Lettera di un mobbizzato al suo aguzzino

Caro 

mi trovo a dover mettere nero su bianco pensieri e sentimenti che da troppo tempo mi gravano l’animo, nella speranza che queste parole possano non solo alleggerire il mio cuore, ma anche illuminare una realtà forse a te oscura.

Da sei mesi a questa parte, ho sopportato in silenzio le tue continue vessazioni, le tue parole taglienti non solo verso il mio operato professionale ma, cosa ancor più dolorosa, verso la mia persona.

Inizialmente, ho cercato di comprendere le tue azioni come espressioni di un rigore professionale forse troppo zelante, o come il risultato di pressioni esterne che io stesso non ero in grado di vedere.

Con il trascorrere del tempo, tuttavia, è diventato chiaro che le tue scelte non erano dettate da nessuna di queste motivazioni.

Le tue azioni, piuttosto, sembrano radicarsi in una profonda incapacità di gestire il tuo ruolo con la maturità e la responsabilità che questo richiede.

Nonostante il dolore e l’umiliazione che le tue azioni mi hanno inflitto, voglio che tu sappia che il mio spirito rimane intatto.

La mia indipendenza di pensiero e la mia libertà dell’anima non sono state scalfite dalle tue continue aggressioni.

Queste qualità, radicate nel profondo del mio essere, sono state il faro che ha illuminato i miei giorni più bui, ricordandomi chi sono e per cosa sto lottando.

È forse questa indomabilità dello spirito che ti ha spinto a intensificare i tuoi attacchi, nel vano tentativo di piegare ciò che percepisci come una sfida alla tua autorità.

Tuttavia, è proprio questa resistenza che dovrebbe servirti da specchio, riflettendo non solo la mia forza ma anche la tua debolezza.

La tua scelta di ricorrere al mobbing come strumento di controllo è la testimonianza più eloquente della tua incapacità di esercitare il potere in maniera costruttiva e del tuo fallimento nel riconoscere il vero valore delle persone che ti circondano.

Riconosco che il cammino per comprendere e ammettere questi errori può essere lungo e arduo. La stoltezza delle tue azioni, tuttavia, non deve diventare una catena che ti lega perennemente a questi comportamenti.

Anche tu hai la capacità di cambiare, di crescere oltre le tue attuali limitazioni e di imparare a valorizzare e rispettare gli altri non per quello che possono darti, ma per quello che sono.

Ti lascio quindi con una riflessione: ogni individuo ha il potenziale per influenzare positivamente la vita delle persone che lo circondano.

La vera grandezza non risiede nell’esercizio del potere su gli altri, ma nella capacità di elevarli, di ispirarli e di contribuire al loro benessere e alla loro crescita personale.

Spero che un giorno tu possa intraprendere questo cammino di trasformazione e scoprire la soddisfazione che deriva dal contribuire in modo positivo alla vita altrui.

In aggiunta a quanto già espresso, ritengo fondamentale sottolineare un aspetto che mi preme particolarmente: l’utilizzo dell’abuso di potere per sopprimere o eliminare colleghi che dimostrano competenza e bravura superiore è non solo moralmente riprovevole, ma denota anche una visione miope della leadership e del successo collettivo.

Questo modo di agire, purtroppo adottato da te nei miei confronti, riflette una concezione di potere estremamente riduttiva e, a dirla tutta, di basso livello. In un contesto lavorativo sano e produttivo, la presenza di individui talentuosi e competenti dovrebbe essere vista non come una minaccia, ma come una risorsa preziosa.

La vera abilità di un leader non risiede nella capacità di sovrastare o eliminare la concorrenza interna, ma nel saper riconoscere, valorizzare e sviluppare i talenti di ciascuno per il bene comune dell’organizzazione.

L’abuso di potere a fini personali o per la mera eliminazione della “concorrenza” interna è una dimostrazione di debolezza e di insicurezza.

Implica una mancanza di fiducia nelle proprie capacità di guidare e ispirare, ricorrendo invece a metodi coercitivi per mantenere una posizione di dominio.

Questo comportamento non solo danneggia individualmente chi ne è vittima, ma erode le fondamenta stesse dell’ambiente lavorativo, compromettendo la coesione di squadra, la motivazione e, in ultima analisi, la produttività e l’innovazione.

Riflettendo su queste dinamiche, è evidente che l’uso dell’abuso di potere per “eliminare” colleghi capaci sia un’autentica strategia perdente.

Non solo pregiudica il benessere e la crescita professionale dei singoli, ma limita gravemente il potenziale collettivo dell’organizzazione.

Una leadership veramente efficace è quella che sa riconoscere e coltivare i talenti di tutti, creando un ambiente in cui ciascuno può eccellere e contribuire al successo comune.

Solo così si può aspirare a costruire una realtà lavorativa che sia non solo produttiva, ma anche giusta e stimolante per tutti.

In conclusione, spero che queste riflessioni possano offrirti una nuova prospettiva su ciò che significa essere un leader e su come l’esercizio del potere dovrebbe sempre essere guidato da principi di giustizia, equità e rispetto reciproco.

È mio sincero auspicio che tu possa riflettere su queste parole e, magari un giorno, adottare un approccio più costruttivo e inclusivo, per il bene di tutti coloro che lavorano al tuo fianco.

 

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Betapress invita tutte le persone soggette ad atti di mobbing sul lavoro a ribellarsi ed a non soccombere, alzate la testa e scrivete a direttore@betapress.it, vi aiuteremo a reagire, anche tramite un supporto legale.

 




A. è ancora con noi…

Qualche giorno fa A. ha tentato di andarsene da questo mondo, una difficile malattia ed un posto di lavoro ostile presso una importante Università Italiana le hanno fatto credere di non essere adatta a vivere.

Le abbiamo scritto queste due righe come comitato di redazione:

 

Ciao A. abbiamo saputo e siamo contenti di poterti scrivere ancora, vedi, per favore, di non fare favori agli altri, in questi casi è meglio combattere e perdere che arrendersi.

Volevamo scriverti ieri ma abbiamo preferito prima sentire Ch. per avere un quadro completo.

Permettici alcune considerazioni: il tuo gesto avrebbe solo generato tristezza nelle persone che ti vogliono bene, facendo invece contenti gli altri, ma ti pare logico!!?? Meglio allora combattere aiutata da chi ti vuol bene.

Noi siamo disposti ad aiutarti come possiamo, scriviamo un bell’articolo su di te che parla di come si difficile combattere tra lavoro e malattia e di come sia importante avere un supporto anche dai colleghi, falli stare di merda, falli sentire le merde che sono o almeno fai capire a tutti gli altri le merde che sono (infatti chi è una merda di solito non ne è consapevole).

A. ti capiamo e ti siamo vicino e lo sai, ma non posso accettare che una persona bella ed intelligente come te la dia vinta a degli ignoranti colossali.

Capiamo che tu creda di avere solo due possibilità ovvero andartene lasciando indietro tutta questa sofferenza o rimanerci dentro, quasi in un profondo nero di dolore.

Pensiamo invece che Tu non veda il sole che tu sei per gli altri, perché di solito chi lo è non se ne accorge.

Quindi hai una terza strada, forse la migliore, mettiti davanti ad uno specchio e guardati con gli occhi di chi ti vede realmente: in questo modo ti renderai conto che questa vita, seppur difficile, contiene dei valori e delle bellezze, e nessuno ha il diritto di privare il mondo della bellezza, nemmeno Tu.

E se tu pensi che andartene allieverebbe la tua sofferenza, beh, non è così.

E non lo diciamo seguendo un ragionamento religioso, anche se anche lì ci sarebbero delle ragioni valide, ma parliamo da un punto di vista egoistico.

La tua presenza su questa terra è un messaggio, un messaggio di bellezza, di generosità, di forza, di armonia, come pensi di arrogarti tu il diritto di spegnere per gli altri questo messaggio? ricordati che spegneresti una luce per chi la vede non per chi non la vede, e questo ti sembra logico, ti allieverebbe la tua sofferenza? te ne andresti contenta di aver reso tristi le persone che ti volevano bene? saresti così felice di chiudere gli occhi sapendo che il mondo che lasceresti dietro di te diventerebbe, almeno per noi che ti vogliamo bene, un poco più brutto? sei circondata da teste di cazzo?

Embè, sai quante ce ne sono nel mondo ed in qualsiasi posto credici, ma la tua vittoria è rimanere continuando a dimostrare che loro sono delle teste di cazzo, e questo si riesce a fare con il confronto, con la presenza di anime gentili, altrimenti se ci fosse solo il buio senza la luce chi capirebbe che è buio?

Questa è la tua terza via, continua a godere fino all’ultimo dei beni che questo mondo ti ha dato e che sono dentro di te e negli occhi di chi ti vuol bene, non farti guidare nelle tue azioni dal male negli occhi degli altri, ricordati sempre che raglio d’asino non giunge in cielo.

E poi calcolando anche solo che la tua presenza gli da fastidio, ma noi non ce ne andremmo mai!!!!

A. lascia che sia la vita a decidere per te, non tu per la vita, segui la tua anima luminosa, vivi ogni giorno per custodire quei beni che hai dentro di te affinché siano guida per gli altri, e pensa sempre che anche se la malattia ti rende difficile vivere, l’universo ti ha dotato di tanta bellezza, di un’anima buona, di una mente Brillante, gli altri intorno a te avranno la salute, ma sono delle perenni teste di cazzo, nel mondo c’è un bilanciamento.

A., vivi per vivere hai troppi doni per abbandonarli.

 

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A CHE PUNTO È IL GIORNO

 

Oggi parliamo di un argomento storico poco conosciuto, ma forse è meglio dire dimenticato.

Si tratta di una storia per certi versi analoga a tante altre, accadute in Europa nei secoli passati, ma che in questo caso riguarda il nostro Paese, l’Italia, e la sua bellissima isola, la Sicilia, e già solo per questo vale la pena che sia conosciuta e divulgata.

Si tratta di una storia di Convivenza e, contemporaneamente, di Discriminazione sull’isola del Mediterraneo e riguarda la storia degli ebrei in Sicilia.

La storia della presenza millenaria degli Ebrei in Sicilia, per secoli rimasta nell’oblio, torna ora ad affascinare e interessare storici, archeologi e antropologi che stanno riportando alla luce l’importante ruolo che ebbero gli Ebrei nello sviluppo economico e culturale dell’isola.

La rimozione c’è stata ed è motivata probabilmente dal pudore di dover narrare tutto ciò che gli Ebrei siciliani dovettero patire secolo dopo secolo, conquista dopo conquista, per mano di coloro che ne furono i potenti e spesso spietati dominatori, ma anche dal rammarico per tutte quelle risorse umane, culturali ed economiche che l’isola e tutto il sud d’Italia persero per sempre, dopo la loro espulsione nel 1493.

La storia giudeo-siciliana suscita ora nuovo interesse grazie alle recenti pubblicazioni che hanno avuto per oggetto la riscoperta di antica documentazione, rimasta sepolta per secoli negli archivi storici comunali e in quelli notarili di molte città siciliane.

Anche importanti e recenti scoperte archeologiche stanno accrescendo le nostre conoscenze della storia ebraica siciliana, lasciando intravedere possibili rivisitazioni dei fatti accaduti tra il III e il XVI secolo.

Si tratta di resti di siti sinagogali e cimiteri, disseminati un po’ ovunque sul territorio, dove numerose sono le pietre tombali rinvenute, sulle quali campeggiano epigrafi bilingui in greco, ebraico o latino con i tipici simboli ebraici della Menorah, dello shofar e della foglia di palma.

Sono stati anche ritrovati numerosi bagni rituali (mikvè), uno su tutti, quello commovente di Ortigia a Siracusa, di recentissima e casuale scoperta, considerato il più antico d’Europa, ricoperto di detriti dagli esuli ebrei prima del suo definitivo abbandono, forse per un senso di pudore o forse perché era ancora viva tra loro la speranza di un ritorno.

Ed ancora più affascinante è la storia del Kior (vasca per lavaggio delle mani) di Siculiana nell’agrigentino (sec. XV), proveniente con verosimile probabilità dalla Sinagoga o dal Cimitero di tale cittadina ed in epoca più tarda trasferito nel Battistero locale per divenirne la fonte battesimale.

Il suo donatore aveva voluto ricordare l’evento facendovi scolpire una scritta in ebraico, rimasta coperta per più di cinque secoli e dove oggi si può leggere: «Nell’anno 1475: Samuele figlio di Rabbì Yona Sib’on, riposi in Paradiso».
Posti ai due lati della scritta gli stemmi reali di Castiglia e di Aragona in onore dei sovrani spagnoli regnanti in quel periodo e che, ironia della sorte, solo diciassette anni dopo decretarono l’espulsione di tutti gli Ebrei oltre che dalla Spagna anche dalla Sicilia.

 

La storia è lunga, e non è certo questo il luogo per narrarla nella sua interezza, ma si può certamente affermare che non ci sia stato angolo della Sicilia in cui la presenza ebraica non fosse già ben radicata ancor prima dell’avvento del cristianesimo e soprattutto durante i quattro secoli precedenti l’espulsione, decretata dall’infame editto di Granada, siglato nel Gennaio del 1492 dai reali di Spagna, Isabella di Castiglia e da suo marito Ferdinando d’Aragona. Su incitamento del domenicano Torquemada, essi non dettero scampo agli Ebrei spagnoli e poco dopo anche a quelli siciliani, obbligandoli alla dolorosa scelta dell’esilio o alla conversione forzata.

C’era stato un tempo, tuttavia, in cui la vita degli Ebrei, nello specifico in Sicilia, era stata molto migliore e sicuramente diversa.

Ciò avvenne, nei due secoli di dominazione degli Arabi, i quali, seppur inizialmente considerassero gli Ebrei alla stregua di schiavi sui quali era lecito da parte loro qualsiasi abuso e sopruso, via via col passare degli anni, per motivi puramente economici, iniziarono ad instaurare con loro rapporti sufficientemente sopportabili.

Agli Ebrei, infatti, come pure ai Cristiani, venne concesso di poter professare liberamente la propria Fede e di costruire Sinagoghe e Chiese, anche se questa concessione non prescindeva dal pagamento di onerose gabelle.
Considerati dhimmi, cioè «protetti», gli Ebrei erano ritenuti una sorta di risorsa tributaria ed economica, situazione che li obbligava a pagare una tassa pecuniaria aggiuntiva, la gesìa. Questa loro condizione sarà poi, nei secoli seguenti, costantemente mantenuta anche dai successivi dominatori, per i quali non c’era alcun motivo di rinunciare a queste provvide, ma inique entrate fiscali.
Allo scopo di dare ulteriore impulso all’economia dell’isola, agli Ebrei, riuniti nelle loro Comunità dette Aliama, fu lasciata la possibilità di svolgere attività divenute con il tempo a loro peculiari, soprattutto quelle di tintori, conciatori, fabbri, artigiani, commercianti e armatori. 

D’altronde gli Ebrei, avvezzi a convivere con gli Arabi, come lo erano già in Spagna e nel Nord Africa, avevano con questi, oltre che la lingua, molteplici affinità come la comune conoscenza degli studi scientifici di medicina, astronomia e matematica e soprattutto delle materie teologiche e filosofiche.
Ciò che inoltre rendeva culturalmente simili le due etnie, era l’uso corrente della scrittura, motivo non sottovalutabile, che, di fatto, le poneva entrambe in una posizione più elevata rispetto al resto della popolazione, per lo più retrograda ed analfabeta.

 

Oggi sappiamo quanto esteso e vivace fosse il rapporto tra le varie comunità ebraiche in quell’area alla fine e dopo l’inizio del primo millennio e quanto, per questo, fosse divenuto essenziale il ruolo della Sicilia grazie al continuo prosperare e alla nascita in quei due secoli di numerosissime imprese manifatturiere e di altrettante piccole comunità ebraiche che le gestivano.

Cartiere, filature e tessiture della seta e del cotone, concia delle pelli, tintorie, fonderie siderurgiche, commercio delle stoffe, del grano e del formaggio (rigorosamente kosher) e il trasporto di queste e di altre mercanzie, furono solo alcune delle attività di appannaggio quasi esclusivo degli Ebrei siciliani, i quali, nei secoli seguenti, ne acquisirono naturalmente il monopolio, divenendo di fatto i più ricercati produttori, trasformatori ed esportatori di manufatti e di prodotti agricoli.
La Sicilia, posta in maniera strategica al centro del Mediterraneo, divenne, di fatto, uno snodo nevralgico per lo scambio di mercanzie di ogni tipo che, dall’isola, riprendevano poi la strada per il resto d’Italia e d’Europa.

Quanto vediamo oggi della Sicilia, lo si deve in buona parte ai due secoli di questa dominazione illuminata ed al suo intelligente sfruttamento, del quale gli Ebrei furono una parte essenziale.

 

Questa lunga premessa, assolutamente non esaustiva della memorabile storia della presenza e dell’attività degli Ebrei siciliani, ci è tuttavia utile per fare alcune considerazioni storiche attuali e contingenti, relative alla città di Catania ed alla recente costituzione ufficiale di una Comunità Ebraica e di una Sinagoga nel suo seno.

A volte la Storia viene riscritta dai posteri e ciò che sembrava dimenticato riaffiora dall’oblio, grazie al lavoro scrupoloso e appassionato di studiosi e di accademici, e anche di uomini leali e di buona volontà che, come nel caso di Catania, ne hanno ripreso in mano il bandolo riportando alla luce ciò che sembrava dimenticato per sempre.
Una Storia, quella della Sicilia ebraica e di Catania – ma non solo, verosimilmente somigliante per molti dei suoi aspetti a tante altre storie vissute e patite, anche in tempi recenti, dagli Ebrei di molti altri Paesi, storie esaltanti ma allo stesso tempo spesso dolorose, storie di persecuzioni, di morte, di esili, di abbandoni, storie rese simili dal pregiudizio e dall’invidia, dove la bramosia, infine, ne è stata sempre il rovinoso epilogo.

Accade, dunque, che alla Catania ebraica non venga – attualmente – riconosciuto il diritto di ridare vita ad una propria Comunità, al proprio culto, alla preghiera nella propria Sinagoga.

Sembra che si sia verificato un corto circuito di comunicazione con le autorità centrali della Penisola.

Come se queste non capissero gli Ebrei di Catania.

È sicuramente un momento non semplice per chi crede nell’importanza e nel valore di queste relazioni e, rispetto al passato, rispetto alla Storia, sembra che ci siano stati dei significativi passi indietro, ma proprio per questo sarebbe opportuno andare avanti, confidando nella possibilità che il confronto riesca a dare nel tempo i suoi frutti.

E forse ciò ha origine, anche, dalla profonda crisi attraversata da un Occidente che ha smarrito la propria identità, e che a volte non riesce a ben riconoscere quali siano i propri valori di riferimento. Tuttavia, si potrebbe andare oltre quell’ambito e slegarsi da ciò che spesso appare, purtroppo, come un secolarismo effimero – anche in campi religiosi.

 

  • Riassumendo in maniera essenziale e omettendo valutazioni halachiche, che sono di stretta competenza rabbinica, la sequenza dei fatti avvenuti a Catania è comunque tanto distopica da sfiorare i limiti del grottesco, posto che stiamo parlando di: 1) Laicità dello Stato; 2) Libertà religiosa; 3) Libertà di organizzazione ed azione; 4) Libertà di aprire luoghi di culto.
  • La Comunità Ebraica di Catania e il suo Istituto di Cultura Ebraica esercitano il culto ebraico all’interno della propria Sinagoga dal 17 ottobre 2018, nei locali concessi in comodato d’uso dal Comune di Catania e siti nel Castello di Leucatia; tale concessione ha la durata di sei anni e scadrà il 16 ottobre 2024.
  • Il 28 ottobre 2022 la Comunità Ebraica di Catania consacra ufficialmente al culto la propria Sinagoga, alla presenza di Rabbini giunti da Israele e da Whashington – essendosi dotata di un Sefer Torah e disponendo di un Rabbino e di un Tribunale Rabbinico di riferimento. Si tratta di un evento storico, religioso e culturale del massimo rilievo, sia per Catania – che fino al 1492 aveva due Sinagoghe – sia per l’Italia ebraica, che da Napoli in giù sembra si sia fermata nel (quasi) nulla.
  • In contemporanea, la signora Noemi Di Segni – nella sua veste di Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (di seguito: UCEI, Associazione di carattere privatistico) – inizia un attacco e una dura lotta di screditamento nei confronti della Comunità Ebraica di Catania, dichiarando e asserendo che essa non ha diritto di esistere né tantomeno di chiamarsi «Comunità Ebraica», né ancor più di avere titolo di appartenenza all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
  • L’anno 2023 si apre dunque con un pesante carteggio su carta bollata tra la predetta Presidente UCEI e l’Avv. Baruch Triolo, Presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica e Presidente della Comunità Ebraica di Catania – il quale ribatte alla Presidente Di Segni punto per punto, nello specifico: a) domandando dove fosse scritto che Catania non poteva usare la denominazione «Comunità Ebraica» (nemmeno si trattasse di un formaggio o di un vino d.o.p.) e b) ribadendo che la Comunità Ebraica di Catania sin da subito si era dichiarata disgiunta e non legata all’UCEI.
  • Emerge sin da subito la totale mancanza di possibilità di dialogo, di disponibilità al chiarimento reciproco, da parte della Presidente UCEI – che appare rispondere a ogni legittima comunicazione da parte dell’Avv. Baruch Triolo con quelli che si possono definire “argomenti fantoccio”, cioè utilizzando una fallacia logica che consiste nel confutare un argomento proponendone una rappresentazione errata o distorta.
  • Poi, da parte della Presidenza UCEI, si giunge all’intimidazione e infine alla citazione in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (prima udienza 08 febbraio 2024), inoltre convincendo (o meglio, tentando di convincere) con una sua personale visita, il Sindaco di Catania a revocare la concessione dei locali a suo tempo concessi a titolo gratuito (per sei anni, dal 2018 al 2024), destinati a uso Sinagoga e Uffici del Rabbino e siti presso il Castello di Leucatia.
  • La situazione diviene, a questo punto, orwelliana per tutta una serie di motivi: 1) l’UCEI è una associazione privata che, secondo il Codice Civile, può imporre le proprie regole statutarie solo ai propri iscritti e a nessun altro; 2) la Comunità Ebraica di Catania non aderisce e non vuole aderire all’UCEI, come sempre dichiarato; 3) una Associazione privata non dispone del potere di segnalare o accusare altre Associazioni per danneggiarle, né può imporre la propria volontà a una Pubblica Amministrazione (la città Metropolitana di Catania); 4) l’art.2 della legge 101/89 garantisce ad ebrei e comunità in genere il diritto, costituzionalmente garantito, della «libertà di esercizio del culto ebraico in forma sia individuale che associata»; 5) l’art.15 della legge 101/89 sancisce che «gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata con il consenso della comunità competente».
  • Tutto ciò predetto, l’UCEI non si presenta alla prima udienza in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (08 febbraio 2024), costringendo il Giudice a rimandare la prima udienza al 24 gennaio 2025, nonostante la procedura preveda la presenza di entrambe le parti per un tentativo, obbligatorio, di conciliazione e impedendo la richiesta di chiarimenti. Sottraendosi in sostanza al contraddittorio. La Comunità di Catania era rappresentata dall’Avv. Giuseppe Sciacca, membro della Comunità, dal Presidente della Comunità di Catania, Avv. Baruch Triolo, e dal Vice Presidente Alessandro Y.N. Scuderi.
  • La minaccia di sfratto dai locali del Castello di Leucatia ha un esito altrettanto surreale: il 15 febbraio 2024, data fissata dal Comune di Catania per un sopralluogo dei locali, propedeutico alla riconsegna dei locali, i tecnici del Comune non si presentano. Ed è notizia di questi giorni che la Municipalità di Catania si è premurata di rivolgere le proprie scuse alla Comunità Ebraica di Catania.

 

E dunque?

A che punto è il giorno?

Cui prodest tutto questo folle, insensato, dispendio di mezzi e di energie?

Perché questo cortocircuito, terribile, proprio in ambito ebraico, proprio in questo periodo di tensioni e di guerre?

Questa realtà distopica si inserisce nel momento storico che stiamo vivendo che, dopo il 7 ottobre, è sicuramente estremamente complesso e di difficile interpretazione – e in cui le tensioni non si limitano purtroppo al solo Medioriente.

Nessuno ha verità assolute da proporre e in questo momento molti di noi sono più capaci di porre domande che di dare risposte, tuttavia, cercando di essere analitici e obiettivi, nonostante tutto, continuiamo a sperare: a sperare nel Dialogo e nel Confronto.  

Pena la morte, la dispersione dell’egregore – e questo non deve avvenire: quando un certo numero di persone si raduna intorno a un’idea, i pensieri e i desideri di quelle persone creano un’entità vivente; è una legge del mondo spirituale.

E anche se quell’entità non è fatta di particelle sufficientemente materiali da far sì che la si possa vedere e toccare, essa esiste.

Questa entità collettiva viene chiamata «egregore» ed è un’entità vivente e operante, ogni paese, ogni religione e ogni corrente di pensiero possiede un’egregore e tutti i suoi membri, i fratelli e le sorelle che si riuniscono attorno alla stessa idea di pace e di luce, non smettono di alimentarla e rafforzarla.

Così, non solo essa può agire sulle altre egregore nel mondo per influenzarle beneficamente, ma contribuisce anche, e soprattutto, all’evoluzione di quegli esseri che lavorano per formarla.

Ma anch’essa è soggetta all’entropia – che dà la misura del disordine presente in un sistema fisico e, quando l’entropia sarà massima, nessuna trasformazione sarà più possibile, e sarà così la cosiddetta «morte fredda» dell’universo, in un sistema disordinato e a energia minima.

 

Barbara de Munari

Torino, 08 marzo 2024

 

[Si ringrazia per la disponibilità delle Fonti Storiche: Ariel Arbib, Storia degli Ebrei di Sicilia fino al XVI secolo – Convivenza e discriminazione sull’isola del Mediterraneo, in Joimag, febbraio 2022]




Donna, luce della famiglia.

L’Inestimabile Ruolo della Donna

La vita di un uomo è intrecciata con la presenza e l’influenza delle donne in modi profondi e significativi, dalla nascita alla morte, le donne sono sempre presenti,  nelle nostre esperienze, sostenendoci nei momenti difficili e condividendo le gioie della vita, in occasione della Festa della Donna, è importante riconoscere e celebrare il ruolo fondamentale che le donne svolgono nelle nostre vite e nella società nel suo complesso.

Sin dalla nascita, siamo accolti tra le braccia amorevoli di una donna, la nostra madre.

È lei che ci dona la vita, che ci protegge e ci nutre nei nostri primi momenti di vulnerabilità. Attraverso il suo amore e la sua dedizione, ci insegna il significato del legame familiare e ci dà le fondamenta per crescere e prosperare.

Nella nostra infanzia, spesso siamo affidati alle cure amorevoli di una donna, che può essere una nonna, una tata o una sorella maggiore.

Queste figure femminili giocano un ruolo cruciale nel plasmare il nostro carattere, insegnandoci valori importanti come l’amore, la gentilezza e l’empatia.

Sono loro che ci confortano nei momenti di tristezza, ci incoraggiano nei momenti di sfida e ci ispirano a sognare in grande.

Con il passare degli anni, ci innamoriamo di una donna e scopriamo il potere trasformante dell’amore romantico.

È lei che illumina le nostre giornate con il suo sorriso, che riempie il nostro cuore di gioia e che ci accompagna lungo il cammino della vita.

Insieme, condividiamo speranze, sogni e progetti per il futuro, costruendo una relazione fondata sulla fiducia, sulla comprensione reciproca e sull’amore incondizionato.

Quando è il momento di costruire una famiglia, è ancora una volta una donna che ci accompagna in questo viaggio straordinario.

È lei che porta avanti il miracolo della vita, che dona al mondo nuove generazioni piene di speranza e di promesse.

Attraverso il suo impegno e il suo sacrificio, crea un ambiente sicuro e amorevole in cui i nostri figli possono crescere e svilupparsi pienamente.

Infine, quando giunge il momento di affrontare la morte, spesso siamo circondati dall’amore e dalla presenza confortante di una donna.

È lei che ci accompagna nei momenti finali, che ci tiene la mano e ci consola con le sue parole gentili.

Attraverso il suo sostegno e la sua presenza costante, ci dà il coraggio di affrontare l’ignoto e ci permette di lasciare questo mondo con dignità e serenità.

La Festa della Donna è un’occasione per onorare e celebrare il ruolo inestimabile che le donne svolgono nelle nostre vite. Sono loro che ci danno la vita, che ci sostengono nei momenti difficili e che ci accompagnano lungo il percorso della vita, che si tratti della nostra madre, della nostra compagna, delle nostre figlie o delle nostre amiche, è importante riconoscere il loro valore e il loro contributo alla nostra felicità e al nostro benessere.

Buona Festa della Donna a tutte le donne straordinarie che rendono il mondo un posto migliore con la loro presenza.

 

 

Prof. Angelo SINISI




Al via il 3X2 nel Grande Oriente d’Italia, la più affollata obbedienza massonica italiana (di Paolo Battaglia La Terra Borgese)

Al via il 3X2 nel Grande Oriente d’Italia, la più affollata obbedienza massonica italiana

di Paolo Battaglia La Terra Borgese

Tre liste ma solo una di due vincerà il confronto.

È quanto è lecito desumere dalle dòxa di Zetetica e Cavaliere Nero.

Si vota domenica 3 marzo.

 

A muoversi da fuori il GOI, in nome della torcia luminosa della civiltà e del progresso, è perfino Giuliano Di Bernardo, già Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani, che ha sponsorizzato – direttamente e indirettamente – la lista numero 1 anche durante un’intervista di Fedez, nel corso di una puntata del podcast Muschio Selvaggio.

 

Tre liste ma solo una di due vincerà il confronto. È quanto è lecito desumere dalle dòxa di Zetetica e Cavaliere Nero (forum digitali massonici riservati agli addetti ai lavori).

 

Quis similis tui in fortibus Domine?

 

La terza lista – secondo gli umori registrati in Zetetica e soprattutto in Cavaliere Nero – sarebbe in netta minoranza, e la seconda, quella sponsorizzata dall’attuale Gran Maestro, si dichiara (ovviamente) del proseguimento.

 

A chi mira al cambiamento, non resterebbe altro da fare che votare per la lista numero 1

 

Così – se le opinioni rispecchiano la realtà aritmetica esposta -, a chi mira al cambiamento, non resterebbe altro da fare che votare per la lista numero 1.

Ciò al fine di non disperdere i voti, che, senza volerlo, diversamente, se destinati alla lista numero 3, finirebbero col favorire, la lista del proseguimento poco cara ai cambiamentisti tutti.

Purtroppo, in termini di obiettivi numerici ne pagherebbe le conseguenze di risultato la terza lista, sol perché considerata in minoranza.

 

Per farla breve, secondo alcuni e per non essere di tedio ai lettori: da un anno a questa parte, la fulgida luce massonica si è dovuta confrontare adendo i metodi “profani”.

 

Ma è storia vecchia, come vecchio è il profilo delle campagne elettorali in seno al GOI, che in termini dialettici perfettamente combacia con i programmi elettorali cosiddetti profani.

 

E la salsa è sempre la stessa, quella che suga per concimare un elenco di azioni e di tematiche sempre ripetute ed uguali ad ogni consultazione elettorale.

 

Giacché da sempre è uguale il repertorio di novità (?) proposte dal candidato di turno: la sovranità della loggia, il tema delle cariche, l’indipendenza della giustizia massonica rispetto alla giunta di governo del GOI, l’organizzazione interna, le azioni nel mondo profano, i rapporti con lo Stato, la solidarietà interna ed esterna, l’ammontare dell’appannaggio da riconoscersi al G.M. e, da questi ultimi anni, la discussa Fondazione del GOI. 

 

La lista numero 1

 

Tuttavia, questa volta, udite e lette le sue promesse, se vincesse il candidato della lista numero 1, LEO TARONI, egli, mantenendo fede al suo programma elettorale, è certamente destinato a passare alla storia della massoneria italiana e non solo, per i radicali cambiamenti di cui sarà artefice, dando vita a nuove origini nel Grande Oriente d’Italia – Palazzo Giustiniani.




Rossella Burzi, Medico con la EMME Maiuscola!

La Dott.ssa Rossella Burzi, specializzata in Medicina Nucleare e Medico Legale e delle Assicurazioni, da sempre è impegnata nell’assistenza medica umanitaria, come dimostra la sua attività di medico volontario durante una missione in Iraq (2010) finalizzata alla costituzione di una medicina territoriale.                                              

Dedita a un approccio olistico della salute che comprenda anche l’alimentazione, un sano stile di vita e il benessere personale e mentale, ha dimostrato il suo coraggio e la sua indipendenza nel triennio della gestione pandemica, fondando l’Associazione no-profit e pro veritateEdward Jenner” di cui è ora tesoriera.                                        

Insieme al marito Giuseppe Barone, capitano medico della Croce Rossa Militare e medico nucleare e legale, ha assistito – e tuttora assiste – i danneggiati da malasanità. In campo prettamente medico, l’Associazione Jenner ha aiutato e curato i pazienti danneggiati da vaccino; in campo medico legale e legale ha prestato assistenza gratuita con accurate perizie autoptiche e non, così sostenendo i parenti dei defunti, così ottenendo a favore dei propri pazienti danneggiati i primi indennizzi per danni da vaccino e le prime invalidità civili. 

Stanno iniziando ora le prime cause di risarcimento danni in Italia; si tratta  di cause extragiudiziali molto costose le cui spese non sono affrontabili per la maggior parte dei danneggiati. Ricordiamo che l’Associazione Jenner opera in regime ‘no-profit e pro veritate’: tutti sono volontari e l’Associazione stessa non riceve né sovvenzioni pubbliche, né altri sussidi o contributi, potendo contare solo su pochissime modeste donazioni private.                                                            

Nella sua attività di assistenza e divulgazione scientifica e sociale, la Dott.ssa Burzi si impegna a diffondere tra i pazienti la consapevolezza dei propri diritti e tra i colleghi medici un approccio critico e una “medicina della persona” che superi l’adesione pedissequa e a-critica ai protocolli, ristabilendo la regola aurea dell’Ars medica: operare “in scienza e coscienza”.

Per l’esperienza maturata sul campo e l’ampia casistica clinica analizzata, la dott.ssa Burzi si candida, insieme agli altri colleghi dell’associazione, a diventare un consulente qualificato della commissione d’inchiesta sul covid, appena approvata dal parlamento su istanza di Fratelli d’Italia.                                                   

Infine nel corso del 2023 si è prodigata, insieme ai volontari dell’Associazione Jenner, nel portare aiuto materiale, morale e clinico alle popolazioni romagnole colpite dall’alluvione di maggio, agendo direttamente sul territorio e cercando di offrire alla popolazione bisognosa generi di prima necessità e aiuti calibrati in base alle effettive necessità.                                                                                                        

Il 5 Marzo, a Bologna, nei saloni dell’Hotel Europa, la Dott.ssa Rossella Burzi riceverà un meritato riconoscimento per tanta abnegazione e premura: nel corso di una significativa cerimonia, le sarà assegnato il PREMIO ECCELLENZA DONNA 2024; un premio che gratifica la Professionista, la Donna, la passione il merito e il coraggio, anche di un Team di grande spessore umano, clinico e sociale.                           

Chi scrive ha avuto modo di apprezzare personalmente le qualità della Dott.ssa Burzi allorché, in prossimità del Natale 2022, un proprio familiare ha patito un’affezione alle vie respiratorie, per le quali si rese necessario il ricovero ospedaliero.

Sollecitata al riguardo, non ha lesinato suggerimenti e consigli: tali da rincuorare la paziente e tutta la famiglia.

Ancora Grazie!                                                                        

Abbiamo avuto l’opportunità di formulare qualche domanda alla Dottoressa:                 

Programmi per il futuro prossimo?

Certo, i ritmi sono intensi… ma non sono capace di sottrarmi ad alcuno dei miei impegni, ben consapevole che ci sono persone che soffrono, fisicamente e psicologicamente.

Anzi: mi accorgo che quando mi confronto con tematiche e problematiche, per reazione (ma anche per passione) subentrano nuove, nascoste energie. 

Ma il mio impegno resterà anche quando l’età della pensione subentrerà: con un’arma in più, maggior tempo a disposizione per aiutare chi soffre e chi possa aver subito un’ingiustizia sanitaria.                                                        

Cosa avrebbe voluto fare che non le è stato possibile portare a compimento?

Il rammarico, non solo mio ma di tutto il team, è quello di non poter contare su mezzi tali da assicurare un maggior impegno e un impiego ancora più articolato di professionisti.

La precedenza la vorremmo dare a una più significativa e continua presenza nell’assistenza dei pazienti impossibilitati a muoversi.

Ma siamo fiduciosi: guardiamo al futuro con ottimismo.                                                           

  Se dovesse lanciare un appello ‘sociale’, specie ai suoi concittadini?

Aiutateci come potete: un piccolo contributo di molti può aiutarci a fare grandi cose.

Ma soprattutto vogliatevi bene: controllate la vostra salute, mantenete un sano e continuo rapporto con il vostro medico di base, procedete a screening periodici e siate pronti a cogliere quelle variazioni che, pur non destando in voi allarme, vi spingano ad approfondire la valutazione clinica.

Non abbiate timore di prendere coscienza e consapevolezza della vostra eventuale malattia, di ciò che vi sia accaduto. Solo con la forza di tutti possiamo essere più forti nell’ottenere giustizia.                                        

E alle autorità?

Potrei dilungarmi troppo…

Le autorità amministrative e sanitarie sanno, hanno il polso della situazione, anche se talvolta la lentezza negli interventi sciupa molto.

Aiutateci ad aiutare: aiutando noi, le Associazioni di volontariato a vocazione territoriale come la nostra e le tante che possano esistere, consente di alleggerire le strutture sanitarie complesse, assicurando nel contempo assistenza sollecita di qualità, garantita dal contributo di professionisti capaci che saranno lieti di offrire ogni più utile aiuto.

Ma un preciso richiamo desidero riservarlo a quanto sta accadendo, in maniera molto dolorosa.

A fronte di persone che soffrono, che restano invalide, che muoiono, e – cosa ancor più grave – prima sane, è assurdo che nessuno sia ritenuto responsabile.

L’auspicio più vivo è che finalmente sia operativa la Commissione di Inchiesta che faccia luce su quanto è accaduto.

E’ doveroso che i responsabili paghino e si assumano le proprie responsabilità, senza così dover assistere a vergognosi scarica-barile.

Assistere a risposte del tipo ‘nessuno è responsabile’, non è segno di civiltà e mortifica ulteriormente le vittime: quasi avessero insistito e battagliato per sottoporsi alle note ‘terapie’ con sieri – ormai è accertato oltre ogni ragionevole dubbio – sperimentali.                                                                           

Ringraziamo la Dott.ssa Rossella Burzi per averci dedicato un po’ del suo tempo, rinnovando i nostri complimenti per l’importante riconoscimento che le verrà conferito.

Complimenti ai quali si associano gli Amici di ZETETICA e del suo Amministratore Paolo Battaglia La Terra Borgese e i Lettori di BETAPRESS.IT con il suo Direttore Prof. Corrado Faletti.




A PROPOSITO DI ETICA

 

 

Se la morale considera le norme e i valori come dati di fatto, condivisi da tutti, l’etica cerca di dare una spiegazione razionale e logica di essi.

Considerazioni generali

L’etica studia i fondamenti che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico e normativo, cercando di distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale (ad esempio, una data morale). Come disciplina affronta questioni inerenti alla moralità umana, definendo concetti come il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, la virtù e il vizio, la giustizia e il crimine. L’etica è, quindi, sia un insieme di norme e di valori che regola il comportamento dell’uomo in relazione agli altri, sia un criterio che permette all’uomo di giudicare i comportamenti, propri e altrui, rispetto al bene e al male.

Sovente etica e morale sono usati come sinonimi e in molti casi è un uso lecito, ma è bene precisare che una differenza esiste: la morale corrisponde all’insieme di norme e valori di un individuo o di un gruppo, mentre l’etica, oltre a condividere questo insieme, contiene anche la riflessione speculativa su norme e valori. 

Per comprendere meglio la natura ambivalente, intima e collettiva, dell’etica, possiamo confrontarla con un’altra istituzione normativa, il diritto. Entrambe le istituzioni regolano i rapporti tra individui, ma si affidano a mezzi diversi.

Infatti, mentre il diritto si basa sulla legge territoriale, valida solo sul territorio statale, che va promulgata affinché si conosca, e che, se non rispettata, sarà seguita da una pena, l’etica si basa sulla legge morale, valida universalmente, già nota a tutti in modo non formale; il primo si occupa della convivenza fra gli individui, la seconda della condotta umana più in generale.

È opportuno anche rilevare come il rapporto tra etica e diritto, nel corso della storia umana, sia stato ambiguo. Mentre, infatti, il diritto è la scienza della coesistenza, regolata da norme giuridiche che dovrebbero basarsi su princìpi etici, l’etica invece è la capacità di discernere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, e non sempre

essi coincidono o mirano allo stesso obiettivo.

Riflessioni sull’etica

La riflessione sull’etica nasce con SocratePlatone e Aristotele e poi è approfondita dalla Scolastica, affermandosi in modo deciso soprattutto con l’Illuminismo e, in particolare, con Immanuel Kant, che tenta di definire i presupposti razionali dell’agire morale dell’uomo, richiamandosi alla necessità di un’etica del tutto svincolata da ogni finalità esteriore e impostata su un rigoroso senso del dovere e del rispetto della libertà altrui (l’etica, dunque, come “imperativo categorico“).

Per quanto riguarda le culture extraeuropee, grande rilevanza ha il pensiero filosofico cinese. I filosofi cinesi hanno sempre dato una grande importanza all’etica, trattando di essa con maggior interesse e profondità rispetto ad altri argomenti filosofici. I maggiori filosofi cinesi che si sono interessati di etica sono Confucio, sicuramente il più importante, MencioLao-TseMozi. Poiché nelle culture orientali la distinzione tra filosofia e religione spesso non è chiara e netta, molto importanti per il pensiero etico sono stati anche il Taoismo e il Buddhismo.

L’etica ebraica indica un’intersecazione dell’ebraismo con la tradizione etica del mondo occidentale. Come per altri tipi di etica religiosa, la numerosa letteratura sull’etica ebraica intende rispondere a una vasta gamma di questioni morali e, quindi, può esser classificata come “etica normativa“. Per millenni il pensiero ebraico ha affrontato il problema complesso del rapporto legge-etica. La tradizione della Legge religiosa rabbinica (nota come Halakhah) esamina numerosi problemi spesso associati con l’etica, compresa la relazione dinamica con i doveri che non sono usualmente puniti dalla legge.

La storia dell’etica è costituita dalla successione delle riflessioni sull’uomo e sul suo agire e i filosofi hanno da sempre riservato un notevole spazio ai problemi etici. E non vi è dubbio che quando leggiamo in ogni codice penale che l’omicidio è uno dei più gravi delitti, punito con le sanzioni più severe, non possiamo non sentire l’eco del comandamento: Non uccidere.

D’altra parte sappiamo bene che, di là da un indispensabile nucleo essenziale di valori condivisi, nelle società multietniche e multiculturali imporre con la legge un precetto religioso o morale può significare una grave pressione sulla libertà delle persone e dei gruppi. Alla base, infatti, di ciascuna concezione dell’etica, sta la nozione del bene e del male, della virtù e una determinata visione dell’uomo e dei rapporti umani. E tali idee sono spesso correlate a una particolare religione, o comunque a un’ideologia.

 

Peraltro i punti di contatto tra etica e diritto sono svariati, anche se nella storia dell’uomo vi sono stati molti casi in cui il diritto non ha seguito la morale, come ad esempio nel caso delle leggi di Norimberga del 1935, in Germania, o delle leggi razziali italiane del 1938. Dall’altra parte, vi sono molti casi in cui l’uomo ha rifiutato il diritto, con il fine di seguire la propria etica. È il caso, ad esempio, dell’obiezione di coscienza, che è un comportamento con origini molto antiche nella storia dell’uomo. E Sofocle, nella sua tragedia Antigone, aveva già, all’epoca, posto l’accento sull’eterno conflitto presente tra legge umana (atto giuridico) e divina (riflesso della coscienza) e di come una delle due leggi potesse sovrastare l’altra.

 

I valori etici del diritto si basano innanzitutto sui Diritti umani, in altre parole quei valori dati da quello che noi consideriamo giusto. Di Diritti umani si è cominciato a parlare ampiamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In Europa, in particolare, vige un insieme di regole che riconoscono tali princìpi come fondamentali. La Dichiarazione è, infatti, la base comune che informa tutto il sistema giuridico europeo.

Ancora, non si può non osservare che diritto, religione e morale sono sempre in necessaria relazione fra loro, ma allo stesso tempo irriducibili l’uno alle altre. L’esperienza politica del continente europeo nell’ultimo secolo ha assistito alle gravi conseguenze che si generano quando la legge, volendo imporre un assetto di valori, è divenuta forza tirannica e totalitaria, nella forma di uno stato etico che è stato inevitabilmente assoluto. Ma lo stesso è accaduto quando, all’opposto, si è tentato di separare totalmente il piano del diritto dal piano della morale, sotto l’influsso del positivismo giuridico: allora la legge ha finito per divenire un puro atto di volontà, indifferente al contenuto del comando che essa poneva.

E così, per altra strada, la storia d’Europa è di nuovo stata attraversata dall’esperienza di un nuovo stato assoluto di diverso segno. Dopo la tragica epoca dell’ingiustizia della legge, con le leggi razziali italiane e tedesche degli anni ’30 del Novecento, si è compreso che il diritto e la giustizia dovevano tornare a dialogare, e che il diritto e la morale dovevano gravitare su orbite distinte, ma non del tutto distanti e separate.

Piero Calamandrei diceva: “Non bisogna scoraggiarsi. Non bisogna − solo perché nei periodi di generale turbamento sociale anche i giudici soffrono di queste incoerenze − cessare di avere fiducia nella giustizia“. Siamo negli anni ’50 del secolo scorso, quando questi pensieri erano annotati sotto il titolo «Crisi della motivazione». Ma oggi non hanno perso di attualità: sia pure con le evidenti differenze, anche oggi siamo in presenza di un “trapasso storico” e di un “generale turbamento sociale“, con un conseguente dissidio tra legge e giustizia, che si scarica essenzialmente su quest’ultima, nonché sulla motivazione dei suoi provvedimenti, principale veicolo di legittimazione della giustizia stessa. La motivazione sarà, infatti, il luogo, lo strumento, il momento della trasparenza, del rendere conto, e della coerenza della decisione adottata (per lo più prima della motivazione).

Mentre la “crisi della motivazione“, riflesso del dissidio tra legge e giustizia, condurrà, in alcuni casi, a motivazioni in aperto contrasto con il dispositivo.

Barbara de Munari

 




Ognuno per sé, Dio contro tutti, altro che Europa…

La tendenza delle nazioni a perseguire principalmente i propri interessi nazionali, anche quando si proclama l’obiettivo del bene comune, è un fenomeno complesso e radicato profondamente nella storia delle relazioni internazionali e la teoria realista delle relazioni internazionali, stigmatizza questo comportamento come intrinsecamente legato alla natura anarchica del sistema internazionale.

In assenza di un’autorità centrale che regoli le interazioni tra gli stati, questi ultimi agiscono in un contesto di auto-aiuto, dove la sicurezza e gli interessi nazionali diventano la massima priorità.

Il realismo sostiene che, anche nelle situazioni in cui viene invocato il bene comune, le nazioni tendono a valutare le proprie azioni principalmente in termini di potere e sicurezza, cercando di massimizzare la propria influenza e minimizzare le vulnerabilità.

D’altra parte, la teoria liberalista offre una visione leggermente diversa, enfatizzando il ruolo delle istituzioni internazionali, del commercio e della democrazia nel mitigare l’egoismo nazionale.

Secondo questa prospettiva, anche se le nazioni sono motivate dai propri interessi, la cooperazione internazionale e le reti di interdipendenza economica possono portare a risultati che beneficiano il bene comune.

Tuttavia, anche all’interno di questo quadro, le nazioni possono cercare di plasmare le regole e le istituzioni a proprio vantaggio, dimostrando come l’interesse nazionale e il bene comune possano essere difficili da conciliare.

La psicologia sociale offre ulteriori spiegazioni, suggerendo che la tendenza a favorire il proprio gruppo (in-group bias) può essere applicata anche al livello degli stati.

Questo bias porta le nazioni a privilegiare i propri cittadini e interessi sopra quelli degli altri, spesso giustificando tali azioni con la retorica del bene comune, anche quando le politiche adottate possono avere effetti negativi sul resto del mondo .

In ogni caso la storia diplomatica fornisce numerosi esempi di come le nazioni abbiano spesso invocato il concetto di bene comune per giustificare azioni che, in realtà, erano guidate da motivazioni egoistiche.

Questo non significa che il bene comune non possa mai essere un obiettivo sincero, ma piuttosto che la sua invocazione deve essere esaminata criticamente, tenendo conto dei contesti storici e geopolitici specifici.

Questo dovrebbe essere un dovere dei giornalisti, che sarebbero sempre tenuti a fare un’analisi critica delle dichiarazioni degli stati.

 

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Così oggi ci racconta il nostro amico IGNOTO UNO:

 

Gli Stati Uniti a guida Biden assecondati dai leaders europei, Commissione in testa, assai poco attenti al futuro dei propri popoli e molto di più alle logiche di potere di certi ambienti finanziari, erano, almeno ufficialmente, certi di riuscire a far terminare l’autarchia di Vladimir Putin ed a ricondurre, attraverso la sostituzione di questi, la Federazione Russa all’interno del sistema dagli stessi creato per garantirsi il controllo dell’occidente tutto, in pochi mesi, attraverso la guerra in terra di Ucraina.

Operazione politica, a dire il vero, che prendeva inizio già nel 2014, Obama alla Casa Bianca, con la Rivoluzione Ucraina contro il presidente Victor Janukovyč.

Rivoluzione evidentemente “facilitata” da chi allora governava a Washington.

Victor Janukovyč, leader politico filo russo, che, nel 2010, aveva vinto le elezioni battendo Julia Tymosenko che, al contrario, teneva stretti legami con l’occidente.

Tymosenko era colei che, infatti, dichiarava già nel 2008 “la vittoria di Obama ci ispirerà, le capacità di Obama sono ciò di cui il mondo ha bisogno”.

Queste “capacità” il mondo le ha potute vivere sulla propria pelle.

Le tante, troppe, “rivoluzioni democratiche” e il trasbordante desiderio di “esportare la democrazia” dello stesso Obama hanno, oggi lo vediamo e subiamo assai bene, devastato molte regioni del mondo.

Tornando alla martoriata terra ucraina, non possiamo che, sconsolati noi che crediamo nella vita e nella pace, prendere atto che sono passati due anni dal giorno in cui iniziò la,così la hanno denominata al Cremlino, Operazione Speciale, era il 20 febbraio 2021, e i fatti dicono ben altro rispetto a quanto ci è stato raccontato in questi ventiquattro mesi.

Non fosse tragico sarebbe ilare il discorso alla Camera dei Deputati italiana dell’allora Premier Mario Draghi in cui narrava la “vittoria” dell’esercito ucraino sulle forze militari russe e la devastante crisi finanziaria ed industriale della stessa Federazione Russa.

Ovviamente i media nostrani si guardano bene dal riportare alla memoria degli italiani quelle che i fatti, oggi, non possono fare altro che definire quelle affermazioni, a dire il vero assai assertive, come “baggianate”, tantomeno intervistano il diretto interessato, sempre menzionato come “risorsa” per il futuro europeo, con il fine di chiedergli quali fossero le sue fonti per portarlo ad esprimersi pubblicamente in quel modo così fuorviante per le scelte del Parlamento italiano.

Migliaia di morti e feriti, l’Ucraina completamente distrutta, cinque regioni della stessa saldamente sotto il controllo delle truppe russe, esercito ucraino che deve coscrivere nuovi giovani militari, il Capo di Stato Maggiore ne chiede 500mila, e sta terminando sia le armi che le munizioni.

Questa la drammatica realtà.

Nessun leader politico occidentale parla più di tregua e, allo stesso tempo, chi non ha una propensione alla demagogia ed ha una reale competenza nella strategia militare ritiene oramai certa la vittoria russa.

Oltretutto, ben conscio che il detto “l’appetito vien mangiando” vale sempre, le forze militari russe sembrerebbero oramai pronte a prendere il controllo di tutta l’Ucraina e non solo delle regioni russofone che erano, due anni fa, il reale obiettivo di Putin.

Dazioni economiche a favore del governo ucraino, tredici pacchetti di sanzioni alla Federazione Russa hanno assai impoverito tutti gli Stati Europei e, questo vede chi ha avuto modo di viaggiare all’interno della Russia di oggi, non hanno annichilito ne il potere di Putin, ne il sistema socio economico russo.

Un esempio su tanti, l’Italia nel 2023 ha incrementato l’importazione di grano dalla Federazione Russa per più del 1.000%.

Questo è un fatto, un fatto che andrebbe ben tenuto in evidenza da chi, in democrazia si deve ritenere “pro tempore”, è chiamato a decidere per i popoli occidentali, europei in particolare, compresa la Premier Meloni oggi chiamata a presiedere il G7.

Il pensiero che le elezioni presidenziali statunitensi del prossimo novembre e quelle europee di giugno impediscano a chi governa di prendere atto che sia necessario cambiare strategia politica è assai forte in molti analisti politici.

Fosse vero questo, temo che nulla accadrà prima del gennaio 2025 e che la guerra in Ucraina continuerà a uccidere e distruggere lasciando al prossimo presidente statunitense, molto probabilmente Donald Trump, il compito di “sanare” questa “metastasi” causata da un pensiero politico ideologico e non pragmatico.

I mesi che ci separano da quel momento incrementeranno la distruzione non solo dell’Ucraina ma anche delle relazioni politiche fra Stati confinanti all’interno, in particolar modo, dell’area geografica europea.

Senza voler menzionare i danni ai sistemi socio economici degli Stati della UE27.

Impossibile non vedere una diretta correlazione fra le scelte politiche in ordine alla guerra in Ucraina degli Stati Europei ed il fatto, esempio simbolo, che la Germania è entrata in recessione.

Putin è un “autarca”? Certamente sì.

Una domanda, sommessa, però, mi sovviene nel pensare al concetto di “autarchia”.

Giorgia Meloni era già nel 2006 vicepresidente della Camera dei Deputati, Matteo Salvini europarlamentare dal 2004, Antonio Tajani europarlamentare dal 1994.

Tre esempi scelti perché al vertice della nostra amata Italia oggi, se vi diverte continuate voi, sia con altri esponenti di destra che di sinistra o del cosiddetto centro.

Una Italia ove i parlamentari sono “nominati” dai leaders dei rispettivi partiti.

Una Italia ove è impossibile a causa delle norme fatte ad arte partecipare alle elezioni con nuove formazioni politiche.

Una Italia ove i media portano alla ribalta, troppo spesso, esclusivamente una, come oggi si suol definire, “narrazione”, quella di chi attualmente comanda.

Non è “autarchia”, anche, questa?

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” si legge nel Libro.

Ognuno, se amante della libera democrazia, se amante del pensiero logico che prevede che chi vince le elezioni rimanga conseguente al programma che ha proposto in campagna elettorale nella propria azione di governo, sarà libero, se lo vorrà, di riflettere su questa suggestione.

In fondo gli immensi filosofi ateniesi insegnarono, a chi li ha approfonditi sul serio, che per poter affrontare “l’altro”, prima, bisogna “conoscere se stessi”.

Le nazioni possono affrontarsi, confrontarsi, trovare equilibri, esclusivamente se rispettano se stesse.

Le proprie tradizioni, le proprie origini, la propria cultura.

Putin, esattamente seguendo questa traccia, parla di “area russa”, Zelensky riporta le sue scelte alla sua lettura delle “origini dell’Ucraina”, Trump parla di “America first”, difficile vedere un leader europeo di questi tempi fare altrettanto.

L’Europa, ancor più la nostra amata Italia, è ora che ricordi dove trova le sue radici, magari mettendo queste in mani salde che sappiano rispettarle ….. non solo a parole.

Ignoto Uno

 

 

DOSSIER UKRAINA: TOP SECRET




Se usi questa salsa potrai volare!!!!

Riportiamo una giusta domanda che si pone oggi ETTORE LEMBO NEWS, ovvero:

dove vogliamo arrivare?

https://tinyurl.com/yc4ds6y9

 

L’utilizzo di un messaggio popolare ma fuori contesto per la finalità che si vuole ottenere pone l’accento su un tema oggi quanto meno fondamentale: la questione della pubblicità fuorviante.

Questo tema si annida profondamente nelle riflessioni etiche e nelle prassi commerciali, costituendo un terreno di dibattito cruciale per l’integrità del mercato e la protezione dei consumatori.

Quando un messaggio pubblicitario viene considerato fuorviante, ci si riferisce alla sua capacità di indurre in errore attraverso informazioni false o presentate in modo tale da ingannare il ricevente, portandolo a compiere scelte non consapevoli o non pienamente informate.

Questa pratica non solo mina la fiducia tra consumatore e aziende ma solleva anche questioni significative riguardo l’etica commerciale e la responsabilità sociale d’impresa.

Dal punto di vista economico, la pubblicità fuorviante distorce il meccanismo di mercato basato sulla concorrenza leale e sull’informazione.

Nel mercato ideale, i consumatori fanno scelte basate su informazioni accurate e complete, permettendo così una distribuzione efficiente delle risorse e una concorrenza basata sulla qualità e sul valore dei prodotti.

La disinformazione, al contrario, causa una “falla di mercato”, dove i consumatori sono indotti ad acquistare prodotti o servizi che non rispondono alle loro aspettative o necessità, con conseguente insoddisfazione e potenziale danno economico.

Sul piano sociale, la pubblicità fuorviante erode la fiducia dei consumatori non solo nei confronti delle singole aziende ma dell’intero sistema commerciale.

In un’era caratterizzata da una crescente sensibilizzazione sui diritti dei consumatori e sull’importanza della trasparenza, pratiche pubblicitarie ingannevoli possono avere un impatto negativo sull’immagine e sulla reputazione delle aziende, generando un clima di sfiducia che va oltre il singolo atto di acquisto.

Questo può portare a una maggiore regolamentazione da parte delle autorità pubbliche, con l’introduzione di normative più stringenti sulla pubblicità e sul marketing.

Dal punto di vista etico, la pubblicità fuorviante solleva questioni fondamentali sulla responsabilità delle aziende nei confronti dei loro stakeholder, inclusi consumatori, società e ambiente.

Nel contesto della responsabilità sociale d’impresa, le aziende sono chiamate a operare non solo con l’obiettivo di massimizzare il profitto ma anche di contribuire positivamente al benessere della società.

La pratica di diffondere messaggi pubblicitari ingannevoli si pone in netto contrasto con questi principi, poiché manifesta un disinteresse verso l’integrità e il benessere del consumatore, privilegiando invece l’obiettivo di massimizzazione delle vendite a breve termine.

Dal punto di vista pedagogico, l’educazione al consumo critico rappresenta un aspetto fondamentale nella formazione dell’individuo moderno.

In un’epoca caratterizzata da un bombardamento continuo di messaggi pubblicitari, è essenziale sviluppare competenze critiche che permettano di analizzare, valutare e comprendere i messaggi pubblicitari, distinguendo quelli affidabili da quelli fuorviante.

Questo approccio pedagogico non solo prepara l’individuo a difendersi dalle pratiche commerciali ingannevoli ma promuove anche un consumo più consapevole e responsabile, in linea con i principi di sostenibilità e di etica.

In conclusione, la gravità di diffondere un messaggio pubblicitario fuorviante risiede non solo nelle sue immediate conseguenze economiche e sociali ma anche nelle sue ramificazioni etiche e pedagogiche.

La lotta contro la pubblicità ingannevole richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga legislatori, aziende, educatori e consumatori, ciascuno con il proprio ruolo nella promozione di pratiche commerciali etiche e trasparenti.

La realizzazione di un mercato basato sulla fiducia e sull’integrità non è soltanto un obiettivo etico ma una necessità pratica per lo sviluppo sostenibile dell’economia e della società.




Critica artistica: il suo significato

 

Per critica artistica si intende comunemente la riflessione dei critici d’arte più eminenti, come oggi Paolo Battaglia La Terra Borgese (in foto), Achille Bonito Oliva, Paolo Levi, Vittorio Sgarbi sull’opera dell’artista per determinarne il valore assoluto, l’individualità fantastica e per stabilire i motivi storici, pratici e contingenti, quando essa non assurge a valore, d’arte.

Comunque l’esigenza dell’autonomia dell’arte come espressione o linguaggio degli artisti, distinta dalle altre attività dello spirito è conquista moderna: nelle epoche precedenti l’arte fu limitata da pregiudizi che la subordinarono a fattori estranei alla sua natura.

Essa fu ritenuta ad es.: imitazione della natura, legata alla verisimiglianza, per cui spesso arte e abilità tecnica coincisero; espressione pedagogica e moralistica, con conseguente scala di valori di contenuto (teoria dei generi e dei sottogeneri); edonistica riproduzione del bello fisico in forma sensuale; idea del bello astratto, che alcuni popoli ebbero la fortuna di attingere, da cui il concetto parabolico dell’arte e la persuasione di irrimediabile decadimento di determinati periodi.

Questi pregiudizi portarono logicamente all’esclusione e al rigetto di interi periodi artistici che non potevano essere compresi in sì rigide determinazioni. Mancò cioè agli antichi il concetto di sviluppo storico e di libertà autonoma dell’opera d’arte ed essi non compresero mai la pienezza espressiva delle singole opere d’arte.

Il mondo greco infatti fu dominato dalla teoria dell’arte come imitazione della natura, di cui i due più grandi filosofi greci, Platone e Aristotile, gettarono le basi, il primo negando l’arte proprio perché imitazione di una natura già imperfetta, il secondo ammettendola come rappresentazione del verisimile idealizzato nei tipi delle cose; a tali teorie si aggiunsero concezioni edonistico-pedagogiche, che accentuarono il carattere intellettualistico dell’arte in età classica.

Ci rimangono tuttavia trattati tecnici, come il «Canone» di Policleto (V sec. a. C.), biografie d’artisti e descrizioni letterarie di opere d’arte nelle quali appaiono talvolta acute osservazioni critiche. Biografie di Duride Samio (IV sec. a. C.), di Senocrate di Sicione (III a. C.), descrizioni di Luciano di Samosata (II d. C.), di Pausania (II d. C.) e di Filostrato (III d. C.).

A Roma si ripetono senza sostanziale originalità i motivi teorici greci con accentuazione del carattere pedagogico. Vitruvio (I sec. a. C.) nel «De architectura» considera l’euritmia come valore estetico dei monumenti derivando il termine dei Greci. Plinio il Vecchio nel 37° libro della «Naturalis Historia» riprende il concetto dell’arte come imitazione della natura e traccia un profilo di biografie artistiche di notevole interesse.

Anche filosofi e letterati ribadiscono, senza approfondire, simili concezioni (Cicerone, Quintiliano, Plinio il Giovane ecc.).

Il Medioevo, pur accettando la concezione intellettualistica dell’età classica, per influsso del neoplatonismo di Plotino (il bello è la partecipazione del pensiero che discende dal divino) trasporta esigenze razionali anche nel processo mistico, poiché ogni attività umana è intesa in servizio di Dio, in una universale spiritualizzazione.

Perciò la concezione dell’arte si fa più libera da limitazioni di carattere naturalistico e sostituisce alla forma e al disegno, cari al classicismo, l’esaltazione del colore e della linea in tutti i suoi aspetti; ma l’arte è sempre intesa come mezzo educativo e pratico. Spunti e sporadiche annotazioni di critica d’arte si trovano in S. Agostino (sec. IV) e in S. Tommaso (sec. XIII). Tuttavia nessuna opera sistematica appare in questo periodo; solo ricettari (Teofilo sec. XII), enciclopedie e trattati di ottica (Witelo sec. XII), e tecnici (Vìllard de Honnecourt sec. XIII).

Col sec. XIV appaiono chiari segni di una concezione dell’arte rinnovantesi: Cennino Cennini in un suo trattato tecnico della pittura, il «Libro dell’arte», riporta il disegno in onore accanto al colore, in ossequio alla tradizione giottesca.

Nel sec. XV L. B. Alberti (Trattati sulla pittura, scultura, architettura) riafferma che l’arte è opera della ragione e di norme scientifiche, quali la prospettiva e si ispira ad una bellezza armonica di tipo naturalistico; la forma e il disegno tornano a prevalere; anche Leonardo nel suo trattato sulla pittura considera l’arte secondo forme tecniche e scientifiche.

Solo nei «Commentari» del Ghiberti appare un tentativo di valutazione critica degli artisti dell’antichità e del periodo gotico di notevole interesse.

Nel sec. XVI Giorgio Vasari nelle sue «Vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti» afferma il concetto di un progresso dell’arte risorta con Cimabue e giunta a splendida insuperabile maturità con Michelangelo e destinata quindi a certa decadenza dopo di lui: l’arte inoltre è intesa come disegno e forma: di qui l’affermazione della superiorità dell’arte toscana. A tale affermazione i difensori del colorismo veneziano, P. Aretino, L. Dolce, P. Pino insorgono con minor rigore normativo ma con vigoroso senso della validità della pittura di colore; essi sostengono il diritto di affrancamento dall’ordine razionale del disegno toscano e rigettano ogni proporzione astratta.

Nei loro trattati di architettura Serlio, Palladio, Vignola tornano alla concezione di Vitruvio, con scopi pratici ben dichiarati. Si sviluppa inoltre nel sec. XVI la concezione pseudocritica dei manieristi, che propugnano l’imitazione dei motivi tecnici dei grandi maestri del secolo; G. P. Lomazzo, ad esempio, formula un programma di vigilato eclettismo, che sarà poi teorizzato all’inizio del sec. XVII dall’Accademia degli Incamminati di Bologna con i fratelli Carracci, la cui importanza storica è grande per la comprensione dell’accademismo e dell’eclettismo dei sec. XVII e XVIII. Nella loro scia si muovono i biografi secenteschi d’artisti come il Passeri, lo Scannelli, lo Scaramuccia ecc.: sulle orme del Vasari muove invece F. Baldinucci.

Contro la concezione Vasariana nelle sue «Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni» insorge G. P. Bellori, assertore dell’imitazione dell’antichità classica e precursore del neoclassicismo: egli giudica Raffaello unico erede del verbo classico nel sec. XVI; esalta Poussin come il miglior pittore del suo tempo, ignora Caravaggio.

In Francia tal principio classicistico è sostenuto dal Felibien e dal Le Brun, teorici dell’Accademia di Francia. Anche il moralismo cattolico della Controriforma ha i suoi teorici (ad es. i Card. Paleotti e Borromeo).

Reagiscono alle pastoie accademiche il veneziano M. Boschini e il francese R. De Piles esaltando il colore contro la forma e i moderni contro gli antichi; la polemica sfocia in Francia nella famosa querelle des Anciens et des Modernes.

Il sec. XVIII vede per la prima volta affermata l’autonomia dell’arte in una nuova scienza; l’estetica ad opera del tedesco Baumgarten; in Italia G. B. Vico afferma l’essenza dell’arte come fantasia; in Francia il Diderot esalta il sentimento come espressione dell’arte in saggi e nelle recensioni dei Salons in cui egli esprime una critica spigliata e geniale anche se un po’ superficiale.

Le idee accademiche del secolo precedente continuano invece in Italia nel Ciocchi nel Bottari nell’Algarotti e finiscono nell’imponente storia pittorica del Lanzi in cui tuttavia è un serio tentativo di cogliere l’individualità degli artisti. Le teorie veneziane del 600 sono riprese dallo Zanetti.

In Inghilterra infine lo Hogarth e il Reynolds difendono l’arte contemporanea con misura britannica contro il Neoclassicismo trionfante.

Il Neoclassicismo infatti, già apparso all’inizio del secolo nel pensiero dell’inglese Shaftesbury, trova alla metà del secolo i suoi teorici in due Tedeschi, il pittore Mengs e l’archeologo Winkelmann.

Il Mengs propugna una bellezza assoluta e trascendente manifestantesi nella forma circolare e nell’uniformità del colore, il Winkelmann afferma la bellezza come ideale neoplatonico e la realizzazione di esso trova nella calma euritmia delle statue classiche; perciò essi oppongono una critica delle forme astratte e dell’arte universale all’indagine concreta di individualità artistiche.

Dal Winkelmann derivano il Milizia, il Seroux d’Agincourt, autore della prima storia universale dell’arte, il Cicognara ecc. Il Lessing chiude il secolo con il suo “Laocoonte”, affermando il concetto della bellezza in senso fisico come proporzione corporea, di cui modello è il Laocoonte classico.

Il sec. XIX eredita i problemi e i motivi non sviluppati del ‘700 e in reazione polemica col Neoclassicismo esalta l’irrazionalità dell’arte medievale e l’imitazione di essa con i movimenti dei Preraffaelliti in Inghilterra (Rossetti, Hunt, Millais) e dei Nazareni e Puristi in Germania e in Italia (Overbeck, Minardi, Tenerani) la cui importanza storica è notevole, anche se artisticamente essi segnano un fallimento.

Teorici di tali tendenze sono il WalPole il Langley, lo Hurd in Inghilterra, J. J. Heinse, H. Fussli e W. Wackenroder in Germania, A. Rio e E. Viollet-le-Duc in Francia: fra essi si segnala l’inglese J. Ruskin che concepisce l’arte come comunione mistica con la natura, come estasi, con geniali giudizi sull’arte medievale.

Questi teorici sono solo in parte influenzati dal grande pensiero idealista che, movendo dalle premesse di Kant, con Schelling concepisce l’arte come espressione dell’infinito nel finito e con Hegel l’arte come grado dello spirito assoluto in cui l’idea si manifesta sensibilmente nell’individuo.

La feconda concezione idealistica non trova eco nella critica militante, che per lo più persegue intenti accademici, ma essa appare nella critica di artisti e letterati che difendono polemicamente la libera creatività dell’artista.

Esempio tipico ci forniscono le polemiche dei Salons in Francia tra romantici e classici (Planche, Delacroix, Delecluze, Vitet, Lenormant) tra i quali spicca con la sua critica geniale Baudelaire.

La polemica si rinnova per il realismo con Thoré, Fromenbin, Champfleury, Chesneau e per l’impressionismo con Duret, Burty, Duranty, Riviere, Geffroy, Zola, etc. e per i movimenti pittorici ulteriori con Huysmans, Laforgue, Feneon, Signac, Denis, Apollinaire, Gleizes, Ozenfant, Lhote etc.

La critica ufficiale è dominata invece dalle teorie accademiche e poi dall’angusta teoria positivistica di H. Taine.

Anche in Italia la critica più viva è quella dell’ambiente dei Macchiaioli toscani con A. Cecioni, T. Signorini, D. Martelli.

Il secolo nella 2a metà vede fiorire per influsso del positivismo l’attività di filologi, archeologi e conoscitori che forniscono preziosissimo materiale d’indagine sulle fonti: Jahn, Brunn, Furtwangler, Milanesi, Frey, Kallab: altri compilano manuali di storia d’arte di singoli periodi con grande erudizione, Wolff, Muller, Pauly e Wissowa, Krauss, Kugler, Blanc, Semper, Kondakoff, Diehl, Muntz, Grimm, Justi, Dvorak; in essi debole è la base critica: emerge tra essi il Buirckhardt con il suo “Cicerone” per un’innata vivacità di giudizio. Più importanti i conoscitori; Rumohr, Passavant, Bode, Cavalcaselle, Morelli e con basi più solidamente critiche A. Venturi e B. Berenson nel sec. XX e l’americano Kingsley-Porter.

In questi ultimi appare chiara la reazione al positivismo e l’influsso della teoria della pura visibilità. Essa sorge in Germania ad opera dello scultore Hildebrand, del pittore von Marees e del filosofo Fiedler: arte è ciò che è visibile; linea, spazio, forma, colore etc. sono gli elementi che permettono il giudizio dell’opera d’arte; la teoria viene approfondita dal Wickhoff e dal Riegl; la divulgano H. Woefflin, A. Schmarsow, A. E. Brinckmann, B. Berenson, C. Bell, R. Fry, A. Stokes, J. Mesnil, H. Focillon.

La pura visibilità è superata in Italia dal pensiero di B. Croce, che concepisce l’arte come apprensione fantastica di un momento di vita fissato nella sua individualità ma rimane come base proficua di ricerca in R. Longhi, L. Venturi, M. Marangoni, R. Salvini.

La concezione critica crociana ha influenzato profondamente molti critici italiani del sec. XX, da C. L. Ragghianti a S. Bottari, da C. Baroni a G. C. Argan; un influsso profondo ha operato anche sull’austriaco J. von Schlosser. Tuttavia esporre gli aspetti della critica d’arte nel secolo XX è impresa ardua e quasi impossibile sia per le numerosissime personalità di rilievo in Italia e all’estero, sia perché l’evoluzione continua e viva del pensiero in tal campo impedisce di formulare giudizi definitivi.

Tuttavia della nobile schiera degli studiosi di arte e di critica di arte in Italia con tendenze e indirizzi diversi ricordiamo senza pretesa alcuna di completezza: F. Wittgens, M. L. Gengaro, E. Tea, A. M. Brizio, G. Nicco Fasola, M. Pittaluga, A. Franchi, A. Banti, J. Toesca tra le donne cultrici d’arte; P. E. Arias, C. Anti, L. Banti, R. Bianchi Balndinelli, A. Della Seta, P. Ducati, S. Ferri, G. Galassi, G. Lugli, A. Maiuri, L. A. Milani, P. Orsi etc. tra coloro che prevalentemente si sono interessati di archeologia e di arte classica; E. Arslan, F. Arcangeli, P. Bargellini, M. Bernardi, A. Bertini, L. Biagi, M. Biancale, F. Bologna, L. Borgese, G. Briganti, E. Carli, G. Castelfranco, E. Cecehi, L. Coletti, V. Costantini, P. D’Ancona, G. De Francovich, G. Dell’Acqua, G. De ,Micheli, A. De Rinaldis, R. Delogu, D. Dorfles, D. Fogolari, V. Golzio, E. Lavagnino, A. Marabbottini, G. Mariacher, V. Mariani, E. Modigliani, A. Morassi, O. Morisani, V. Moschini, U. Nebbia, G. Nicodemi, R. Pane, L. Planiscig, A. J. Rusconi, F. Russoli, M. Salmi, S. Samek-Ludovici, L. Serra, S. Solmi, E. Somarè, F. Zeri, B. Zevi, G. Vigni etc. tra i cultori di arte medievale e moderna.

Inoltre gli scambi di concezioni e di idee tra i singoli paesi e la diffusione della conoscenza mediante la riproduzione fotografica delle opere d’arte d’ogni parte del mondo allarga notevolmente le possibilità degli studiosi e dei critici d’arte.

Numerosissime sono le riviste d’arte, delle quali alcune hanno carattere di collaborazione internazionale, come il “Burlington Magazine” e la “Gazette des Beaux Arts”, quest’ultima cessa le pubblicazioni nel 2002. In Italia meritano particolare menzione le riviste: “L’Arte” diretta da A. Venturi poi interrotta, “Palladio”, “Bollettino d’arte”, “Arte veneta”, “Commentari”, “Paragone”, “Proporzioni” oggi fondazione, “Sele Arte” (1952-1966) oggi fondazione.

Anche cataloghi di gallerie e musei vengono redatti con intendimenti non solo filologici ma anche critici e cintici.

Negli studi di carattere filologico si tende ad un maggior rigore normativo, specie in Italia ad opera di P. Toesca, A. Ancona, G. Fiocco, S. Ortolani, R. Pallucchini, S. Bettini, C. Brandi etc.

Mostre vengono periodicamente allestite con intendimento non solo divulgativo ma anche critico; in Italia la Biennale di Venezia offre un esempio cospicuo in tal senso attraverso i suoi valorosi rappresentanti storici, da R. Pallucchini a U. Apollonio, da L. Venturi a G. Marchiori, da C. G. Argan a M. Valsecchi.

Carattere più limitato ha la critica dei quotidiani, poiché essa indulge troppo spesso alle tendenze e al gusto medio di lettori non preparati.

Il secolo XX ha visto ancora fiorire la critica d’arte espressa dagli artisti stessi, come avviene ad esempio per C. Carrà e A. Soffici in Italia, per Le Corbusier in Francia e per H. Moore in Inghilterra.

Problemi aperti di indagine critica sono ancora oggi: le tendenze critiche sociali e marxistiche, la metodologia americana, la critica esistenzialistica, la critica neo-positivista etc. su cui i giudizi sono ancora molto contrastanti; e per quanto concerne dalla seconda metà del XX secolo le esperienze artistiche non hanno più confini concettuali e di realizzazione, e più che mai la critica d’arte assume fondamentale importanza nella società:  la Treccani recita  che “L’alto grado di specializzazione e il sempre maggior peso culturale della critica d’arte nella seconda metà del secolo scorso e specialmente nel nostro dimostrano che essa risponde a una necessità obiettiva e non può considerarsi un’attività secondaria o ausiliaria rispetto all’arte stessa. È infatti impossibile intendere il senso e la portata dei fatti e dei movimenti artistici contemporanei senza tener conto della letteratura critica che a essi si riferisce”.

Comunque possiamo constatare con soddisfazione che il sec. XXI promette di sviluppare tutte le possibilità della critica d’arte in tutte le direzioni, e ciò anche grazie al contributo annesso dal critico d’arte Philippe Daverio scomparso il 2 settembre 2020.

Scrive Wikipedia: Nella storia recente in Italia si annovera una schiera di critici e storici dell’arte contemporanea quali Paolo Battaglia La Terra Borgese, Federico Zeri, Paolo Levi, Achille Bonito Oliva, Paolo Rizzi, Jean-François Bachis-Pugliese e di divulgatori quali Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio, Gregorio Rossi, Daniele Radini Tedeschi, tutti accomunati da un professionismo mediatico, elemento indispensabile alla divulgazione dell’arte tutta del XX secolo.