OPERA D’ARTE: IL PREZZO RAPPRESENTA IL VALORE? (di Paolo Battaglia La Terra Borgese)

Come avviene nel mercato dell’automobile piuttosto che del tonno in lattina, realmente il valore economico dell’opera d’arte non è mai veramente proporzionale alla dote estetica e al dato qualitativo.

Le leggi dell’economia per le contrattazioni dei beni regolano la fruizione e trattano l’opera come un prodotto qualsiasi, per poterne budgettizzare le singole voci e arrivare alla determinazione del prezzo finale tenuto conto del sistema globale.

Dai Sofisti a Platone fino all’Aesthetica del filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten, il problema del Vero rispetto al Buono e al Bello afferisce all’opera d’arte nel senso più largo delle nozioni, e Socrate avvertiva “Non necessariamente ciò che non è bello e buono è brutto e cattivo”; ma sarà Vero e reale, c’è da chiedersi?

Puro no di certo, se si parla di soldi.

Nel sistema dell’arte a noi contemporaneo, e forse da sempre, l’opera – abbiamo detto – è sottomessa ad un vero e proprio marketing come qualsiasi prodotto in vendita.

È ampiamente accettata valida a tal proposito l’esemplificazione del noto critico d’arte italiano Achille Bonito Oliva, secondo cui l’artista crea, il critico riflette, il gallerista espone, il mercante vende, il collezionista tesaurizza, il museo storicizza, i media celebrano, il pubblico contempla.

Oggigiorno la strutturazione internazionale dell’attività artistica si edifica su rapporti ascendenti il tramaglio mondiale delle gallerie e il tramaglio mondiale delle istituzioni culturali.

La distesa culturale dove si opera con valutazioni lo studio del bello e le piazze mondiali dell’arte dove vivono le negoziazioni e le alienazioni delle opere, combinano sinergicamente la determinazione del valore degli artisti e delle loro opere; Francesco Poli docet.

Si comprende bene che, decidendo di cosa musealizzare, anche le preferenze di direttori e conservatori di museo intervengono conseguentemente sulla determinazione del valore artistico; e ancorché queste scelte siano dettate dalle finanze a disposizione esse influenzeranno inevitabilmente il mercato stesso.

Per dirla alla Oscar Wilde: oggigiorno si conosce il prezzo di tutto, ma non si conosce il valore di niente.

Testi critici, libri monografici, bibliografia, sitografia, cataloghi commentati, mostre in residenze pubbliche o prestigiose, fiere, opere musealizzate, collezionisti che contano, quotazioni ufficiali certificate da esperti di chiara fama, battute e aggiudicazioni d’asta, reference galleries e vastità dei territori di distribuzione concorrono a costituire il coefficiente di quotazione dell’artista, valore, questo, indispensabile per calcolare il prezzo esatto delle sue opere, ferme restando le variabili che incidono a seconda dei supporti utilizzati e delle capacità tecniche ed estetiche espresse nel dato degli elementi contestualizzati in ogni singolo lavoro.

Per dirla con le parole di uno degli artisti attualmente più pagati negli Stati Uniti, Jeff Koons: «l’arte non consiste nel fare un quadro, ma nel venderlo», alias: il problema non è fare il quadro ma venderlo.

Il grosso problema discrasico del collezionista d’appartamento risiede invece nella volontà di tesoreggiare la creazione dell’artista, dunque nel comprare in certezza di qualità e garanzia di mantenimento di valore – quasi stesse lui acquistando una lavatrice che continui a funzionare nel tempo – separando il problema del bello dal problema dell’uomo, come rilevava Giovanni Paolo II riferendosi però agli artisti moderni.

Baudelaire, Dante e anche Eliot avvertivano che per creare il bello l’uomo deve prima cercare in tutte le forme delle manifestazioni in natura, uomo compreso, per poterne attingere.

Il collezionista commette l’errore di voler considerare l’acquisto di un’opera d’arte quale trasformazione di risparmio in capitale (opera d’arte), ma l’investimento – per sua nozione – può rivelarsi sia buono quanto sbagliato, e l’investimento giusto per definizione è collega dei prodotti per la ricrescita dei capelli: non esiste.

Perfino le grandi organizzazioni di lobbisti museali internazionali, le principali gallerie di importanza mondiale e le principali case d’asta – veri mercanti di oggi – potrebbero fallire puntando su taluni o talaltri artisti.

E l’acquisto giusto?

Il migliore affare è indubbiamente quello che fa coincidere il prezzo dell’opera col suo valore economico reale del momento.

Rivolgersi sempre a un critico d’arte di chiara fama è buona regola per verificare la legittimazione degli autori a quella fascia di prezzo e sulla possibilità nel mercato di opere di altro artista di eguale valore qualitativo ma di valore commerciale ben diverso.

Oltretutto è facile incappare in artisti che spessissimo propongono ingenuamente le loro opere al potenziale compratore a prezzi privi di qualsiasi fondamento: in termini di sottocultura, questi autori sono stati convinti dagli sfruttatori degli artisti dilettanti, a credere in una intima relazione fra quantità di mostre, numero di pubblicazioni e valore delle proprie opere.

Si tratta di galleristi ai quali non occorre nessuna competenza artistica in quanto non hanno loro nessun obiettivo di scelta e di vendita, ma hanno semplicemente il fine di affittare lo spazio dei propri locali ad artisti sprovveduti che anelano di esporre in pubblico le proprie opere, e magari vincere qualche premio; e si tratta inoltre di editori di cataloghi e libri d’arte dove gli artisti possono essere inseriti comunque a fronte di un pagamento, indipendentemente da ogni capacità vera e reale.

Per onestà di cronaca corre il dovere di segnalare che a fronte di tali attività operano nel mercato alcune gallerie impegnate realmente in un serio lavoro culturale, come pure fanno quei mercanti che sono una vera e propria garanzia per i collezionisti di una certa raffinatezza.

È qui utile infine segnalare all’artista le fiere importanti.

Casomai ritenesse opportuno parteciparvi egli sappia che la più antica è la kunstmesse di Colonia, in Germania; che oltre al noto mercatone di quadri e affini che si svolge a Venezia sotto il nome di Biennale, in Italia quella più importante e alacre in assoluto è la Fiera di Bologna, seguita per il buon livello di qualità da Artissima di Torino.

Oltre che a Colonia fuori dall’Italia nel mondo sono importanti Internationale kunstmesse di Basilea, Frieze di Londra, Armory Show a New York, ARCO a Madrid e Foire Internationale d’Art Contemporain di Parigi, e ancora in Italia Miart a Milano, oltre a fiere che si tengono ad Amsterdam, Chicago, Dubai, Francoforte, Los Angeles, Nizza, Shanghai e Stoccolma.

Da segnalare anche Manifesta per la sua peculiarità di edizione itinerante.

 

PAOLO BATTAGLIA LA TERRA BORGESE




Eresia

L’Eresia è una dottrina considerata come deviante da un’ortodossia alla cui tradizione si collega.

Il termine – peraltro – viene utilizzato anche fuori dall’ambito religioso, in senso figurato, per indicare un’opinione o una dottrina filosofica, politica, scientifica o persino artistica in disaccordo con quelle generalmente accettate.

E qui le cose iniziano subito a complicarsi: spesso la neutralità di questa voce è stata messa in dubbio, presentando – per sua stessa essenza di definizione – seri problemi contestuali di discussione.

Anche perché, dal punto di vista etimologico, “Eresia” deriva dal greco αἵρεσις, haìresis, derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, “afferrare”, “prendere” ma anche “scegliere” o “eleggere”).

Sia in greco antico sia in ebraico ellenizzato questo termine non possedeva dunque, originariamente, alcuna caratteristica denigratoria.

Con le Lettere del Nuovo Testamento la neutralità del termine viene meno: in 1 Corinzi 11:19, Galati 5:20, 2 Pietro 2:1, haìresis inizia ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la “separazione”, la “divisione” e la corrispettiva condanna.

Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di haìresis procede con l’analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.

In ambito ebraico avviene qualcosa di analogo: sempre nel I secolo e.v. (in corrispondenza con l’emergere dell’ebraismo rabbinico ortodosso) il termine ebraico min (מִין, pl. מִינִים, minim; corrispettivo del greco haìresis) assume dei connotati dispregiativi e viene utilizzato per indicare sia i cristiani sia gli gnostici.

Il termine da un significato neutro assume in un secondo momento un valore negativo e passa a indicare una dottrina o un’affermazione contraria ai dogmi e ai princìpi di una determinata religione, o potere di stato, ed è sovente oggetto di “condanna” o scomunica da parte dei rappresentanti di tale potere.

Non è il caso, qui, di ricordare tutti i sinodi volti a stabilire quali fossero le deviazioni dall’ortodossia e chi fossero veramente coloro che venivano considerati “colpevoli di eresia” (ovvero gli eretici).

Se eretico è dunque chi proclama con forza una propria scelta definitiva, “eresia” equivale pertanto a una scelta sia di credo sia di appartenenza, tra posizioni contrapposte, o spesso anche solo discordanti.

Un’altra possibile interpretazione, legata al significato di “scelta”, richiama il fatto che l’eretico è colui che “sceglie”, cioè accetta, solo una parte della dottrina “ortodossa”, rimanendo in disaccordo su altre parti.

In termini formali, il termine viene comunque usato per indicare un’opinione gravemente errata o comunque discordante dalla tesi più accreditata riguardo ad un certo argomento.

Naturalmente, a questo punto del ragionamento, nell’accezione negativa, il termine eresia è reciproco: pochi sarebbero disposti a definire le proprie credenze come eretiche, tendendo piuttosto a presentarle come l’interpretazione corretta di una determinata dottrina, e quindi come la visione ortodossa giudicata eretica da altri.

E, tra i due fronti opposti, statisticamente parlando, mediamente l’accusa più gentile che gli ortodossi rivolgono agli eretici è quella dell’ambiguità.

In sostanza, ciò che costituisce eresia è un giudizio, dato in funzione dei propri valori; si tratta dell’espressione di un punto di vista, relativo a una consolidata struttura di credenze, convinzioni, acquisizioni morali.

Blaise Pascal in Pensieri si sofferma più volte sul tema delle eresie.

Nel frammento 862 scrive:

[…] Dunque esiste un gran numero di verità, sia di fede sia di morale, che sembrano incompatibili e che sussistono tutte in un ordine meraviglioso. La sorgente di tutte le eresie è l’esclusione di alcune di queste verità, e la sorgente di tutte le obiezioni che ci fanno gli eretici è l’ignoranza di alcune delle nostre verità.

E di solito accade che, non potendo concepire il rapporto tra due verità opposte e credendo che l’accettazione di una comporti l’esclusione dell’altra, essi si attaccano all’una ed escludono l’altra, e pensano che noi facciamo il contrario. […]

Un altro esempio di verità e di contro verità è dato dalle tentazioni di Gesù descritte da Luca evangelista, quando Satana:

«Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano;

e anche:

Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”.

Gesù gli rispose: “È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Tuttavia, altrove, il lemma acquisisce un significato ben più ampio, configurandosi come, in una dogmatica universalmente o ufficialmente riconosciuta, la dottrina basata su interpretazioni personali in contrasto con la tradizione. Con buona pace degli enfatici e dei fanatici di ambo le parti.

Vi auguro di essere eretici, ha scritto Don Luigi Ciotti, …

Siate eretici perché eretico è colui che sceglie. …

Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa… Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze…

Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza… Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione…

E qui l’idea dell’eresia come scelta e la scelta stessa della verità (ma quale?) unitamente alle “virtù” dell’eresia, costituisce un ossimoro che già di per sé dovrebbe spaventare. 

Sull’altro fronte, gli fa eco opposto Gilbert Keith Chesterton: «Le eresie consistono sempre nell’indebita concentrazione su di una singola verità o mezza verità…».

E prosegue: «L’eretico (che è sempre anche fanatico) non è colui che ama troppo la verità; nessuno può amare troppo la verità…

Non gli piace veder finire il suo piccolo, prezioso paradosso, che si regge solo con l’appoggio di una ventina di truismi, nel mucchio della sapienza di tutto il mondo…».

Tutto ciò fa riflettere sulle opportunità infinite che abbiamo per esprimere il nostro sentire. 

E allora essere eretico, oggi, potrebbe voler dire amare la propria ombra, il femminile e l’ombra del pianeta, accoglierle come parti di noi, donando ciò che di più prezioso abbiamo: il nostro essere unici.

Essere eretico dunque significa non avere paura della propria ombra e non avere paura delle proprie idee, delle proprie azioni, significa anche vivere profondamente radicati nelle radici, rappresentate dai nostri antenati.

Dante, nel Decimo Canto dell’Inferno, incontra gli “eretici”, coloro che – nella sua visione – hanno perso il legame con la propria anima e, andando contro il dogma della religione, giacciono in sepolcri infuocati (il fuoco, secondo la consuetudine del tempo, rappresenta la purificazione) e sono condannati a morire costantemente nel torrido inferno.

Eppure anche Dante, cattolico che, se pur con alcune incertezze, condivideva il lavoro di Tommaso d’Aquino e di Sant’Agostino, esprimeva pericolose simpatie verso ipotesi filosofiche e religiose che in quel lontano periodo potevano odorare di eresia. 

Anche Dante si dovette presentare davanti al Tribunale dell’Inquisizione e fu più volte accusato di eresia. I suoi amici settari del Dolce stil novo, i Fedeli d’amore, ebbero anch’essi problemi con l’Inquisizione (come anche Petrarca, il cantore de’ casti amori), e fecero l’esperienza del rogo (come Cecco d’Ascoli il 26 settembre 1327).

Dante ghibellino, pur riconoscendo la Chiesa, voleva delimitarne il potere nel campo spirituale e lasciare all’Imperatore quello politico.

Se la chiave di lettura della Commedia (che è lo scritto più violento che il Medio Evo e anche la post Riforma abbiano prodotto nei confronti di Roma) non fosse andata perduta,  coloro che volevano sapere avrebbero probabilmente evitato di essere accusati di eresia.

Questa drammatica disconnessione dell’anima, spesso destrutturata, è presente anche oggi ma, con un segno contrario a quello dantesco, connota invece il malessere sociale di chi lamenta la perdita del legame con la spiritualità e con il divino.

Chi sono gli eretici oggi? Sono “condannabili” come eretici quanti cercano quel divino che è in ognuno di noi, quanti ricercano il legame con la natura e con le relazioni, anche tra uomini, certo, ma anche tra la materia e il cosmo?

Nuovi “roghi” vengono accesi, nuovi “tribunali” vengono istituiti, ma se essere eretici significa non aver perso lo stupore, la meraviglia dei bambini, se significa guardare il mondo con gli occhi dell’anima e lasciarsi ammaliare dalla bellezza, allora possiamo vivere come eretici guardando la nostra interiorità e il mondo con occhi nuovi.

Possiamo espandere la nostra coscienza, per portare nel mondo quell’autenticità che è propria della natura e quindi dell’uomo. Possiamo vivere ereticamente, concedendoci la libertà di essere e non di apparire.

Perché eretico è il suono dissonante, è la pausa che va celebrata e rispettata perché vi sia una melodia.

E così si naviga a vista, tra modelli negativi e icone positive, conflitti e ambiguità, riconoscimenti e sillogi dei principali modelli di relazione dall’una e dall’altra parte – con la speranza di una migliore comprensione della specificità dell’una e dell’altra, al fine di una comune assunzione di responsabilità reciproca, e di un contributo etico e spirituale nei confronti del mondo. 

Giordano Bruno, su cui si potrebbe riflettere all’infinito, nel suo Sigillus, in lingua latina, introduce le tematiche decisive del suo pensiero, quali l’unità dei processi cognitivi; l’amore come legame universale; l’unicità e l’infinità di una forma universale che si esplica nelle infinite figure della materia, e il “furore” inteso come senso di slancio verso il divino.

A Oxford non gradirono quelle novità, come testimoniò venti anni dopo, nel 1604, l’arcivescovo di Canterbury George Abbot, che fu presente alle lezioni di Giordano Bruno: «Quell’omiciattolo italiano […] intraprese il tentativo, tra moltissime altre cose, di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre in realtà era la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo».

Giordano Bruno sostiene l’infinità dell’universo poiché effetto di una causa infinita e – sapendo ovviamente che le scritture sostenevano tutt’altro – e cioè finitezza dell’universo e centralità della Terra, rispondeva alle accuse ne La cena de le ceneri: «Se gli dei si fossero degnati di insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di proporci la pratica di cose morali, io più tosto mi accosterei alla fede de le loro rivelazioni, che muovermi punto della certezza de mie raggioni e propriisentimenti».

E ancora, in Spaccio de la bestia trionfante: «Quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser principe o ricco, non è per mia colpa, ma per iniquità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo vegnate a purgar della forfantescapoltronaria, a fine che un tale non presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un forfante».

Occorreva tornare alla semplicità, alla verità e all’operosità, ribaltando le concezioni morali che si erano ormai imposte nel mondo, secondo le quali le opere e gli affetti eroici erano privi di valore, dove credere senza riflettere era sapienza, dove le imposture umane erano fatte passare per consigli divini, la perversione della legge naturale era considerata pietà religiosa, studiare era follia, l’onore era posto nelle ricchezze, la dignità nell’eleganza, la prudenza nella malizia, l’accortezza nel tradimento, il saper vivere nella finzione, la giustizia nella tirannia, il giudizio nella violenza.

Insomma, di tutto un po’, per rendersi sgradito a tutti o quasi…

«Li nostri divi asini, privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o degli dei, o dei vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra legge che di que’ medesimi». In Cabala del Cavallo Pegaso ad un vescovo.

Ma anche, nel De minimo: i composti «non rimangono identici neppure per un attimo; ciascuno di essi, per lo scambio vicendevole degli innumerevoli atomi, si muta continuamente e ovunque in tutte le parti». 

E: «Chi potrà ritenere che gli strumenti diano misurazioni esatte dal momento che il fluire delle cose non mantiene un identico ritmo ed un termine non si mantiene mai alla stessa distanza dall’altro?».

 

Alla fine Giovanni Mocenigo presentò all’Inquisizione una denuncia scritta, accusando Giordano Bruno di blasfemia, di disprezzare la religione, di non credere nella Trinità divina e nella transustanziazione, di credere nell’eternità del mondo e nell’esistenza di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine.

 

Quel giorno stesso, la sera del 23 maggio del 1592, Giordano Bruno fu arrestato e condotto nelle carceri dell’Inquisizione di Venezia. Sappiamo come si svolse il tutto e con queste parole, alla fine, Giordano Bruno si rivolse ai giudici:

 

«Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam».

«Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla».

Ma la sua filosofia sopravvisse alla sua morte, portò all’abbattimento delle barriere tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero Giordano Bruno è quindi ritenuto un precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverso; per la sua morte, è considerato un martire del libero pensiero.

Chi ha paura oggi degli eretici? Molti.

Perché i nuovi eretici possono dare tanto nel campo della politica, della letteratura, dell’arte in genere, della filosofia, della scienza, sono curiosi, non irreggimentati, liberi mentalmente, diffidano delle classificazioni, sono “intempestivi”, oppure, chissà, troppo tempestivi.

Scrive l’immunologo, oncologo, etno farmacologo Maurizio Grandi di Torino, Responsabile del Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile, citando il filosofo Arthur Schopenhauer: «Tutte le verità passano attraverso tre stadi. Prima vengono ridicolizzate, poi vengono violentemente contestate e infine vengono accettate dandole come evidenti».

 

E ancora: gli eretici di oggi lavorano «per tutelare e promuovere la libertà umana, in tutte le sue espressioni, per esplorare i territori di confine, per mischiare le carte, richiamando l’esperienza del passato ma aprendo nuovi orizzonti per il futuro, per incuriosire, per cogliere nessi per argomenti apparentemente distanti…

… Come avviene nelle fiabe più belle, guardando con la scoperta della fisica oltre l’orizzonte conosciuto, è più semplice credere nell’impossibile che nell’improbabile…

… E Arte e Scienza mettono in comune la Creatività, che ha spinto Bernini a sapere dell’ellisse di Keplero, Galileo a sapere di musica, Bergson a conoscere le idee di Einstein, i futuristi a indurre la forza del movimento, per uscire da una dimensione geometrica euclidea…

… Con le intuizioni che fecero vedere a Pasteur i microbi prima di averli scoperti, a Marconi le onde prima di avere fatto il telegrafo senza fili, ai coniugi Curie l’energia nucleare…

E in ogni scoperta il mondo, come in un granello di sabbia. E la curiosità di porsi domande, di indagare, con inquietudine e impegno. 

Con stupore e, poi, quasi con riconoscenza, e con lo stimolo a proseguire».

Gli eretici, insomma, sono ostinatamente “irregolari”, nel “tempo della malafede”. 

 

Barbara de Munari




Etica in cammino

Oggi parte una importante collaborazione tra Barbara de Munari e Betapress rappresenta un punto di incontro fra due mondi intellettuali profondamente impegnati nella disseminazione della cultura etica e morale nella società contemporanea.

Barbara de Munari, con la sua vasta esperienza come giornalista, editrice, e direttrice editoriale di ETICA A.C., si distingue per la sua profonda conoscenza della storia del pensiero filosofico, politico e religioso, specializzandosi in tematiche etiche e storiche.

La sua carriera è segnata da un impegno costante verso l’esplorazione di come i principi etici possano essere intrecciati nella trama della vita quotidiana e nel discorso pubblico, puntando a sollevare la consapevolezza su come l’etica influenzi decisioni e comportamenti.

Corrado Faletti, d’altra parte, porta nella collaborazione una prospettiva complementare, essendo un giornalista investigativo, storico e sociologo.

La sua ricerca si concentra sull’analisi della società attraverso il prisma della storia e della sociologia, esplorando come le dinamiche sociali e storiche modellino i valori morali e etici delle comunità.

La sua abilità nel connettere eventi passati con tematiche attuali fornisce una lente critica attraverso cui interpretare i cambiamenti nella percezione dell’etica e della morale.

Insieme, Barbara e Corrado hanno intrapreso un viaggio intellettuale con l’obiettivo di raccontare l’etica e la morale non solo come concetti astratti, ma come strumenti vivi e dinamici per navigare le complessità della vita moderna.

Attraverso la loro collaborazione, hanno sviluppato un progetto editoriale che mira a rendere la filosofia etica accessibile e rilevante per un pubblico ampio.

Questo progetto si propone di dimostrare come l’etica non sia solamente un insieme di norme da seguire in maniera rigida, ma un cammino di riflessione e scelta che accompagna l’individuo in ogni fase della sua esistenza.

Il fulcro della loro narrazione si concentra sull’importanza di integrare l’etica nella quotidianità, evidenziando come decisioni apparentemente banali possano avere implicazioni etiche significative.

Attraverso esempi concreti, storie di vita, analisi di eventi storici e dibattiti filosofici, Barbara e Corrado invitano il lettore a considerare come i principi etici possano servire da bussola nelle situazioni di incertezza, conflitto e cambiamento.

La loro opera si rivolge a chiunque sia interessato a comprendere meglio se stesso e il mondo circostante attraverso una lente etica, offrendo spunti di riflessione su come vivere una vita moralmente consapevole e impegnata.

La collaborazione tra Barbara de Munari e Betapress rappresenta quindi un esempio luminoso di come il giornalismo, la filosofia e le scienze sociali possano confluire in un dialogo fecondo, generando nuove vie per esplorare e comunicare l’importanza vitale dell’etica e della morale nella società contemporanea.

Questo progetto non solo arricchisce il dibattito pubblico su questi temi fondamentali, ma offre anche strumenti pratici per chi cerca di vivere in modo eticamente riflessivo e responsabile.




Genio Eterno: Arte come Emblema della Maestria Umana e Finestra sull’Infinito

Dopo l’accordo di Betapress con Ettore Lembo per parlare di politica, situazione internazionale e società, nasce la collaborazione tra Betapress e Paolo Battaglia La Terra Borgese, che rappresenta un affascinante incrocio di percorsi e competenze diverse, che si incontrano nel terreno comune dell’arte e della genialità umana.

Questa rubrica esplora la concezione dell’arte come massima espressione del potenziale umano, un ponte tra il reale e l’ideale, tra il temporale e l’atemporale.

“Genio Eterno” allude alla perpetua rilevanza del talento creativo e innovativo dell’uomo, che attraverso l’arte riesce a trasmettere messaggi, emozioni e visioni che rimangono attuali attraverso i secoli.

“Arte come Emblema della Maestria Umana” sottolinea l’idea dell’arte come simbolo della capacità umana di eccellere, di superare i limiti del conosciuto e del possibile, riflettendo la profondità del pensiero, la complessità delle emozioni e la grandezza della visione che solo l’essere umano può esprimere.

Questa frase intende valorizzare l’arte come testimonianza della continua aspirazione dell’uomo alla perfezione, alla scoperta e all’espressione del sé.

“Finestra sull’Infinito” evoca l’aspetto più trascendentale e universale dell’arte, la sua capacità di collegare gli individui con concetti e sentimenti che superano i confini del tempo e dello spazio, toccando l’essenza stessa dell’esperienza umana in una ricerca di significati ultimi.

L’arte diventa così una via per esplorare e connettersi con l’eterno, un mezzo attraverso il quale l’umanità può avvicinarsi alla comprensione di verità universali e alla condivisione di un senso di comunione con il tutto.

In conclusione, questo titolo mira a riflettere su come l’arte, nella sua espressione più elevata, sia un linguaggio universale capace di superare le barriere culturali e temporali, fungendo da testimone della ricerca umana di superamento, bellezza e trascendenza.

L’arte, in questa visione, è vista non solo come creazione ma come un dialogo continuo tra l’individuo e l’infinito, tra l’umanità e il suo eterno desiderio di esplorare, comprendere e comunicare l’ineffabile.

Questa alleanza intellettuale è particolarmente stimolante per il modo in cui intreccia saperi e visioni differenti, creando un dialogo multidisciplinare che va oltre i confini tradizionali dell’arte, della tecnologia e della critica.

Corrado Faletti, con il suo background di tecnologo, saggista e giornalista di indagine, apporta alla collaborazione una prospettiva unica sul ruolo che la tecnologia e l’innovazione giocano nella società contemporanea.

La sua expertise permette di esplorare come gli strumenti tecnologici possano essere utilizzati per creare nuove forme d’arte, ampliando le possibilità espressive e comunicative dell’essere umano.

La visione di Faletti sull’integrazione tra tecnologia e arte suggerisce un futuro in cui l’innovazione tecnologica non solo facilita la creazione artistica ma ne diventa un elemento costitutivo, spingendo i confini di ciò che consideriamo arte.

Paolo Battaglia La Terra Borgese, d’altra parte, con la sua esperienza di critico d’arte, sceneggiatore e mediatore culturale, introduce una prospettiva profondamente radicata nella storia e nella teoria dell’arte.

La sua capacità di analizzare e interpretare le opere d’arte attraverso il prisma della critica storica e culturale arricchisce la collaborazione, fornendo le basi per comprendere come le nuove forme d’arte si inseriscano nel continuum storico dell’espressione umana.

Paolo Battaglia La Terra Borgese, con la sua sensibilità verso le dinamiche culturali e sociali che influenzano l’arte, offre un’importante chiave di lettura per interpretare il significato e l’impatto delle innovazioni tecnologiche nel campo artistico.

La collaborazione tra Faletti e Paolo Battaglia La Terra Borgese è quindi un’esplorazione del connubio tra arte e realtà, arte e futuro.

Attraverso il loro lavoro congiunto, indagano come l’arte possa fungere da ponte tra l’umano e il tecnologico, tra il passato e il futuro.

Esplorano le potenzialità dell’arte come mezzo per riflettere sul mondo contemporaneo e immaginare futuri possibili, dimostrando come la creatività umana possa adattarsi e rispondere alle sfide poste dall’evoluzione tecnologica e sociale.

In sintesi, la collaborazione tra Corrado Faletti e Paolo Battaglia La Terra Borgese rappresenta un dialogo fecondo tra due menti creative che, pur provenendo da ambiti diversi, condividono un interesse profondo per le intersezioni tra arte, tecnologia e società.

Il loro lavoro insieme mette in luce come l’arte non sia solo una testimonianza del suo tempo, ma anche un veicolo per interrogare e comprendere la complessità del mondo in cui viviamo, aprendo nuove prospettive sul ruolo dell’arte e dell’innovazione nella definizione del futuro umano.




Il Bandecchismo

Le dimissioni di Stefano Bandecchi dalla carica di Sindaco di Terni, la città una nota come città dell’acciaio e dell’amore per aver dato sepoltura a San Valentino, rappresentano un fenomeno politico che deve essere guardato con attenzione e preoccupazione.

In primo luogo occorre guardare alla salita al potere del manager Stefano Bandecchi …(costruita sull’acquisizione della squadra di calcio locale con le immancabili promesse di successi crescenti e sul progetto di realizzare una clinica convenzionata  all’interno del complesso edilizio che avrebbe ospitato il nuovo stadio di calcio…) come  un fenomeno nuovo che pone al centro del dibattito l’anti-politica, la muscolarità  e la rudezza degli atti d’intervento.

L’anti politica non è un fenomeno nuovo. Il Movimento 5 Stelle ne aveva già fatto dal 2012 un costume della competizione elettorale e della gestione del potere.

Bandecchi è andato oltre creando il “bandecchismo”, un approccio cioè che non si limita ad introdurre nel gioco democratico iniezioni crescenti di politica immediata e umorale ma che svuota consapevolmente e premeditamene    l’azione politica  relegando ogni azione al mantenimento di un sistema improduttivo di opzioni o di atti di indirizzo politico il cui unico fine è la ribalta mediatica del suo fondatore e la copertura dei suoi interessi economici ed imprenditoriali.

Un ‘anti-politica, quindi, che ha  come unico scopo quello di servire sé stessa.

Un ricerca di consenso che schiva avvisi di garanzia, esposti per incompatibilità, sequestri della Guardia di Finanza fino agli insulti della gente comune.

Disarmante, a tal proposito, la risposta data ad un cittadino in occasione dell’ultima convocazione del Consiglio Comunale: 《Bandecchi Lei non è il mio Sindaco…!》, 《bene, Lei non è un mio cittadino!》, la replica del Sindaco dimissionario.

Una risposta che tradisce il vuoto che riempie la gestione del potere che il bandecchismo ha posto in essere e che frantuma l’idea di Stato, di appartenenza, di Polis, di comunità civile e sociale dove il Sindaco non è più un “Primus inter Pares” ma un “Padre Padrone” di lembi di civiltà strappati alla democrazia nei quali il dissenso esclude, emargina, travolge e rende opachi i conflitti d’interesse e le pratiche a filo di illegalità, come quando a ridosso del Natale scorso il Sindaco ha inviato in qualità ovviamente non di primo cittadino ma di imprenditore, 600 pacchi di Natale, di adeguato valore (si parla di oltre 200 euro) a “tutti” i dipendenti pubblici, ponendo in essere la più grande operazione di acquisizione del consenso posta in essere nel settore pubblico.

In secondo luogo non può sfuggire che il bandecchismo è un modello di conquista e gestione del potere pubblico attraverso leve e strumenti fortemente mediatici (l’acquisto delle squadre locali di calcio, la gestione di scuole e centri di formazione, l’utilizzo di numerose liste civiche associate ai candidato alle elezioni…) che è esportabile.

Bandecchi, attraverso il Partito, Alternativa Popolare di cui è Segretario nazionale e animatore, ha esportato e conta di esportare il suo modello in tutte le competizioni elettorali, in Umbria ma anche fuori regione.

Certo finora non sempre il nuovo baraccone della politica politicante ha mostrato di funzionare .

Nel distretto di Reggio Calabria, dove probabilmente Bandecchi cercherà di ottenere l’elezione a parlamentare europeo, il suo tentativo di comprare simpatia e consensi attraverso l’acquisto della squadra di calcio locale, la Reggina, non è riuscito nel suo scopo ed è stato anche rinviato al mittente l’assegno di centomila euro che il manager aveva deciso di regalare alla squadra nel corso di una sua convention in presenza del suo  partner locale Massimo Ripepi.

In terzo e ultimo luogo deve essere considerata la struttura di interessi conflittuali a cui il bandecchismo offre un riparo confortevole.

L’affarismo in Italia dai tempi di tangentopoli è sempre presente.

Oggi la gestione di interessi privati coltivati all’interno di procedure e risorse pubbliche rischia di trovare una cornice di legittimità che passa inosservata anche agli occhi delle Istituzioni locali e della magistratura.

Un cancro per la democrazia e lo Stato Liberale.

Il 7 febbraio scorso, probabilmente per far decadere gli esposti ad iniziativa popolare relativi alla incompatibilità di Bandecchi alla carica di Sindaco (già confermati da un Parere del Ministero dell’Interno datato 3 Agosto 2023) presentati il 7 e 8 agosto 2023 dai cittadini di Terni, rispetto ai quali il Prefetto, decorsi i 180 giorni previsti dalla legge 241/90, non avrebbe potuto diluire ulteriormente una risoluzione formale, il Sindaco Bandecchi si è dimesso dando vita ad un balletto di posizioni che talora confermano le dimissioni talora sembrano volerle smentire.

Mancano 14 giorni ai termini oltre i quali le dimissioni diventeranno effettive.

La Comunità di Terni che ha un dissesto finanziario di oltre 49 milioni di euro dovrà tornare a votare con costi importanti per il deficit pubblico.

Bandecchi cadrà sui stessi errori o forse travolto dalle indagini di Guardia di Finanza e magistratura o sulla diffusione dei “Cipro Papers”  relativi alle attività off shore del Gruppo industriale del manager che ormai in molti pensano siano prossimi alla pubblicazione.

 

 

 




Betapress e Ettore Lembo, matrimonio di idee.

Il comitato di redazione di Betapress.it è lieto di avviare una nuova collaborazione tra le testate Betapress.it ed Ettore Lembo News.

La collaborazione tra Corrado Faletti ed Ettore Lembo rappresenta un esempio significativo di sinergia professionale nel campo del giornalismo d’inchiesta, un ambito in cui la dedizione alla verità e l’impegno civile si fondono per dar voce a storie spesso trascurate o celate.

Entrambi i giornalisti, pur avendo percorsi professionali distinti, hanno trovato un terreno comune nelle loro visioni del giornalismo come strumento di denuncia sociale e politica, portando alla luce scandali, ingiustizie e malversazioni che altrimenti sarebbero rimasti nell’ombra.

La collaborazione tra Faletti e Lembo è caratterizzata da un approccio meticoloso alla ricerca della verità, che si manifesta attraverso un’indagine rigorosa e approfondita.

La loro metodologia di lavoro si basa su un’accurata verifica delle fonti, l’incrocio di dati e testimonianze, e un’immersione totale nei contesti investigati.

Questo approccio scrupoloso non solo conferisce credibilità alle loro inchieste, ma permette anche di tessere narrazioni complesse che riflettono la multidimensionalità delle realtà esaminate.

Un elemento distintivo della loro collaborazione è l’interdisciplinarità, che permette di affrontare le tematiche indagate da molteplici prospettive.

Lembo, con la sua profonda conoscenza del tessuto socio-politico, e Faletti, con la sua abilità nel narrare storie umane vere e disincantate, combinano le loro competenze per creare reportage che sono al tempo stesso informativi e coinvolgenti.

Questa fusione di stili e approcci non solo arricchisce il contenuto delle loro inchieste, ma rende anche il loro lavoro accessibile a un pubblico più ampio, facilitando la comprensione di questioni complesse e promuovendo una maggiore consapevolezza sociale.

La loro visione comune del giornalismo come strumento di cambiamento sociale è un altro pilastro fondamentale della loro collaborazione.

Entrambi credono fermamente che il giornalismo debba svolgere un ruolo attivo nella società, non limitandosi a documentare la realtà, ma aspirando a trasformarla.

Attraverso le loro inchieste, Faletti e Lembo cercano di stimolare il dibattito pubblico, incoraggiare la riflessione critica e, in ultima analisi, influenzare le politiche e le pratiche in modo da promuovere la giustizia e l’equità.

Tuttavia, la loro collaborazione non è esente da sfide.

Operare nel campo del giornalismo d’inchiesta comporta rischi significativi, tra cui la possibilità di ritorsioni legali e personali.

Inoltre, la crescente polarizzazione mediatica e la diffusione delle fake news rappresentano ostacoli ulteriori alla diffusione di un giornalismo basato su fatti accuratamente verificati.

Nonostante queste difficoltà, Faletti e Lembo rimangono impegnati nel loro percorso, sostenuti dalla convinzione che la loro opera possa contribuire a una società più informata e giusta.

In conclusione, la collaborazione tra Corrado Faletti ed Ettore Lembo simboleggia il potere del giornalismo d’inchiesta condotto con integrità, passione e impegno civile.

Attraverso il loro lavoro congiunto, essi non solo portano alla luce verità nascoste, ma dimostrano anche come il giornalismo possa agire come forza motrice per il cambiamento sociale, ispirando altri professionisti del settore e il pubblico a ricercare la verità e ad agire in difesa della giustizia e della trasparenza.




Agenzia delle Entrate nuovo DIO.

Ieri abbiamo scritto della scure fiscale nei prossimi stipendi dei lavoratori della scuola, vedi nostro articolo https://betapress.it/scure-fiscale-sugli-stipendi-ma-usiamola-noi-per-tagliare-le-teste-di-questa-classe-politica/, oggi la risposta dell’agenzia delle entrate alle innumerevoli proteste che si stanno sollevando rispetto ad una azione che evidentemente metterà in ginocchio migliaia di famiglie italiane.

Questa è la risposta:

La informiamo che non è possibile rateizzare i debiti per conguaglio fiscale. Questi devono essere recuperati in unica soluzione su disposizione dell’agenzia delle entrate.

Un vaffanculo faceva meno male, qui leggiamo supponenza, menefreghismo, ignoranza, miopia politica, stupidità ed incapacità di capire le esigenze del popolo oggi in forte difficoltà.

Ma i dipendenti dell’Agenzia hanno il conguaglio fiscale?

Siamo al livello di Maria Antonietta: il popolo si lamenta perché ha fame, dategli le brioche.

In realtà la frase non era proprio di Maria Antonietta, ma ormai l’immaginario collettivo la vede così.

Quindi alla frase: Agenzia le famiglie non reggeranno a questa tua operazione, la risposta è stata e chi se ne frega noi facciamo così!!!

Ma Noi chi?? ma tu sei mica Dio, sei un ente al servizio del popolo, e se affami il popolo che ti mantiene sei sicura che tu stia facendo il bene del paese??

Ma cacciamoli via tutti, questi sono degli incompetenti!!

Ma quando gli Italiani faranno come i Francesi che per un anno in più di età pensionabile gli hanno devastato le strade?

Basta Italiani facciamoci sentire, smettiamo di fare la rana bollita.

 

 

 




Scure Fiscale sugli stipendi: ma usiamola noi per tagliare le teste di questa classe politica.

La “scure fiscale” di febbraio 2024 rappresenta un momento significativo nel contesto della politica fiscale e dell’amministrazione pubblica in Italia, con un impatto diretto sul settore dell’istruzione e, più specificamente, sul personale scolastico.

Questo intervento legislativo vorrebbe razionalizzare la spesa pubblica attraverso una serie di misure che incidono direttamente sulle condizioni economiche e lavorative del personale scolastico, sollevando questioni di equità, efficienza e sostenibilità del sistema educativo nazionale.

Il che ci porta a dire in prima battuta: ma vi siete impazziti tutti? La scure fiscale dovremmo usarla noi cittadini per tagliare le teste di tutti voi cari signori che godete di stipendi a questo punto immeritati.

Voi dovete salvaguardare le famiglie, che caspita date i bonus come se fossero caramelle se poi alla prova dei conti tagliate la testa alle famiglie?

Ma volete ogni tanto ragionare come se prendeste 1200 euro al mese invece che 15.000???

Ma forse è la parola ragionare che non si abbina alla vostra natura.

Cerchiamo di ragionare con calma e vediamo di analizzare alcuni punti, alla fine vi lasciamo con una domanda a cui preghiamo il governo di dare una risposta seria.

 

Contesto e Giustificazione della Misura

Nel contesto di una crescente pressione sui bilanci pubblici, aggravata da una congiuntura economica difficile e dalla necessità di rispettare i vincoli di bilancio europei, il governo italiano ha introdotto la “scure fiscale” come parte di un più ampio pacchetto di riforme volte a ridurre il deficit pubblico e a rilanciare la crescita economica.

Queste misure sono state presentate come necessarie per garantire la sostenibilità finanziaria del paese e per migliorare l’efficienza della spesa pubblica, compresa quella relativa al sistema educativo.

Il personale scolastico, che include insegnanti, dirigenti, personale amministrativo e ausiliario, si trova così al centro di un dibattito sul ruolo e sul valore dell’investimento nell’istruzione in un periodo di austerità fiscale.

Le misure previste incidono su aspetti quali stipendi, pensioni, contratti a tempo determinato e risorse per la formazione professionale, con l’obiettivo dichiarato di ottimizzare le risorse disponibili e migliorare la qualità dell’offerta formativa.

 Impatti sul Personale Scolastico

L’impatto della “scure fiscale” sul personale scolastico è molteplice e suscita preoccupazioni in termini di equità, morale e qualità dell’insegnamento.

In primo luogo, la riduzione degli stipendi e il congelamento delle progressioni di carriera possono avere effetti negativi sul benessere economico degli insegnanti e sulla loro motivazione, con possibili ripercussioni sulla qualità dell’insegnamento e sui risultati degli studenti.

Inoltre, il ricorso più limitato ai contratti a tempo determinato e la diminuzione delle risorse per la formazione professionale continuata possono limitare le opportunità di sviluppo professionale per il personale scolastico e ridurre la capacità del sistema educativo di adattarsi alle esigenze in evoluzione della società.

Questioni di Equità e Giustizia Sociale

La “scure fiscale” solleva importanti questioni di equità e giustizia sociale.

Il personale scolastico, come categoria professionale, si trova a dover assorbire una parte significativa dei costi del consolidamento fiscale, il che solleva interrogativi sulla distribuzione del peso dei sacrifici richiesti alla società italiana.

In un contesto in cui l’istruzione è fondamentale per la promozione dell’equità sociale e per lo sviluppo economico a lungo termine, la riduzione degli investimenti nel personale scolastico può essere vista come controproducente e potenzialmente dannosa per le prospettive future del paese.

Riflessioni Finali

La “scure fiscale” di febbraio 2024 contro il personale scolastico si inserisce in un contesto più ampio di riforme e di dibattito pubblico sul ruolo dello stato, sulla gestione delle risorse pubbliche e sulle priorità della società italiana.

Mentre le giustificazioni economiche dietro queste misure possono essere comprensibili alla luce delle sfide finanziarie che il paese affronta, è fondamentale considerare attentamente le implicazioni a lungo termine di tali scelte politiche.

Una politica di austerità che colpisce il settore dell’istruzione e il personale scolastico solleva interrogativi critici sulla visione del futuro che si vuole costruire e pertanto sulla visione che lo stesso governo ha del paese.

L’istruzione è un investimento nel capitale umano, essenziale per la crescita economica sostenibile e per la coesione sociale.

Ridurre l’investimento in questo settore potrebbe avere conseguenze negative durature, non solo per l’economia ma anche per il tessuto sociale del paese.

È quindi imperativo bilanciare le esigenze di consolidamento fiscale con la necessità di investire nelle risorse umane, garantendo che le politiche adottate oggi non compromettano le generazioni future.

Insomma, ma vi siete davvero rincretiniti????!!!




Lupi di stato contro l’articolo 21

Il tema della libertà di stampa è di cruciale importanza nelle società democratiche, fungendo da pilastro per il mantenimento di un dibattito pubblico aperto e informato.

L’articolo 21 della Costituzione, come in molti stati liberal-democratici, riconosce esplicitamente il diritto alla libertà di espressione e di stampa, affermando il principio secondo cui ogni individuo ha il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero per mezzo della parola, della scrittura e di ogni altro mezzo di diffusione.

Questo articolo rappresenta un fondamento legale essenziale che dovrebbe garantire non solo la libertà di espressione individuale ma anche la protezione e il sostegno alla stampa come istituzione fondamentale per la democrazia.

Nonostante la presenza di tale articolo nella Costituzione, si può osservare una marcata discrepanza tra la teoria e la pratica nell’applicazione delle leggi che tutelano la libertà di stampa.

La critica principale che si può muovere in questo contesto è che lo stato, nonostante riconosca formalmente il diritto alla libertà di stampa, spesso non mette in atto meccanismi efficaci per la sua difesa e promozione.

Ciò si manifesta attraverso varie dinamiche, tra cui la mancanza di leggi adeguate che proteggano i giornalisti dalle minacce e dalle aggressioni, la presenza di normative che limitano l’accesso alle informazioni e la tendenza di alcuni governi a esercitare pressioni indirette sui media, attraverso pratiche come la pubblicità governativa selettiva o l’uso strumentale della giustizia per intimidire e sanzionare voci critiche.

L’assenza di un’applicazione pratica efficace del diritto alla libertà di stampa riflette non solo una vulnerabilità per i professionisti dell’informazione ma minaccia anche il diritto dei cittadini di essere informati su questioni di pubblico interesse.

Inoltre, la mancata implementazione di misure protettive per la stampa può portare a un clima di autocensura tra i giornalisti, i quali possono sentirsi costretti a evitare temi controversi o critici nei confronti del potere per paura di ritorsioni.

È imperativo che lo stato adotti un approccio più proattivo nella difesa della libertà di stampa, attraverso l’elaborazione e l’applicazione di leggi che non solo riconoscano formalmente il diritto alla libera espressione ma che offrano anche protezioni concrete ai giornalisti e ai media.

Ciò comprende l’istituzione di meccanismi di protezione per i giornalisti minacciati, la garanzia di accesso alle informazioni pubbliche, e la creazione di un ambiente in cui la libertà di stampa possa prosperare senza il timore di censure o repressioni.

In conclusione, sebbene l’articolo 21 della Costituzione stabilisca un solido fondamento teorico per la libertà di stampa, è evidente che lo stato deve fare di più per tradurre questi principi in azioni concrete.

La creazione di un ambiente sicuro e aperto per i giornalisti e la stampa non è solo una questione di rispetto dei diritti costituzionali ma è essenziale per il mantenimento di una democrazia sana e vibrante.

 

 

La libertà di stampa

 

 

L’indipendenza di Stampa




Elezioni americane 2024: “Di vero dicono il venti per cento.”

A dirlo è il giornalista, scrittore ed esperto di comunicazione Alessandro Nardone, assurto a fama mondiale in occasione delle Presidenziali Americane del 2016.

“Il caso Alex Anderson”

Chi seguì le Elezioni Presidenziali americane otto anni fa, ricorderà certamente il giovane e rampante Alex Anderson che, accanto ai “giganti” Hillary Clinton e Donald Trump, correva per la nomination a Presidente degli Stati Uniti.

Caso volle che anche il protagonista del thriller fantapolitico a stelle e strisce “Il predestinato” di Alessandro Nardone si chiamasse così e che l’Autore, spinto dal desiderio di lanciare il suo romanzo sul mercato anglofono e di promuoverlo in modo originale e divertente, avesse avuto la brillante idea di offrire al suo avatar un’entusiasmante avventura nel mondo “reale”: una vera e propria campagna elettorale.

L’operazione, a dir poco geniale, aveva un altro ambizioso obiettivo: dimostrare al mondo intero la “craccabilità” del sistema dell’informazione. Di questo Nardone avrebbe dissertato nel suo libro “Orwell”, nel cui glossario digital dà delle “fake news” la seguente definizione:  “Contenuti falsi o parzialmente veri diffusi al fine di manipolare la pubblica opinione”.

Il sistema di dis-informazione

“Un tempo la notizia si poteva verificare in modo minuzioso.” Confessa Nardone. “Oggi invece, fare il giornalista è diventato difficilissimo: si è quotidianamente bombardati da una mole enorme di notizie, si viene pagati poco o niente, si ha pochissimo tempo per valutare se la notizia è vera o meno e comunque, in nome del numero dei clic, vince chi arriva per primo”.

E infatti ci vollero ben nove mesi prima che le istituzioni americane, i media e il grande pubblico si accorgessero che Alex Anderson – il cui nome è l’anagramma di Alessandro Nardone – era un “fake”. Proprio come le “fake news” nelle quali, se non stiamo attenti, rischiamo di imbatterci ogni giorno nel web e attraverso i canali tradizionali di informazione.

E veniamo alle Elezioni presidenziali USA 2024

Quanto di vero ci stanno raccontando i media riguardo alle presidenziali americane, previste per il 5 novembre prossimo? 

Non più del venti per cento. Quello che arriva alle nostre latitudini dai cosiddetti “mainstream”, è filtrato dalle lenti della partigianeria a senso unico contro Trump. Utilizzano la tecnica del “framing”, quindi o mentono spudoratamente, o utilizzano solo la parte della notizia che è funzionale alla loro narrazione. 

Qual è il tuo punto di vista su Donald Trump e su ciò che rappresenta, rispettivamente, per i “patrioti” conservatori e per i suoi detrattori?

Per i patrioti Trump è il baluardo che può “salvare l’occidente” dalla deriva woke. Per i suoi detrattori rappresenta il maggiore ostacolo. Tieni conto che, con la sua vittoria elettorale nel 2016, di fatto ha sancito la nascita di questo nuovo bipolarismo: a livello mondiale, quanto meno occidentale, non più destra – sinistra ma popolo contro establishment, patrioti contro globalisti. Chiaramente il ruolo di Trump, per chi come il sottoscritto è conservatore, rappresenta una grande speranza.

… Establishment che ingloba tutto: dai media alle multinazionali, alla sanità, al mondo dello showbusiness…

Comunque, tutti noi conservatori continuiamo a essere la maggioranza silenziosa, perché rappresentiamo quello che è la realtà nei fatti. Non il modello di società che questo insieme di interessi e di lobby vorrebbe costruire, ma un tessuto sociale che è fatto di famiglie, papà, mamme, figli, lavoratori che si rimboccano le maniche per far quadrare i conti. Persone che non vogliono sentirsi dire da nessuno se devono o possono pronunciare il termine “famiglia”; persone che non si vogliono sentire in colpa per il fatto di essere normali. Oggi, infatti, se non sei gay, trans o nero vieni accusato di essere l’archetipo dell’uomo bianco occidentale. E poi il patriarcato…  Tutte queste bestialità. Noi non vogliamo essere accusati di essere “razzisti” o “xenofobi” perché siamo per la difesa della sicurezza dei nostri confini. Non vogliamo essere considerati “fascisti” perché non la pensiamo come i radical chic di sinistra. Questo siamo noi e questo sono le persone che votano Trump negli Stati Uniti, Giorgia Meloni in Italia, Milei in Argentina. Difendiamo i nostri valori e il nostro modo di essere, molto semplicemente. 

Alessandro, vorrei un tuo bilancio sull’amministrazione Biden dal punto di vista politico (guerre, Afghanistan, Ucraina, Medio Oriente, Cina), economico (inflazione), sociale (immigrazione clandestina), culturale (educazione, istruzione).

Un disastro totale, per l’Occidente. Guerre: l’abbandono dell’Afghanistan. Quelle immagini parlano da sole. Una vergogna, un’onta che una potenza come gli Stati Uniti non cancellerà mai dai libri di storia. Ucraina: ricordiamoci le implicazioni di Hunter Biden, il figlio di Joe Biden, con Burisma… E come Biden abbia soffiato sul fuoco fino all’ultimo giorno, spingendo Putin ad attaccare, facendo il contrario di quello che avrebbe fatto Trump, che avrebbe invece messo Putin e Zelensky a un tavolo finché non si fossero messi d’accordo. Dal punto di vista economico c’è, a mio parere, una totale mancanza di strategia. Anche dal punto di vista culturale c’è decadenza totale. E qui mi riferisco all’ideologia gender, che dal mio punto di vista è veramente un qualcosa di criminale, perché fuorviano i bambini sin dalle scuole elementari con la pornografia e con l’idea che possano cambiare sesso anche senza il consenso dei genitori. Sono bestialità che faccio anche fatica a pronunciare, da papà. Un decadimento totale. Oggi, dopo soli tre anni e mezzo di Biden – che valgono per quanti disastri ha fatto per trent’anni – gli Stati Uniti sono una nazione in declino. Basta andare a farsi un giro a New York, a San Francisco, a Los Angeles, le grandi città amministrate dai democratici, per rendersi conto di quanto sto dicendo. È una nazione in declino.  

Se il bilancio “dem” è fortemente in rosso, quante probabilità ritieni ci siano, per i democratici delusi da Biden, di rivolgersi a Trump nella speranza che possa fare di meglio?

Molti democratici hanno già dichiarato che si tureranno il naso e voteranno per Trump. Gli Americani sono molto pragmatici: se tu chiedessi loro se stanno meglio adesso o quattro anni fa… Il problema è quello che si trascina da anni: i democratici non sono stati capaci o non hanno voluto creare le condizioni affinché emergesse qualche leader credibile. Oggi, se i candidati fossero Biden e Trump, molti democratici o voterebbero per Trump, o non andrebbero a votare e comunque favorirebbero Trump. 

Hai un’idea di quanti siano questi dem, in percentuale, rispetto al totale? 

La situazione attuale ricalca quella del 2016, con Hillary Clinton che era molto, molto impopolare anche presso il suo elettorato. Alcuni sostenitori di Bernie Sanders – avversario alle primarie a cui la Clinton ha scippato la candidatura – dichiaratamente hanno votato per Trump, e molti altri si sono astenuti. 

Qual è il programma politico di Trump in risposta all’evidente flop democratico e quali sono, a tuo avviso, i suoi punti deboli e i suoi punti di forza?

Sicuramente Trump ha le idee molto chiare perché è già stato alla Casa Bianca. Dal punto di vista economico, sicuramente il punto di forza è quello di rimuovere le follie e i fanatismi woke, che in questo caso si traducono in fanatismo green. Anche dal punto di vista energetico, quindi, il ritorno ai combustibili fossili. E poi, un’economia che punti a riportare le aziende negli Stati Uniti e a scoraggiarle dall’”esternalizzare”, come aveva già fatto nel suo primo mandato. In questo modo si avvantaggia chi investe e produce negli Stati Uniti, creando ricchezza e posti di lavoro. E ancora, la ripresa del discorso dei dazi con la Cina. Biden quando è arrivato lo ha criticato, ma non li ha rimossi: vuol dire che anche su questo Trump aveva ragione. Continuare quindi sull’America First. Il punto debole, paradossalmente, è anche il punto di forza: la tentazione di un eccessivo isolazionismo. Ma Trump è un uomo d’affari e io credo che saprà coniugare l’America First con una dimensione internazionale, che gli Stati Uniti dovranno continuare ad avere da protagonisti. 

Cos’è l’“Ideologia Woke” fiorita nel periodo democratico e perché, a tuo avviso, non sta funzionando?

L’ideologia Woke è un insieme di dettami che partono dall’assunto del pensiero unico, il “politicamente corretto”: una sostanziale dittatura delle minoranze –  lgbt, razziali  – che applicano una sorta di razzismo al contrario, utilizzando anche la “cancel culture”. Come la cancellazione della storia da parte dei regimi totalitari, ad esempio. I fautori dell’ideologia woke, che troviamo anche nelle Università di Harvard e di Yale, ritengono tutto quello che deriva dalla cultura occidentale dal Rinascimento in poi, il Male. Estremizzo per chiarire e sintetizzare il concetto: la storia è fatta solo da bianchi che sottomettevano i neri e le donne e quindi è tutto “male”, tutto da cancellare. Harvard che cancella il corso sul Rinascimento, statue di Cristoforo Colombo abbattute… Insomma: tutta una serie di nefandezze che fanno parte dell’ideologia woke, di cui fa parte anche l’ideologia gender. Dal mio punto di vista è quest’ideologia a rappresentare il male, ciò che oggi sta portando al declino gli Stati Uniti. Ideologia che si traduce in negativo anche dal punto di vista economico: ad esempio i criteri di sostenibilità energetica e ambientale… Il falso mito della sostenibilità che introduce dei criteri assolutamente inattuabili per aziende “normali”, che magari sono costrette a chiudere perché non si possono adeguare. Alla fine a essere favorite sono sempre le multinazionali. È una partita di giro.

Quali scenari prevedi, negli States, nel caso in cui venga eletto presidente un democratico che dovesse rendersi, ancora una volta, portavoce delle summenzionate culture e ideologie?

Negli Stati Uniti si potrebbe arrivare anche alla guerra civile. Sì perché… Ribadisco, io sto facendo delle constatazioni oggettive, basta ascoltare un qualsiasi comizio di Biden, o anche leggere i suoi tweet, o quelli degli altri esponenti democratici. Accusano Trump per i suoi toni, però andiamo a vedere come parlano loro. Loro sono assolutamente divisivi. Dopo il trionfo di Trump in Iowa, Biden non ha parlato degli “elettori” repubblicani, ma degli “estremisti” repubblicani. E lui, attenzione, dovrebbe essere e parlare da Presidente di tutti. Quindi prevedo uno scenario, nel caso in cui dovessero affermarsi loro… Apocalittico. Per non parlare poi di tutto quello che potrebbe succedere nelle scuole, per via dell’ideologia gender…

Quali scenari potrebbero aprirsi, invece, per effetto dell’elezione di un presidente americano di fede repubblicana?

Di fede repubblicana ce ne sono diversi. Se vincesse Trump, rimetterebbe i valori tradizionali al centro del villaggio. Dal punto di vista geopolitico, gestirebbe il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente aprendo i tavoli delle trattative. Fermo restando che questo sarebbe sicuramente più semplice con Putin e Zelensky, mentre invece Hamas sappiamo che è un’organizzazione terroristica, quindi… Lì sarebbe un po’ più complicato. 

Parliamo un po’ di Robert Kennedy Junior. Aldilà dell’alto consenso trasversale di cui sembra godere, sia fra i globalisti democratici, sia fra i repubblicani conservatori, quali sono i suoi argomenti e fino a che punto possono far breccia nell’elettorato americano sia globalista, sia conservatore di oggi?

Beh, sicuramente la sua totale avversione al concetto di “guerra”. C’è un passaggio molto bello di un suo discorso che è diventato virale online, in cui dice: “Abbiamo imparato a utilizzare la parola ‘guerra’ in tutti i frangenti: la guerra all’immigrazione, la guerra al virus, la guerra all’inquinamento…” Kennedy ha puntato molto su una pacificazione tra i due elettorati: questo è un tema che può fare presa su entrambi i gruppi, soprattutto sulle persone che sono stanche di questo clima da guerra civile permanente, che da qualche anno a questa parte si vive negli Stati Uniti. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo acquisito la forma mentis che ci ha indotto il web. La “polarizzazione”, il fenomeno che caratterizza il nostro tempo, ci induce a considerare chi la pensa diversamente da noi non come qualcuno che ha idee differenti dalle nostre, ma un nemico vero e proprio. Così, ci si allontana sempre di più e ci si capisce sempre di meno. I media mainstream, infatti, parlano di un certo argomento utilizzando una determinata linea. Si stabilisce quindi un frame, una cornice, entro la quale discutere di quel dato argomento. Ed ecco che chiunque esca da quel frame viene aggettivato come “anti sistema”, “omofobo”, “fascista”, eccetera.

Quali sarebbero le sfide che oggi dovrebbe affrontare il personaggio digitale “Alex Anderson”, rispetto alla sua corsa elettorale del 2016? Il sistema dell’informazione è ancora altrettanto craccabile, riguardo all’infiltrazione e alla conseguente diffusione di fake news o qualcosa è cambiato da allora?

Hai sollevato una questione grandissima. La sua candidatura sarebbe irripetibile, come nel 2016. La sfida dell’informazione si è fatta ancora più difficile perché in questi anni abbiamo capito – e il resto dell’intervista in parte lo testimonia – che i veri conduttori di fake news alla fine sono i media tradizionali, non gli pseudo “complottisti”. Quelli sono in certi casi gli “utili idioti” che servono ai media mainstream. Quindi, la vera sfida che si gioca è quella dell’informazione e della comunicazione. 

Quindi in Europa ci arriverebbero delle notizie vere al 20%?

Quando va bene! Questo te lo firmo e te lo sottoscrivo.

Che frecce avrebbe al suo arco Alex Anderson e come convincerebbe i sostenitori di Trump a votare per lui, anziché riconfermare la loro fiducia all’Autore del motto: “Make America Great Again”? 

Sicuramente l’età. Una maggiore contemporaneità e consapevolezza di quelle che sono le necessità delle nuove generazioni, e anche una maggiore garanzia di proiettare gli Stati Uniti nel futuro. Questo potrebbe essere il suo valore competitivo. Con tutto il rispetto per Trump e per la sua agenda, Alex si proporrebbe come un’alternativa più nuova e anche scevra da quello che è il carico da novanta che, nel bene o nel male, si porta sulle spalle Trump. 

C’è qualcosa che vorresti aggiungere, a conclusione di questa nostra bella chiacchierata?

Alla fine, secondo me, il trait d’union di tutto è la coerenza. La coerenza e il rispetto per le idee altrui, sono due elementi che mancano sempre di più nel dibattito pubblico. E questo non avviene a caso, ma perché qualcuno lo vuole… Del resto, ce l’hanno insegnato i romani con “Dividi et impera”…  Dal mio punto di vista, invece, sono molte di più le cose che uniscono gli esseri umani. Se facessimo delle domande tipo: “Sei d’accordo sul fatto che tutti dovremmo vivere nel benessere? … Sul fatto che non ci dovrebbero essere guerre? … Sul fatto che le nostre città dovrebbero essere sicure? … Che la sanità dovrebbe funzionare?” Chi ti potrebbe dire di no? Nessuno. Dipende anche da come le poni, le questioni. Poi, alla fine, si torna sempre lì. È per questo che io insisto sul fatto dell’importanza dell’informazione e della comunicazione. Perché sono loro, alla fine, a determinare il corso della storia.”