Salvini: ma ci sei o ci fai?

Matteo Salvini ritorna sulla sua endemica crociata dei tre mesi estivi, che inizialmente era contro gli insegnanti, che in pratica avevano TRE mesi addirittura di vacanza (che poi non è nemmeno vero), oggi, invece, ha girato il suo attacco andando anche a raccogliere un desiderata dei genitori, che d’estate non sanno dove piazzare i figli, ed ecco qua la soluzione, scuole aperte d’estate.

Addirittura sono stati trovati 400 milioni (dove erano nascosti? non è che forse erano i soldi per garantire alle segreterie la continuazione del personale ATA chiamato personale covid? e perché allora non abbiamo trovato 27 milioni per salvare il personale ATA cha abbiamo dovuto mandare a casa ma che alle scuole serviva come il pane? Beh è vero che il ministro dice di aver trovato 14 milioni per quello, 14 non 27, troppo tardi comunque, ormai le persone sono state mandate a casa quindi quelle persone ormai formate difficilmente saranno recuperabili ora), ben 400 milioni trovati, dicevamo,  erano sotto in uno scantinato?

Beh, se è così facile trovare dei milioni di euro suggerisco a tutte le famiglie che stanno morendo per arrivare a fine mese di fare una caccia al tesoro nei vari ministeri partendo da quello dell’istruzione, magari negli scantinati da qualche parte anche loro riusciranno a “trovare” qualche milionata.

Qui mi pare che si parli senza la necessaria comprensione sia della storia che della vera necessità dietro a determinate situazioni.

La decisione di concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi anziché diluirle durante l’anno scolastico è il risultato di un’organizzazione ponderata e riflessiva del calendario scolastico, supportata da diverse ragioni valide. 

Per cercare di farci capire useremo punti specifici e chiari, non si sa mai:

Continuità e coerenza del calendario: Concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi consente di mantenere una certa coerenza nel calendario scolastico. Questo approccio facilita la pianificazione delle attività educative e permette agli studenti, agli insegnanti e alle famiglie di organizzare le proprie attività con maggiore chiarezza.

Minimizzazione delle interruzioni: Distribuire le vacanze estive durante l’anno scolastico potrebbe comportare frequenti interruzioni nel processo di apprendimento, compromettendo la continuità e l’efficacia dell’insegnamento. Concentrare la maggioranza delle vacanze in un unico periodo permette di limitare queste interruzioni e di mantenere un flusso costante di lavoro e apprendimento.

Difficoltà nel mantenere la concentrazione: Il caldo intenso può rendere difficile per gli studenti e il personale mantenere la concentrazione e l’attenzione durante le lezioni e le attività didattiche. Questo può compromettere la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, riducendo l’efficacia dell’ambiente educativo.

Efficienza nell’utilizzo delle risorse: Concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi consente alle istituzioni scolastiche di ottimizzare l’utilizzo delle risorse. Durante il periodo estivo, molte scuole possono programmare lavori di manutenzione, ristrutturazione o pulizia, senza interferire con le attività didattiche.

Opportunità per attività estive specializzate: Il lungo periodo di vacanza estiva offre ai ragazzi l’opportunità di partecipare a programmi estivi specializzati, come campi sportivi, corsi di arte o di lingua, che potrebbero non essere disponibili durante l’anno scolastico. Queste esperienze arricchiscono il loro bagaglio di conoscenze e competenze in modo significativo.

Promozione del turismo e dell’economia locale: Le vacanze estive di tre mesi favoriscono il turismo e l’economia locale, consentendo alle famiglie di pianificare viaggi e vacanze più lunghe. Questo periodo prolungato di pausa estiva beneficia anche delle industrie turistiche, ricreative e commerciali, contribuendo così alla crescita economica delle comunità locali.

Tempo sufficiente per il recupero e il relax: Tre mesi di vacanze estive offrono ai ragazzi il tempo necessario per riposarsi, rigenerarsi e dedicarsi a interessi personali senza la pressione degli impegni scolastici. Questo periodo di pausa prolungato è essenziale per il benessere fisico, mentale ed emotivo degli studenti, consentendo loro di ricaricare le energie e affrontare il nuovo anno scolastico con rinnovato entusiasmo.

Ma poi, le scuole hanno l’aria condizionata???

Se le scuole non dispongono di aria condizionata e devono funzionare durante l’estate, possono incontrare diversi problemi che compromettono il benessere degli studenti, del personale e l’efficacia dell’ambiente educativo.

Sempre per punti così magari è più facile capire:

Calore e disagio fisico: Le temperature estive possono diventare estremamente elevate, soprattutto all’interno degli edifici scolastici, che possono essere progettati senza adeguata ventilazione o isolamento termico. Senza aria condizionata, gli studenti e il personale possono sperimentare disagio fisico, affaticamento e difficoltà di concentrazione, compromettendo il processo di apprendimento.

Sicurezza e salute degli studenti: Il caldo eccessivo può rappresentare un rischio per la salute degli studenti, specialmente per quelli più giovani o con condizioni mediche preesistenti. L’esposizione prolungata a temperature elevate può causare colpi di calore, disidratazione e altri problemi di salute, aumentando il rischio di incidenti o malori durante le attività scolastiche.

Anche qin questo caso subentra la difficoltà nel mantenere la concentrazione: Il caldo intenso può rendere difficile per gli studenti e il personale mantenere la concentrazione e l’attenzione durante le lezioni e le attività didattiche. Questo può compromettere la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, riducendo l’efficacia dell’ambiente educativo.

Assenteismo degli studenti e del personale: Le temperature elevate possono causare assenteismo degli studenti e del personale, con conseguente interruzione delle attività scolastiche e riduzione della produttività. Gli studenti potrebbero essere meno propensi a partecipare alle lezioni o alle attività extracurriculari, mentre il personale potrebbe essere più incline a prendere giorni di malattia a causa del caldo e del disagio.

Malfunzionamenti tecnici: Il calore eccessivo può causare malfunzionamenti tecnici negli edifici scolastici, come surriscaldamento degli apparecchi elettronici, interruzioni dell’elettricità o danni alle strutture. Questi problemi possono compromettere la sicurezza e l’efficienza delle attività scolastiche, richiedendo interventi di manutenzione e riparazione che possono essere costosi e dispendiosi.

Impossibilità di svolgere attività all’aperto in spazi non qualificati: Le alte temperature possono limitare la possibilità di svolgere attività all’aperto, come ricreazione, educazione fisica o lezioni all’aria aperta. Questo può ridurre le opportunità di movimento e di socializzazione degli studenti, influenzando negativamente il loro benessere fisico, mentale ed emotivo.

La mancanza di aria condizionata può rappresentare una sfida significativa per le scuole che devono funzionare durante l’estate, compromettendo il comfort, la sicurezza e l’efficacia dell’ambiente educativo.

È importante considerare soluzioni alternative o prendere misure preventive per mitigare gli effetti del caldo e garantire un ambiente sicuro e confortevole per tutti gli attori della comunità scolastica.

In conclusione, la decisione di concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi anziché diluirle durante l’anno scolastico è supportata da una serie di motivazioni valide che favoriscono l’efficienza, la coerenza e il benessere degli studenti, degli insegnanti e delle comunità locali.

Quindi viene spontaneo chiedersi, ma questa fissa dei tre mesi di vacanza d’estate è paragonabile ad una malattia psichiatrica? 

O è perché da fastidio che gli insegnanti stiano a casa tre mesi? Ma anche ammesso che sia sbagliato, e così non è, siamo convinti che la soluzione migliore sia usare le scuole per fare da  babysitteraggio ai giovani in modo tale che i genitori possono lavorare senza avere il cruccio dei figli? 

MA SIETE SERI?

Non sarebbe allora meglio potenziare i servizi alla famiglia dei vari comuni in modo tale che si possano organizzare, anche in collaborazione con il percorso educativo scolastico, attività più consone al riposo delle giovani generazioni durante la stagione estiva?

E non sarebbe forse meglio fare in modo che le famiglie possano stare insieme di più durante l’estate per consolidare i rapporti famigliari, invece che lasciare i figli sparsi per il paese? e non sarebbe forse meglio ritornare ad un concetto di nucleo famigliare importante magari agevolando le mamme/papà lavoratrici/ori in modo che nel periodo estivo abbiano più tempo per i loro cari?

Non sarebbe meglio investire i soldi dello stato in ben altro modo che buttare 400 milioni di euro per far stare i ragazzi a scuola d’estate?

Non è che questa è solo una captatio benevolenzia elettorale?

E comunque, giusto per  osservazione, quando si dice che gli altri paesi fanno in modo differente, ricordo che le posizioni geografiche degli altri paesi sono differenti dalla nostra, i servizi messi a disposizione dagli altri paesi per la famiglia sono differenti dai nostri, la scuola degli altri paesi è differente dalla nostra, e anche, a rischio di essere tacciato di razzismo, gli abitanti degli altri paesi sono differenti da noi, anche a livello di problematiche demografiche!

Quindi prima di dire che gli altri paesi fanno le cose in altro modo e quindi dovremmo farle anche noi così, vediamo però di farle tutte anche noi in altro modo, non solo quello che fa comodo alla nostra classe politica.

Demagogia invece che soluzioni, soldi buttati invece che investiti, come se fosse la prima volta che succede.

Ma la colpa è anche nostra che pur di avere il sollievo momentaneo ai nostri malesseri, non ci accorgiamo di chi lavora invece non per il nostro bene, ma solo per il suo.

Ahi serva Italia…




Fine dell’impunità

Da Venezia si eleva forte un appello ecumenico “Serve un cambio di paradigma per una società più civile che faccia dell’Uguaglianza un principio concretizzato nei fatti. “
SERVE LA FINE DELL’IMPUNITA’, che è il titolo del libro di Isabelle Rome uscito di recente in Francia!

Isabelle Rome da Parigi e Paola Bergamo da Venezia stringono una alleanza e si uniscono in battaglia per uno scatto di civiltà che riguarda di fatto diritti universali e l’intera umanità!
Guardano ciascuna al proprio paese ma con spirito di donne europee!

“Anche solo accettare commenti e comportamenti sessisti sono tutte forme di “anticamera” della violenza!”

C’è troppa violenza di genere, troppa violenza sulle donne: violenza psicologica, violenza fisica, violenza “trasparente” che poi è l’anticamera del femminicidio! Serve una rivoluzione giuridica e giudiziaria! SERVE LA FINE DELL’IMPUNITA’


 

L’11 aprile 2024, un luogo fortemente simbolico e suggestivo, l’aula di giustizia del Tribunale Penale di Venezia, dove di solito si celebrano i processi, si è trasformata per l’occasione sede di convegno.  Gremita da un folto e attento pubblico tra numerosi addetti ai lavori, avvocati penalisti e magistrati, ma anche persone accorse per un semplice interesse è stato trattato approfonditamente il tema della violenza di genere, della violenza sulle donne e del femminicidio, lanciando un importante “appello ecumenico” dalla città lagunare: “Ora basta!  Serve la fine dell’impunità!”.

Isabelle Rome, ospite d’onore, paladina questa battaglia,  è giunta a Venezia direttamente da Parigi, dopo una tappa a Novara e un’altra a Milano,  per l’evento organizzato dal Centro Studio MB2, Monte Bianco – Mario Bergamo,  per dare un tetto all’Europa sotto la Presidenza di Paola Bergamo. L’ importante magistrato di Francia, Alto Funzionario del Ministero di Giustizia di Francia, già Ministro dell’Uguaglianza di genere, della diversità e delle pari opportunità di Francia e oggi Primo Presidente di Camera della Corte d’Appello del Tribunale di Versailles ha sottolineato come solo lo strumento coercitivo possa incidere sulla società al fine di porre rimedio ad una piaga socio-culturale frutto di una visione ancora troppo maschilista della società. Ha portato l’esempio di quello che accade nell’ordinamento giuridico in Francia in tema di violenza di genere, violenza psicologica, violenza fisica fino al caso estremo del femminicidio. Ha descritto  come interviene l’ordinamento francese, che pur agendo con forza al fine della prevenzione e del contrasto del femminicidio tuttavia non ha ancora riconosciuto questa fattispecie come reato.
Riconoscere invece il femminicidio come reato , insistendo sulla drammaticità del fatto che si connota per  la soppressione di una persona perpetrata proprio per il suo sesso, cioè perché donna, sarebbe prezioso strumento per perseguire i colpevoli, per un piena  certezza della pena, per una maggiore efficacia della sanzione e chiarire una volta per tutte che non è più ammissibile l’assenza di punizione. Solo questa è la via da percorrere per porre rimedio alla tanta violenza di genere che funesta le nostre società e che  è grande  emergenza umanitaria. Accettare commenti e comportamenti sessisti sono tutte forme d’  “anticamera” della violenza. Isabelle Rome ha confermato che nella sua lunga carriera di magistrato, ha constatato che le vittime, spesso per mesi o addirittura anni, hanno subito violenza psicologica, prima di venire uccise. Questo avviene secondo uno schema, uno scenario ripetitivo: isolamento, denigrazione, molestie, gelosia eccessiva, minacce volte a esercitare un controllo, un dominio sull’altro.

Paola Bergamo, indossando metaforicamente la “toga”, ha arringato con forza, da quel banco giudiziario, dove si enuncia forte che “La legge è uguale per tutti!” con un’ analisi- processo sulla  società. Nel richiamare anche la memoria storica del PRI, ha ricordato che più di un secolo fa già suo Nonno, Mario Bergamo, ultimo Segretario del Partito Repubblicano sotto la Monarchia, nella sua poderosa bibliografia politica aveva messo tra le priorità delle questioni sociali e di giustizia sociale, proprio la questione femminile, con un libro del 1913 dal titolo “Parola alle donne”, parlando di uguaglianza, prevaricazione e necessità di emancipazione invitando le donne e gli uomini a una lotta di libertà.
Paola Bergamo ha sottolineato con forza che quella che si registra oggi non è solo una emergenza giuridica ma è una emergenza sociale: nel 2023 sono stati ben 42 i femminicidi in Italia e dall’ inizio dell’anno sono già 14 mentre nel mondo ci sono ben 144 femminicidi al giorno! Una piaga che trova le radici nella struttura stessa della società, frutto di una costruzione secolare basata sul modello del potere maschile predominante e prevaricatore su quello femminile. Nonostante i tanti passi avanti fatti, finché perdura questo modello non ci sarà mai vera uguaglianza tra uomini e donne. Non si tratta certo di innescare una lotta di genere ma è necessario porre fine al machismo. In questa battaglia i migliori alleati delle donne dovrebbero essere proprio gli uomini, il che comporta  un necessario cambio di paradigma socio-culturale e giuridico per una rivoluzione che se s’impone giuridica e giudiziaria serva a  far scattare, come spesso sottolinea la sociologia del diritto, una necessaria rivoluzione e progresso sociale . “Non otterremo mai una reale uguaglianza tra donne e uomini e non garantiremo mai alle donne la dignità che meritano finché le nostre società resteranno minate dalla violenza contro le stesse. La violenza, sia psicologica, sia fisica, sia sessuale, sia essa “trasparente”, la più insidiosa, rende necessario un incisivo controllo coercitivo”! Questo è l’appello congiunto di Isabelle Rome con Paola Bergamo.

Se oggi la Giustizia italiana interviene efficacemente avendo attivato  il “Codice Rosso”, dando quindi una priorità per la trattazione giudiziaria dei casi di stupro, violenza e femminicidio, resta il fatto che in Italia, come del resto in Francia, il femminicidio non è contemplato dal codice penale.  Il Codice Rosso, poi,  è stato attivato a costi invariati, cioè a costo zero. Ed è quindi chiaro che tutto ciò comporta un surplus di lavoro per i tribunali spesso già oberati di immenso lavoro e che, cercando di dare una risposta immediata a questi casi, produce purtroppo, gioco forza, per la scarsità di mezzi e personale,  il rallentamento di altri casi e processi da trattare. Sono quindi auspicabili più investimenti sulla Giustizia.

Lo strumento repressivo che colpisce chi devia dalle regole della società, diviene prezioso e insostituibile strumento per incidere sulla società, su un suo necessario cambiamento, in quel rapporto di reciproca influenza, come ben spiega la sociologia del diritto, in quel rapporto di reciproca influenza per cui il diritto influenza l’azione sociale e a sua volta ne viene influenzato.

Isabelle Rome a Paola Bergamo entrambe si sono dichiarate “sorelle” unite in battaglia, nel nome dell’Uguaglianza, della Dignità della persona, della Giustizia Sociale e della Libertà, guerriere certe nel nome delle loro Nazioni ma da  convinte Europeiste.

 

Da Paola Bergamo – <span class=”update-components-actor__description
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          "><span aria-hidden="true">Presidente presso Centro Studi MB2</span></span></a></span>



La legge è uguale per tutti ! Ma per qualcuno è più uguale che per gli altri.

Siamo sicuri che “La Legge è uguale per tutti” ? Quanto influisce la propaganda mediatica, la politica ideologizzata e l’interpretazione di uomini al “servizio” delle Istituzioni?

Che la legge non è uguale per tutti, è il pensiero che aleggia sempre più in maniera consistente nella mente dei cittadini Italiani.

Forse un tempo si poteva considerare come “illazione popolare”, oggi i fatti inducono a pensare possa essere diventata una realtà, certamente drammatica e discriminatoria in presenza di fatti controversi.

Basta spesso scorrere le prime pagine dei principali quotidiani o dei vari TG, forse senza nemmeno entrare negli approfondimenti dei singoli articoli, per pensare che quella, da sempre ritenuta “illazione”, possa trasformarsi in concretezza.

Sono tantissimi infatti gli spunti che lasciano intravedere questa situazione che sembra essere diventata sempre più anomala, tanto da indurre al successo un libro che descrive realisticamente come il mondo, nel nostro caso l’Italia, stia andando al contrario, rafforzando così quella che potrebbe trasformare una popolare illazione in una regola assunta.

Tralasciando ogni considerazione sia sul libro che sull’autore, non è la loro recensione l’oggetto di nostro interesse, desideriamo evidenziare uno degli ultimi fatti rilevati dai quotidiani nazionali e dai vari dibattiti televisivi, che inducono a pensare che il quesito enunciato nel titolo, abbia fondamento.

E’ di Giovedì 4 Aprile la notizia che l’ultimo procedimento su L’ex ministro Speranza, aperto a seguito di alcune denunce relative alla campagna di vaccinazione Covid, è stato archiviato. (Fonte ANSA)

“La Verita” di Mercoledì 10 Aprile titola in prima pagina, una esclusiva inchiesta di Francesco Borgonovo e Alessandro Rico: l’Ex ministro della salute, Speranza, sapeva che il 20% degli effetti avversi, tra coloro che si sono fatti oculare il fatidico “farmaco”, era gravissimo.

Non entrando nel merito scientifico, inerente la validità o meno del “farmaco”, oramai la letteratura e la casistica possono fornire significative indicazioni, evidenziamo invece come nonostante la confessione resa ai giudici, riguardante gli eventi avversi e forse anche gli innumerevoli decessi, questi piuttosto che indagare ed approfondire le responsabilità del ministro e non solo, abbiano preferito archiviare.

Nell’articolo di Francesco Borgonovo ed Alessandro Rico si evidenzia che il ministro in questione ha candidamente affermato che anche l’ex presidente dell’AIFA e l’allora primo ministro Mario Draghi, gestivano le politiche anti Covid ed erano al corrente dei gravissimi effetti avversi.

Così, tutti gli eventuali reati, anche di gravità estrema, che hanno causato invalidità gravissime e probabilmente un numero elevato di decessi, al punto che, secondo alcuni, si può ipotizzare il reato di strage, sono stati cancellati da una semplice “archiviazione”.

Alla luce di ciò, chiedersi quale sia il senso della motivazione del Tribunale dei Ministri che ha riconosciuta la correttezza condotta, volta esclusivamente alla difesa dell’interesse pubblico e del diritto alla salute dei cittadini, diventa naturale.

Quale è l’interesse pubblico e quale è il diritto alla salute?

Secondo l’inchiesta esclusiva, condotta dal Vicedirettore Borgonovo e dal Giornalista Rico, Speranza ha ammesso di essere a conoscenza dell’elevata percentuale di reazioni avverse, molte delle quali mortali, quindi dove stà la correttezza volta alla difesa dell’interesse pubblico e del diritto alla salute?

Addirittura, chi non ricorda le frasi proferite per far si che la popolazione si inoculasse il farmaco e tutte le successive dosi, dal ministro, ma anche dal Presidente Draghi e non solo, che lasciavano intendere che il “farmaco”, come noi preferiamo definirlo, fosse sicuro ed efficace?

Questo, nonostante che, già dopo le prime settimane di vaccinazione, al ministro sono giunti segnali allarmanti di pericolose controindicazioni.

Fatto che ignorò, preferendo continuare la campagna di immunizzazione.

Che ancora qualche cosa non quadra nella questione, forse lo si evince anche dal fatto che tutte le presentazioni del libro “perché guariremo” scritto da Speranza, inerente la pandemia, prima ritirato nel 2020, e poi secondo alcune fonti, riveduto e corretto in alcuni punti, rimesso in commercio, si parla di “rare segnalazioni di effetti avversi, suscitando reazioni e richieste di spiegazione da parte di chi ha subito in maniera grave e fortemente invalidante quegli effetti dovuti al “farmaco”, addirittura “imposto”, a mezzo DPCM del Presidente del Consiglio.

Perché Speranza si sottrae al pubblico confronto con i cittadini che hanno forse la colpa di aver creduto a persone dell’Istituzione e dello Stato?

Perché utilizzare le Forze dell’Ordine per impedire l’accesso a chi, fortemente invalidato, chiede un lecito confronto?

Perché i media Nazionali sembra vogliano glissare o tacere sulle continue fughe dell’esimio ex ministro dai vari luoghi ove invitato a presentare il suo libro, così come hanno sempre occultato le morti improvvise che potrebbero essere riconducibile all’utilizzo del farmaco?

Perché in Lombardia fu bloccato l’Ares 118 per le informazioni ad i giornalisti accreditati, in un momento in cui le morti improvvise ed i malori ebbero uno strano incremento, suscitando così le reazioni di chi non aveva più la possibilità di avere le informazioni, violando di fatto quel diritto che perfino la costituzione garantisce?

E’ di pochi giorni l’ultima “fuga” di Speranza, in ordine di tempo, avvenuta ad Ostia, municipio della Capitale, dove sembrerebbe addirittura che per allontanarsi nel più breve tempo possibile, pur essendo protetto dai tutori delle forze dell’ordine, la vettura che lo accompagnava sia stata costretta percorrere una contromano.

Sembra proprio che, una “propaganda” mediatica, una politica ideologizzata e l’interpretazione di uomini, al “servizio” delle Istituzioni, inducono a pensare che forse in Italia, la legge NON è uguale per tutti.

Sono in tanti a chiedersi quali responsabilità possano avere l’ex ministro Speranza, l’ex Primo Ministro Mario Draghi e tutti coloro che, pur essendo a conoscenza della gravissima pericolosità del farmaco hanno continuato a promuoverlo, addirittura imponendolo fino al ricatto, attraverso una multa amministrativa e la sospensione, in alcuni casi trasformato in licenziamento, dal posto di lavoro, con relativo blocco dello stipendio.

Domande che tanti Italiani, specialmente chi ha subito effetti avversi gravi e permanenti, oltre ai familiari delle vittime decedute, si pongono.

Come non augurarsi che la frase, “la legge è uguale per tutti”, non si trasformi in :

La legge NON è uguale per tutti.

Ettore Lembo

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2024/04/04/covid-archiviato-ultimo-procedimento-su-speranza_c9d1064e-b570-4b47-ae06-986c98954baa.html




Le “verità” effimere di Valditara

Questo non è un articolo semplice.

Non è un articolo che si legge velocemente né di quelli che si scorrono per far passare il tempo.

Questo articolo non è né facile da leggere né da scrivere.

Questo non è un argomento nuovo, né sconcertante nella sua unicità, né, ahinoi, inaspettato o in aspettabile.

Noi di betapress abbiamo già scritto, in precedenza, riguardo alla fantasia al potere, alla coerenza del ministro Valditara, alle incongruenze fatiche di cose dette e poi negate.

 

In questo articolo tratteremo l’argomento delle cariche dirigenziali del ministero dell’istruzione e prenderemo ad esempio il caso di Marco Ugo Filisetti.

Marco Ugo Filisetti è stato direttore generale del bilancio del MIUR dal 2005 al 2013: negli anni difficili della ricostruzione del bilancio delle scuole, quando mancavano i soldi per la carta igienica,  quando c’era la prima spending review, quando i fondi europei erano ancora solo a 4 regioni.

Però è andata bene: sotto di Lui i bilanci delle scuole hanno iniziato a migliorare, sono stati rilasciati importanti progetti come l’ordinativo informatico locale per il colloquio con le banche, gli inventari, io conto, il nuovo decreto di contabilità, la riscrittura dei controlli sui fondi europei.

Anche grazie a questi successi viene trasferito alla direzione sistemi informativi ed anche qui incomincia la sua attività di riordino della direzione.

Qui però che un rallentamento: incappa nel Cineca (leggi il nostro articolo QUI) e improvvisamente viene trasferito nelle Marche, dove resta per il resto della sua carriera.

Strano, è strano.

Di Filisetti è interessante dire che è un uomo notoriamente di Destra, sopravvissuto in decine di governi di Sinistra, è interessante perché è stato proprio il governo di destra che, come il buon Simon Pietro, lo ha rinnegato.

Ma come? 

Filisetti termina la propria carriera come direttore generale del MIUR a marzo 2023 andando in pensione; nei mesi precedenti, esiste un fitto scambio di messaggi tra Filisetti e lo stesso ed il ministro Valditara, che gli chiede in più occasioni di partecipare alle commissioni tecniche presenti al ministero e non solo lo chiede, ma lo invita come membro delle stesse.

Fin qui nulla di strano, ma poi cosa succede?

Succede che il giorno prima della fine della carriera ordinaria del dott. Filisetti, e quindi il giorno prima della sua scesa a Roma in qualità di componente delle commissioni, esce un articolo di giornale.

Lo potete leggere qui: 

Articolo

Un articolo di giornale in cui, come al solito, si estrapolano frasi da un discorso più ampio le si fanno passare per frasi fasciste e si infanga una persona, una storia senza nessun contraddittorio.

È domenica sera Filisetti, al suo ultimo giorno come dipendente del ministero, riceve una telefonata dal ministro, suo compagno di coalizione, che gli dice: “sai non posso più farti venire a Roma, con questo articolo che è uscito …”.

Filisetti controbatte dicendo che è ovvio che l’opposizione cerchi di attaccare qualsiasi scelta, al fine di indebolire un ministero e quindi un ministro, è ovvio che l’opposizione cerchi di infangare le persone che ritiene più preparate e “pericolose” per qualità e professionalità, ma che quanto scritto nell’articolo era frutto di pure macchinazioni, peraltro smentite dai fatti.

Valditara abbozza.

La mattina successiva il ministro emette questo comunicato stampa:

 

Dal Ministero dell’Istruzione e del Merito nessuna nomina al dottor Filisetti’

‘In merito alle notizie riportate da alcuni organi di stampa relative al dott. Marco Ugo Filisetti, si precisa che al Ministero dell’Istruzione e del Merito non risulta alcun provvedimento di una sua nomina né come membro di tavoli tecnici né tantomeno come consigliere del Ministro. Se vi è stata partecipazione a incontri è perché si tratta di un dirigente del Ministero, nominato peraltro Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche dal governo Renzi’.

Roma, 27 febbraio 2023

 

La prima domanda è: ma se non c’era nessuna nomina, perché telefonare a Filisetti per scusarsi?

Altra cosa, veramente di basso profilo, è l’aver detto che la nomina di Filisetti è stata fatta dal governo Renzi, Cui Prodest???

Inoltre vogliamo ricordare che il dott. Filisetti fu chiamato al Ministero dall’allora ministro Gelmini, suo compagno di coalizione, signor ministro.

Ma betapress è in possesso di altri elementi quali ad esempio la seguente mail, una fra le tante:

Si tratta di una delle tante convocazioni, sia in presenza che on line, ad uno dei tavoli tecnici creati dal ministro a cui viene convocato il dott. Filisetti.

Nota bene: è una mail del 10 febbraio 2023 in cui la segreteria tecnica del ministro convoca il dott. Filisetti a questo gruppo di lavoro, e vi possiamo dire che non è la prima, ma una delle tante convocazioni partite già da ottobre 2022, certamente è stata l’ultima (Betapress è in possesso di tutta la cronologia delle mail).

Fa pensare che il ministro dica che non vi è stata nomina al dottor Filisetti che, però, viene puntualmente convocato ai tavoli di lavoro e, no, non è per copia conoscenza ma convocato diretto come gli altri partecipanti del gruppo di lavoro.

Ciò avrebbe fatto pensare che la formalizzazione di un rapporto già in atto sarebbe arrivata a breve.

Ma non è così a quanto pare.

Siamo nelle terra in cui la parola non vale più e la carta scritta viene disconosciuta; siamo nel tempo in cui i contratti hanno cavilli e la paura di una maldicenza non fa difendere l’alleato.

La verità del ministro è che lui non ha nominato ufficialmente Filisetti, la contingenza dei fatti è che lo ha fatto partecipare a tutte le riunioni del gruppo di lavoro.

Il ministro però e cauto e prosegue usando l’espressione “se vi è stata partecipazione…”.

“Se”… quindi non era neppure a conoscenza che la sua segreteria lo convocava, e pure più volte? (non conoscenza  peraltro smentita dalle chat di WhatsApp tra il ministro ed il dottor Filisetti)

Non sapeva che al dott. Filisetti venivano inviati via email i documenti di lavoro ufficiali 

Ma poi alla fine, Filisetti partecipava alle riunioni?

Il ministro ci dice di non saperlo, ma i biglietti del treno del dott. Filisetti dicono di si, e che, comunque, continua il ministro, se così fosse stato, era perché era un dirigente del ministero.

Ma se così fosse, ovvero se Filisetti veniva invitato come dirigente del ministero, dove sono, nella mail, gli indirizzi delle altre centinaia di dirigenti del ministero e/o degli altri direttori generali degli USR?

Noi nelle email non li vediamo perché infatti questa è la convocazione dei componenti del gruppo di lavoro, dei veri componenti voluti dal ministro.

O forse era la segreteria tecnica che convocava chi voleva lei???

Peggio ancora, vuol dire che al ministero il ministro non comanda nemmeno sulla sua segreteria.

Ma ovviamente cari lettori, non è così, il ministro decide e poi decide di smentirsi, così, senza pudore. 

Poco sopra, parlando di articoli pubblicati da altri colleghi, abbiamo lamentato la mancanza di contraddittorio.

Non vorremmo essere rimproverati della stessa colpa (molto grave per un giornalista) e così teniamo a dire che, prima di pubblicare questo articolo, in data 11 dicembre 2023, come da immagine riportata, abbiamo chiesto un confronto con il ministro, poi risollecitato in data 31 marzo 2024.

Ad oggi non abbiamo ricevuto nemmeno una piccola risposta.

Non sta a noi giudicare un comportamento del genere, non siamo noi a dover giudicare il comportamento che porta a una non risposta.

Non supporremo alcuna forma di tracotanza o supponenza, né penseremo che, forse, ci sono poteri che si ritengono talmente forti da non dover spiegare a nessuno quello che fanno.
Non è comunque la politica che ci piace.

Però ci dispiace, a livello di redazione, che a fronte del nostro lavoro e del nostro impegno, sospettare (per mancanza fino ad ora di confronto) che il ministro pensi che per fermarci basti attaccare il nostro direttore.

No signor ministro, non basta attaccare il nostro direttore.
Betapress è un giornale libero anche da influenze politiche, lo è sempre stato e per quanto nella nostra redazione convivano convinzioni politiche assortite, noi siamo sempre riusciti a dialogare e a dare la parola a tutti quando abbiamo visto onestà intellettuale.

Forse è per questo, per l’etica che ci siamo imposti tra di noi, che siamo stupiti ed attoniti dal comportamento che un ministro della Repubblica tiene.

Di contro, come ci ha insegnato col suo comportamento inequivocabile e riportato in altri articoli, questo è il suo stile.
A noi piace pensare che non sia lo stile di tutto il governo.

In un momento come questo, così delicato per il mondo dell’editoria e del giornalismo, le sono forse arrivate indicazioni precise?
Le è stato detto di bloccare tutta la stampa o è una sua azione personale e ingenua?

Ritiene che non rispondere ad un giornalista sia un comportamento giusto, o il suo ufficio stampa la mette in contatto solo con una rosa di giornalisti comodi e selezionati?

Ministro, ricordi ogni tanto al suo staff che il ruolo che ricopre non le permette di fare quello che vuole e la obbliga, anzi, a fare quello che deve.

E sì, tra quello che è chiamato a dare c’è anche rispondere alla stampa, essere corretto con i suoi elettori ma, soprattutto, con chi non l’ha votata, perché è quello ci si aspetta da un ministro: che serva tutto il paese.

Certamente lei è sopra le parti, si può permettere di non rispondere di fare comunicati stampa fasulli, di trattar male i servitori veri dello stato, di presiedere un ministero che ha voluto chiamare del merito e poi allontanare tutti quelli che i meriti ce li hanno davvero, ad esempio Filisetti e Versari.

Ma cogliamo l’occasione per denunciare, all’interno di questo articolo, l’incredibile pressione che il nostro Direttore sta subendo proprio in conseguenza di queste nostre indagini investigative.

Nonostante tutto il nostro Direttore ha dato il benestare a questa serie di articoli, ben sapendo che sarebbe stato sottoposto ad un fuoco di fila, mettendo a rischio il suo attuale incarico, seppur a tempo determinato, presso il ministero dell’istruzione.

Mi fa piacere riportarle le parole del nostro direttore davanti al nostro dubbio di approfondimento in merito a questi fatti: “se una persona non sa di vedere il mondo attraverso delle fette di salame il nostro compito e cercare di toglierle!

Il giornalismo non è un lavoro, ma un’idea, una passione, una certezza, ovvero quella di raccontare i fatti.

Non fatevi illudere dalla mondanità o dal successo, spesso è effimero, fatevi sedurre dal 2+2=4, questo non vi deluderà mai”.

 

In ogni caso cari Italiani, le fette di salame firmate dai nostri politici, toglietele dagli occhi, vedrete un mondo diverso.

 

Questo non sarà l’ultimo articolo su questo argomento.

Stiamo scrivendo e siamo pronti a mostrare come, alcuni politici, possono alterare le norme con piccole frasi per fare o non fare i loro interessi.

 

Betapress sotto ATTACCO!!! Acqua in redazione.

 

Se esercito il potere per il potere…

Le nomine di Valditara

Quando un ministro mente sapendo di mentire…

“La Sicilia non è Italia e nemmeno meridione …”

Politici e Bugie: responsabilità etica.

PON – intervista ad un ex ispettore dei fondi europei del MIUR




I giovani e la paura del futuro

La paura del futuro, esacerbata dai venti di guerra che soffiano in diverse parti del mondo, rappresenta un fenomeno complesso e multiforme, che interseca la sfera emotiva, psicologica, sociale ed economica delle nuove generazioni.

Questo sentimento di incertezza e trepidazione di fronte al domani è un fenomeno storico, ricorrente ogniqualvolta la stabilità globale viene minacciata da conflitti armati o tensioni geopolitiche.

Tuttavia, la specificità con cui tale paura si manifesta nelle giovani generazioni di oggi merita un’analisi approfondita, considerando sia i contesti storici sia le nuove dinamiche comunicative e tecnologiche.

Le nuove generazioni crescono in un’era caratterizzata da una quantità senza precedenti di informazioni disponibili istantaneamente.

Social media, notizie online 24 ore su 24 e piattaforme digitali varie offrono un accesso ininterrotto a informazioni che possono amplificare la percezione del rischio e dell’insicurezza.

Questo fenomeno, noto come “information overload”, può aggravare la sensazione di essere costantemente sotto minaccia, rendendo la paura del futuro un compagno quasi costante per molti giovani.

Inoltre, la storia del XX e XXI secolo, con le sue due guerre mondiali, la guerra fredda, i conflitti regionali e il terrorismo internazionale, ha lasciato un’eredità di instabilità e incertezza che permea la coscienza collettiva.

La fine della guerra fredda, benché abbia ridotto il rischio di un conflitto nucleare globale, non ha portato alla “fine della storia” prevista da alcuni teorici, ma piuttosto a una frammentazione del potere globale che ha reso il mondo apparentemente più imprevedibile.

L’incertezza generata dai venti di guerra influisce profondamente sulla psiche delle nuove generazioni.

La paura del futuro può tradursi in ansia, stress, depressione e una sensazione di impotenza che compromette la qualità della vita e la capacità di pianificare e sperare nel domani.

Dal punto di vista pedagogico, è fondamentale riconoscere e affrontare questi sentimenti, fornendo strumenti e supporto per aiutare i giovani a elaborare e gestire le loro preoccupazioni.

La paura del futuro influisce anche sulle scelte di vita e sulle aspirazioni delle nuove generazioni.

Decisioni riguardanti l’istruzione, la carriera, la formazione di una famiglia e l’impegno civico possono essere fortemente influenzate da un senso pervasivo di incertezza riguardo al futuro.

Questo può portare a un approccio alla vita caratterizzato da cautela eccessiva o, al contrario, da una ricerca di gratificazione immediata, in un contesto percepito come intrinsecamente instabile e transitorio.

Di fronte a queste sfide, è cruciale esplorare e promuovere strategie di adattamento efficaci.

L’educazione gioca un ruolo fondamentale nel fornire ai giovani le competenze critiche per navigare in un mondo sovraccarico di informazioni, insegnando loro a discernere fonti affidabili, a contestualizzare le notizie e a sviluppare una prospettiva equilibrata sui rischi reali.

Inoltre, la promozione della resilienza psicologica, attraverso programmi che insegnano tecniche di gestione dello stress e dell’ansia, può aiutare i giovani a sviluppare una maggiore capacità di affrontare l’incertezza.

La partecipazione attiva alla vita comunitaria e civica rappresenta un’altra strategia chiave per combattere la paura del futuro.

L’ingaggio in iniziative sociali, ambientali o politiche può fornire un senso di controllo e di efficacia personale, mitigando la sensazione di impotenza e favorendo una visione più ottimista del futuro.

Il dialogo intergenerazionale può svolgere un ruolo cruciale nel trasmettere esperienze, lezioni apprese e strategie di resilienza tra diverse coorti di età, rafforzando il tessuto sociale e la solidarietà comunitaria.

La paura del futuro nelle nuove generazioni, in un’epoca segnata da venti di guerra e incertezza globale, è una sfida complessa che richiede un approccio multidisciplinare.

L’educazione, il supporto psicologico, l’engagement civico e il dialogo intergenerazionale emergono come strumenti fondamentali per affrontare questa sfida.

Solo attraverso uno sforzo collettivo e integrato è possibile sperare di mitigare l’ansia del futuro e costruire una visione del domani caratterizzata da speranza, resilienza e un impegno condiviso verso la pace e la stabilità globale.




Islamizzazione: Vescovi e Cardinali se ci siete, e non avete abbandonato la Vostra missione Pastorale, battete un colpo.

E’ da poco trascorsa la Santa Pasqua, che annuncia la resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, dopo il Suo martirio, la passione e la morte.

Una festività che dalla sua origine è stata uno dei capisaldi, insieme alla natività, della religione Cristiana e Cattolica, in particolare in Italia ed a Roma sede scelta dall’Apostolo Pietro indicato proprio da Gesù per fondare la Sua Chiesa.

Una festività che ha subito una trasformazione, pochissimi anni fa e che per la prima volta nel corso dei due millenni, ha svuotato le chiese, fino a proibire la partecipazione ad i fedeli, nei propri luoghi di culto.

Tra le cause di tutto, e che hanno favorito un ulteriore allontanamento dalla fede, alcune disposizioni sanitarie imposte da “politicanti”, oggi assai discusse, che hanno proibito ad i fedeli di recarsi nei loro luoghi di culto a pregare, senza che Vescovi e Cardinali intervenissero, lasciando addirittura soli, e senza difesa, quei pochi preti che officiavano, senza sottrarsi alla loro funzione pastorale.

Chi non ricorda gli interventi nelle chiese, imposti alle forze dell’Ordine, che interrompevano le Sacre Funzioni, perchè costretti a far rispettare leggi di cui forse ne avrebbero fatto a meno?

A questo poi, si è andato ad aggiungere a quella crisi di fede dell’occidente ed in particolare in Italia, accompagnata da una progressiva e sempre più insistente immigrazione sconsiderata, forse anch’essa politicamente imposta e indotta.

Chi non ricorda ancora, con grande tristezza e sgomento, la Funzione officiata da Francesco, in quella chiesa, simbolo del Cattolicesimo, vuota e priva della linfa vitale rappresentata dai suoi fedeli?

Lontani quindi i tempi in cui Vescovi e Cardinali, riunivano nelle Chiese i propri fedeli per benedirli e pregare, al fine di scacciare il maligno, in quei casi rappresentato dalle Pandemie.

Vescovi e Cardinali che rispettavano la missione pastorale che volontariamente avevano scelto.

Oggi quelle discutibili imposizioni politiche sono terminate, ma sembrano aver lasciato il posto ad altre che portano alla “islamizzazione”, fenomeno causato da una indiscriminata e sconsiderata immigrazione irregolare di persone che professano l’islamismo.

Una immigrazione che non fa rispettare le più elementari regole di accoglienza, dove chi viene accolto si adegua alle regole, gli usi, i costumi e la religione di chi accoglie.

Significative le parole di Vittorio Feltri, sul “il Giornale” del 30 Marzo, tratte dall’articolo “l’occidente si sta arrendendo all’Islam” dove dice: “il rispetto nei riguardi di ciò che è diverso è uno dei valori essenziali del nostro ordinamento, che stabilisce che nessuno può essere discriminato per il genere, la religione, la razza, le idee politiche, eccetera.

Essere rispettosi significa accettare tali differenze culturali o religiose. Il rispetto non implica, tuttavia, la rinuncia alle proprie tradizioni allo scopo di non offendere in qualche modo coloro che coltivano altre usanze. Il rispetto non comporta un adeguamento remissivo alla cultura altrui.”

Forzata, e quanto mai ambigua quindi volontà unilaterale di integrazione di questi immigrati, infatti sta provocando contrapposizioni nelle nostre comunità cittadine e scolastiche che potrebbero avere gravi ripercussioni nel futuro.

Un conto poi, è il potere Temporale, diverso dal potere spirituale.

Le polemiche in ambito scolastico- istituzionale, avvenute nei giorni precedenti la Santa Pasqua, che vede quest’anno la concomitanza con il Ramadan, sono solo uno delle evidenze più tangibili, e da cui stanno via via per scaturirsi sempre più casi, simili all’effetto domino, che innescano inevitabilmente tensioni.

Modificare i giorni di chiusura delle scuole, per soddisfare minoranze islamiche, crea disagio a tutta la comunità che ha pianificato lavoro, studio, servizi ecc. oltre che alterare tradizioni plurisecolari del popolo ospitante.

Così come il costringere gli alunni di qualche scuola a non consumare la merenda, per non turbare il digiuno di qualche bambino cui i genitori impongono l’osservanza del Ramadan che impone il digiuno in determinate ore.

O ancora, il permettere agli islamici di pregare nelle chiese e negli oratori, nonostante le profonde differenze, non ultima la denigrazione della donna, considerata essere inferiore ed indegno.

Stride in maniera forte che Vescovi e Cardinali non si pronuncino intervenendo. Forse hanno dimenticato il significato del loro porporato, che ricorda la carità e il sangue versato da Cristo?

Ricordiamo che, in un concistoro del 2001, Papa San Giovanni Paolo II ha fatto riferimento all’importanza del fatto che i cardinali usino il rosso dicendo ai nuovi porporati:

“Per poter affrontare validamente i nuovi compiti è necessario coltivare una sempre più intima comunione con il Signore. È lo stesso colore purpureo delle vesti che portate a ricordarvi questa urgenza.

Non è forse, quel colore, simbolo dell’amore appassionato per Cristo?

In quel rosso acceso non è forse indicato il fuoco ardente dell’amore per la Chiesa che deve alimentare in voi la prontezza, se necessario, anche alla suprema testimonianza del sangue?”

Silenzio, quello dei Vescovi e dei Cardinali, che “nasconde” la Pasqua dei perseguitati Cristiani, come riporta un articolo de “Il Giornale” del 31 Marzo a firma di Marco Leardi, che inizia:” Per oltre 365 milioni di Cristiani nel mondo la risurrezione è ancora impossibile. In Africa, in Asia e finanche nella nostra Europa, questi credenti vivono sulla loro carne una costante Via Crucis”.

Principio di Integrazione, quello che qualcuno vuole avvenga in Italia, sede del Cattolicesimo, che non tiene in considerazione dell’Odio Islamista, come osserva con apprensione Alessandro Monteduro, direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs).

Già in passato, la Pasqua era stata funestata dall’odio islamista, che ancora oggi è una delle principali cause della persecuzione contro i cristiani. Era accaduto nel 2019 in Sri Lanka, con tre attentati rivendicati dall’Isis, e prima ancora – nel 2016 – in Pakistan, dove un kamikaze si fece esplodere in mezzo ai fedeli che festeggiavano la Pasqua.

Oggi, a patire la morsa dell’orrore sono in particolare i cristiani del Burkina Faso, dove imperversano gruppi terroristici che vogliono imporre l’islam radicale alla popolazione.

Alla luce di tutti questi avvenimenti all’estero, Europa inclusa, oltre che in Italia, e pur se nell’ultima settimana, non di così grave entità secondo quanto asserito da Mattarella, riferendosi all’episodio di modesto rilievo del giorno di “vacanza” per la fine del Ramadan, barattato con due giorni di festività predisposti dal Ministero competente, che molti percepiscono come abbandono, coloro i quali, Vescovi e Cardinali, hanno il dovere di intervenire.

Se non hanno perduto la loro “vocazione Pastorale” liberamente scelta, da non ribattere nemmeno alla “sbattezzazione” (rinuncia al Sacramento del Battesimo dopo che è stato dato), articolo stranamente proposto da RomaToday, nell’edizione della città eterna, proprio il giorno della Santa Pasqua, Cardina e Vescovi, facciano sentire la Loro Autorevole voce.

Ettore Lembo




Lettera di un mobbizzato al suo aguzzino

Caro 

mi trovo a dover mettere nero su bianco pensieri e sentimenti che da troppo tempo mi gravano l’animo, nella speranza che queste parole possano non solo alleggerire il mio cuore, ma anche illuminare una realtà forse a te oscura.

Da sei mesi a questa parte, ho sopportato in silenzio le tue continue vessazioni, le tue parole taglienti non solo verso il mio operato professionale ma, cosa ancor più dolorosa, verso la mia persona.

Inizialmente, ho cercato di comprendere le tue azioni come espressioni di un rigore professionale forse troppo zelante, o come il risultato di pressioni esterne che io stesso non ero in grado di vedere.

Con il trascorrere del tempo, tuttavia, è diventato chiaro che le tue scelte non erano dettate da nessuna di queste motivazioni.

Le tue azioni, piuttosto, sembrano radicarsi in una profonda incapacità di gestire il tuo ruolo con la maturità e la responsabilità che questo richiede.

Nonostante il dolore e l’umiliazione che le tue azioni mi hanno inflitto, voglio che tu sappia che il mio spirito rimane intatto.

La mia indipendenza di pensiero e la mia libertà dell’anima non sono state scalfite dalle tue continue aggressioni.

Queste qualità, radicate nel profondo del mio essere, sono state il faro che ha illuminato i miei giorni più bui, ricordandomi chi sono e per cosa sto lottando.

È forse questa indomabilità dello spirito che ti ha spinto a intensificare i tuoi attacchi, nel vano tentativo di piegare ciò che percepisci come una sfida alla tua autorità.

Tuttavia, è proprio questa resistenza che dovrebbe servirti da specchio, riflettendo non solo la mia forza ma anche la tua debolezza.

La tua scelta di ricorrere al mobbing come strumento di controllo è la testimonianza più eloquente della tua incapacità di esercitare il potere in maniera costruttiva e del tuo fallimento nel riconoscere il vero valore delle persone che ti circondano.

Riconosco che il cammino per comprendere e ammettere questi errori può essere lungo e arduo. La stoltezza delle tue azioni, tuttavia, non deve diventare una catena che ti lega perennemente a questi comportamenti.

Anche tu hai la capacità di cambiare, di crescere oltre le tue attuali limitazioni e di imparare a valorizzare e rispettare gli altri non per quello che possono darti, ma per quello che sono.

Ti lascio quindi con una riflessione: ogni individuo ha il potenziale per influenzare positivamente la vita delle persone che lo circondano.

La vera grandezza non risiede nell’esercizio del potere su gli altri, ma nella capacità di elevarli, di ispirarli e di contribuire al loro benessere e alla loro crescita personale.

Spero che un giorno tu possa intraprendere questo cammino di trasformazione e scoprire la soddisfazione che deriva dal contribuire in modo positivo alla vita altrui.

In aggiunta a quanto già espresso, ritengo fondamentale sottolineare un aspetto che mi preme particolarmente: l’utilizzo dell’abuso di potere per sopprimere o eliminare colleghi che dimostrano competenza e bravura superiore è non solo moralmente riprovevole, ma denota anche una visione miope della leadership e del successo collettivo.

Questo modo di agire, purtroppo adottato da te nei miei confronti, riflette una concezione di potere estremamente riduttiva e, a dirla tutta, di basso livello. In un contesto lavorativo sano e produttivo, la presenza di individui talentuosi e competenti dovrebbe essere vista non come una minaccia, ma come una risorsa preziosa.

La vera abilità di un leader non risiede nella capacità di sovrastare o eliminare la concorrenza interna, ma nel saper riconoscere, valorizzare e sviluppare i talenti di ciascuno per il bene comune dell’organizzazione.

L’abuso di potere a fini personali o per la mera eliminazione della “concorrenza” interna è una dimostrazione di debolezza e di insicurezza.

Implica una mancanza di fiducia nelle proprie capacità di guidare e ispirare, ricorrendo invece a metodi coercitivi per mantenere una posizione di dominio.

Questo comportamento non solo danneggia individualmente chi ne è vittima, ma erode le fondamenta stesse dell’ambiente lavorativo, compromettendo la coesione di squadra, la motivazione e, in ultima analisi, la produttività e l’innovazione.

Riflettendo su queste dinamiche, è evidente che l’uso dell’abuso di potere per “eliminare” colleghi capaci sia un’autentica strategia perdente.

Non solo pregiudica il benessere e la crescita professionale dei singoli, ma limita gravemente il potenziale collettivo dell’organizzazione.

Una leadership veramente efficace è quella che sa riconoscere e coltivare i talenti di tutti, creando un ambiente in cui ciascuno può eccellere e contribuire al successo comune.

Solo così si può aspirare a costruire una realtà lavorativa che sia non solo produttiva, ma anche giusta e stimolante per tutti.

In conclusione, spero che queste riflessioni possano offrirti una nuova prospettiva su ciò che significa essere un leader e su come l’esercizio del potere dovrebbe sempre essere guidato da principi di giustizia, equità e rispetto reciproco.

È mio sincero auspicio che tu possa riflettere su queste parole e, magari un giorno, adottare un approccio più costruttivo e inclusivo, per il bene di tutti coloro che lavorano al tuo fianco.

 

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Betapress invita tutte le persone soggette ad atti di mobbing sul lavoro a ribellarsi ed a non soccombere, alzate la testa e scrivete a direttore@betapress.it, vi aiuteremo a reagire, anche tramite un supporto legale.

 




A. è ancora con noi…

Qualche giorno fa A. ha tentato di andarsene da questo mondo, una difficile malattia ed un posto di lavoro ostile presso una importante Università Italiana le hanno fatto credere di non essere adatta a vivere.

Le abbiamo scritto queste due righe come comitato di redazione:

 

Ciao A. abbiamo saputo e siamo contenti di poterti scrivere ancora, vedi, per favore, di non fare favori agli altri, in questi casi è meglio combattere e perdere che arrendersi.

Volevamo scriverti ieri ma abbiamo preferito prima sentire Ch. per avere un quadro completo.

Permettici alcune considerazioni: il tuo gesto avrebbe solo generato tristezza nelle persone che ti vogliono bene, facendo invece contenti gli altri, ma ti pare logico!!?? Meglio allora combattere aiutata da chi ti vuol bene.

Noi siamo disposti ad aiutarti come possiamo, scriviamo un bell’articolo su di te che parla di come si difficile combattere tra lavoro e malattia e di come sia importante avere un supporto anche dai colleghi, falli stare di merda, falli sentire le merde che sono o almeno fai capire a tutti gli altri le merde che sono (infatti chi è una merda di solito non ne è consapevole).

A. ti capiamo e ti siamo vicino e lo sai, ma non posso accettare che una persona bella ed intelligente come te la dia vinta a degli ignoranti colossali.

Capiamo che tu creda di avere solo due possibilità ovvero andartene lasciando indietro tutta questa sofferenza o rimanerci dentro, quasi in un profondo nero di dolore.

Pensiamo invece che Tu non veda il sole che tu sei per gli altri, perché di solito chi lo è non se ne accorge.

Quindi hai una terza strada, forse la migliore, mettiti davanti ad uno specchio e guardati con gli occhi di chi ti vede realmente: in questo modo ti renderai conto che questa vita, seppur difficile, contiene dei valori e delle bellezze, e nessuno ha il diritto di privare il mondo della bellezza, nemmeno Tu.

E se tu pensi che andartene allieverebbe la tua sofferenza, beh, non è così.

E non lo diciamo seguendo un ragionamento religioso, anche se anche lì ci sarebbero delle ragioni valide, ma parliamo da un punto di vista egoistico.

La tua presenza su questa terra è un messaggio, un messaggio di bellezza, di generosità, di forza, di armonia, come pensi di arrogarti tu il diritto di spegnere per gli altri questo messaggio? ricordati che spegneresti una luce per chi la vede non per chi non la vede, e questo ti sembra logico, ti allieverebbe la tua sofferenza? te ne andresti contenta di aver reso tristi le persone che ti volevano bene? saresti così felice di chiudere gli occhi sapendo che il mondo che lasceresti dietro di te diventerebbe, almeno per noi che ti vogliamo bene, un poco più brutto? sei circondata da teste di cazzo?

Embè, sai quante ce ne sono nel mondo ed in qualsiasi posto credici, ma la tua vittoria è rimanere continuando a dimostrare che loro sono delle teste di cazzo, e questo si riesce a fare con il confronto, con la presenza di anime gentili, altrimenti se ci fosse solo il buio senza la luce chi capirebbe che è buio?

Questa è la tua terza via, continua a godere fino all’ultimo dei beni che questo mondo ti ha dato e che sono dentro di te e negli occhi di chi ti vuol bene, non farti guidare nelle tue azioni dal male negli occhi degli altri, ricordati sempre che raglio d’asino non giunge in cielo.

E poi calcolando anche solo che la tua presenza gli da fastidio, ma noi non ce ne andremmo mai!!!!

A. lascia che sia la vita a decidere per te, non tu per la vita, segui la tua anima luminosa, vivi ogni giorno per custodire quei beni che hai dentro di te affinché siano guida per gli altri, e pensa sempre che anche se la malattia ti rende difficile vivere, l’universo ti ha dotato di tanta bellezza, di un’anima buona, di una mente Brillante, gli altri intorno a te avranno la salute, ma sono delle perenni teste di cazzo, nel mondo c’è un bilanciamento.

A., vivi per vivere hai troppi doni per abbandonarli.

 

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A CHE PUNTO È IL GIORNO

 

Oggi parliamo di un argomento storico poco conosciuto, ma forse è meglio dire dimenticato.

Si tratta di una storia per certi versi analoga a tante altre, accadute in Europa nei secoli passati, ma che in questo caso riguarda il nostro Paese, l’Italia, e la sua bellissima isola, la Sicilia, e già solo per questo vale la pena che sia conosciuta e divulgata.

Si tratta di una storia di Convivenza e, contemporaneamente, di Discriminazione sull’isola del Mediterraneo e riguarda la storia degli ebrei in Sicilia.

La storia della presenza millenaria degli Ebrei in Sicilia, per secoli rimasta nell’oblio, torna ora ad affascinare e interessare storici, archeologi e antropologi che stanno riportando alla luce l’importante ruolo che ebbero gli Ebrei nello sviluppo economico e culturale dell’isola.

La rimozione c’è stata ed è motivata probabilmente dal pudore di dover narrare tutto ciò che gli Ebrei siciliani dovettero patire secolo dopo secolo, conquista dopo conquista, per mano di coloro che ne furono i potenti e spesso spietati dominatori, ma anche dal rammarico per tutte quelle risorse umane, culturali ed economiche che l’isola e tutto il sud d’Italia persero per sempre, dopo la loro espulsione nel 1493.

La storia giudeo-siciliana suscita ora nuovo interesse grazie alle recenti pubblicazioni che hanno avuto per oggetto la riscoperta di antica documentazione, rimasta sepolta per secoli negli archivi storici comunali e in quelli notarili di molte città siciliane.

Anche importanti e recenti scoperte archeologiche stanno accrescendo le nostre conoscenze della storia ebraica siciliana, lasciando intravedere possibili rivisitazioni dei fatti accaduti tra il III e il XVI secolo.

Si tratta di resti di siti sinagogali e cimiteri, disseminati un po’ ovunque sul territorio, dove numerose sono le pietre tombali rinvenute, sulle quali campeggiano epigrafi bilingui in greco, ebraico o latino con i tipici simboli ebraici della Menorah, dello shofar e della foglia di palma.

Sono stati anche ritrovati numerosi bagni rituali (mikvè), uno su tutti, quello commovente di Ortigia a Siracusa, di recentissima e casuale scoperta, considerato il più antico d’Europa, ricoperto di detriti dagli esuli ebrei prima del suo definitivo abbandono, forse per un senso di pudore o forse perché era ancora viva tra loro la speranza di un ritorno.

Ed ancora più affascinante è la storia del Kior (vasca per lavaggio delle mani) di Siculiana nell’agrigentino (sec. XV), proveniente con verosimile probabilità dalla Sinagoga o dal Cimitero di tale cittadina ed in epoca più tarda trasferito nel Battistero locale per divenirne la fonte battesimale.

Il suo donatore aveva voluto ricordare l’evento facendovi scolpire una scritta in ebraico, rimasta coperta per più di cinque secoli e dove oggi si può leggere: «Nell’anno 1475: Samuele figlio di Rabbì Yona Sib’on, riposi in Paradiso».
Posti ai due lati della scritta gli stemmi reali di Castiglia e di Aragona in onore dei sovrani spagnoli regnanti in quel periodo e che, ironia della sorte, solo diciassette anni dopo decretarono l’espulsione di tutti gli Ebrei oltre che dalla Spagna anche dalla Sicilia.

 

La storia è lunga, e non è certo questo il luogo per narrarla nella sua interezza, ma si può certamente affermare che non ci sia stato angolo della Sicilia in cui la presenza ebraica non fosse già ben radicata ancor prima dell’avvento del cristianesimo e soprattutto durante i quattro secoli precedenti l’espulsione, decretata dall’infame editto di Granada, siglato nel Gennaio del 1492 dai reali di Spagna, Isabella di Castiglia e da suo marito Ferdinando d’Aragona. Su incitamento del domenicano Torquemada, essi non dettero scampo agli Ebrei spagnoli e poco dopo anche a quelli siciliani, obbligandoli alla dolorosa scelta dell’esilio o alla conversione forzata.

C’era stato un tempo, tuttavia, in cui la vita degli Ebrei, nello specifico in Sicilia, era stata molto migliore e sicuramente diversa.

Ciò avvenne, nei due secoli di dominazione degli Arabi, i quali, seppur inizialmente considerassero gli Ebrei alla stregua di schiavi sui quali era lecito da parte loro qualsiasi abuso e sopruso, via via col passare degli anni, per motivi puramente economici, iniziarono ad instaurare con loro rapporti sufficientemente sopportabili.

Agli Ebrei, infatti, come pure ai Cristiani, venne concesso di poter professare liberamente la propria Fede e di costruire Sinagoghe e Chiese, anche se questa concessione non prescindeva dal pagamento di onerose gabelle.
Considerati dhimmi, cioè «protetti», gli Ebrei erano ritenuti una sorta di risorsa tributaria ed economica, situazione che li obbligava a pagare una tassa pecuniaria aggiuntiva, la gesìa. Questa loro condizione sarà poi, nei secoli seguenti, costantemente mantenuta anche dai successivi dominatori, per i quali non c’era alcun motivo di rinunciare a queste provvide, ma inique entrate fiscali.
Allo scopo di dare ulteriore impulso all’economia dell’isola, agli Ebrei, riuniti nelle loro Comunità dette Aliama, fu lasciata la possibilità di svolgere attività divenute con il tempo a loro peculiari, soprattutto quelle di tintori, conciatori, fabbri, artigiani, commercianti e armatori. 

D’altronde gli Ebrei, avvezzi a convivere con gli Arabi, come lo erano già in Spagna e nel Nord Africa, avevano con questi, oltre che la lingua, molteplici affinità come la comune conoscenza degli studi scientifici di medicina, astronomia e matematica e soprattutto delle materie teologiche e filosofiche.
Ciò che inoltre rendeva culturalmente simili le due etnie, era l’uso corrente della scrittura, motivo non sottovalutabile, che, di fatto, le poneva entrambe in una posizione più elevata rispetto al resto della popolazione, per lo più retrograda ed analfabeta.

 

Oggi sappiamo quanto esteso e vivace fosse il rapporto tra le varie comunità ebraiche in quell’area alla fine e dopo l’inizio del primo millennio e quanto, per questo, fosse divenuto essenziale il ruolo della Sicilia grazie al continuo prosperare e alla nascita in quei due secoli di numerosissime imprese manifatturiere e di altrettante piccole comunità ebraiche che le gestivano.

Cartiere, filature e tessiture della seta e del cotone, concia delle pelli, tintorie, fonderie siderurgiche, commercio delle stoffe, del grano e del formaggio (rigorosamente kosher) e il trasporto di queste e di altre mercanzie, furono solo alcune delle attività di appannaggio quasi esclusivo degli Ebrei siciliani, i quali, nei secoli seguenti, ne acquisirono naturalmente il monopolio, divenendo di fatto i più ricercati produttori, trasformatori ed esportatori di manufatti e di prodotti agricoli.
La Sicilia, posta in maniera strategica al centro del Mediterraneo, divenne, di fatto, uno snodo nevralgico per lo scambio di mercanzie di ogni tipo che, dall’isola, riprendevano poi la strada per il resto d’Italia e d’Europa.

Quanto vediamo oggi della Sicilia, lo si deve in buona parte ai due secoli di questa dominazione illuminata ed al suo intelligente sfruttamento, del quale gli Ebrei furono una parte essenziale.

 

Questa lunga premessa, assolutamente non esaustiva della memorabile storia della presenza e dell’attività degli Ebrei siciliani, ci è tuttavia utile per fare alcune considerazioni storiche attuali e contingenti, relative alla città di Catania ed alla recente costituzione ufficiale di una Comunità Ebraica e di una Sinagoga nel suo seno.

A volte la Storia viene riscritta dai posteri e ciò che sembrava dimenticato riaffiora dall’oblio, grazie al lavoro scrupoloso e appassionato di studiosi e di accademici, e anche di uomini leali e di buona volontà che, come nel caso di Catania, ne hanno ripreso in mano il bandolo riportando alla luce ciò che sembrava dimenticato per sempre.
Una Storia, quella della Sicilia ebraica e di Catania – ma non solo, verosimilmente somigliante per molti dei suoi aspetti a tante altre storie vissute e patite, anche in tempi recenti, dagli Ebrei di molti altri Paesi, storie esaltanti ma allo stesso tempo spesso dolorose, storie di persecuzioni, di morte, di esili, di abbandoni, storie rese simili dal pregiudizio e dall’invidia, dove la bramosia, infine, ne è stata sempre il rovinoso epilogo.

Accade, dunque, che alla Catania ebraica non venga – attualmente – riconosciuto il diritto di ridare vita ad una propria Comunità, al proprio culto, alla preghiera nella propria Sinagoga.

Sembra che si sia verificato un corto circuito di comunicazione con le autorità centrali della Penisola.

Come se queste non capissero gli Ebrei di Catania.

È sicuramente un momento non semplice per chi crede nell’importanza e nel valore di queste relazioni e, rispetto al passato, rispetto alla Storia, sembra che ci siano stati dei significativi passi indietro, ma proprio per questo sarebbe opportuno andare avanti, confidando nella possibilità che il confronto riesca a dare nel tempo i suoi frutti.

E forse ciò ha origine, anche, dalla profonda crisi attraversata da un Occidente che ha smarrito la propria identità, e che a volte non riesce a ben riconoscere quali siano i propri valori di riferimento. Tuttavia, si potrebbe andare oltre quell’ambito e slegarsi da ciò che spesso appare, purtroppo, come un secolarismo effimero – anche in campi religiosi.

 

  • Riassumendo in maniera essenziale e omettendo valutazioni halachiche, che sono di stretta competenza rabbinica, la sequenza dei fatti avvenuti a Catania è comunque tanto distopica da sfiorare i limiti del grottesco, posto che stiamo parlando di: 1) Laicità dello Stato; 2) Libertà religiosa; 3) Libertà di organizzazione ed azione; 4) Libertà di aprire luoghi di culto.
  • La Comunità Ebraica di Catania e il suo Istituto di Cultura Ebraica esercitano il culto ebraico all’interno della propria Sinagoga dal 17 ottobre 2018, nei locali concessi in comodato d’uso dal Comune di Catania e siti nel Castello di Leucatia; tale concessione ha la durata di sei anni e scadrà il 16 ottobre 2024.
  • Il 28 ottobre 2022 la Comunità Ebraica di Catania consacra ufficialmente al culto la propria Sinagoga, alla presenza di Rabbini giunti da Israele e da Whashington – essendosi dotata di un Sefer Torah e disponendo di un Rabbino e di un Tribunale Rabbinico di riferimento. Si tratta di un evento storico, religioso e culturale del massimo rilievo, sia per Catania – che fino al 1492 aveva due Sinagoghe – sia per l’Italia ebraica, che da Napoli in giù sembra si sia fermata nel (quasi) nulla.
  • In contemporanea, la signora Noemi Di Segni – nella sua veste di Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (di seguito: UCEI, Associazione di carattere privatistico) – inizia un attacco e una dura lotta di screditamento nei confronti della Comunità Ebraica di Catania, dichiarando e asserendo che essa non ha diritto di esistere né tantomeno di chiamarsi «Comunità Ebraica», né ancor più di avere titolo di appartenenza all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
  • L’anno 2023 si apre dunque con un pesante carteggio su carta bollata tra la predetta Presidente UCEI e l’Avv. Baruch Triolo, Presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica e Presidente della Comunità Ebraica di Catania – il quale ribatte alla Presidente Di Segni punto per punto, nello specifico: a) domandando dove fosse scritto che Catania non poteva usare la denominazione «Comunità Ebraica» (nemmeno si trattasse di un formaggio o di un vino d.o.p.) e b) ribadendo che la Comunità Ebraica di Catania sin da subito si era dichiarata disgiunta e non legata all’UCEI.
  • Emerge sin da subito la totale mancanza di possibilità di dialogo, di disponibilità al chiarimento reciproco, da parte della Presidente UCEI – che appare rispondere a ogni legittima comunicazione da parte dell’Avv. Baruch Triolo con quelli che si possono definire “argomenti fantoccio”, cioè utilizzando una fallacia logica che consiste nel confutare un argomento proponendone una rappresentazione errata o distorta.
  • Poi, da parte della Presidenza UCEI, si giunge all’intimidazione e infine alla citazione in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (prima udienza 08 febbraio 2024), inoltre convincendo (o meglio, tentando di convincere) con una sua personale visita, il Sindaco di Catania a revocare la concessione dei locali a suo tempo concessi a titolo gratuito (per sei anni, dal 2018 al 2024), destinati a uso Sinagoga e Uffici del Rabbino e siti presso il Castello di Leucatia.
  • La situazione diviene, a questo punto, orwelliana per tutta una serie di motivi: 1) l’UCEI è una associazione privata che, secondo il Codice Civile, può imporre le proprie regole statutarie solo ai propri iscritti e a nessun altro; 2) la Comunità Ebraica di Catania non aderisce e non vuole aderire all’UCEI, come sempre dichiarato; 3) una Associazione privata non dispone del potere di segnalare o accusare altre Associazioni per danneggiarle, né può imporre la propria volontà a una Pubblica Amministrazione (la città Metropolitana di Catania); 4) l’art.2 della legge 101/89 garantisce ad ebrei e comunità in genere il diritto, costituzionalmente garantito, della «libertà di esercizio del culto ebraico in forma sia individuale che associata»; 5) l’art.15 della legge 101/89 sancisce che «gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata con il consenso della comunità competente».
  • Tutto ciò predetto, l’UCEI non si presenta alla prima udienza in Tribunale davanti al Tribunale Civile di Catania (08 febbraio 2024), costringendo il Giudice a rimandare la prima udienza al 24 gennaio 2025, nonostante la procedura preveda la presenza di entrambe le parti per un tentativo, obbligatorio, di conciliazione e impedendo la richiesta di chiarimenti. Sottraendosi in sostanza al contraddittorio. La Comunità di Catania era rappresentata dall’Avv. Giuseppe Sciacca, membro della Comunità, dal Presidente della Comunità di Catania, Avv. Baruch Triolo, e dal Vice Presidente Alessandro Y.N. Scuderi.
  • La minaccia di sfratto dai locali del Castello di Leucatia ha un esito altrettanto surreale: il 15 febbraio 2024, data fissata dal Comune di Catania per un sopralluogo dei locali, propedeutico alla riconsegna dei locali, i tecnici del Comune non si presentano. Ed è notizia di questi giorni che la Municipalità di Catania si è premurata di rivolgere le proprie scuse alla Comunità Ebraica di Catania.

 

E dunque?

A che punto è il giorno?

Cui prodest tutto questo folle, insensato, dispendio di mezzi e di energie?

Perché questo cortocircuito, terribile, proprio in ambito ebraico, proprio in questo periodo di tensioni e di guerre?

Questa realtà distopica si inserisce nel momento storico che stiamo vivendo che, dopo il 7 ottobre, è sicuramente estremamente complesso e di difficile interpretazione – e in cui le tensioni non si limitano purtroppo al solo Medioriente.

Nessuno ha verità assolute da proporre e in questo momento molti di noi sono più capaci di porre domande che di dare risposte, tuttavia, cercando di essere analitici e obiettivi, nonostante tutto, continuiamo a sperare: a sperare nel Dialogo e nel Confronto.  

Pena la morte, la dispersione dell’egregore – e questo non deve avvenire: quando un certo numero di persone si raduna intorno a un’idea, i pensieri e i desideri di quelle persone creano un’entità vivente; è una legge del mondo spirituale.

E anche se quell’entità non è fatta di particelle sufficientemente materiali da far sì che la si possa vedere e toccare, essa esiste.

Questa entità collettiva viene chiamata «egregore» ed è un’entità vivente e operante, ogni paese, ogni religione e ogni corrente di pensiero possiede un’egregore e tutti i suoi membri, i fratelli e le sorelle che si riuniscono attorno alla stessa idea di pace e di luce, non smettono di alimentarla e rafforzarla.

Così, non solo essa può agire sulle altre egregore nel mondo per influenzarle beneficamente, ma contribuisce anche, e soprattutto, all’evoluzione di quegli esseri che lavorano per formarla.

Ma anch’essa è soggetta all’entropia – che dà la misura del disordine presente in un sistema fisico e, quando l’entropia sarà massima, nessuna trasformazione sarà più possibile, e sarà così la cosiddetta «morte fredda» dell’universo, in un sistema disordinato e a energia minima.

 

Barbara de Munari

Torino, 08 marzo 2024

 

[Si ringrazia per la disponibilità delle Fonti Storiche: Ariel Arbib, Storia degli Ebrei di Sicilia fino al XVI secolo – Convivenza e discriminazione sull’isola del Mediterraneo, in Joimag, febbraio 2022]




Donna, luce della famiglia.

L’Inestimabile Ruolo della Donna

La vita di un uomo è intrecciata con la presenza e l’influenza delle donne in modi profondi e significativi, dalla nascita alla morte, le donne sono sempre presenti,  nelle nostre esperienze, sostenendoci nei momenti difficili e condividendo le gioie della vita, in occasione della Festa della Donna, è importante riconoscere e celebrare il ruolo fondamentale che le donne svolgono nelle nostre vite e nella società nel suo complesso.

Sin dalla nascita, siamo accolti tra le braccia amorevoli di una donna, la nostra madre.

È lei che ci dona la vita, che ci protegge e ci nutre nei nostri primi momenti di vulnerabilità. Attraverso il suo amore e la sua dedizione, ci insegna il significato del legame familiare e ci dà le fondamenta per crescere e prosperare.

Nella nostra infanzia, spesso siamo affidati alle cure amorevoli di una donna, che può essere una nonna, una tata o una sorella maggiore.

Queste figure femminili giocano un ruolo cruciale nel plasmare il nostro carattere, insegnandoci valori importanti come l’amore, la gentilezza e l’empatia.

Sono loro che ci confortano nei momenti di tristezza, ci incoraggiano nei momenti di sfida e ci ispirano a sognare in grande.

Con il passare degli anni, ci innamoriamo di una donna e scopriamo il potere trasformante dell’amore romantico.

È lei che illumina le nostre giornate con il suo sorriso, che riempie il nostro cuore di gioia e che ci accompagna lungo il cammino della vita.

Insieme, condividiamo speranze, sogni e progetti per il futuro, costruendo una relazione fondata sulla fiducia, sulla comprensione reciproca e sull’amore incondizionato.

Quando è il momento di costruire una famiglia, è ancora una volta una donna che ci accompagna in questo viaggio straordinario.

È lei che porta avanti il miracolo della vita, che dona al mondo nuove generazioni piene di speranza e di promesse.

Attraverso il suo impegno e il suo sacrificio, crea un ambiente sicuro e amorevole in cui i nostri figli possono crescere e svilupparsi pienamente.

Infine, quando giunge il momento di affrontare la morte, spesso siamo circondati dall’amore e dalla presenza confortante di una donna.

È lei che ci accompagna nei momenti finali, che ci tiene la mano e ci consola con le sue parole gentili.

Attraverso il suo sostegno e la sua presenza costante, ci dà il coraggio di affrontare l’ignoto e ci permette di lasciare questo mondo con dignità e serenità.

La Festa della Donna è un’occasione per onorare e celebrare il ruolo inestimabile che le donne svolgono nelle nostre vite. Sono loro che ci danno la vita, che ci sostengono nei momenti difficili e che ci accompagnano lungo il percorso della vita, che si tratti della nostra madre, della nostra compagna, delle nostre figlie o delle nostre amiche, è importante riconoscere il loro valore e il loro contributo alla nostra felicità e al nostro benessere.

Buona Festa della Donna a tutte le donne straordinarie che rendono il mondo un posto migliore con la loro presenza.

 

 

Prof. Angelo SINISI