di una prestigiosa realtà dell’antiquariato luxury giunta ormai alla quarta generazione e soprattutto genitori di due splendidi virgulti di diciotto e tredici anni rispettivamente: Simone ed Eleonora. 

 “Un vivaio di stelle”

Al loro arrivo sul pianeta, i due fratellini hanno trovato ad accoglierli il clima ideale per poter fiorire in accordo con la loro natura. Mamma e papà, infatti, li hanno sempre lasciati liberi di seguire le loro inclinazioni e, si sa, un fiume scorre sempre in direzione della propria foce. Così, giorno dopo giorno, i due ragazzi lavorano in vista della realizzazione dei loro sogni, desideri e aspirazioni. 

La famiglia Matta Lucchese, a quanto pare, ha adottato un approccio educativo dal quale prendere ispirazione, come genitori, per educare i propri figli alla consapevolezza del loro intrinseco valore. Raggiungo quindi la mamma e i ragazzi per un’intervista che ha per tema il “come” incoraggiare giovani visionari a fregarsene delle nubi grigie – leggi: critiche non costruttive, profezie non felici, opinioni non richieste all’insegna di un’incredula prudenza –  e a risplendere come stelle, costi quello che costi.

“Intervista a mamma Pinuccia”

J: “Pinuccia, come siete riusciti a riconoscere i doni e i talenti dei vostri ragazzi?” 

P: “Per quanto riguarda nostro figlio Simone l’abbiamo capito subito: aveva solo sei mesi quando durante i nostri viaggi in auto, nel suo seggiolino, si muoveva a ritmo di musica per tutto il tempo. Era così divertente guardarlo. Mio marito e io ci dicevamo che sarebbe diventato un ballerino. Stupendo! Eleonora invece cantava con la sua vocina sottile, da usignolo. E poi, si muoveva con una tale grazia… Poi, a cinque anni, Simone ci fece capire in modo inequivocabile che il ballo avrebbe avuto il primo posto nella sua vita. La sua trasmissione preferita era ‘Ballando con le stelle’. Caso vuole che Alessandra Mason e Dima Pakhomov, entrambi formatori degli ospiti del programma, avessero aperto la loro scuola a Chivasso, a due passi da noi. Portammo nostro figlio a incontrarli e da lì, sarebbe cominciato tutto. Comunque, è una gioia per noi genitori scoprire e assecondare i talenti dei nostri figli!”

J: “La danza e il canto sono talenti già presenti nella vostra famiglia, o prerogativa dei vostri ragazzi?”

P: “Credo abbiano preso da me. Avevo doti canore ed ero brava anche nella danza. E poi, nella mia famiglia c’è chi suona la tromba, chi la chitarra, chi la fisarmonica: insomma, la vena musicale è sempre stata presente. Ora che ci penso, anche la mia nonna amava danzare. Decisamente, i miei figli hanno preso dalla mamma.” 

J: “Simone ed Eleonora hanno entrambi intrapreso carriere nel mondo dello spettacolo. Simone come ballerino, Eleonora come cantante e indossatrice. Come vi sentite rispetto alla scelta dei vostri figli di non seguire le vostre orme?”

P: “Crediamo che la felicità sia nell’essere se stessi e amare ciò che si fa a prescindere da quello che un genitore  fa. Devono scegliere liberamente.”

J: “C’è qualcosa a cui avete dovuto rinunciare, per amore del successo dei vostri figli?”

P: “Certo, ci sono sacrifici da fare, ma si fanno insieme e se si fanno, comunque, è sempre per amore.”

J: “Come vi ponete rispetto alla concreta possibilità che debbano viaggiare e magari, un giorno, trasferirsi altrove, per potersi realizzare appieno nelle rispettive professioni?”

P: “Ne saremmo ben felici. Magari li seguiamo.”

J: “Il mondo dello spettacolo è tutt’altro che semplice. La concorrenza è molta e a volte, il talento da solo non basta. Sono necessarie preparazione e perseveranza, per essere pronti a cogliere l’Occasione buona. Quali sono, a vostro parere, le sfide che i vostri ragazzi dovranno affrontare?”

P: “Le sfide nella vita ci sono sempre, in ogni ambiente lavorativo. L’importante è che i nostri  figli imparino a riconoscerle e ad affrontarle.”

J: “Eleonora, a soli tredici anni, sta ottenendo attenzione e riconoscimenti bellissimi…”

P: “Eleonora ha ricevuto dei premi prestigiosi, uno dei quali dal Maestro Meozzi – già mentore di Andrea Bocelli – che l’ha notata a Sanremo durante il talent. Anche il Maestro Vincenzo Capasso, autore di canzoni per Mina, l’ha premiata con un brano scritto appositamente per lei, che uscirà a breve. Comunque, ha già pubblicato il suo primo inedito, scritto da Alex De Vito e Claudio David.”

J: “Quale consiglio dareste, tu e tuo marito, ai genitori che desiderassero riconoscere, valorizzare e assecondare i talenti dei loro figli, accompagnandoli a trasformare le loro passioni in carriere vere e proprie?”

P: “Direi loro: ‘Assecondate le passioni dei vostri figli, date loro sempre forza e coraggio; fate loro capire che con la fede si vola in alto.'”

 

“Un usignolo in passerella”

Raggiungo quindi Eleonora, che sta facendo le sue prove di portamento davanti allo specchio. Ha indossato un vestito della sua mamma e ora sta sfilando come se indossasse una corona regale. 

Prima di intervistarla, vi racconto un po’ della sua storia. Breve, vista la sua tenera età.

Ad appena dodici anni, interpretando “Le tasche piene di sassi” di Giorgia, Eleonora si è aggiudicata due prestigiose vittorie: la Finalissima del Talent Vision 2024, Speciale Sanremo, del Patron Domenico Trotta e il Premio Battiato Sezione Junior, del Patron Daniele Morelli. 

In vetta alle classifiche degli eventi collaterali al Festival della Canzone Italiana a Sanremo, Eleonora ha ricevuto, come già anticipatoci dalla mamma, attestazioni di stima e incoraggiamento da illustri personaggi della musica leggera italiana.

Nel frattempo sfila, sicura di sé, sulle passerelle, confermandosi promessa non solo della musica, ma anche della moda italiana.

“Intervista ad Eleonora”

J: “Eleonora, come ci si sente ad aver vinto tanti premi e riconoscimenti a soli tredici anni?”

E: “Mi sento molto orgogliosa di me stessa e ovviamente molto felice.” 

J: “Indossatrice e cantante. Sono due carriere bellissime! Erano questi i tuoi sogni da bambina? O ne hai altri da realizzare?”

E: “Fin da bambina mi è sempre piaciuto cantare e sfilare, indossando i vestiti di mamma. Quando canto e sfilo, mi sento bene con me stessa. Oltre a questo amo recitare e quindi, vorrei fare anche l’attrice.” 

J: “Quale delle due passioni hai scoperto per prima? La canzone o la moda?”

E: “Fin da quando avevo quattro anni amavo sfilare, poi è venuto il canto. All’inizio, riguardando i video che giravo, non mi sembravo molto portata. Poi però, col tempo, sono migliorata sempre di più. Infine si è aggiunta la recitazione.” 

J: “Capita a volte di seguire le orme del nostro personaggio famoso preferito. Nell’ambito della canzone italiana, chi è l’artista che ti piace di più, al punto da ispirarti a intraprendere la stessa carriera?”

E: “Non ho personaggi preferiti in assoluto. Mi piacciono e mi ispirano Giorgia e Mina. Delle cantanti più recenti scelgo invece Annalisa, Elodie e Gaia. Mi piacerebbe diventare come la Carrà. So che è difficile, perché è un mito.” 

J: “Qual è il tuo messaggio per le ragazze della tua età che vogliano realizzare il sogno della loro vita?” 

E: “Non mollare mai e non avere paura degli ostacoli. A volte si cade nella vita, ma è proprio questo a insegnarci a rialzarci più forti di prima, così da poterli superare.” 

J: “… E un consiglio che daresti loro?”

E: “Di non dare retta a chiunque cerchi di scoraggiarli dicendo che non ce la possono fare. Anzi. Di considerare questi ‘attacchi’ come spinte per fare ancora di più e raggiungere i loro traguardi.”

“Galeotto fu Ballando con le stelle” 

Come già anticipato Simone, che ha appena raggiunto la maggiore età, è campione di danza sportiva assieme all’inseparabile partner Isabel Rossotto. La coppia ha trionfato ai Campionati mondiali che si sono tenuti a Malmedy, in Belgio, a novembre dello scorso anno, laureandosi vicecampione mondiale di danza latinoamericana nella categoria “Latin Youth”. Un plauso è dovuto ai maestri che li hanno accompagnati a conseguire la prestigiosa vittoria: i già citati Alessandra Mason e Dima Pakhomov, reduci entrambi dall’esperienza televisiva “Ballando con le stelle”.

“Intervista a Simone”

J: “Ad appena diciotto anni, sei vicecampione del mondo di danza sportiva. Com’è cambiata la tua vita, se è cambiata, dopo la conquista di un premio così ambito?”  

S: “Nella mia vita non è avvenuto un grandissimo cambiamento. Più che altro, successo dopo successo, gara dopo gara, piano piano ho sempre ottenuto risultati migliori. In tredici anni di ballo, gli sforzi e i sacrifici fatti mi hanno permesso di ottenere questo bellissimo risultato.” 

J: “Com’è iniziato il tuo amore per la danza?”

S: “Il mio amore per la danza è iniziato all’età di cinque anni. La mia famiglia era solita guardare il programma televisivo ‘Ballando con le stelle’. A me piaceva tantissimo! Fortuna vuole che due insegnanti di ‘Ballando con le stelle’ abbiano aperto una scuola di ballo vicino a casa mia. Hanno quindi fatto un’esibizione a Verolengo, dove abitiamo, e siamo andati a vederli. Il giorno stesso abbiamo chiesto informazioni per poter iniziare.” 

J: “Quali sfide hai dovuto affrontare e quali sacrifici hai dovuto fare, per arrivare a essere vicecampione mondiale di danza sportiva latinoamericana?”

S: “Il mio sacrificio è stato non arrendermi mai. Rinunciare, a volte, a partire per le vacanze… Allenarmi tutti i giorni con un unico pensiero: raggiungere il risultato.” 

J: “A cosa hai dovuto rinunciare, rispetto ai tuoi compagni di classe?”

S: “Un ragazzo che non abbia intrapreso una carriera agonistica o comunque sportiva avrà sicuramente più tempo libero nel pomeriggio. Non solo, secondo me una persona che non ha intrapreso una carriera del genere può essere meno organizzata. Io per gestire quello che faccio devo farmi un piano, organizzare le mie giornate in modo da conciliare gli allenamenti con lo studio… Sento comunque di non aver perso nulla. Anzi. Mi sento fortunato, in quello che ho fatto.  Sarei forse uscito qualche volta in più con i miei amici, ma non cambierei le mie scelte.” 

J: “Di tutte le discipline in cui eccelli, qual è quella che ti appassiona di più? Jive, Samba, Cha cha cha…?”

S: “Il mio preferito è il cha cha cha. Di questo ballo mi piace il ritmo, e poi è allegro.”

J: “Tu e Isabel siete una coppia affiatatissima. Come vi siete conosciuti e com’è nata l’idea di danzare insieme?”

S: “Il primo anno ballavo con un’altra ballerina, con cui ho fatto una competizione. Poi, nella mia scuola di ballo, è arrivata Isabel. I miei maestri hanno subito notato la sua bravura e ci hanno proposto di fare una prova. Ci siamo trovati bene e abbiamo subito avuto successo. Dopo meno di un anno abbiamo vinto i campionati italiani insieme. Abbiamo continuato e balliamo insieme ormai da dodici anni.” 

J: “Recentemente hai vissuto una bella avventura newyorchese. Ce ne vuoi parlare?” 

S: “Fuori dall’ambito del ballo ho avuto la fortuna di accedere a un bando scolastico: una simulazione diplomatica per studenti universitari alla quale ho potuto accedere nonostante io sia  ancora uno studente liceale. Mi sono divertito tantissimo! Ho avuto modo di capire come funziona l’ambiente diplomatico e come si comporta un ambasciatore… Mi è stata data una nazione, avevo un compagno di delegazione che ho conosciuto lì, un ragazzo fiorentino molto simpatico.  Insieme abbiamo fatto amicizia anche con altri ragazzi italiani, americani e di altre nazionalità. Sono certo che saremo amici per lungo tempo.”

J: “Cos’è per te il successo?” 

S: “Per me è qualcosa di soggettivo. Può essere il raggiungimento di un obiettivo giornaliero, come ad esempio riuscire a fare qualcosa che non si riusciva a fare… O di un obiettivo il cui raggiungimento richiede più tempo… Il risultato di una gara di ballo, nel mio caso, o il successo con una ragazza, un buon voto a scuola. Dipende da tanti fattori. Secondo me, il successo può essere raggiunto da chiunque, in ogni momento.” 

J: “Che consiglio daresti ai ragazzi che, come te, abbiano un sogno da realizzare?” 

S: “Il consiglio che posso dare è di credere in se stessi, non arrendersi mai, e soprattutto non farsi influenzare dagli altri. Ciò che più mi ha dato forza è proprio il credere in me stesso. Più credi in te stesso, più riesci a ‘vedere’ il raggiungimento del tuo Obiettivo.” 

Morale…

Per concludere, lascerei la parola finale alla mamma delle due stelle.

“Crescere i figli non è facile. Penso che sia il mestiere più difficile del mondo.” Ammette Pinuccia. E prosegue: “Vederli esprimersi in questo modo, è bello. Ti fa sentire contenta di ciò che hai fatto finora, anche se con tanti sacrifici, che sono stati comunque ripagati con la loro dolcezza, il loro affetto, la loro tenacia, il loro modo di affrontare la vita.”

 

 




L’arte di conquistare la pace

Si è svolto Venerdì 7 giugno il convegno Arte e Pace fortemente voluto, pensato, ideato e realizzato dalla Dottoressa Anna Maria Brazzò, nota per i suoi eventi presentati nei prestigiosi palazzi romani delle Istituzioni o in quelli di alto significato storico, messi a disposizione dai loro rispettivi proprietari privati.

L’evento Arte e Pace vuole suggerire un percorso per la pace, assai carente in questi tempi dove le guerre sembrano imperversare e volersi espandere.

Per realizzare ciò, l’ideatrice non poteva trovare migliore luogo se non all’interno di quello che risulta essere il palazzo più rappresentativo delle Istituzioni della Repubblica Italiana, Palazzo Montecitorio, sede del Governo Italiano, e precisamente nella Sala Regina.

Questa risulta essere la più grande sala di rappresentanza dell’ala novecentesca del palazzo, posta in corrispondenza del Transatlantico ed attigua alle tribune dell’aula che affacciano sul banco della Presidenza.

Sala che in un unico ambiente offre ornamenti caratteristici dell’architettura d’interni di Ernesto Basile, Architetto Palermitano esponente del modernismo internazionale e del Liberty, impreziosita da splendidi arazzi di scuola fiorentina.

Il messaggio che la eccentrica personalità della Brazzò ha inteso dare con il Suo convegno “Arte e Pace” lo si evince proprio nella comunione delle due parole.

L’Arte, è la capacità di agire e di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere una attività umana. (fonte Treccani)

La Pace, è la condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi ecc. sia all’esterno con altri popoli, altri stati, altri gruppi. (fonte Treccani)

E’ un’Arte, cui bisogna riconoscerne il merito alla Dottoressa Brazzò, quello di essere riuscita a portare in una sala così prestigiosa e dal peso Istituzionale così elevato, personaggi di quei mondi divisi tra loro da fattori politici, religiosi, ideologici, ma accomunati dal desiderio di pace, che non sia il soverchiare da una parte o dall’altra ma la sintesi di accordi condivisi, unico vero trattato per garantire la pace.

Così diventa un momento di elevata sacralità, la stretta di mano tra Monsignor Jean-Marie Gervais, Presidente della associazione “Tota Pulchra”, ed il Monaco Buddista, esponente della comunità buddista Italiana.

Entrambi, il Monsignore ed il Monaco Buddista, hanno ricevuto l’Oscar della Pace, creato dal Maestro scultore ed artista Amedeo Ferrari.

Maestro che nel 1987 ha consegnato personalmente al Presidente degli USA Ronald Reagan “La Gioconda in bronzo a tutto tondo”, durante la in Italia a Roma insieme alla sua seconda moglie Nancy Davis.

Scultura creata nel 1986 ed oggi custodita al Museo della Casabianca, consegnata con la motivazione del buon auspicio all’abbattimento del numero degli euromissili.

Un’altra copia della scultura è esposta al Museo Leonardo da Vinci a Roma.

Molte altre le personalità che hanno ricevuto “l’Oscar della Pace” tra cui Amedeo Jaafar Abdulwahid, funzionario affari ambasciata Irakena.

La presenza in sala di qualche esponente della comunità ebraica, riconoscibile perché indossava il Kippah, non può che indurci a riflettere sul significato altamente costruttivo di questo prestigioso evento volto al raggiungimento della pace, attraverso l’operosità dell’arte.

Un percorso che è stato accompagnato da vari intermezzi musicali, col l’esecuzione di arie d’Opera eseguite dalle Soprano Internazionali, Ana Lushi ed Ombretta Santoro, che hanno allietato i numerosi intervenuti in sala.

Segnali tangibili che vengono esplicati, nel pomeriggio di un venerdì che precede una importantissima tornata elettorale dove è coinvolto l’intero popolo Italiano ed Europeo.

Segnali in cui, pur se assenti per la chiusura della campagna elettorale, gli abituali frequentatori di questo importante Palazzo Montecitorio e legittimamente eletti dal popolo Italiano, potrebbero e dovrebbero tener conto per una fattiva costruzione di quella pace che tutti indistintamente agognano.

Segnali di pace per costruire la pace.

Ettore Lembo




Caro Direttore,

 

Le scrivo per spiegare per punti le ragioni profonde che mi hanno portato a non esercitare il mio diritto di voto alle recenti elezioni.

Come intellettuale di destra, questa scelta può apparire controintuitiva o addirittura incoerente, ma credo fermamente che sia necessaria una riflessione critica su ciò che sta accadendo nel nostro panorama politico.

Disillusione e Tradimento degli Ideali

Negli ultimi anni, ho osservato con crescente preoccupazione il tradimento degli ideali fondanti della destra italiana.

Il conservatorismo, che dovrebbe essere radicato nei valori di tradizione, ordine e responsabilità, è stato progressivamente svuotato e trasformato in un mero strumento di potere.

I partiti che si professano di destra hanno spesso abbandonato la difesa dei principi morali e culturali in favore di strategie populiste e demagogiche che cercano solo il consenso immediato.

Mancanza di Visione e Leadership

Un’altra ragione che mi ha portato a non votare è la palese mancanza di una visione chiara e di una leadership forte.

I leader attuali sembrano più interessati a mantenere il loro status che a promuovere un progetto politico coerente e lungimirante.

L’incapacità di proporre soluzioni concrete ai problemi reali del Paese – come la sicurezza, l’immigrazione, l’economia stagnante e il declino culturale – ha fatto sì che molti elettori, me compreso, si sentano abbandonati e privi di rappresentanza.

Populismo e Semplificazioni Pericolose

La deriva populista è un altro elemento che mi ha fortemente scoraggiato.

La politica ridotta a slogan e la continua ricerca di capri espiatori non solo sono inefficaci, ma minano anche la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni.

La destra, per essere credibile, dovrebbe invece promuovere un dibattito serio e approfondito, basato su dati e analisi, e non alimentare divisioni e paure irrazionali.

Corruzione e Interesse Personale

Gli scandali di corruzione e l’uso disinvolto del potere a fini personali hanno ulteriormente eroso la mia fiducia nei confronti della classe politica.

La mancanza di etica e di responsabilità, elementi che dovrebbero essere al centro dell’agire politico, sono diventati ormai la norma. Questo comportamento non solo tradisce gli elettori, ma danneggia anche l’immagine della destra e della politica in generale.

Un Richiamo alla Rifondazione

La mia scelta di non votare è un segnale di protesta e un richiamo alla rifondazione.

Credo fermamente che sia necessaria una profonda riforma interna dei movimenti di destra, che recuperi i valori autentici e li traduca in un progetto politico serio e sostenibile.

Solo attraverso un rinnovamento radicale sarà possibile riconquistare la fiducia dei cittadini e costruire una destra forte e credibile, capace di affrontare le sfide del nostro tempo.

In conclusione, non si tratta di apatia o indifferenza, ma di una scelta consapevole e dolorosa.

Mi auguro che questo gesto possa contribuire a un dibattito costruttivo e a una presa di coscienza all’interno della nostra area politica.

Solo così potremo sperare in un futuro migliore per il nostro Paese.

Con stima,

B.M.




EUROPEE: Ultimo giorno di campagna elettorale, prima del silenzio….

 

Ma gli Italiani? Più dubbiosi di prima, più perplessi e disorientati.

 

Di campagne elettorali definite “insignificanti”, secondo tanti lettori che ci contattano e dalle informazioni rilevate sui social, da tenere in considerazione pur se con le dovute cautele, sembra ne siano trascorse tante, specialmente negli ultimi anni.

Quest’ultima tornata elettorale, che terminerà alle 23 del 9 Giugno, non solo sembra non sottrarsi all’idea che gli Italiani si sono fatti nel tempo, ma addirittura sembra abbia aumentato il senso di diffidenza, non appartenenza e sfiducia che mai è stato toccato.

La dimostrazione più tangibile la si potrà probabilmente registrare con la crescente diminuzione di partecipazione al voto, astensionismo, fenomeno fortemente in crescita nelle precedenti tornate e che sembra essere sempre più inarrestabile.

Fenomeno che tuttavia appare essere assai gradito a tutti i partiti, sia che abbiano governato, sia che sono in essere, sia che siano in opposizione, ma che probabilmente sembrano avere tutti gli interessi a mantenere lo status quo o a ridistribuirsi, ma solo al loro interno, le varie posizioni.

Quasi a dimostrare che una bassa affluenza di votanti, a qualunque titolo, garantisca loro la tranquillità di mantenere le posizioni dominanti, potendo contare anche su quelle che vengono definite, chissà fino a che punto impropriamente, “le truppe cammellate” che assicurano loro il voto di continuità, e che è impossibile fermare.

Chiedersi tuttavia, anche alla vigilia del voto, perché si vota e chi votare, diventa quantomeno legittimo, se desidera realmente avere una consapevolezza ed una responsabilità civica

Così, per queste elezioni europee, tutti i partiti decantano volontà di: più Europa, dell’Europa che vogliamo, che cambieranno l’Europa, che l’Italia cambierà l’Europa, l’Italia che conta in Europa, e chi più ne ha più ne metta.

A supporto, alleghiamo il video che ne riassume tanti, e prodotto da AskaNews, nota agenzia di stampa Italiana.

Gli slogan dei partiti per le elezioni europee

Ma per fare cosa?

Ci induce ancora a riflettere la non comune apertura dei seggi elettorali, che vede spostare dal “tradizionale” lunedì, al sabato la mezza giornata di apertura dei seggi.

Infatti i seggi elettorali apriranno al pubblico, per accogliere gli elettori alle 15 di sabato 8 giugno con chiusura alle 23, per poi riaprire la domenica 9 giugno alle 7 e chiudere, per dare avvio allo spoglio delle schede, alle 23.

Rispettato il giorno e mezzo, ma, come mai la mezza giornata di sabato e non l’usuale mezza giornata del lunedì?

Ritornando tuttavia al perché votare e chi, riteniamo interessante riproporre l’articolo pubblicato alcuni giorni or sono da BETAPRESS, dal titolo interessante:

“Il vero partito deve essere l’Italia”.

Il vero partito deve essere l’Italia

Tra le tante considerazioni ricevute, evidenziamo quella che ci ha inviato un lettore e che riportiamo così come pervenuta.

Considerazioni che esprimono il sentimento dei milioni di elettori che in questo tempo, pur desiderando informazioni nutrono dubbi e… non solo.

Considerazioni che evidenziano anche il grande impegno economico finanziario che tutti gli Italiani e gli europei devono sobbarcarsi.

“ In questa campagna elettorale per le europee non appare chiara la posizione dei partiti italiani (e non solo). Soprattutto andrebbero chiarite alcune posizioni: prima di tutto si vuole una Europa delle Nazioni con il rafforzamento dei ruoli politici delle singole nazioni o una Europa più unita sulla base di cessioni di sovranità? Ed ancora come si coniuga l’idea di un’Europa che entra a gamba tesa su questioni spesso vitali per i cittadini ed un’Europa in cui singoli Stati indeboliscono le posizioni europee rispetto a Russa Cina e USA?

L’Europa sembra frutto di un parto distocico e confuso ed ancora di più, con l’allargamento ad est che è parso più causato dal desiderio di indebolire la Russia che dall’effettiva volontà di creare un’Europa forte basata su culture, religioni, etnie comuni e condivise.

Finora i governi europei sono apparsi pallidi nelle posizioni in tema di politiche estere, di immigrazione, di sostegno alle economie, nel fronteggiare minacce pandemiche. È ora di cambiare, ma sul come vedo tanta confusione in questo voto europeo forse il più importante da quando è nata la UE.

Tra tante considerazioni, certamente soggettive, io credo che, se le richieste di essere votati fossero fatte da persone leali e responsabili, coloro che si presentano per confermare e quindi rinnovare il precedente mandato dovrebbero farlo presentando ai possibili elettori una dettagliata relazione sul lavoro da loro svolto nei precedenti 5 anni e sui risultati concretizzati…

… considerando quanto il loro incarico costi agli Italiani dovrebbe essere non solo un “dovere” ma piuttosto una “regola”.

Appare evidente che tutta questa “nebulosità”, “inconsistenza” di obiettivi, “poca chiarezza, ha reso il voto, che oltre ad essere un diritto è un dovere, privo di significato e di mordente, favorendo così l’astensionismo.

Astensionismo che fa gioco ad i piccoli partiti, che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità di ottenere qualche seggio, essendo presente la soglia di sbarramento.

Infatti, meno sono i votanti, meno sono i voti che servono per avere diritto di accesso.

Quanto mai bizzarra la propaganda di chi, forse non essendo riuscito a presentare la propria lista, anche a causa della complicata burocrazia e per l’elevato numero di firme da raccogliere, cerca di convincere gli elettori a non recarsi al voto per protesta.

Protesta di cosa? Dal momento che bastano solo i voti delle su citate “truppe cammellate” per eleggere dei rappresentanti.

In ogni caso è doveroso rispettare anche chi non vota.

Forse uno stimolo potrebbero darlo i candidati, ma anche lì, non sembra esserci molta chiarezza, se non per il fatto che molti capolista, sono messi li per far confluire voti, ben consapevoli che difficilmente lasceranno gli attuali incarichi che già hanno in Italia.

Aumentando così l’indifferenza, la sfiducia e, come logica conseguenza, l’astensione.

Sembrerebbe esserci solo un caso di candidato capolista, Vannacci Roberto, dichiaratosi indipendente e non iscritto al partito, che ha tracciato gli obiettivi precisi da raggiungere in Europa, e che sono comuni alla maggioranza degli Italiani.

Obiettivi condivisi dagli Italiani, perché desiderosi di quella normalità, sicurezza, giustizia, lavoro e quant’altro che l’Europa sembra avere messo in forte discussione.

E’ forse l’unico che ha messo anche al centro come obiettivo la pace, con grande competenza, visto il ruolo che fino ad oggi a svolto, in un momento dove la pace ha lasciato il passo alla guerra, e che potrebbe coinvolgerci tutti.

Interessante diventa così la presa di posizione del Noto Prof. Giovanni Frajese, che nella Sua piattaforma, con grande senso di responsabilità, rivede la sua posizione di astensionista, ponendo in Vannacci Roberto, la speranza di quel cambiamento, iniziando proprio dalla speranza di pace, proclamato da tanti senza tracciarne i contorni.

http://www.ettorelembonews.it/grazie-prof.-giovanni-frajese.html

Ettore Lembo




Il vero partito deve essere l’Italia

Negli ultimi cinquant’anni, la politica italiana ha visto un susseguirsi di promesse non mantenute e aspettative deluse, un ciclo che ha portato molti intellettuali di destra a una profonda disillusione.

Questa disillusione non è semplicemente una questione di insoddisfazione politica, ma un riflesso della percepita decadenza culturale e sociale del Paese.

Con l’avvicinarsi delle elezioni europee, queste frustrazioni raggiungono un nuovo apice, poiché si ripropone la speranza, ormai flebile, di un cambiamento significativo.

Le Promesse Tradite: Una Retrospettiva

Le promesse politiche in Italia sono state una costante, un rituale quasi sacro che si ripete ad ogni ciclo elettorale.

Tuttavia, queste promesse sono spesso rimaste tali, senza tradursi in realtà concrete. Analizzando i programmi dei principali partiti dagli anni ’70 ad oggi, emerge un pattern di ambiziose proposte economiche, sociali e culturali che raramente hanno trovato una realizzazione.

Negli anni ’80, ad esempio, il boom economico post-bellico iniziava a mostrare segni di cedimento.

Le promesse di una riforma strutturale del sistema produttivo, di una modernizzazione delle infrastrutture e di una maggiore equità sociale venivano ripetutamente fatte e disattese. Gli anni ’90, con Tangentopoli e la crisi della Prima Repubblica, videro emergere nuove formazioni politiche che promettevano una rottura col passato.

Ma la Seconda Repubblica non fu in grado di mantenere molte delle sue promesse di cambiamento e rinnovamento.

La Decadenza Culturale

Uno degli aspetti più preoccupanti del fallimento politico è stato il declino culturale.

L’Italia, culla del Rinascimento e patria di artisti, filosofi e scienziati, ha visto un progressivo impoverimento del suo patrimonio culturale e intellettuale.

Gli investimenti in cultura e istruzione sono diminuiti drasticamente nel corso degli anni. Secondo i dati dell’OCSE, la spesa pubblica per l’istruzione in Italia è tra le più basse d’Europa, rappresentando solo il 3.9% del PIL nel 2019, rispetto alla media europea del 4.9%.

Le università italiane, un tempo prestigiose, lottano oggi con carenze di fondi e infrastrutture obsolete. Il numero di giovani laureati che emigrano per cercare migliori opportunità all’estero è in costante aumento, con un fenomeno di “fuga dei cervelli” che depaupera ulteriormente il capitale umano del Paese.

I Dati della Decadenza

I numeri parlano chiaro.

Secondo un rapporto di Eurostat del 2022, l’Italia ha uno dei tassi di crescita economica più bassi dell’Unione Europea.

Il tasso di disoccupazione giovanile, sebbene in lieve diminuzione negli ultimi anni, rimane tra i più alti, attestandosi al 29.7% nel 2021.

La produttività del lavoro è stagnante, e il debito pubblico continua a crescere, superando il 155% del PIL nel 2021, un dato preoccupante che limita fortemente le capacità di investimento dello Stato.

La Crisi della Destra Italiana

Per un intellettuale di destra, la delusione è particolarmente acuta.

La destra italiana, storicamente legata a valori di tradizione, ordine e identità nazionale, ha faticato a trovare una coerenza interna e una leadership capace di tradurre i propri principi in politiche efficaci.

Le speranze riposte in figure come Silvio Berlusconi, che prometteva una “rivoluzione liberale”, sono state frustrate da scandali e inefficienze.

I movimenti più recenti, come la Lega, pur avendo catalizzato un notevole consenso, sono spesso accusati di populismo e mancanza di una visione strategica a lungo termine.

Le Elezioni Europee: Un Nuovo Banco di Prova

Le imminenti elezioni europee rappresentano un nuovo banco di prova.

In un contesto di crescente euroscetticismo e frammentazione politica, l’Italia si trova a dover scegliere non solo i propri rappresentanti a Bruxelles, ma anche a definire il proprio ruolo futuro all’interno dell’Unione Europea.

La speranza di molti intellettuali di destra è che queste elezioni possano finalmente segnare l’inizio di un reale cambiamento, ma la storia recente invita alla cautela.

In conclusione, la disillusione degli intellettuali di destra rispetto alla politica italiana è il risultato di decenni di promesse non mantenute e di un declino culturale che sembra inarrestabile.

Le elezioni europee offrono una nuova opportunità, ma senza un serio e profondo rinnovamento della classe politica e delle istituzioni, il rischio è che anche questa sia un’ennesima occasione persa.

Siamo quindi votati al populismo per forza?

l’uomo di destra è incompatibile con il populismo!

La crescente disillusione nei confronti della politica italiana ha spinto molti intellettuali di destra a interrogarsi su quale sia il loro ruolo e la loro posizione nel contesto attuale.

Mentre il populismo ha guadagnato terreno, offrendo risposte semplici e immediate a problemi complessi, gli intellettuali di destra trovano difficile abbracciare questa corrente per una serie di ragioni profonde e articolate.

L’Essenza del Pensiero Conservatore

Per comprendere perché un intellettuale di destra non può votarsi al populismo, è essenziale riflettere sull’essenza del pensiero conservatore.

La destra tradizionale si basa su valori di stabilità, ordine, tradizione e responsabilità.

Promuove una visione del mondo che valorizza le istituzioni consolidate, la continuità storica e il rispetto per la cultura e le tradizioni nazionali. Questo approccio contrasta nettamente con la natura spesso volatile e anti-istituzionale del populismo.

La Complessità delle Soluzioni

Gli intellettuali di destra sono consapevoli della complessità dei problemi socio-economici e culturali che affliggono l’Italia e il mondo contemporaneo.

Sanno che le soluzioni semplicistiche e immediate proposte dai populisti sono raramente efficaci e spesso dannose nel lungo periodo.

Il populismo tende a sfruttare le paure e le frustrazioni della popolazione, offrendo capri espiatori e promesse irrealizzabili.

Gli intellettuali, invece, riconoscono che i problemi complessi richiedono soluzioni ponderate, basate su analisi approfondite e politiche a lungo termine.

Il Rischio della Demagogia

Il populismo è intrinsecamente legato alla demagogia, l’arte di guadagnare consenso attraverso appelli emotivi piuttosto che razionali.

Questo approccio è in netto contrasto con l’etica dell’intellettuale, che cerca di elevare il dibattito pubblico attraverso argomentazioni basate su fatti e ragionamenti logici.

Per un intellettuale di destra, il populismo rappresenta una pericolosa deviazione dalla ricerca della verità e dell’eccellenza intellettuale, preferendo invece il successo immediato e la manipolazione delle masse.

La Difesa delle Istituzioni

Un altro aspetto fondamentale che separa gli intellettuali di destra dal populismo è il loro rispetto per le istituzioni.

La destra tradizionale vede nelle istituzioni un baluardo di stabilità e continuità, essenziali per il mantenimento dell’ordine sociale e della giustizia.

Il populismo, al contrario, spesso si posiziona in opposizione alle istituzioni, dipingendole come corrotte e inefficaci.

Questo atteggiamento distruttivo mina la fiducia nel sistema democratico e può portare a un’erosione delle fondamenta stesse dello Stato.

La Cultura e l’Identità

Per un intellettuale di destra, la cultura e l’identità nazionale sono valori inestimabili che devono essere preservati e promossi.

Il populismo, sebbene possa fare appello a sentimenti nazionalisti, lo fa in modo superficiale e strumentale.

Manca la profondità di comprensione e l’apprezzamento per la ricchezza culturale e storica che caratterizzano la destra tradizionale.

Gli intellettuali vedono il pericolo di una retorica populista che, pur invocando l’orgoglio nazionale, rischia di ridurre la cultura a slogan vuoti e a una visione distorta della realtà.

Un Chiamata all’Integrità Intellettuale

Per un intellettuale di destra, votarsi al populismo significa tradire i propri principi fondamentali.

Significa abbandonare la ricerca della verità, la complessità delle soluzioni, il rispetto per le istituzioni e la profondità culturale.

Significa, in ultima analisi, abbandonare l’integrità intellettuale in favore di un successo politico immediato ma vuoto di sostanza.

La sfida per gli intellettuali di destra è dunque quella di trovare un percorso che, pur riconoscendo le legittime frustrazioni del popolo, sappia offrire soluzioni reali e sostenibili.

Un percorso che non ceda alla tentazione della demagogia ma che, al contrario, riaffermi i valori di stabilità, responsabilità e cultura che sono al cuore del pensiero conservatore.

In un’epoca di crescente populismo, è più che mai necessario che gli intellettuali di destra riaffermino la loro voce, non come eco delle masse, ma come guida illuminata verso un futuro migliore.

Il Generale Vannacci: Un Visionario Tra Realismo e Comprensione delle Necessità del Popolo?

Nel panorama politico e sociale italiano, dominato spesso da figure populiste e discorsi semplicistici, emerge una figura che si distingue per il suo approccio ponderato e realistico: il Generale Roberto Vannacci.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Vannacci non è un populista che cerca consensi facili attraverso slogan vuoti.

Invece, egli si presenta come un leader che ha profondamente compreso le esigenze del popolo italiano, offrendo soluzioni pratiche e concrete ai problemi che affliggono la nazione.

La carriera militare del Generale Vannacci è testimone della sua dedizione e competenza.

La sua lunga esperienza nelle forze armate gli ha fornito una comprensione unica delle dinamiche sociali e delle sfide che il Paese deve affrontare.

La sua capacità di affrontare gli avversarsi sempre con calma, senza attaccarli e senza atteggiamenti ostili gli sta facendo acquisire gran consenso nel paese.

Vannacci ha servito in diverse missioni internazionali, acquisendo una visione globale e una capacità di analisi che trascende il provincialismo e il populismo tipici di molti politici contemporanei.

Le proposte di Vannacci non sono frutto di demagogia, ma di un’analisi attenta e approfondita delle reali necessità del popolo italiano.

Egli riconosce che le soluzioni ai problemi complessi richiedono un approccio pragmatico e realistico.

Ad esempio, nel campo della sicurezza, Vannacci sostiene la necessità di rafforzare le forze dell’ordine non solo in termini numerici, ma anche attraverso una migliore formazione e l’adozione di tecnologie avanzate.

Questo approccio bilancia la sicurezza nazionale con il rispetto dei diritti civili, evitando le scorciatoie autoritarie tipiche dei discorsi populisti.

Uno degli aspetti più distintivi di Vannacci è la sua empatia verso il cittadino comune.

Contrariamente ai populisti, che spesso sfruttano le paure e le frustrazioni del popolo per guadagnare consensi, Vannacci si sforza di capire le radici di queste emozioni.

La sua comunicazione è sempre rispettosa e mirata a trovare soluzioni condivise.

Vannacci vede nella cultura un elemento essenziale per il rilancio del Paese, sostenendo politiche che incentivino l’istruzione e la diffusione del patrimonio culturale italiano, sia a livello nazionale che internazionale.

In definitiva, il Generale Vannacci rappresenta una figura che, pur rasentando i toni e i metodi del populismo, ha saputo cogliere le necessità del popolo.

Non mi ritengo ne un sostenitore ne un detrattore del Generale, ma gli riconosco l’acume politico di aver saputo identificare una figura che ha colmato un vuoto comunicativo nel paese.

Ha profondamente capito che il politicamente corretto è la più grande bufala storica, come peraltro da noi più volte sostenuto non da ultimo qui https://betapress.it/politicallllllly-corrrrrect-che-freno-al-confronto/ , e che il paese ed i suoi cittadini hanno bisogno di sentire chi parla come loro, per loro e con loro.

Pochi altri hanno in precedenza azzeccato questo stile, e bravo Generale, e stolti tutti quelli che lo accusano superficialmente e senza affrontarlo in profondità: le accuse di razzismo e di fascismo, nonché di omofobia, gli fanno solo guadagnare altri punti.

Attaccare oggi il generale Vannacci che parla il linguaggio del popolo solo perché usa un linguaggio vicino al popolo è un poco come accusare il popolo stesso, ed il popolo su queste cose non perdona.

Il mio Dissenso: Un Grido Contro l’Impoverimento Generale del Paese

Nel contesto politico italiano attuale, mi trovo, specie come giornalista, in una posizione di profonda disillusione e frustrazione.

La delusione non deriva solo dalle promesse non mantenute e dalle aspettative disattese, ma anche dalla sensazione di essere perseguitato e isolato dagli stessi alleati politici.

Questo sentimento di alienazione mi spinge quindi ad esprimere un dissenso sempre più marcato contro l’impoverimento generale del Paese, un impoverimento che si manifesta non solo a livello economico, ma anche culturale e sociale.

La Disillusione con il Partito

Per me, ma come per ogni intellettuale di destra, la lealtà al proprio partito è stata tradizionalmente una questione di principio e di coerenza con i valori e le idee che quel partito rappresenta.

Tuttavia, negli ultimi anni, molti hanno assistito con sgomento a un declino della qualità e della serietà delle politiche adottate.

Le speranze riposte in un cambiamento positivo sono state spesso disattese, con promesse elettorali che si sono rivelate vuote e progetti di riforma che sono rimasti lettera morta.

Questa disillusione è aggravata dalla percezione di essere traditi dagli stessi alleati.

Invece di trovare supporto e solidarietà, molti, me compreso, si sentono perseguitati e marginalizzati da coloro che dovrebbero essere i loro naturali compagni di battaglia.

Questo isolamento non è solo politico, ma, soprattutto per me in questo momento, spesso anche personale e professionale, rendendo ancora più acuto il senso di frustrazione.

Il Grido di Dissenso

Di fronte a questa situazione, non posso far altro che esprimere un profondo dissenso.

Questo dissenso non è un semplice sfogo di rabbia, ma un grido di allarme contro l’impoverimento generale del Paese.

L’Italia, una volta faro di cultura e innovazione, sta vivendo un declino che sembra inarrestabile.

L’Impoverimento Economico

L’economia italiana, stagnante da decenni, è uno dei principali fattori di preoccupazione.

La disoccupazione, soprattutto giovanile, rimane elevata, e le opportunità di lavoro qualificato sono sempre più rare.

Le politiche economiche adottate negli ultimi anni non sono riuscite a stimolare una crescita sostenibile e a lungo termine, e il debito pubblico continua a crescere, limitando le capacità di investimento del Paese.

Vedo con preoccupazione l’assenza di strategie economiche solide e lungimiranti, l’eccessivo utilizzo dei fondi PNRR senza una doverosa ossatura che ne ripaghi i costi.

La mancanza di investimenti in settori chiave come l’innovazione, la ricerca e le infrastrutture sta contribuendo a un impoverimento strutturale che mette a rischio il futuro del Paese.

L’Impoverimento Culturale

L’impoverimento non è solo economico.

La cultura italiana, un tempo orgoglio nazionale, sta vivendo una crisi profonda.

I tagli ai finanziamenti per l’istruzione e la cultura hanno portato a un degrado delle istituzioni culturali e a un impoverimento dell’offerta educativa.

Le università e le scuole, che dovrebbero essere il fulcro della formazione delle nuove generazioni, soffrono di carenze strutturali e finanziarie che compromettono la qualità dell’insegnamento e della ricerca.

Questo declino culturale è aggravato dalla mancanza di visione e di politiche efficaci da parte del governo.

Vedo con allarme la diffusione di una cultura di mediocrità e di conformismo, che soffoca il talento e l’innovazione.

La fuga dei cervelli, con molti giovani laureati che emigrano per cercare migliori opportunità all’estero, è un sintomo drammatico di questo impoverimento.

L’Impoverimento Sociale

Infine, l’impoverimento sociale è forse l’aspetto più doloroso per me.

L’Italia è sempre stata un paese con forti legami comunitari e una ricca vita sociale.

Tuttavia, le politiche divisive e la crescente polarizzazione stanno erodendo il tessuto sociale del Paese.

La coesione sociale, un tempo punto di forza, è minata da crescenti disuguaglianze e da un senso di insicurezza e di incertezza per il futuro.

Un Appello alla Rinascita

In questo contesto, mi sento il dovere di alzare la voce e denunciare la situazione.

Il mio dissenso è un atto di amore verso il Paese ed un appello alla rinascita.

È un richiamo a ritrovare i valori fondamentali che hanno reso grande l’Italia e a lavorare insieme per costruire un futuro migliore.

Non voglio assolutamente arrendermi alla disillusione, ma cerco di trasformarla in un’energia creativa e costruttiva.

Cerco di promuovere un dibattito pubblico serio e informato, basato su fatti e argomentazioni, e di coinvolgere tutti i cittadini in un progetto comune di rinascita.

Solo attraverso un impegno collettivo e una visione condivisa sarà possibile invertire la rotta e risollevare il Paese dall’impoverimento economico, culturale e sociale che lo affligge.

A queste elezioni speriamo, anche se sono europee, di iniziare a votare per l’Italia.

 

 




“Periferie Elettroniche: La gestione di un centro elettronico diffuso”

 

Betapress.it: Buongiorno Prof. Faletti, è un onore averla ancora con noi. Il suo libro “Periferie Elettroniche: La gestione di un centro elettronico diffuso” sta suscitando un grande interesse. Qual è stata l’ispirazione che l’ha portata a scrivere questo libro?

Prof. Corrado Faletti: Buongiorno e grazie a voi per l’invito. L’ispirazione per questo libro è nata dalla mia esperienza pluriennale nel campo della gestione dei centri elettronici distribuiti. Ho notato che, nonostante l’importanza crescente di questi sistemi nella nostra società, mancava un testo che li trattasse in maniera esaustiva e accessibile. Volevo creare un’opera che non fosse solo un manuale tecnico, ma anche una guida pratica che potesse essere utilizzata sia da professionisti del settore che da studenti e appassionati, una specie di bigino per tutti.

 

Betapress.it: in questi ultimi mesi ben tre libri in uscita, “la teoria del Ponte Empatico”, “50 sfumature di Autismo” ed infine questo, un vero successo, come ha fatto?

Prof. Corrado Faletti: intanto ho cercato di terminare lavori che avevo iniziato negli anni precedenti. Poi ammetto che in questo periodo ho avuto qualche problema di salute che mi ha costretto ad un riposo forzato, regalandomi però del tempo per chiudere appunto questi libri iniziati anni or sono.

Betapress.it: sperando il meglio per la sua salute, questi problemi sono legati a tematiche lavorative, cosa pensa del mondo del lavoro oggi?

Prof. Corrado Faletti: si in effetti, ma ormai sono dell’idea che chi non mi ama non mi merita. Ho subito troppi soprusi sul lavoro per non rendermi conto delle problematiche che oggi, soprattutto nella pubblica amministrazione, sono presenti in maniera eccessiva. Incapacità gestionale, poteri mal gestiti, persone non competenti in molti posti direttivi, autoreferenzialità, troppe interferenze politiche, tra le tante anche queste evidenze non permettono a questo paese di decollare. E’ inutile che ci ergiamo a paese difensore dei diritti se poi siamo i primi a non rispettarli, ed ancora sul fenomeno del mobbing sul lavoro non siamo in grado di intervenire con tempi adeguati. Come ho scritto più volte nei miei lavori ormai il cittadino è escluso da un sistema che dovrebbe dargli la parola ed invece gliela toglie quotidianamente. Penso che anche le prossime elezioni politiche di giugno evidenzieranno l’assoluto distacco dei cittadini di questo paese dalle istituzioni di questo paese, spero di no ma temo sarà così. E come non dar ragione ad un popolo che per poter fare un esame clinico urgente deve aspettare anche fino ad 8 mesi. Non mi faccia parlare oltre perché ne avrei da dire.

Betapress.it: e allora le prometto che le dirà tutte. Ma tornando al libro, quali sono, secondo lei, gli aspetti di assoluta novità che il suo libro offre rispetto ad altre pubblicazioni sullo stesso tema?

Prof. Corrado Faletti: Uno degli aspetti più innovativi del mio libro è l’approccio olistico alla gestione dei centri elettronici distribuiti. Non mi sono limitato ad analizzare i singoli componenti tecnologici, ma ho cercato di mettere in evidenza come questi possano interagire in modo sinergico. Ho anche inserito numerosi casi di studio reali, che mostrano applicazioni pratiche e problematiche concrete riscontrate durante l’implementazione e la gestione di tali sistemi. Inoltre, il libro è aggiornato con le tecnologie più recenti e include una discussione approfondita su temi emergenti come l’intelligenza artificiale e l’Internet delle cose (IoT).

Betapress.it: Può descriverci la struttura del libro e come questa facilita la lettura e la comprensione degli argomenti trattati?

Prof. Corrado Faletti: Certamente. Il libro è strutturato in tre parti principali. La prima parte fornisce una panoramica introduttiva, spiegando i concetti fondamentali e le basi teoriche della gestione dei centri elettronici distribuiti. La seconda parte è più tecnica e si concentra sulle diverse tecnologie e metodologie utilizzate, accompagnata da esempi pratici e casi di studio. La terza parte, infine, esplora le applicazioni avanzate e le tendenze future del settore.

Ogni capitolo è stato progettato per essere autonomo, permettendo ai lettori di consultare singoli argomenti senza dover necessariamente seguire l’ordine del libro. Inoltre, ho incluso numerosi schemi, diagrammi e tabelle per facilitare la comprensione visiva dei concetti complessi. Ogni capitolo è struttura to per punti come un bigino al fine di agevolare la comprensione .

Betapress.it: Quanto è importante per lei che il libro sia accessibile anche a chi non ha una formazione tecnica specifica?

Prof. Corrado Faletti: È estremamente importante. Ho cercato di scrivere il libro in un linguaggio chiaro e comprensibile, evitando il più possibile il gergo tecnico. L’obiettivo era rendere accessibili questi argomenti complessi anche a chi non ha una formazione specifica, perché credo fermamente che la conoscenza debba essere condivisa e diffusa il più ampiamente possibile. I centri elettronici distribuiti sono una realtà sempre più presente nella nostra vita quotidiana, e capire come funzionano e come gestirli può essere utile a un vasto pubblico, non solo ai professionisti del settore.

Betapress.it: Quali sono le principali sfide che ha affrontato nella stesura del libro e come le ha superate?

Prof. Corrado Faletti: Una delle principali sfide è stata sicuramente quella di mantenere un equilibrio tra approfondimento tecnico e accessibilità. Volevo assicurarmi che il libro fosse utile sia ai neofiti che ai professionisti esperti. Per superare questa sfida, ho dedicato molto tempo alla revisione e alla semplificazione del testo, cercando sempre di mettere al primo posto la chiarezza espositiva. Ho anche chiesto feedback a colleghi e studenti durante la fase di scrittura, per assicurarmi che i contenuti fossero comprensibili e ben strutturati.

Betapress.it: In conclusione, cosa spera che i lettori traggano dalla lettura del suo libro?

Prof. Corrado Faletti: Spero che i lettori possano ottenere una comprensione chiara e approfondita della gestione dei centri elettronici distribuiti, apprezzando la complessità e le potenzialità di questi sistemi. Vorrei che il libro fosse una fonte di ispirazione e una guida pratica per chiunque voglia avvicinarsi a questo mondo, sia per motivi professionali che personali. E, infine, spero che contribuisca a promuovere una maggiore consapevolezza e competenza nell’uso e nella gestione delle tecnologie elettroniche avanzate.

Betapress.it: Grazie mille, Prof. Faletti, per questa intervista. Le auguriamo il massimo successo con il suo libro.

Prof. Corrado Faletti: Grazie a voi, è stato un piacere discutere del mio lavoro.

 

 

 

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LE SFIDE SOCIALI DELLA CHIESA: PAOLO BATTAGLIA LA TERRA BORGESE E NINO COSTANZO TESTIMONIAL MORALI

 

Arriva il 29 maggio alla Facoltà Teologica di Palermo la presentazione de ‟Le sfide sociali della Chiesa” per i tipi de ‟Il pozzo di Giacobbe”: una ricerca di don Giacinto per una visione altra dalla persona come essere sociale.

Lo comunicano in una nota Paolo Battaglia La Terra Borgese e Nino Costanzo, testimonial morali dell’iniziativa culturale e sociologica che investe il capoluogo siciliano quale prima tappa d’Italia.

 

Arriva il 29 maggio alla Facoltà Teologica di Palermo la presentazione de ‟Le sfide sociali della Chiesa” in Luigi Sturzo e Igino Giordani di don Giacinto Magro edito da: ‟Il pozzo di Giacobbe”. È una ricerca, che condotta da don Giacinto, offre una visione altra dalla persona come essere sociale, dice della dimensione personale, sociale dell’essere Chiesa per il mondo.

 

Magro è un sacerdote della Diocesi di Piazza Armerina. Nasce a Delia nel ’69. E durante il suo viatico matura importantissime esperienze nel sociale. È ordinato nel 2008.

 

Unisce esperienza, impegno e pensiero nella ricerca intellettuale. Studia filosofia e teologia in diverse università e oggi lavora come direttore della Pastorale Famigliare e parroco ad Aidone in Sicilia.

 

Giacinto oggi opera con vigore nella ricerca teologica, nell’insegnamento e nella formazione dei Christi fideles laici.

 

Le sue fatiche letterarie più consultate dagli studiosi comprendono La vita oltre la morte. L’umanità pensata da Dio come unità inscindibile (2013) e L’Ave Maria. Dalla preghiera orale alla preghiera esistenziale (2015).

 

Il saggio del 29 maggio, che alle ore 18:00 si presenterà al pubblico alla Facoltà Teologica di Palermo, prende le mosse dalla testimonianza intellettuale di due Autori attenti scrutatori dei segni dei tempi nell’adesione a Cristo e nell’ascolto dello Spirito, che con la loro vita e il loro pensiero sono divenuti testimonianza, notevoli pensatori che hanno contributo al recupero del significato antropologico e sociale inscritto nella relazione tra Chiesa e mondo. La Chiesa, infatti, è l’attuazione storica del ‟mistero” (in senso paolino) di Dio Trino e della sua volontà salvifica che si attua nel tempo: da questi autori – afferma don Giacinto –, la storia è letta come spazio, per l’attuazione della salvezza in Gesù Cristo, il quale realizza in sé e mediante il suo Corpo, la Chiesa, una nuova antropologia che salva l’uomo integrale nella logica comunionale e universale.

 

Il volume – assicurano Paolo Battaglia La Terra Borgese e Nino Costanzo – è affascinante, intriga, ed è originato sia dalla testimonianza intellettuale di Sturzo e Giordani che da due domande di fondo che restano sottese ma come un filo rosso attraversano tutto il saggio: Che cos’è la persona? Come incide la Chiesa nel sociale?  

 

Una nuova antropologia agapica avvolge il lettore, poggia il suo realizzarsi nel dono, nella relazione e in divine realizzazioni, salva l’uomo integrale.

 

Nella prima parte, si coglie come in Sturzo ‟tutto è grazia, senza disincarnare l’uomo anzi radicandone in Cristo la vita individuale e sociale. Nella seconda parte, trova spazio la riflessione su Giordani, il quale fonda nella patristica la proposta concreta di un uomo agapico, parte di una società nuova in relazione continua con Gesù. La terza parte, tenendo conto del contributo d’entrambi, propone il passaggio da una concezione della salvezza di tipo individuale ad una in chiave sociale-comunionale, grazie al recupero del concetto dell’essere-per-il-mondo. Così, attraverso l’antropologia del dono, il credente, e la Chiesa, si scopre lievito di una nuova socialità basata sull’amore agapico, espressione della Trinità: un amore che unisce divino e umano. Il concetto di persona, declinato nella sua accezione esistenziale e dinamica, indica l’io come soggetto, capace di autodeterminarsi nella libertà e di realizzarsi nella relazione. Come afferma il teologo Cada nella prefazione il saggio di Giacinto Magro ‟offre un nuovo contributo qualificato perché egli propone una dinamica antropologica Cristocentrica/Trinitaria nell’azione sociale e civile propiziata a partire e nella luce dell’evento di Gesù Cristo tra la missione della Chiesa e la promozione di una umanità nuova fermentata dalla logica e dall’impegno della fraternità: nella prospettiva dell’annuncio e della testimonianza dell’avvento del Regno che è sale e lievito di trasformazione della città terrena quale promessa e caparra della città celeste”.

Il rapportarsi all’altro è costitutivo del soggetto: Non è mediante il rapporto con il proprio ‟sé”, ma è mediante il rapporto con un altro ‟sé” che l’uomo potrà raggiungere la completezza. Questo altro sé può essere limitato e relativo quanto a sé stesso, ma è in questo essere-insieme-con-l’altro che si rende possibile l’esperienza dell’illimitato e dell’incondizionato. In altri termini non c’è vera antropologia né possibilità di autentica realizzazione umana, se non dove sia recuperata la pienezza del rapporto con altri, se non dove a una visione del soggetto come autosufficiente e dominante si sostituisca una visione in cui l’esteriorità si ponga come liberante e le categorie di relazionalità come essenziali per il soggetto stesso. Solo nella relazione con ciò che è esterno alla coscienza individuale e, in particolare, nella dialogicità interpersonale, la prigionia dell’io è infranta e si coglie la realtà non come dominio, ma come incontro.

La relazione interpersonale esprime la struttura originaria dell’essere uomo, la profondità ontologica per la quale l’uomo non è solitudine, ma costitutiva apertura all’Altro e ad ogni altro e viene a realizzarsi nel riconoscimento e nell’accoglienza dell’altro. Per don Sturzo la persona è impegnata nella ricerca del bene, per la realizzazione di sé: in questo senso, l’oggetto conosciuto diventa «verità amabile e desiderabile» che esercita un certo fascino nei confronti del soggetto conoscente. In altri termini, si vuole un bene in quanto esso risponde alle finalità del proprio essere e perché lo si è conosciuto come bene desiderabile. Pertanto, per Sturzo la conoscenza è principio di comunione: una «comunione sui generis fra il conoscente e l’oggetto conosciuto». Conoscere è completare sé stessi, è «attività» responsabile della persona che, solidale con la realtà con cui entra in relazione, focalizza con sempre maggiore chiarezza il suo orientamento verso il bene. Scrive Sturzo:

‟Se fossimo Dio, noi, conoscendoci e amandoci, formeremmo società con noi stessi pur restando noi stessi un solo (il mistero della Trinità). Ma noi siamo finiti; la conoscenza del nostro io appella subito un non io, un fuori di noi; l’amore verso di noi non è completo se non si espande fuori di noi, verso un necessario completamento”.

Mentre per Giordani l’uomo è il prodigio della creazione, il privilegio della redenzione, l’obiettivo della vita soprannaturale nella natura creata. Sturzo può considerarsi un personalista, anche se preferisce usare i termini ‟individuo” e ‟uomo” in luogo di ‟persona”. Giordani propone il concetto mistico della persona come ‟alter Christus”. Per Giordani l’uomo può cogliere sé stesso e vivere se partecipa dell’Essere di Dio che è Amore, amando. L’essere va ricompreso come dono/amore, accolto/ridonato. Secondo Pasquale Foresi l’oggetto stesso della filosofia è l’essere come dono, che ci fa prendere coscienza della nostra personale penuria d’essere: sono, in quanto sono donato a me da un Altro che mi provoca a restituire il nulla che per sè sono: Oggetto della filosofia è dunque l’essere che si dona e che è, al tempo stesso, da me ricevuto. E se il riceverlo mi dà, in certo modo, di percepire il mio non esistere, il ridonarlo, ridonandomi, mi consente di percepire l’esistere in pienezza. L’atto del filosofare si schiude così come un rapporto trinitario fra me e Dio, preludio della soluzione, unica anche sotto il profilo filosofico, che ci viene data dal cristianesimo nella misura in cui entriamo nel mistero della Trinità. Pertanto modificando la ben nota espressione di Cartesio, cogito ergo sum dobbiamo dire: ‟mi dono, dunque sono”. È piuttosto, come scrive con insistenza Sturzo ‟cooperatore” di Dio: «Non Dio solo con la sua grazia, non l’uomo solo con la sua volontà libera, ma l’uomo con Dio», in una «comunione intima» e in una «permanenza di Dio in noi e di noi in Dio», che rende possibile e anzi esige l’azione e la contemplazione insieme. Il rapporto con Dio diventa l’orizzonte in cui don Sturzo e Giordani rintracciano il senso del mondo e del proprio stare in esso: tutto è «finalizzato» a Dio, in quanto proveniente da Lui. L’uomo è il ministro e il servitore di questo ‟finalismo”, è colui che, chiamato a realizzarsi come figlio, in unione con Dio e in ‟rapportalitaˮ con gli altri, in altri termini vive come homo ‟agapicusˮ. Dio che è in Sé stesso relazione (Padre, Figlio, Spirito Santo) la riversa sull’uomo il quale è in relazione con sé stesso, con gli altri, col mondo, innanzi tutto col suo Creatore e Redentore. Tale «finalizzazione» rende l’uomo capace di vivere in rapporto con Dio, in una relazione d’amore che illumina e immette lo stile trinitario tra gli uomini. «La vera vita è amore», conclude Sturzo, perché «Dio stesso è amore». Sta qui la chiave di volta, l’intuizione teologica e al contempo l’esperienza radicale che permette a don Sturzo e a Giordani di ritrovare il senso del loro personale vissuto spirituale nel loro impegno apostolico d’impronta socio-politica.




Avulso

Avulso

di Cassandra è figlio erede di commedie, arti 
oracolo certamente
scomodo e disprezzato
  Nemico della gente..
Invidiato e all’indice tenuto.
Sacerdote  laico a suo modo di retorica poetica  e di ambiente.
Non voglio cerimonie
Non voglio facce lavate e lavate  di faccia
  Date retta, L’incenso risparmiate.
Tanto lo so che morto  mi volevate..
Tanto lo
so’ che appena giravo l’angolo si facevano grasse risate
E dicevano:”
Perché devi essere meglio di me?
Perché devi avere più di me?
Non ho io …e non devi avere nemmeno te!.
Ti preferivo quando eri  uno dei tanti
innocuo  tra gli inconcludenti
quando ti potevamo controllare quando non ti montavi la testa e  volevi scrivere cose amare…
Quando non scrivevi cose che suscitano interesse e ammirazione
Togliendo protagonismo a tutta la popolazione..:
“Mio figlio si è laureato con 110  e lode
Adesso è magistrato
Anch’io ho  ho preso il master e sono ricercato ..”.
“E tu che cosa hai fatto ? Che cosa hai partorito?
Hai solo pubblicato parole alla rinfusa
Inconcludente dissennato!”
  miserabili maestri  di voi stessi
Accademia  unica dell’illazione,
dell’ingiuria, del sarcasmo vigliacchetto del non sono stato io…
Del fuori luogo,
infelice infelicitante
occhiante…
Bisbiglio tagliente meditato …
Del non detto ,dell’approssimato …
Del trattenuto tra i denti…
serrati e impenitenti.
sì… come la propria esistenza
ombra maligna  decisa
di chi è solo un povero ignorante.
…ma chi ti credi di essere non sai niente…
Baci di giuda e abbracci di rito a coronamento
Sorriso di circostanza simulato miserabile e forzato ma dovuto per apparire .. congiurante
Ora sono morto
In quelle pagine c’è tutto il mio torto
Quello fatto a voi… Naturalmente…
essenza del mio creato
Ma Sento e vedo tutto
Non a caso
Vedo Chi vivo non mi  poteva vedere e morto non si pareva a saziare.
Ma a tutti dico …
Io… A differenza vostra ,
ho amato.
E mo’…. come state?!
E mo’… Che non ci son più… Che fate?!.
E quando la barba allo specchio ogni mattina vi farete
Vedrete l’immagine di un Dorian Gray a cui  appartenete
Vergognandovi un pochino
Di quel che siete …




CELLINI, PAOLO BATTAGLIA LA TERRA BORGESE RACCONTA LO SCULTORE

«…durante tutta la sua vita di lavoro indefesso lo scultore, orafo e scrittore, mantenne non solo una sorella vedova con sei figli ma anche un’altra famiglia in miseria che non aveva nessuna parentela con lui e molti giovani artisti e modelli…»

 

Riuscì sempre a cavarsela – racconta Paolo Battaglia La Terra Borgese -. Era lo spadaccino più permaloso di tutta l’Italia del Cinquecento e i suoi nemici pagarono con la vita. Si prese le donne che gli piacquero.

Fu maestro d’avventure. La battaglia gli metteva allegria. Il carcere più profondo non bastava a tenerlo.

 

Ma quest’avventuriero spaccone fu soprattutto il più grande orefice del mondo. Tale era l’opinione che aveva di se stesso Benvenuto Cellini, e i collezionisti la condividono ormai da oltre 400 anni.

La storia in genere conferma le pittoresche avventure narrate nella sua Vita.

 

Benvenuto Cellini – prosegue Battaglia La Terra Borgese – nacque a Firenze nel 1500. Dal padre, fabbricante di strumenti musicali, ereditò l’abilità manuale.

Fin dall’infanzia si fermava davanti alle botteghe degli orefici, attratto dal ticchettio dei martelletti, dal soffiare dei mantici, dall’incandescenza delle braci.

S’infilava dentro per vedere lo splendore che i tagliatori di gemme traevano dalle pietre preziose ancora grezze e per osservare gli artigiani che lavoravano l’oro nella sua infinita e lucente duttilità.

 

Ben presto si fece assumere come apprendista in una delle botteghe – continua Battaglia La Terra Borgese -.

Questo scatenò un finimondo perché Cellini padre aveva deciso in cuor suo che Benvenuto dovesse diventare un musicista. È vero che quelle agili piccole dita sul flauto sapevano far sgorgare lacrime di gioia dai teneri occhi paterni.

Ma Benvenuto non era il tipo da esercitarsi con le scale tutto il giorno.

Per sfuggire alle odiate note scappava di casa e stava via parecchi mesi di seguito, guadagnandosi la vita come apprendista orefice nelle città vicine.

A 19 anni, avendo litigato più del solito col padre, s’incamminò a piedi per Roma, dove si diceva che il papa era prodigo di oro con gli artisti come le fontane della città erano prodighe d’acqua.

 

Il suo primo lavoro a Roma – riferisce Battaglia La Terra Borgese – consisté nell’adornare uno scrigno d’argento per un cardinale.

Lo fece in bassorilievo, decorandolo molto più di quanto non gli fosse stato ordinato, con fogliami intrecciati, frutta, putti e maschere grottesche. Il maestro della bottega era così fiero di questo scrigno che lo mostrò a tutta la città.

E ancor più fiero fu Benvenuto di mandare il compenso che gli spettava al padre, che continuò a mantenere generosamente finché visse. Poiché la mano di Cellini era pronta a dare come a colpire; durante tutta la sua vita di lavoro indefesso mantenne non solo una sorella vedova con sei figli ma anche un’altra famiglia in miseria che non aveva nessuna parentela con lui e molti giovani artisti e modelli.

 

A Roma guadagnò largamente e in breve ebbe una bottega sua. Da questa uscirono anelli, cammei e spille di squisita fattura, coltelli e pugnali dal manico intarsiato, cinture d’argento per le spose e una brocca d’oro per un vescovo.

Cellini fece anche fucili, per suo proprio uso, perché era schiavo della  violenta e persistente passione di andare a caccia di folaghe nelle paludi intorno alla Città Eterna.

 

Fu un colpo da maestro – precisa Paolo Battaglia La Terra Borgese – che dette inizio al susseguirsi delle eccitanti avventure di Benvenuto Cellini. Nel 1527 Roma era assediata dalle forze dell’imperatore Carlo V, al comando del connestabile di Borbone.

Cellini, che era volontario nel corpo di guardia sulle mura, scrutando attraverso la nebbia vide un gruppo di nemici che si avvicinava. Puntando l’archibugio uccise il capo del gruppo con un solo colpo.

Cellini racconta che questi, come si vide poi, era il connestabile in persona. Pura vanteria? La storia ci dice che proprio in quel giorno il connestabile fu ucciso da una sentinella sconosciuta.

 

Dopo di ciò Benvenuto Cellini ebbe il comando delle artiglierie sul mastio di Castel Sant’Angelo. Lo stesso papa Clemente VII, venne fuori a osservare la mira del Cellini che martellava le trincee del nemico.

Per un mese, con gioia a metà puerile e a metà diabolica, Benvenuto dimenticò la sua arte delicata – dichiara Battaglia La Terra Borgese –.

 

Il Critico prosegue: Finita la guerra, Cellini fu nominato maestro della Zecca Vaticana. Oltre a ciò foggiò una quantità di splendidi ornamenti per i dignitari della Chiesa. Un bottone per il piviale pontificio richiese anni di lavoro.

Grande come un piattino, raffigurava Dio Padre circondato da 15 angeli in oro sbalzato, e c’erano incastonati smeraldi, zaffiri, rubini e un magnifico brillante. Quest’oggetto fece parte del

tesoro vaticano per 250 anni, ma fu poi unito alla «indennità» pretesa da Napoleone Bonaparte nel 1797 e mani vandaliche ne estrassero i gioielli e ne fusero l’oro.

 

Non bisogna però credere che la vita di Benvenuto fosse tutta spesa a lavorare per la Chiesa – avverte Battaglia La Terra Borgese -.

Una volta gettò via il cesello per seguire un bel visetto siciliano fino a Napoli. Le modelle dell’artista Cellini, sembravano essere irresistibili per l’uomo Benvenuto.

 

Nell’odio era ardente come nell’amore. Quando il fratello fu ucciso in una rissa, Benvenuto non pensò neppure a chiamare i custodi dell’ordine: a che sarebbe servito, visto che l’uccisore era un caporale delle guardie della città?

«Presi a vagheggiare quello archivitabusiere» dice Benvenuto «come se fosse stato una mia innamorata.» Infine in un vicolo buio col pugnale si fece giustizia.

 

Alla morte del vecchio papa – racconta il critico d’arte Battaglia La Terra Borgese -, prima che fosse eletto il nuovo, a Roma non c’era altra legge fuorché l’anarchia.

Un orefice del Vaticano, suo rivale, di nome Pompeo, si mise in cerca del Cellini con dieci armati.

Benvenuto s’imbatté in questi per la strada. Nella zuffa uccise Pompeo con una pugnalata e mise in fuga i suoi scherani.

Ma la figlia di Pompeo andò sposa a un amico intimo di Pier Luigi Farnese “nipote” del nuovo papa, e per sua istigazione il Cellini veniva continuamente perseguitato.

Un assassino còrso gli tese un agguato, sicari lo seguirono a Venezia, un’altra banda lo costrinse a fuggire di notte.

Riuscì sempre a cavarsela. Ma nel 1537 fu arrestato per ordine del papa. Fu chiuso in una cella «dove fu decisa la mia morte» come egli dice.

 

Con grande astuzia – nota Paolo Battaglia La Terra Borgese – preparò la fuga. Prima rubò delle tenaglie a un operaio del carcere.

Quando i suoi apprendisti gli portarono delle lenzuola pulite, nascose quelle sudice nel materasso.

Con le tenaglie estrasse quasi tutti i chiodi dai cardini di ferro della porta lasciandone appena quanti bastavano per tenerla a posto.

Ci vollero parecchie settimane per tirarli fuori e contraffare le borchie con della cera di candele mista a ruggine onde trarre in inganno i carcerieri.

Quando tutto fu pronto s’inginocchiò e rimase a lungo in preghiera.

 

Rimanevano soltanto due ore di oscurità quando estrasse gli ultimi chiodi dai cardini e sgusciò fuori dalla cella.

Si attorcigliò sulla schiena le strisce di lenzuola annodate, usci sul bastione e di lì si calò nel cortile.

 

La notte volgeva al termine e Benvenuto – riferisce Battaglia La Terra Borgese – spiava le sentinelle aspettando il momento opportuno per superare il muro esterno.

Arrampicatosi su questo con l’aiuto di una pertica che aveva trovato per caso, assicurò le lenzuola rimaste a una pietra in cima al muro e iniziò la discesa verso la libertà.

Ma o le lenzuola o le sue mani esauste cedettero, perché Cellini cadde e si ruppe una gamba.

La legò stoicamente e si trascinò fino alla porta della città; era ancora chiusa, ma il Cellini riuscì a rimuovere una grossa pietra da sotto la porta e a infilarsi in quel buco nonostante i dolori strazianti.

Passata la porta fu assalito dai cani da difesa. Ma un servitore del cardinale Cornaro di Venezia lo riconobbe e lo portò al palazzo del suo padrone.

 

Disgrazia volle – fa notare Battaglia La Terra Borgese – che il cardinale desiderasse una sede vescovile per un suo amico e che il pontefice non gliela volesse concedere.

Così fu concluso un patto: il cardinale ottenne il vescovado e il papa riebbe il suo prigioniero.

Questa volta il Cellini fu chiuso in una segreta nei sotterranei di Castel Sant’Angelo: una fossa piena d’acqua, in cui egli giacque in delirio per parecchi giorni.

 

Ma allora, al palazzo di Fontainebleau in Francia, il re Francesco I aveva espresso il desiderio di avere come orefice di corte questo Benvenuto Cellini del quale aveva sentito fare tanti elogi. Un altro cardinale influente parlò in suo favore al papa.

Così dalla sua immonda cella il Cellini fu trasportato alla corte più brillante d’Europa – afferma Battaglia La Terra Borgese -. Qui gli furono dati splendidi appartamenti, un gruppo di aiutanti e ricevette un’ordinazione dopo l’altra per opere di grande impegno, d’oro, d’argento e di bronzo, tra cui una «saliera» d’oro – in realtà è un centro da tavola per banchetti – che è oggi il vanto di un museo di Vienna

 

Il re e la regina, il cardinale e i nobili venivano spesso a visitare la sua bottega sempre attiva.

Tutto prometteva bene.

Ma Cellini aveva fatto i conti senza la favorita del re e, sebbene fosse un esperto adulatore, aveva trascurato di richiedere l’opinione di quest’ultima. In seguito alla sottile opposizione che lei gli mosse – afferma Battaglia La Terra Borgese -, Cellini poté portare a compimento ben poco di ciò che aveva progettato per Francesco I, e nel 1545, deluso, tornò a Firenze e divenne il protetto del duca Cosimo I, ben noto patrono delle arti.

Cosimo suggerì a Benvenuto di scolpire una statua di Perseo, il leggendario eroe greco che uccise Medusa, la Gorgone anguicrinita (che ha serpenti al posto dei capelli, ndr) che impietriva chiunque la guardasse.

 

Cellini fece un modello dopo l’altro, di cera, di stucco, di marmo. Infine, dopo nove anni, riuscì a compiere una figura più grande del vero, che lo soddisfece – lo elogia così Paolo Battaglia La Terra Borgese -.

Ora si trattava di gettarla in bronzo! Questa era una delle operazioni più difficili che la scultura avesse mai tentato fino allora. Cellini doveva progettare da sé le fornaci e le forme, ed escogitare le leghe. Il duca scosse la testa e predisse un disastro.

 

Ecco come il Cellini – riporta il Critico – racconta la sua impresa, forse la più appassionante di tutta la sua vita.

 

«Alla fine gridai che fosse accesa la fornace. I tronchi di pino vi erano accatastati e la fornace lavorava tanto bene, che io fui necessitato a soccorrere ora da una parte e ora da un’altra per alimentarla.

Non resistevo più e mi saltò addosso la febbre, per la qual cosa io fui sforzato andarmi a gittare nel letto.

Quando due ore dopo tornai nella bottega trovai tutto rappreso il metallo e il tetto della bottega in fiamme.

Mandai sul tetto a riparare al fuoco e dissi a due manovali che andassino a prendere una catasta di legne di quercioli giovani, e quando queste presono fuoco, oh come quel metallo rappreso si cominciò a schiarire, e lampeggiava in quel terribile fuoco.»

 

«In un tratto è si sente un romore con un lampo di fuoco grandissimo. Mi avvidi che il coperchio della fornace si era scoppiato e il bronzo si versava fuori. Subito feci aprire le bocche della mia forma. Ma veduto che il metallo non correva con quella prestezza ch’ei soleva fare, forse per essersi consumata la lega per virtù di quel terribile fuoco, io feci pigliare tutti i mia piatti e scodelle e tondi di stagno, i quali erano in circa dugento, e a uno a uno li gittai drento. In tal modo riuscii nell’intento e ora il mio bronzo s’era benissimo fatto liquido e la forma si empiva. Quando vidi il mio lavoro compiuto m’inginocchiai, e con tutto il cuore ne ringraziai Iddio.»

 

La statua di Perseo – spiega Paolo Battaglia La Terra Borgesefu posta in una loggia in Piazza della Signoria nel cuore di Firenze. Là si erge oggi, nel bronzo immortale il vigoroso eroe che solleva la testa di Medusa.

 

Con questa sola opera Cellini prese posto tra i grandi scultori. In questo periodo fecondo fece altri lavori in bronzo e in marmo: busti, figure mitologiche e un grande crocifisso per la propria tomba (pur tuttavia aveva ucciso umani e altri animali).

 

Con l’avanzare degli anni, quest’uomo che aveva vissuto così felicemente seguendo i suoi principi, pian piano si conformò a quelli del resto dell’umanità.

A 64 anni sposò la sua domestica e cominciò ad allevare i propri figli in stato coniugale. Laddove un tempo aveva elargito le sue sostanze liberamente, ora ascoltò il parere dei savi e le investi… e così perse tutto (banchieri dell’epoca).

 

Il 13 febbraio 1571 le avventure terrene di Benvenuto Cellini ebbero termine. Eppure continuano per sempre, poiché ogni generazione le riscopre nella sua scintillante autobiografia. Per quasi due secoli il manoscritto fu perduto.

Quando venne alla luce e fu pubblicato tutta l’Europa ne rimase affascinata. Goethe, che lo tradusse in tedesco, dichiarò che costituiva un miglior quadro di quei tempi che non qualunque rigoroso testo storico.

Dumas lo divorò e poi offrì al mondo il suo allegro cavaliere D’Artagnan, il capo dei Tre Moschettieri. Da allora in poi la figura di un intrepido spadaccino, burlone, rubacuori e femminaro è balzata da cento libri ed è comparsa su mille schermi.

Il primo di tutti era stato Benvenuto Cellini – chiude così, Paolo Battaglia La Terra Borgese il suo Cellini-.