la fossa comune

Le fosse comuni sedimentano l’orrore nell’immaginario globale: sono l’abuso definitivo ma difficilmente rimangono nell’immaginario collettivo.

La loro sotto-rappresentazione è una delle unità di misura delle due guerre attualmente in atto, sul fronte ucraino e sul fronte medio-orientale, ma il genere umano non è nuovo a questa pratica, da sempre.

Quando esse finiranno, si camminerà sui cadaveri.

Le fosse comuni gelano il sangue, sedimentano la morte inflitta, la sua umiliazione, l’oltraggio di un oblio senza dignità.

Ma tutto ciò non risuona nel sistema mediatico occidentale, dove la violenza semantica serve a giustificare quella concreta; con la rimozione del contesto storico, con l’intelligenza artificiale usata per anestetizzare i massacri, niente è raccontato nella sua reale misura dai media.

Una simile sotto-rappresentazione ricade su di noi ed è il prodromo di altre violenze.

Fa riflettere che lo stesso sistema mediatico stia ancora balbettando, alla ricerca di parole, di concetti, di frasi da stemperare in mille rivoli di distinguo.

Fa riflettere, perché tutto, in realtà, sarebbe molto semplice da dire, o meglio, da urlare.

 




25 aprile

Ammettiamolo, nonostante il rituale della convocazione istituzionale, non è facile pensare un 25 aprile difficile come questo.

Il calendario si conferma il solito luna-park.

Che siano week libresche, o apericene sensoriali, sul piano culturale e politico sembra di essere sul set di plastica di una fiction sul mondo nuovo.

Piuttosto mal riuscita.

Se questo è il quadro, dove opposizione e dissenso possono esistere solo ritagliandosi momenti di solitudine, lo spazio pubblico e anche le cene tra amici ormai sono divenuti luoghi della rimozione, parliamo forse di guerra?

come è possibile che giovedì prenda forma la prima grande manifestazione popolare contro tutti i massacri in corso e futuri?

Sarà certamente un corteo disunito, forse litigioso e rancoroso, speriamo senza censure o auto censure, che è anche peggio.

E del resto la crisi della rappresentanza da anni è palpabile proprio in questa occasione.

Ecco perché c’è uno strano silenzio attorno a questo settantanovesimo anniversario della Liberazione.

Ne riparleremo dopo il 25, le elezioni europee sono alle porte.

La sensazione che il corso degli eventi segua una logica inesorabile è forte e prevalgono sentimenti di impotenza e rassegnazione.

E un sentimento diffuso di sgomento e paura.

Paura per la guerra, per la postura guerrafondaia delle élite europee che genererà nuovi conflitti e per tragedie che non riusciamo nemmeno a nominare.

Ma in questa occasione, che ogni anno celebra la liberazione, nessuno può dare lezioni su come bisogna starci e con quali «parole d’ordine», perché la democrazia è anche conflitto e dissenso.

La Storia con tutti i suoi orrori non si cancella ma se c’è il sole, e non farà tanto freddo, noi che possiamo permettercelo, saremo anche un po’ felici.

 

#realtaaumentata di Barbara de Munari

 




Matteotti: non sono solo antifascista, mi dipingono così!!!

La figura di Giacomo Matteotti, sebbene frequentemente associata all’opposizione al fascismo a causa del suo tragico assassinio nel 1924, presenta delle sfumature ideologiche che lo distanziano da un’etichetta rigidamente “antifascista” secondo l’accezione più comune del termine.

Matteotti, in effetti, emerge come un sostenitore fervente della democrazia parlamentare, posizionandosi criticamente sia contro il fascismo di Mussolini sia contro il comunismo.

Matteotti era membro del Partito Socialista Unitario, una scissione del Partito Socialista Italiano che si opponeva alla direzione rivoluzionaria e comunista di Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci nel Partito Comunista d’Italia.

La sua critica al comunismo era radicata nella sua fedeltà alla democrazia parlamentare come metodo di governo e nel suo rifiuto delle tattiche rivoluzionarie e della dittatura del proletariato promosse dai comunisti.

Questa posizione si riflette chiaramente nel suo approccio alla politica, dove privilegiava la legislazione e il dibattito parlamentare come mezzi per realizzare cambiamenti sociali e politici.

In parallelo, Matteotti si opponeva vigorosamente al fascismo, ma la sua opposizione era centrata sulla difesa delle istituzioni democratiche e parlamentari piuttosto che su una contrapposizione ideologica all’intero corpus delle idee fasciste.

Matteotti vedeva il fascismo, soprattutto dopo l’ascesa al potere di Mussolini, come una minaccia diretta alla democrazia parlamentare attraverso la sua tendenza autoritaria e il suo disprezzo per il pluralismo politico.

Il suo famoso discorso del 1924, poco prima del suo rapimento e assassinio, denunciava i brogli elettorali e le violenze perpetrate dai fascisti, evidenziando la sua ferma posizione a favore di un sistema politico democratico e trasparente.

È interessante notare che sia Mussolini che Matteotti provenivano da una matrice socialista.

Mussolini, prima della sua adesione al nazionalismo e alla creazione del fascismo, era un importante esponente del Partito Socialista Italiano, dal quale fu espulso per le sue posizioni interventiste nella prima guerra mondiale.

Questo passato socialista di Mussolini era tuttavia caratterizzato da una propensione per l’azione diretta e una certa predisposizione alla violenza, aspetti che si accentuarono enormemente nel suo percorso verso il fascismo.

In conclusione, Giacomo Matteotti può essere meglio descritto non certo come un antifascista nel senso stretto e militante del termine, quanto piuttosto come un difensore della democrazia parlamentare, il cui impegno politico mirava alla preservazione delle istituzioni democratiche e al rifiuto sia del fascismo autoritario di Mussolini che del comunismo rivoluzionario.

Il suo assassinio divenne un simbolo della lotta contro la soppressione della democrazia in Italia, consolidando la sua immagine come martire della libertà e della giustizia politica.

L’interpretazione di Giacomo Matteotti come figura antifascista, predominante oggi in particolare nel discorso pubblico sia accademico che politico, riflette spesso una visione semplificata, molto limitante e simbolica che non coglie pienamente la complessità del suo pensiero politico e del suo senso di stato, facendo così un torto assoluto alla figura di Matteotti.

La rappresentazione di Matteotti come un eroe antifascista è stata, in parte, una costruzione postuma, enfatizzata in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la rinascita democratica in Italia e la condanna universale del fascismo.

Dopo il suo assassinio nel 1924, Matteotti divenne un simbolo del sacrificio per la libertà e la democrazia.

Il suo martirio fu utilizzato sia dai partiti di sinistra che da quelli centristi per mobilitare l’opinione pubblica contro il regime fascista.

Questa trasformazione di Matteotti in un’icona antifascista può essere vista come un’opportunità per vari gruppi politici di presentarsi come eredi legittimi dei valori democratici che Matteotti difendeva.

Giacomo Matteotti possedeva un profondo senso di stato che si manifestava nel suo impegno per la democrazia parlamentare e nel suo rifiuto delle soluzioni autoritarie e totalitarie, sia di destra (fascismo) che di sinistra (comunismo).

Il suo approccio era fortemente ancorato ai principi di legalità e di rappresentanza politica, visti come pilastri indispensabili per la governance di uno stato moderno e civile.

Matteotti credeva nella necessità di un governo che agisse nell’interesse del popolo, attraverso le istituzioni democraticamente elette, e non tramite il dominio di un singolo partito o leader.

La narrazione che disegna Matteotti come puramente antifascista tende a sovrapporre la lotta contro il fascismo alla più ampia difesa delle istituzioni democratiche e del pluralismo politico.

Questa semplificazione serve a consolidare una certa narrativa storica, ma rischia di appiattire la complessità del suo pensiero e delle sue azioni.

Nonostante la sua chiara opposizione al fascismo, Matteotti era principalmente mosso da una visione positiva del governo, basata sulla legalità e sulla partecipazione democratica, piuttosto che da una contrapposizione ideologica totale verso il fascismo in sé.

Il modo in cui la classe politica ed universitaria italiana ha trattato la figura di Matteotti ha spesso riflettuto le esigenze del presente più che una fedele interpretazione storica.

L’enfasi sull’antifascismo deve essere vista come un tentativo di costruire una memoria collettiva condivisa di resistenza al totalitarismo, utile per consolidare l’identità democratica post-bellica dell’Italia, ma non certo una vera identificazione dello spirito del politico e nemmeno dei valori che lo stesso incarnava.

Tuttavia, questa enfasi oscura il suo autentico impegno per una democrazia parlamentare e la sua critica tanto al fascismo quanto al comunismo.

In realtà, mentre Matteotti viene celebrato come antifascista, è essenziale riconoscerne e comprendere il suo impegno più ampio per la democrazia e il suo senso di stato, che trascendono la semplice opposizione al fascismo, abbracciando una visione più completa e complessa del governo e della politica.

Pertanto, come sempre in questo paese, gli eroi vengono creati a secondo dell’interesse delle fazioni e mai per il vero senso della storia.




Fallire educa. Lo dice anche il capitano Kirk.

Come possono i docenti essere d’aiuto per preparare gli studenti e le studentesse ai test d’ammissione all’università?

La prima cosa da fare è aiutarli a vincere la parte ansiogena che inevitabilmente questo tipo di prova porta con sé.

C’è un’ansia di fondo in chi si prepara ad affrontare un test, soprattutto nel caso in cui le materie non siano perfettamente conosciute o magari nemmeno finite.

Cito uno studio di Betapress.it, l’80% delle défaillance nei test d’ammissione non è dovuta alla mancanza di preparazione, ma all’ansia che subentra in fase di esame.

Questo è quindi il primo aspetto sul quale intervenire.

Partendo dal fornire ai giovani alcuni metodi di studio.

La nostra memoria è regolata dal sistema limbico che ci permette di apprendere grazie a quello che viene definito l’imprinting.

Una delle prime regole è capire che l’apprendimento avviene per pressione e memorizzazione (imprinting) all’interno del sistema nervoso centrale di quello che i ragazzi e le ragazze studiano in quel momento.

Applicarsi solo in una materia e di seguito solo in un’altra è, per esempio, un errore grave in fase di apprendimento.

Tant’è che i programmi dei licei sono interattivi e dispersi sugli anni.

Questi sono tutti temi da affrontare e integrare in una didattica particolare.

Quando cerchiamo di aiutare i giovani ad affrontare le prove, dobbiamo tenere presente che il ragazzo o la ragazza sono sottoposti a un meccanismo ansioso collegato a tanti fattori, in primo luogo la preparazione, ma anche l’ansia di prestazione.

E questo stato non permette loro di essere sereni durante il compito.

La scarica di adrenalina attiva tutte le funzioni fisiche (per esempio il battito cardiaco), ma spesso abbassa il ragionamento del cervello e ne attiva la funzione difensiva e tutto questo non permette alla persona di essere performante durante i test.

Bisogna quindi aiutare i ragazzi a programmare lo studio perché una corretta pianificazione consente loro di essere più calmi e interagire con la fase di stress durante il test.

È molto importante anche spiegare bene ai ragazzi come funzionano i test, come sono composti, che tipo di esperienza si troveranno a vivere perché per loro è una prima volta.

Bisogna aiutarli a capire la semantica dei test, non tutti sanno per esempio che questi quesiti sono costruiti secondo algoritmi, secondo una semantica che, se conosciuta, permette ai ragazzi di affrontare il test e ragionare sulla domanda in tempi più brevi.

Un consiglio ai docenti, in questa direzione, è quello di preparare i compiti in classe a guisa di test d’ingresso.

Scomponendo la materia e “costringendo” gli studenti ad affrontarla in modo diverso, magari anche su risposte multiple, il compito in classe diventa un valido aiuto in vista dei test.

È un modo per farli studiare in maniera più logica e con una diversa semantica dello studio.

Per fare tutto questo, durante l’anno scolastico, diventa opportuno programmare attività di laboratorio.

Passando invece a una seconda fase, dobbiamo insegnare ai ragazzi e alle ragazze a gestire un eventuale fallimento.

Come?

Convertendolo in una strategia di successo per scegliere la propria strada.

Insegnando ai ragazzi che non c’è fallimento quando si sceglie, perché la scelta presuppone l’errore e l’errore, a sua volta, è un aiuto per affinare la scelta.

Facendo loro capire che il percorso individuale è importante.

La scelta è una componente del percorso che ogni ragazzo o ragazza fa. Insegnare ad accettare lo sbaglio può essere un metodo educativo.

Nel mio lavoro spesso mi capita di andare a supporto dei docenti e spesso metto in pratica la pedagogia dell’errore perché i giovani di oggi non sono abituati.

In questo approccio la famiglia ha un peso incalcolabile, nel momento in cui capiamo come si comportano i genitori possiamo ritarare il nostro approccio pedagogico-educativo nell’obiettivo del bene dell’alunno.

Ed è un percorso che si fa insieme, studenti, docenti, genitori, psicologi. Lo psicologo ha un ruolo importantissimo ma non deve essere lasciato da solo, ci deve essere una rete intorno che fa sentire i giovani sicuri nel loro percorso.

Gli studenti di oggi che a noi sembrano così sicuri di sé sono in realtà i più insicuri, la depressione giovanile è aumentata del 120% negli ultimi dieci anni, i suicidi in età giovanile del 180% negli ultimi vent’anni.

Sono dati tragici.

Per questo serve un cerchio, l’organicità dell’azione.

La preparazione ai test d’ammissione può diventare la prima occasione per portare questi ragazzi e queste ragazze a sperimentare il fallimento.

Porto un esempio: ho somministrato in varie classi un test molto complesso, l’ho chiamato il test di Star Trek perché ho preso il concetto dal noto telefilm.

Il test della Kobayashi Maru, introdotto nell’universo di “Star Trek”, rappresenta un esemplare punto di riflessione sia nel contesto narrativo che nell’ambito della formazione del carattere e della leadership.

Questo scenario simulato, impostato nell’Accademia della Flotta Stellare, è stato concepito come un test di comando irrisolvibile, destinato a valutare le reazioni dei cadetti di fronte a una situazione senza via d’uscita, dove il fallimento è inevitabile.

L’obiettivo principale di questo test non è tanto la soluzione del problema presentato, quanto piuttosto l’osservazione delle modalità di gestione dello stress, delle decisioni etiche e della leadership sotto pressione estrema.

La Kobayashi Maru è una nave civile senza armi, che, nel contesto del test, invia un segnale di soccorso da una zona controllata dal nemico.

Il cadetto in prova deve decidere se infrangere il trattato di pace per tentare un salvataggio quasi certamente fallimentare, mettendo a rischio la propria nave e l’equipaggio, oppure lasciare la Kobayashi Maru al suo destino.

Il test è truccato per assicurarsi che ogni possibile azione porti a un esito negativo, esplorando così la capacità del cadetto di affrontare una situazione senza speranza.

Il test della Kobayashi Maru insegna una lezione fondamentale sull’accettazione del fallimento come componente inevitabile della vita e, in particolare, della leadership. In un mondo che spesso premia solo il successo, il test offre una prospettiva realistica e umile sulla possibilità di incontrare sfide insormontabili.

Il modo in cui un cadetto reagisce al fallimento – con integrità, coraggio e preservando i valori etici – diventa così importante quanto ottenere la vittoria.

Questo approccio incoraggia la resilienza, la capacità di affrontare le avversità mantenendo un comportamento etico e morale.

Attraverso l’esplorazione dei limiti personali e dell’accettazione del fallimento, il test della Kobayashi Maru funge anche da catalizzatore per la crescita personale e la ricostruzione della personalità.

Confrontandosi con la propria impotenza, i cadetti hanno l’opportunità di valutare e rafforzare il proprio carattere, le proprie priorità e i valori fondamentali. Il test sfida i futuri leader a riflettere sulla natura delle decisioni difficili e sulle qualità necessarie per guidare con saggezza e compassione anche nelle situazioni più disperate.

Il caso di James T. Kirk, il solo cadetto noto per aver “superato” il test modificando il suo programma per renderlo vincibile, introduce un ulteriore strato di complessità all’interpretazione del test della Kobayashi Maru.

Kirk rifiuta di accettare il fallimento come unica conclusione possibile, dimostrando sia la sua ineguagliabile audacia che una potenziale mancanza di accettazione dei limiti imposti dalla realtà.

Questo comportamento solleva interrogativi sulla natura dell’innovazione e della leadership: fino a che punto è giustificabile alterare le regole per raggiungere il successo?

La decisione di Kirk riflette un approccio non convenzionale ai problemi, enfatizzando l’importanza dell’adattabilità e dell’ingegnosità.

Il test della Kobayashi Maru, quindi, va oltre una semplice valutazione delle capacità di comando, trasformandosi in uno strumento pedagogico profondo per l’indagine sulla natura umana, sull’etica della leadership e sulla gestione delle crisi.

Attraverso l’accettazione del fallimento e la ricostruzione della personalità, il test mira a preparare individui capaci non solo di guidare con competenza, ma anche di fare i conti con le proprie vulnerabilità e limiti, promuovendo così un modello di leadership più umano e riflessivo.

Nelle classi in cui abbiamo introdotto questo esperimento, ovvero un test irrisolvibile salvo truccare il test, è risultato che solo il 15% dei ragazzi è stato in grado di gestire correttamente il fallimento al test, dato abbastanza deprimente, nessuno ha pensato di truccarlo e la maggior parte dopo il fallimento ha minimizzato l’errore dicendo che tanto era il test che era sbagliato.

Gestire il fallimento è una componente fondamentale dello sviluppo personale, specialmente nei giovani.

Il fallimento non solo è inevitabile nella vita di tutti ma offre anche opportunità uniche per l’apprendimento e la crescita personale.

Aiutare i ragazzi a gestire il fallimento, ed a capirlo, richiede un approccio olistico che coinvolga educatori, genitori e la comunità nel suo complesso.

Alcune strategie basate su principi pedagogici, psicologici e di sviluppo personale possono essere così riassunte:
A. La creazione di un ambiente sicuro e di supporto è essenziale. I giovani dovrebbero sentirsi liberi di esplorare, sperimentare e fallire senza timore di giudizio o punizione. Un ambiente che celebra il tentativo tanto quanto il successo incoraggia i giovani a uscire dalla loro zona di comfort e a vedere il fallimento come parte del processo di apprendimento.
B. La resilienza, ovvero la capacità di rimbalzare indietro dopo il fallimento, è una skill cruciale. I ragazzi possono essere istruiti sulla resilienza attraverso esempi storici, letterari o contemporanei di individui che hanno affrontato e superato fallimenti significativi. Le discussioni in classe o le attività di gruppo possono concentrarsi su come questi individui hanno gestito le loro situazioni, sottolineando l’importanza della perseveranza e della flessibilità mentale.
C. Insegnare ai giovani a valutare i propri fallimenti in modo costruttivo è fondamentale. Questo implica incoraggiarli a riflettere sulle cause del fallimento, su cosa hanno imparato e su come possono migliorare in futuro. L’autocritica costruttiva dovrebbe essere equilibrata con il riconoscimento delle proprie capacità e successi, per mantenere l’autostima e la motivazione.
D. L’intelligenza emotiva, la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri, è cruciale nel processo di gestione del fallimento. Attraverso il dialogo aperto e le attività di gruppo, i ragazzi possono imparare a esprimere le loro frustrazioni in modo sano e a offrire supporto ai coetanei che affrontano difficoltà simili.
E. Le abilità di problem-solving possono aiutare i ragazzi a vedere il fallimento sotto una nuova luce. Invece di percepire il fallimento come un vicolo cieco, possono imparare a vederlo come un problema da risolvere. Questo approccio li incoraggia a cercare soluzioni creative e a vedere il fallimento come un’opportunità per apprendere nuove strategie.
F. Il supporto dei genitori e della comunità è fondamentale per rafforzare il messaggio che il fallimento è un aspetto normale e utile del processo di apprendimento. I genitori possono essere incoraggiati a condividere le proprie esperienze di fallimento e recupero con i figli, fornendo modelli di resilienza e ottimismo. La comunità, comprese le scuole e le organizzazioni giovanili, può offrire risorse e programmi dedicati a sviluppare competenze di vita che aiutano a gestire il fallimento.

In definitiva, aiutare i ragazzi a gestire il fallimento richiede un approccio multiplo che incoraggi l’accettazione del fallimento come parte integrante dell’apprendimento e della crescita.

Promuovendo la resilienza, l’autocritica costruttiva, l’intelligenza emotiva, e il problem-solving in un ambiente di supporto, possiamo preparare i giovani ad affrontare le sfide della vita con fiducia e ottimismo.

Questo processo non solo li aiuta a gestire il fallimento ma li equipaggia con le competenze necessarie per prosperare in un mondo in continua evoluzione.

 




Salvini: ma ci sei o ci fai?

Matteo Salvini ritorna sulla sua endemica crociata dei tre mesi estivi, che inizialmente era contro gli insegnanti, che in pratica avevano TRE mesi addirittura di vacanza (che poi non è nemmeno vero), oggi, invece, ha girato il suo attacco andando anche a raccogliere un desiderata dei genitori, che d’estate non sanno dove piazzare i figli, ed ecco qua la soluzione, scuole aperte d’estate.

Addirittura sono stati trovati 400 milioni (dove erano nascosti? non è che forse erano i soldi per garantire alle segreterie la continuazione del personale ATA chiamato personale covid? e perché allora non abbiamo trovato 27 milioni per salvare il personale ATA cha abbiamo dovuto mandare a casa ma che alle scuole serviva come il pane? Beh è vero che il ministro dice di aver trovato 14 milioni per quello, 14 non 27, troppo tardi comunque, ormai le persone sono state mandate a casa quindi quelle persone ormai formate difficilmente saranno recuperabili ora), ben 400 milioni trovati, dicevamo,  erano sotto in uno scantinato?

Beh, se è così facile trovare dei milioni di euro suggerisco a tutte le famiglie che stanno morendo per arrivare a fine mese di fare una caccia al tesoro nei vari ministeri partendo da quello dell’istruzione, magari negli scantinati da qualche parte anche loro riusciranno a “trovare” qualche milionata.

Qui mi pare che si parli senza la necessaria comprensione sia della storia che della vera necessità dietro a determinate situazioni.

La decisione di concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi anziché diluirle durante l’anno scolastico è il risultato di un’organizzazione ponderata e riflessiva del calendario scolastico, supportata da diverse ragioni valide. 

Per cercare di farci capire useremo punti specifici e chiari, non si sa mai:

Continuità e coerenza del calendario: Concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi consente di mantenere una certa coerenza nel calendario scolastico. Questo approccio facilita la pianificazione delle attività educative e permette agli studenti, agli insegnanti e alle famiglie di organizzare le proprie attività con maggiore chiarezza.

Minimizzazione delle interruzioni: Distribuire le vacanze estive durante l’anno scolastico potrebbe comportare frequenti interruzioni nel processo di apprendimento, compromettendo la continuità e l’efficacia dell’insegnamento. Concentrare la maggioranza delle vacanze in un unico periodo permette di limitare queste interruzioni e di mantenere un flusso costante di lavoro e apprendimento.

Difficoltà nel mantenere la concentrazione: Il caldo intenso può rendere difficile per gli studenti e il personale mantenere la concentrazione e l’attenzione durante le lezioni e le attività didattiche. Questo può compromettere la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, riducendo l’efficacia dell’ambiente educativo.

Efficienza nell’utilizzo delle risorse: Concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi consente alle istituzioni scolastiche di ottimizzare l’utilizzo delle risorse. Durante il periodo estivo, molte scuole possono programmare lavori di manutenzione, ristrutturazione o pulizia, senza interferire con le attività didattiche.

Opportunità per attività estive specializzate: Il lungo periodo di vacanza estiva offre ai ragazzi l’opportunità di partecipare a programmi estivi specializzati, come campi sportivi, corsi di arte o di lingua, che potrebbero non essere disponibili durante l’anno scolastico. Queste esperienze arricchiscono il loro bagaglio di conoscenze e competenze in modo significativo.

Promozione del turismo e dell’economia locale: Le vacanze estive di tre mesi favoriscono il turismo e l’economia locale, consentendo alle famiglie di pianificare viaggi e vacanze più lunghe. Questo periodo prolungato di pausa estiva beneficia anche delle industrie turistiche, ricreative e commerciali, contribuendo così alla crescita economica delle comunità locali.

Tempo sufficiente per il recupero e il relax: Tre mesi di vacanze estive offrono ai ragazzi il tempo necessario per riposarsi, rigenerarsi e dedicarsi a interessi personali senza la pressione degli impegni scolastici. Questo periodo di pausa prolungato è essenziale per il benessere fisico, mentale ed emotivo degli studenti, consentendo loro di ricaricare le energie e affrontare il nuovo anno scolastico con rinnovato entusiasmo.

Ma poi, le scuole hanno l’aria condizionata???

Se le scuole non dispongono di aria condizionata e devono funzionare durante l’estate, possono incontrare diversi problemi che compromettono il benessere degli studenti, del personale e l’efficacia dell’ambiente educativo.

Sempre per punti così magari è più facile capire:

Calore e disagio fisico: Le temperature estive possono diventare estremamente elevate, soprattutto all’interno degli edifici scolastici, che possono essere progettati senza adeguata ventilazione o isolamento termico. Senza aria condizionata, gli studenti e il personale possono sperimentare disagio fisico, affaticamento e difficoltà di concentrazione, compromettendo il processo di apprendimento.

Sicurezza e salute degli studenti: Il caldo eccessivo può rappresentare un rischio per la salute degli studenti, specialmente per quelli più giovani o con condizioni mediche preesistenti. L’esposizione prolungata a temperature elevate può causare colpi di calore, disidratazione e altri problemi di salute, aumentando il rischio di incidenti o malori durante le attività scolastiche.

Anche qin questo caso subentra la difficoltà nel mantenere la concentrazione: Il caldo intenso può rendere difficile per gli studenti e il personale mantenere la concentrazione e l’attenzione durante le lezioni e le attività didattiche. Questo può compromettere la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, riducendo l’efficacia dell’ambiente educativo.

Assenteismo degli studenti e del personale: Le temperature elevate possono causare assenteismo degli studenti e del personale, con conseguente interruzione delle attività scolastiche e riduzione della produttività. Gli studenti potrebbero essere meno propensi a partecipare alle lezioni o alle attività extracurriculari, mentre il personale potrebbe essere più incline a prendere giorni di malattia a causa del caldo e del disagio.

Malfunzionamenti tecnici: Il calore eccessivo può causare malfunzionamenti tecnici negli edifici scolastici, come surriscaldamento degli apparecchi elettronici, interruzioni dell’elettricità o danni alle strutture. Questi problemi possono compromettere la sicurezza e l’efficienza delle attività scolastiche, richiedendo interventi di manutenzione e riparazione che possono essere costosi e dispendiosi.

Impossibilità di svolgere attività all’aperto in spazi non qualificati: Le alte temperature possono limitare la possibilità di svolgere attività all’aperto, come ricreazione, educazione fisica o lezioni all’aria aperta. Questo può ridurre le opportunità di movimento e di socializzazione degli studenti, influenzando negativamente il loro benessere fisico, mentale ed emotivo.

La mancanza di aria condizionata può rappresentare una sfida significativa per le scuole che devono funzionare durante l’estate, compromettendo il comfort, la sicurezza e l’efficacia dell’ambiente educativo.

È importante considerare soluzioni alternative o prendere misure preventive per mitigare gli effetti del caldo e garantire un ambiente sicuro e confortevole per tutti gli attori della comunità scolastica.

In conclusione, la decisione di concentrare le vacanze estive in un periodo di tre mesi anziché diluirle durante l’anno scolastico è supportata da una serie di motivazioni valide che favoriscono l’efficienza, la coerenza e il benessere degli studenti, degli insegnanti e delle comunità locali.

Quindi viene spontaneo chiedersi, ma questa fissa dei tre mesi di vacanza d’estate è paragonabile ad una malattia psichiatrica? 

O è perché da fastidio che gli insegnanti stiano a casa tre mesi? Ma anche ammesso che sia sbagliato, e così non è, siamo convinti che la soluzione migliore sia usare le scuole per fare da  babysitteraggio ai giovani in modo tale che i genitori possono lavorare senza avere il cruccio dei figli? 

MA SIETE SERI?

Non sarebbe allora meglio potenziare i servizi alla famiglia dei vari comuni in modo tale che si possano organizzare, anche in collaborazione con il percorso educativo scolastico, attività più consone al riposo delle giovani generazioni durante la stagione estiva?

E non sarebbe forse meglio fare in modo che le famiglie possano stare insieme di più durante l’estate per consolidare i rapporti famigliari, invece che lasciare i figli sparsi per il paese? e non sarebbe forse meglio ritornare ad un concetto di nucleo famigliare importante magari agevolando le mamme/papà lavoratrici/ori in modo che nel periodo estivo abbiano più tempo per i loro cari?

Non sarebbe meglio investire i soldi dello stato in ben altro modo che buttare 400 milioni di euro per far stare i ragazzi a scuola d’estate?

Non è che questa è solo una captatio benevolenzia elettorale?

E comunque, giusto per  osservazione, quando si dice che gli altri paesi fanno in modo differente, ricordo che le posizioni geografiche degli altri paesi sono differenti dalla nostra, i servizi messi a disposizione dagli altri paesi per la famiglia sono differenti dai nostri, la scuola degli altri paesi è differente dalla nostra, e anche, a rischio di essere tacciato di razzismo, gli abitanti degli altri paesi sono differenti da noi, anche a livello di problematiche demografiche!

Quindi prima di dire che gli altri paesi fanno le cose in altro modo e quindi dovremmo farle anche noi così, vediamo però di farle tutte anche noi in altro modo, non solo quello che fa comodo alla nostra classe politica.

Demagogia invece che soluzioni, soldi buttati invece che investiti, come se fosse la prima volta che succede.

Ma la colpa è anche nostra che pur di avere il sollievo momentaneo ai nostri malesseri, non ci accorgiamo di chi lavora invece non per il nostro bene, ma solo per il suo.

Ahi serva Italia…




Fine dell’impunità

Da Venezia si eleva forte un appello ecumenico “Serve un cambio di paradigma per una società più civile che faccia dell’Uguaglianza un principio concretizzato nei fatti. “
SERVE LA FINE DELL’IMPUNITA’, che è il titolo del libro di Isabelle Rome uscito di recente in Francia!

Isabelle Rome da Parigi e Paola Bergamo da Venezia stringono una alleanza e si uniscono in battaglia per uno scatto di civiltà che riguarda di fatto diritti universali e l’intera umanità!
Guardano ciascuna al proprio paese ma con spirito di donne europee!

“Anche solo accettare commenti e comportamenti sessisti sono tutte forme di “anticamera” della violenza!”

C’è troppa violenza di genere, troppa violenza sulle donne: violenza psicologica, violenza fisica, violenza “trasparente” che poi è l’anticamera del femminicidio! Serve una rivoluzione giuridica e giudiziaria! SERVE LA FINE DELL’IMPUNITA’


 

L’11 aprile 2024, un luogo fortemente simbolico e suggestivo, l’aula di giustizia del Tribunale Penale di Venezia, dove di solito si celebrano i processi, si è trasformata per l’occasione sede di convegno.  Gremita da un folto e attento pubblico tra numerosi addetti ai lavori, avvocati penalisti e magistrati, ma anche persone accorse per un semplice interesse è stato trattato approfonditamente il tema della violenza di genere, della violenza sulle donne e del femminicidio, lanciando un importante “appello ecumenico” dalla città lagunare: “Ora basta!  Serve la fine dell’impunità!”.

Isabelle Rome, ospite d’onore, paladina questa battaglia,  è giunta a Venezia direttamente da Parigi, dopo una tappa a Novara e un’altra a Milano,  per l’evento organizzato dal Centro Studio MB2, Monte Bianco – Mario Bergamo,  per dare un tetto all’Europa sotto la Presidenza di Paola Bergamo. L’ importante magistrato di Francia, Alto Funzionario del Ministero di Giustizia di Francia, già Ministro dell’Uguaglianza di genere, della diversità e delle pari opportunità di Francia e oggi Primo Presidente di Camera della Corte d’Appello del Tribunale di Versailles ha sottolineato come solo lo strumento coercitivo possa incidere sulla società al fine di porre rimedio ad una piaga socio-culturale frutto di una visione ancora troppo maschilista della società. Ha portato l’esempio di quello che accade nell’ordinamento giuridico in Francia in tema di violenza di genere, violenza psicologica, violenza fisica fino al caso estremo del femminicidio. Ha descritto  come interviene l’ordinamento francese, che pur agendo con forza al fine della prevenzione e del contrasto del femminicidio tuttavia non ha ancora riconosciuto questa fattispecie come reato.
Riconoscere invece il femminicidio come reato , insistendo sulla drammaticità del fatto che si connota per  la soppressione di una persona perpetrata proprio per il suo sesso, cioè perché donna, sarebbe prezioso strumento per perseguire i colpevoli, per un piena  certezza della pena, per una maggiore efficacia della sanzione e chiarire una volta per tutte che non è più ammissibile l’assenza di punizione. Solo questa è la via da percorrere per porre rimedio alla tanta violenza di genere che funesta le nostre società e che  è grande  emergenza umanitaria. Accettare commenti e comportamenti sessisti sono tutte forme d’  “anticamera” della violenza. Isabelle Rome ha confermato che nella sua lunga carriera di magistrato, ha constatato che le vittime, spesso per mesi o addirittura anni, hanno subito violenza psicologica, prima di venire uccise. Questo avviene secondo uno schema, uno scenario ripetitivo: isolamento, denigrazione, molestie, gelosia eccessiva, minacce volte a esercitare un controllo, un dominio sull’altro.

Paola Bergamo, indossando metaforicamente la “toga”, ha arringato con forza, da quel banco giudiziario, dove si enuncia forte che “La legge è uguale per tutti!” con un’ analisi- processo sulla  società. Nel richiamare anche la memoria storica del PRI, ha ricordato che più di un secolo fa già suo Nonno, Mario Bergamo, ultimo Segretario del Partito Repubblicano sotto la Monarchia, nella sua poderosa bibliografia politica aveva messo tra le priorità delle questioni sociali e di giustizia sociale, proprio la questione femminile, con un libro del 1913 dal titolo “Parola alle donne”, parlando di uguaglianza, prevaricazione e necessità di emancipazione invitando le donne e gli uomini a una lotta di libertà.
Paola Bergamo ha sottolineato con forza che quella che si registra oggi non è solo una emergenza giuridica ma è una emergenza sociale: nel 2023 sono stati ben 42 i femminicidi in Italia e dall’ inizio dell’anno sono già 14 mentre nel mondo ci sono ben 144 femminicidi al giorno! Una piaga che trova le radici nella struttura stessa della società, frutto di una costruzione secolare basata sul modello del potere maschile predominante e prevaricatore su quello femminile. Nonostante i tanti passi avanti fatti, finché perdura questo modello non ci sarà mai vera uguaglianza tra uomini e donne. Non si tratta certo di innescare una lotta di genere ma è necessario porre fine al machismo. In questa battaglia i migliori alleati delle donne dovrebbero essere proprio gli uomini, il che comporta  un necessario cambio di paradigma socio-culturale e giuridico per una rivoluzione che se s’impone giuridica e giudiziaria serva a  far scattare, come spesso sottolinea la sociologia del diritto, una necessaria rivoluzione e progresso sociale . “Non otterremo mai una reale uguaglianza tra donne e uomini e non garantiremo mai alle donne la dignità che meritano finché le nostre società resteranno minate dalla violenza contro le stesse. La violenza, sia psicologica, sia fisica, sia sessuale, sia essa “trasparente”, la più insidiosa, rende necessario un incisivo controllo coercitivo”! Questo è l’appello congiunto di Isabelle Rome con Paola Bergamo.

Se oggi la Giustizia italiana interviene efficacemente avendo attivato  il “Codice Rosso”, dando quindi una priorità per la trattazione giudiziaria dei casi di stupro, violenza e femminicidio, resta il fatto che in Italia, come del resto in Francia, il femminicidio non è contemplato dal codice penale.  Il Codice Rosso, poi,  è stato attivato a costi invariati, cioè a costo zero. Ed è quindi chiaro che tutto ciò comporta un surplus di lavoro per i tribunali spesso già oberati di immenso lavoro e che, cercando di dare una risposta immediata a questi casi, produce purtroppo, gioco forza, per la scarsità di mezzi e personale,  il rallentamento di altri casi e processi da trattare. Sono quindi auspicabili più investimenti sulla Giustizia.

Lo strumento repressivo che colpisce chi devia dalle regole della società, diviene prezioso e insostituibile strumento per incidere sulla società, su un suo necessario cambiamento, in quel rapporto di reciproca influenza, come ben spiega la sociologia del diritto, in quel rapporto di reciproca influenza per cui il diritto influenza l’azione sociale e a sua volta ne viene influenzato.

Isabelle Rome a Paola Bergamo entrambe si sono dichiarate “sorelle” unite in battaglia, nel nome dell’Uguaglianza, della Dignità della persona, della Giustizia Sociale e della Libertà, guerriere certe nel nome delle loro Nazioni ma da  convinte Europeiste.

 

Da Paola Bergamo – <span class=”update-components-actor__description
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          "><span aria-hidden="true">Presidente presso Centro Studi MB2</span></span></a></span>



La legge è uguale per tutti ! Ma per qualcuno è più uguale che per gli altri.

Siamo sicuri che “La Legge è uguale per tutti” ? Quanto influisce la propaganda mediatica, la politica ideologizzata e l’interpretazione di uomini al “servizio” delle Istituzioni?

Che la legge non è uguale per tutti, è il pensiero che aleggia sempre più in maniera consistente nella mente dei cittadini Italiani.

Forse un tempo si poteva considerare come “illazione popolare”, oggi i fatti inducono a pensare possa essere diventata una realtà, certamente drammatica e discriminatoria in presenza di fatti controversi.

Basta spesso scorrere le prime pagine dei principali quotidiani o dei vari TG, forse senza nemmeno entrare negli approfondimenti dei singoli articoli, per pensare che quella, da sempre ritenuta “illazione”, possa trasformarsi in concretezza.

Sono tantissimi infatti gli spunti che lasciano intravedere questa situazione che sembra essere diventata sempre più anomala, tanto da indurre al successo un libro che descrive realisticamente come il mondo, nel nostro caso l’Italia, stia andando al contrario, rafforzando così quella che potrebbe trasformare una popolare illazione in una regola assunta.

Tralasciando ogni considerazione sia sul libro che sull’autore, non è la loro recensione l’oggetto di nostro interesse, desideriamo evidenziare uno degli ultimi fatti rilevati dai quotidiani nazionali e dai vari dibattiti televisivi, che inducono a pensare che il quesito enunciato nel titolo, abbia fondamento.

E’ di Giovedì 4 Aprile la notizia che l’ultimo procedimento su L’ex ministro Speranza, aperto a seguito di alcune denunce relative alla campagna di vaccinazione Covid, è stato archiviato. (Fonte ANSA)

“La Verita” di Mercoledì 10 Aprile titola in prima pagina, una esclusiva inchiesta di Francesco Borgonovo e Alessandro Rico: l’Ex ministro della salute, Speranza, sapeva che il 20% degli effetti avversi, tra coloro che si sono fatti oculare il fatidico “farmaco”, era gravissimo.

Non entrando nel merito scientifico, inerente la validità o meno del “farmaco”, oramai la letteratura e la casistica possono fornire significative indicazioni, evidenziamo invece come nonostante la confessione resa ai giudici, riguardante gli eventi avversi e forse anche gli innumerevoli decessi, questi piuttosto che indagare ed approfondire le responsabilità del ministro e non solo, abbiano preferito archiviare.

Nell’articolo di Francesco Borgonovo ed Alessandro Rico si evidenzia che il ministro in questione ha candidamente affermato che anche l’ex presidente dell’AIFA e l’allora primo ministro Mario Draghi, gestivano le politiche anti Covid ed erano al corrente dei gravissimi effetti avversi.

Così, tutti gli eventuali reati, anche di gravità estrema, che hanno causato invalidità gravissime e probabilmente un numero elevato di decessi, al punto che, secondo alcuni, si può ipotizzare il reato di strage, sono stati cancellati da una semplice “archiviazione”.

Alla luce di ciò, chiedersi quale sia il senso della motivazione del Tribunale dei Ministri che ha riconosciuta la correttezza condotta, volta esclusivamente alla difesa dell’interesse pubblico e del diritto alla salute dei cittadini, diventa naturale.

Quale è l’interesse pubblico e quale è il diritto alla salute?

Secondo l’inchiesta esclusiva, condotta dal Vicedirettore Borgonovo e dal Giornalista Rico, Speranza ha ammesso di essere a conoscenza dell’elevata percentuale di reazioni avverse, molte delle quali mortali, quindi dove stà la correttezza volta alla difesa dell’interesse pubblico e del diritto alla salute?

Addirittura, chi non ricorda le frasi proferite per far si che la popolazione si inoculasse il farmaco e tutte le successive dosi, dal ministro, ma anche dal Presidente Draghi e non solo, che lasciavano intendere che il “farmaco”, come noi preferiamo definirlo, fosse sicuro ed efficace?

Questo, nonostante che, già dopo le prime settimane di vaccinazione, al ministro sono giunti segnali allarmanti di pericolose controindicazioni.

Fatto che ignorò, preferendo continuare la campagna di immunizzazione.

Che ancora qualche cosa non quadra nella questione, forse lo si evince anche dal fatto che tutte le presentazioni del libro “perché guariremo” scritto da Speranza, inerente la pandemia, prima ritirato nel 2020, e poi secondo alcune fonti, riveduto e corretto in alcuni punti, rimesso in commercio, si parla di “rare segnalazioni di effetti avversi, suscitando reazioni e richieste di spiegazione da parte di chi ha subito in maniera grave e fortemente invalidante quegli effetti dovuti al “farmaco”, addirittura “imposto”, a mezzo DPCM del Presidente del Consiglio.

Perché Speranza si sottrae al pubblico confronto con i cittadini che hanno forse la colpa di aver creduto a persone dell’Istituzione e dello Stato?

Perché utilizzare le Forze dell’Ordine per impedire l’accesso a chi, fortemente invalidato, chiede un lecito confronto?

Perché i media Nazionali sembra vogliano glissare o tacere sulle continue fughe dell’esimio ex ministro dai vari luoghi ove invitato a presentare il suo libro, così come hanno sempre occultato le morti improvvise che potrebbero essere riconducibile all’utilizzo del farmaco?

Perché in Lombardia fu bloccato l’Ares 118 per le informazioni ad i giornalisti accreditati, in un momento in cui le morti improvvise ed i malori ebbero uno strano incremento, suscitando così le reazioni di chi non aveva più la possibilità di avere le informazioni, violando di fatto quel diritto che perfino la costituzione garantisce?

E’ di pochi giorni l’ultima “fuga” di Speranza, in ordine di tempo, avvenuta ad Ostia, municipio della Capitale, dove sembrerebbe addirittura che per allontanarsi nel più breve tempo possibile, pur essendo protetto dai tutori delle forze dell’ordine, la vettura che lo accompagnava sia stata costretta percorrere una contromano.

Sembra proprio che, una “propaganda” mediatica, una politica ideologizzata e l’interpretazione di uomini, al “servizio” delle Istituzioni, inducono a pensare che forse in Italia, la legge NON è uguale per tutti.

Sono in tanti a chiedersi quali responsabilità possano avere l’ex ministro Speranza, l’ex Primo Ministro Mario Draghi e tutti coloro che, pur essendo a conoscenza della gravissima pericolosità del farmaco hanno continuato a promuoverlo, addirittura imponendolo fino al ricatto, attraverso una multa amministrativa e la sospensione, in alcuni casi trasformato in licenziamento, dal posto di lavoro, con relativo blocco dello stipendio.

Domande che tanti Italiani, specialmente chi ha subito effetti avversi gravi e permanenti, oltre ai familiari delle vittime decedute, si pongono.

Come non augurarsi che la frase, “la legge è uguale per tutti”, non si trasformi in :

La legge NON è uguale per tutti.

Ettore Lembo

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2024/04/04/covid-archiviato-ultimo-procedimento-su-speranza_c9d1064e-b570-4b47-ae06-986c98954baa.html




Le “verità” effimere di Valditara

Questo non è un articolo semplice.

Non è un articolo che si legge velocemente né di quelli che si scorrono per far passare il tempo.

Questo articolo non è né facile da leggere né da scrivere.

Questo non è un argomento nuovo, né sconcertante nella sua unicità, né, ahinoi, inaspettato o in aspettabile.

Noi di betapress abbiamo già scritto, in precedenza, riguardo alla fantasia al potere, alla coerenza del ministro Valditara, alle incongruenze fatiche di cose dette e poi negate.

 

In questo articolo tratteremo l’argomento delle cariche dirigenziali del ministero dell’istruzione e prenderemo ad esempio il caso di Marco Ugo Filisetti.

Marco Ugo Filisetti è stato direttore generale del bilancio del MIUR dal 2005 al 2013: negli anni difficili della ricostruzione del bilancio delle scuole, quando mancavano i soldi per la carta igienica,  quando c’era la prima spending review, quando i fondi europei erano ancora solo a 4 regioni.

Però è andata bene: sotto di Lui i bilanci delle scuole hanno iniziato a migliorare, sono stati rilasciati importanti progetti come l’ordinativo informatico locale per il colloquio con le banche, gli inventari, io conto, il nuovo decreto di contabilità, la riscrittura dei controlli sui fondi europei.

Anche grazie a questi successi viene trasferito alla direzione sistemi informativi ed anche qui incomincia la sua attività di riordino della direzione.

Qui però che un rallentamento: incappa nel Cineca (leggi il nostro articolo QUI) e improvvisamente viene trasferito nelle Marche, dove resta per il resto della sua carriera.

Strano, è strano.

Di Filisetti è interessante dire che è un uomo notoriamente di Destra, sopravvissuto in decine di governi di Sinistra, è interessante perché è stato proprio il governo di destra che, come il buon Simon Pietro, lo ha rinnegato.

Ma come? 

Filisetti termina la propria carriera come direttore generale del MIUR a marzo 2023 andando in pensione; nei mesi precedenti, esiste un fitto scambio di messaggi tra Filisetti e lo stesso ed il ministro Valditara, che gli chiede in più occasioni di partecipare alle commissioni tecniche presenti al ministero e non solo lo chiede, ma lo invita come membro delle stesse.

Fin qui nulla di strano, ma poi cosa succede?

Succede che il giorno prima della fine della carriera ordinaria del dott. Filisetti, e quindi il giorno prima della sua scesa a Roma in qualità di componente delle commissioni, esce un articolo di giornale.

Lo potete leggere qui: 

Articolo

Un articolo di giornale in cui, come al solito, si estrapolano frasi da un discorso più ampio le si fanno passare per frasi fasciste e si infanga una persona, una storia senza nessun contraddittorio.

È domenica sera Filisetti, al suo ultimo giorno come dipendente del ministero, riceve una telefonata dal ministro, suo compagno di coalizione, che gli dice: “sai non posso più farti venire a Roma, con questo articolo che è uscito …”.

Filisetti controbatte dicendo che è ovvio che l’opposizione cerchi di attaccare qualsiasi scelta, al fine di indebolire un ministero e quindi un ministro, è ovvio che l’opposizione cerchi di infangare le persone che ritiene più preparate e “pericolose” per qualità e professionalità, ma che quanto scritto nell’articolo era frutto di pure macchinazioni, peraltro smentite dai fatti.

Valditara abbozza.

La mattina successiva il ministro emette questo comunicato stampa:

 

Dal Ministero dell’Istruzione e del Merito nessuna nomina al dottor Filisetti’

‘In merito alle notizie riportate da alcuni organi di stampa relative al dott. Marco Ugo Filisetti, si precisa che al Ministero dell’Istruzione e del Merito non risulta alcun provvedimento di una sua nomina né come membro di tavoli tecnici né tantomeno come consigliere del Ministro. Se vi è stata partecipazione a incontri è perché si tratta di un dirigente del Ministero, nominato peraltro Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche dal governo Renzi’.

Roma, 27 febbraio 2023

 

La prima domanda è: ma se non c’era nessuna nomina, perché telefonare a Filisetti per scusarsi?

Altra cosa, veramente di basso profilo, è l’aver detto che la nomina di Filisetti è stata fatta dal governo Renzi, Cui Prodest???

Inoltre vogliamo ricordare che il dott. Filisetti fu chiamato al Ministero dall’allora ministro Gelmini, suo compagno di coalizione, signor ministro.

Ma betapress è in possesso di altri elementi quali ad esempio la seguente mail, una fra le tante:

Si tratta di una delle tante convocazioni, sia in presenza che on line, ad uno dei tavoli tecnici creati dal ministro a cui viene convocato il dott. Filisetti.

Nota bene: è una mail del 10 febbraio 2023 in cui la segreteria tecnica del ministro convoca il dott. Filisetti a questo gruppo di lavoro, e vi possiamo dire che non è la prima, ma una delle tante convocazioni partite già da ottobre 2022, certamente è stata l’ultima (Betapress è in possesso di tutta la cronologia delle mail).

Fa pensare che il ministro dica che non vi è stata nomina al dottor Filisetti che, però, viene puntualmente convocato ai tavoli di lavoro e, no, non è per copia conoscenza ma convocato diretto come gli altri partecipanti del gruppo di lavoro.

Ciò avrebbe fatto pensare che la formalizzazione di un rapporto già in atto sarebbe arrivata a breve.

Ma non è così a quanto pare.

Siamo nelle terra in cui la parola non vale più e la carta scritta viene disconosciuta; siamo nel tempo in cui i contratti hanno cavilli e la paura di una maldicenza non fa difendere l’alleato.

La verità del ministro è che lui non ha nominato ufficialmente Filisetti, la contingenza dei fatti è che lo ha fatto partecipare a tutte le riunioni del gruppo di lavoro.

Il ministro però e cauto e prosegue usando l’espressione “se vi è stata partecipazione…”.

“Se”… quindi non era neppure a conoscenza che la sua segreteria lo convocava, e pure più volte? (non conoscenza  peraltro smentita dalle chat di WhatsApp tra il ministro ed il dottor Filisetti)

Non sapeva che al dott. Filisetti venivano inviati via email i documenti di lavoro ufficiali 

Ma poi alla fine, Filisetti partecipava alle riunioni?

Il ministro ci dice di non saperlo, ma i biglietti del treno del dott. Filisetti dicono di si, e che, comunque, continua il ministro, se così fosse stato, era perché era un dirigente del ministero.

Ma se così fosse, ovvero se Filisetti veniva invitato come dirigente del ministero, dove sono, nella mail, gli indirizzi delle altre centinaia di dirigenti del ministero e/o degli altri direttori generali degli USR?

Noi nelle email non li vediamo perché infatti questa è la convocazione dei componenti del gruppo di lavoro, dei veri componenti voluti dal ministro.

O forse era la segreteria tecnica che convocava chi voleva lei???

Peggio ancora, vuol dire che al ministero il ministro non comanda nemmeno sulla sua segreteria.

Ma ovviamente cari lettori, non è così, il ministro decide e poi decide di smentirsi, così, senza pudore. 

Poco sopra, parlando di articoli pubblicati da altri colleghi, abbiamo lamentato la mancanza di contraddittorio.

Non vorremmo essere rimproverati della stessa colpa (molto grave per un giornalista) e così teniamo a dire che, prima di pubblicare questo articolo, in data 11 dicembre 2023, come da immagine riportata, abbiamo chiesto un confronto con il ministro, poi risollecitato in data 31 marzo 2024.

Ad oggi non abbiamo ricevuto nemmeno una piccola risposta.

Non sta a noi giudicare un comportamento del genere, non siamo noi a dover giudicare il comportamento che porta a una non risposta.

Non supporremo alcuna forma di tracotanza o supponenza, né penseremo che, forse, ci sono poteri che si ritengono talmente forti da non dover spiegare a nessuno quello che fanno.
Non è comunque la politica che ci piace.

Però ci dispiace, a livello di redazione, che a fronte del nostro lavoro e del nostro impegno, sospettare (per mancanza fino ad ora di confronto) che il ministro pensi che per fermarci basti attaccare il nostro direttore.

No signor ministro, non basta attaccare il nostro direttore.
Betapress è un giornale libero anche da influenze politiche, lo è sempre stato e per quanto nella nostra redazione convivano convinzioni politiche assortite, noi siamo sempre riusciti a dialogare e a dare la parola a tutti quando abbiamo visto onestà intellettuale.

Forse è per questo, per l’etica che ci siamo imposti tra di noi, che siamo stupiti ed attoniti dal comportamento che un ministro della Repubblica tiene.

Di contro, come ci ha insegnato col suo comportamento inequivocabile e riportato in altri articoli, questo è il suo stile.
A noi piace pensare che non sia lo stile di tutto il governo.

In un momento come questo, così delicato per il mondo dell’editoria e del giornalismo, le sono forse arrivate indicazioni precise?
Le è stato detto di bloccare tutta la stampa o è una sua azione personale e ingenua?

Ritiene che non rispondere ad un giornalista sia un comportamento giusto, o il suo ufficio stampa la mette in contatto solo con una rosa di giornalisti comodi e selezionati?

Ministro, ricordi ogni tanto al suo staff che il ruolo che ricopre non le permette di fare quello che vuole e la obbliga, anzi, a fare quello che deve.

E sì, tra quello che è chiamato a dare c’è anche rispondere alla stampa, essere corretto con i suoi elettori ma, soprattutto, con chi non l’ha votata, perché è quello ci si aspetta da un ministro: che serva tutto il paese.

Certamente lei è sopra le parti, si può permettere di non rispondere di fare comunicati stampa fasulli, di trattar male i servitori veri dello stato, di presiedere un ministero che ha voluto chiamare del merito e poi allontanare tutti quelli che i meriti ce li hanno davvero, ad esempio Filisetti e Versari.

Ma cogliamo l’occasione per denunciare, all’interno di questo articolo, l’incredibile pressione che il nostro Direttore sta subendo proprio in conseguenza di queste nostre indagini investigative.

Nonostante tutto il nostro Direttore ha dato il benestare a questa serie di articoli, ben sapendo che sarebbe stato sottoposto ad un fuoco di fila, mettendo a rischio il suo attuale incarico, seppur a tempo determinato, presso il ministero dell’istruzione.

Mi fa piacere riportarle le parole del nostro direttore davanti al nostro dubbio di approfondimento in merito a questi fatti: “se una persona non sa di vedere il mondo attraverso delle fette di salame il nostro compito e cercare di toglierle!

Il giornalismo non è un lavoro, ma un’idea, una passione, una certezza, ovvero quella di raccontare i fatti.

Non fatevi illudere dalla mondanità o dal successo, spesso è effimero, fatevi sedurre dal 2+2=4, questo non vi deluderà mai”.

 

In ogni caso cari Italiani, le fette di salame firmate dai nostri politici, toglietele dagli occhi, vedrete un mondo diverso.

 

Questo non sarà l’ultimo articolo su questo argomento.

Stiamo scrivendo e siamo pronti a mostrare come, alcuni politici, possono alterare le norme con piccole frasi per fare o non fare i loro interessi.

 

Betapress sotto ATTACCO!!! Acqua in redazione.

 

Se esercito il potere per il potere…

Le nomine di Valditara

Quando un ministro mente sapendo di mentire…

“La Sicilia non è Italia e nemmeno meridione …”

Politici e Bugie: responsabilità etica.

PON – intervista ad un ex ispettore dei fondi europei del MIUR




I giovani e la paura del futuro

La paura del futuro, esacerbata dai venti di guerra che soffiano in diverse parti del mondo, rappresenta un fenomeno complesso e multiforme, che interseca la sfera emotiva, psicologica, sociale ed economica delle nuove generazioni.

Questo sentimento di incertezza e trepidazione di fronte al domani è un fenomeno storico, ricorrente ogniqualvolta la stabilità globale viene minacciata da conflitti armati o tensioni geopolitiche.

Tuttavia, la specificità con cui tale paura si manifesta nelle giovani generazioni di oggi merita un’analisi approfondita, considerando sia i contesti storici sia le nuove dinamiche comunicative e tecnologiche.

Le nuove generazioni crescono in un’era caratterizzata da una quantità senza precedenti di informazioni disponibili istantaneamente.

Social media, notizie online 24 ore su 24 e piattaforme digitali varie offrono un accesso ininterrotto a informazioni che possono amplificare la percezione del rischio e dell’insicurezza.

Questo fenomeno, noto come “information overload”, può aggravare la sensazione di essere costantemente sotto minaccia, rendendo la paura del futuro un compagno quasi costante per molti giovani.

Inoltre, la storia del XX e XXI secolo, con le sue due guerre mondiali, la guerra fredda, i conflitti regionali e il terrorismo internazionale, ha lasciato un’eredità di instabilità e incertezza che permea la coscienza collettiva.

La fine della guerra fredda, benché abbia ridotto il rischio di un conflitto nucleare globale, non ha portato alla “fine della storia” prevista da alcuni teorici, ma piuttosto a una frammentazione del potere globale che ha reso il mondo apparentemente più imprevedibile.

L’incertezza generata dai venti di guerra influisce profondamente sulla psiche delle nuove generazioni.

La paura del futuro può tradursi in ansia, stress, depressione e una sensazione di impotenza che compromette la qualità della vita e la capacità di pianificare e sperare nel domani.

Dal punto di vista pedagogico, è fondamentale riconoscere e affrontare questi sentimenti, fornendo strumenti e supporto per aiutare i giovani a elaborare e gestire le loro preoccupazioni.

La paura del futuro influisce anche sulle scelte di vita e sulle aspirazioni delle nuove generazioni.

Decisioni riguardanti l’istruzione, la carriera, la formazione di una famiglia e l’impegno civico possono essere fortemente influenzate da un senso pervasivo di incertezza riguardo al futuro.

Questo può portare a un approccio alla vita caratterizzato da cautela eccessiva o, al contrario, da una ricerca di gratificazione immediata, in un contesto percepito come intrinsecamente instabile e transitorio.

Di fronte a queste sfide, è cruciale esplorare e promuovere strategie di adattamento efficaci.

L’educazione gioca un ruolo fondamentale nel fornire ai giovani le competenze critiche per navigare in un mondo sovraccarico di informazioni, insegnando loro a discernere fonti affidabili, a contestualizzare le notizie e a sviluppare una prospettiva equilibrata sui rischi reali.

Inoltre, la promozione della resilienza psicologica, attraverso programmi che insegnano tecniche di gestione dello stress e dell’ansia, può aiutare i giovani a sviluppare una maggiore capacità di affrontare l’incertezza.

La partecipazione attiva alla vita comunitaria e civica rappresenta un’altra strategia chiave per combattere la paura del futuro.

L’ingaggio in iniziative sociali, ambientali o politiche può fornire un senso di controllo e di efficacia personale, mitigando la sensazione di impotenza e favorendo una visione più ottimista del futuro.

Il dialogo intergenerazionale può svolgere un ruolo cruciale nel trasmettere esperienze, lezioni apprese e strategie di resilienza tra diverse coorti di età, rafforzando il tessuto sociale e la solidarietà comunitaria.

La paura del futuro nelle nuove generazioni, in un’epoca segnata da venti di guerra e incertezza globale, è una sfida complessa che richiede un approccio multidisciplinare.

L’educazione, il supporto psicologico, l’engagement civico e il dialogo intergenerazionale emergono come strumenti fondamentali per affrontare questa sfida.

Solo attraverso uno sforzo collettivo e integrato è possibile sperare di mitigare l’ansia del futuro e costruire una visione del domani caratterizzata da speranza, resilienza e un impegno condiviso verso la pace e la stabilità globale.




Islamizzazione: Vescovi e Cardinali se ci siete, e non avete abbandonato la Vostra missione Pastorale, battete un colpo.

E’ da poco trascorsa la Santa Pasqua, che annuncia la resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, dopo il Suo martirio, la passione e la morte.

Una festività che dalla sua origine è stata uno dei capisaldi, insieme alla natività, della religione Cristiana e Cattolica, in particolare in Italia ed a Roma sede scelta dall’Apostolo Pietro indicato proprio da Gesù per fondare la Sua Chiesa.

Una festività che ha subito una trasformazione, pochissimi anni fa e che per la prima volta nel corso dei due millenni, ha svuotato le chiese, fino a proibire la partecipazione ad i fedeli, nei propri luoghi di culto.

Tra le cause di tutto, e che hanno favorito un ulteriore allontanamento dalla fede, alcune disposizioni sanitarie imposte da “politicanti”, oggi assai discusse, che hanno proibito ad i fedeli di recarsi nei loro luoghi di culto a pregare, senza che Vescovi e Cardinali intervenissero, lasciando addirittura soli, e senza difesa, quei pochi preti che officiavano, senza sottrarsi alla loro funzione pastorale.

Chi non ricorda gli interventi nelle chiese, imposti alle forze dell’Ordine, che interrompevano le Sacre Funzioni, perchè costretti a far rispettare leggi di cui forse ne avrebbero fatto a meno?

A questo poi, si è andato ad aggiungere a quella crisi di fede dell’occidente ed in particolare in Italia, accompagnata da una progressiva e sempre più insistente immigrazione sconsiderata, forse anch’essa politicamente imposta e indotta.

Chi non ricorda ancora, con grande tristezza e sgomento, la Funzione officiata da Francesco, in quella chiesa, simbolo del Cattolicesimo, vuota e priva della linfa vitale rappresentata dai suoi fedeli?

Lontani quindi i tempi in cui Vescovi e Cardinali, riunivano nelle Chiese i propri fedeli per benedirli e pregare, al fine di scacciare il maligno, in quei casi rappresentato dalle Pandemie.

Vescovi e Cardinali che rispettavano la missione pastorale che volontariamente avevano scelto.

Oggi quelle discutibili imposizioni politiche sono terminate, ma sembrano aver lasciato il posto ad altre che portano alla “islamizzazione”, fenomeno causato da una indiscriminata e sconsiderata immigrazione irregolare di persone che professano l’islamismo.

Una immigrazione che non fa rispettare le più elementari regole di accoglienza, dove chi viene accolto si adegua alle regole, gli usi, i costumi e la religione di chi accoglie.

Significative le parole di Vittorio Feltri, sul “il Giornale” del 30 Marzo, tratte dall’articolo “l’occidente si sta arrendendo all’Islam” dove dice: “il rispetto nei riguardi di ciò che è diverso è uno dei valori essenziali del nostro ordinamento, che stabilisce che nessuno può essere discriminato per il genere, la religione, la razza, le idee politiche, eccetera.

Essere rispettosi significa accettare tali differenze culturali o religiose. Il rispetto non implica, tuttavia, la rinuncia alle proprie tradizioni allo scopo di non offendere in qualche modo coloro che coltivano altre usanze. Il rispetto non comporta un adeguamento remissivo alla cultura altrui.”

Forzata, e quanto mai ambigua quindi volontà unilaterale di integrazione di questi immigrati, infatti sta provocando contrapposizioni nelle nostre comunità cittadine e scolastiche che potrebbero avere gravi ripercussioni nel futuro.

Un conto poi, è il potere Temporale, diverso dal potere spirituale.

Le polemiche in ambito scolastico- istituzionale, avvenute nei giorni precedenti la Santa Pasqua, che vede quest’anno la concomitanza con il Ramadan, sono solo uno delle evidenze più tangibili, e da cui stanno via via per scaturirsi sempre più casi, simili all’effetto domino, che innescano inevitabilmente tensioni.

Modificare i giorni di chiusura delle scuole, per soddisfare minoranze islamiche, crea disagio a tutta la comunità che ha pianificato lavoro, studio, servizi ecc. oltre che alterare tradizioni plurisecolari del popolo ospitante.

Così come il costringere gli alunni di qualche scuola a non consumare la merenda, per non turbare il digiuno di qualche bambino cui i genitori impongono l’osservanza del Ramadan che impone il digiuno in determinate ore.

O ancora, il permettere agli islamici di pregare nelle chiese e negli oratori, nonostante le profonde differenze, non ultima la denigrazione della donna, considerata essere inferiore ed indegno.

Stride in maniera forte che Vescovi e Cardinali non si pronuncino intervenendo. Forse hanno dimenticato il significato del loro porporato, che ricorda la carità e il sangue versato da Cristo?

Ricordiamo che, in un concistoro del 2001, Papa San Giovanni Paolo II ha fatto riferimento all’importanza del fatto che i cardinali usino il rosso dicendo ai nuovi porporati:

“Per poter affrontare validamente i nuovi compiti è necessario coltivare una sempre più intima comunione con il Signore. È lo stesso colore purpureo delle vesti che portate a ricordarvi questa urgenza.

Non è forse, quel colore, simbolo dell’amore appassionato per Cristo?

In quel rosso acceso non è forse indicato il fuoco ardente dell’amore per la Chiesa che deve alimentare in voi la prontezza, se necessario, anche alla suprema testimonianza del sangue?”

Silenzio, quello dei Vescovi e dei Cardinali, che “nasconde” la Pasqua dei perseguitati Cristiani, come riporta un articolo de “Il Giornale” del 31 Marzo a firma di Marco Leardi, che inizia:” Per oltre 365 milioni di Cristiani nel mondo la risurrezione è ancora impossibile. In Africa, in Asia e finanche nella nostra Europa, questi credenti vivono sulla loro carne una costante Via Crucis”.

Principio di Integrazione, quello che qualcuno vuole avvenga in Italia, sede del Cattolicesimo, che non tiene in considerazione dell’Odio Islamista, come osserva con apprensione Alessandro Monteduro, direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs).

Già in passato, la Pasqua era stata funestata dall’odio islamista, che ancora oggi è una delle principali cause della persecuzione contro i cristiani. Era accaduto nel 2019 in Sri Lanka, con tre attentati rivendicati dall’Isis, e prima ancora – nel 2016 – in Pakistan, dove un kamikaze si fece esplodere in mezzo ai fedeli che festeggiavano la Pasqua.

Oggi, a patire la morsa dell’orrore sono in particolare i cristiani del Burkina Faso, dove imperversano gruppi terroristici che vogliono imporre l’islam radicale alla popolazione.

Alla luce di tutti questi avvenimenti all’estero, Europa inclusa, oltre che in Italia, e pur se nell’ultima settimana, non di così grave entità secondo quanto asserito da Mattarella, riferendosi all’episodio di modesto rilievo del giorno di “vacanza” per la fine del Ramadan, barattato con due giorni di festività predisposti dal Ministero competente, che molti percepiscono come abbandono, coloro i quali, Vescovi e Cardinali, hanno il dovere di intervenire.

Se non hanno perduto la loro “vocazione Pastorale” liberamente scelta, da non ribattere nemmeno alla “sbattezzazione” (rinuncia al Sacramento del Battesimo dopo che è stato dato), articolo stranamente proposto da RomaToday, nell’edizione della città eterna, proprio il giorno della Santa Pasqua, Cardina e Vescovi, facciano sentire la Loro Autorevole voce.

Ettore Lembo