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Le vere “differenze” tra Trump e la Harris:
non solo politiche ma anche morali e religiose

A leggere i giornali italiani (e non solo) all’indomani del confronto televisivo notturno tra Trump e Harris in vista delle elezioni americane di novembre, sembrerebbe che l’aspetto principale sul quale i commentatori si sono soffermati sia stato l’ “eleganza dialettica” e la sicurezza della candidata democratica, rispetto alla “rozzezza” e “trivialità” di quello che è considerato il solito populista e reazionario ex-presidente repubblicano.
Da un lato all’altro dell’Atlantico i “voti” delle testate mainstream della sinistra internazionale sono stati più o meno 60/65 per Harris e 35/40 per Trump, come a dire che il tycoon è ormai già spacciato rispetto a una sorpresa inaspettata quale si sarebbe rivelata la vice-presidente uscente, sino a pochi mesi fa considerata dagli stessi ambienti progressisti una esponente politica sbiadita e poco affidabile.
Siamo ormai tutti piuttosto smaliziati per capire che dietro a questa lettura così benevola e incoraggiante per la Harris ci sia un altro tassello della strategia “dem” solita, che consiste nel promuovere l’immagine del proprio candidato oltre ogni ragionevole livello di oggettività e nel demolire invece senza pietà l’immagine del contendente repubblicano: “character assassination” si dice in termini tecnici, cioè uccisione morale dell’avversario attraverso attacchi concentrici, spietati e spesso basati su esagerazioni e falsità palesi, così da indurre l’elettorato ad abbandonare l’ipotesi di votarlo perché “tanto ha già perso”!
La realtà risulta però ben diversa, sia sul suolo statunitense, sia da noi: anche la Meloni e il suo centro-destra di governo era dipinto in termini truci prima del voto nel 2022: i “giornaloni” italiani dicevano che sarebbero arrivati al potere i “fascisti”, ci sarebbe stata una svolta “reazionaria”, saremmo tornati al “ventennio” e così via. Si è visto che invece niente di tutto questo è successo, anzi c’è chi critica l’esecutivo guidato da “Giorgia” perché ritenuto troppo benevolo e un po’ piegato alle pressioni europee ed internazionali.
Allora proviamo a fare una breve analisi dei punti salienti del confronto Trump-Harris e a vedere dove starebbero le reali differenze se vincesse l’uno piuttosto che l’altra.
Verrebbe da dire che il nodo centrale delle due visioni politiche, che risultano abbastanza antitetiche risieda nel patrimonio morale, culturale e religioso che i due candidati incarnano.
Proviamo a spiegare: partiamo dall’aborto, tema da sempre divisiva in tutte le società occidentali. Il fatto che i parlamenti abbiano votato per assicurare alle donne il “diritto” di interrompere legalmente la loro gravidanza non significa che l’aborto smetta di essere quello che semplicemente e diremmo “biologicamente” sia: vale a dire la soppressione consapevole, deliberata e tutelata legalmente di un essere umano, maschio o femmina, il/la quale non potrà vedere la luce a cui avrebbe diritto perché qualcuno (la madre biologica e con lei il padre naturale) glielo vuole impedire per sempre.
Ebbene, mentre la Harris ha rivendicato a spada tratta la sua difesa a oltranza del “diritto” ad abortire, impegnandosi a ribaltare nuovamente la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che, il 24 giugno 2022, aveva annullato la sentenza Roe v. Wade del 1973, che garantiva il diritto costituzionale all’aborto. Trump dal canto suo ha riproposto la sua visione, favorevole il più possibile a tutelare la vita nascente (salvo nei casi più orribili di violenza carnale), confermando l’intenzione – se eletto – di mantenere l’attuale assetto legislativo che trasferisce la regolamentazione dell’aborto ai singoli stati, molti dei quali in questi ultimi tempi hanno già introdotto leggi più restrittive. Dove sta la differenza tra i due? La risposta è palese: sul piano valoriale, morale e anche religioso, Trump è convinto del valore intrinseco della vita umana sin dal concepimento e fa di tutto perché non venga spenta arbitrariamente; sul piano civile ritiene che lo Stato centrale non debba farsi demiurgo e consentire una strage di bambini, ma che invece il passaggio veramente democratico sia quello che ciascuno degli stati che compongono gli Stati Uniti (appunto!) d’America decida per proprio conto, in maniera libera e consapevole.
Chi dei due è più “democratico”? A noi sembra che lo sia senza ombra di dubbio proprio Trump, a dispetto di quanto ci dica l’ossessionante campagna mediatica orchestrata da tivu e giornali progressisti per dipingerlo come un violento sovvertitore della legittimità democratica.
Prendiamo un altro esempio: gli immigrati irregolari. Sotto Biden ne sono entrati a milioni dalle frontiere sud col Messico. Ebbene, Trump ha denunciato il degrado umano e materiale nel quale questa “accoglienza” condanna tali nuovi ingressi, citando tra l’altro un po’ infelicemente, il caso di coloro che avrebbero mangiato “gatti”. Si è fatta ironia mondiale sui social e sui media “dem” in tutto il mondo, dicendo che si trattava di una fake, ma in realtà non lo era. C’era infatti stato un caso forse ripetuto più volte di immigrati haitiani e di altri paesi del centro America che avrebbero catturato e si sarebbero cibati di papere di un lago del Minnesota, come avevano denunciato le autorità locali, perché poverissimi e non in grado di acquistare cibo.
Riguardo all’immigrazione, ancora una volta, Trump invoca severità e frontiere chiuse per evitare che le persone arrivino in maniera incontrollata e poi vivano di stenti oppure delinquono, come purtroppo avviene non solo in Usa ma anche da noi (il caso di Viareggio è molto eloquente, al riguardo!).
Ci chiediamo perciò chi voglia più bene al popolo americano e anche agli stessi immigrati: Trump che vuole evitare disordini, tensione sociale, criminalità? Oppure la Harris che pur di apparire “accogliente” si pronuncia a favore di una immigrazione incontrollata? La risposta è ovvia: il candidato repubblicano.
E che dire delle aperture e della vicinanza della Harris al movimento “woke”, del rifiuto delle culture occidentali sulle quali si è basata finora la società americano? Di nuovo il confronto è tra chi sta dalla parte della tradizione come Trump e invece di chi vuole, come la Harris, un ambientalismo dogmatico e totalizzante, la diffusione del gender e la demolizione della famiglia tradizionale, la limitazione della libertà di espressione in nome di presunte “fake news” con conseguente censura sistematica di chi non è politically correct, per non parlare della cancellazione dei simboli e dei valori del passato tra cui i fastidiosi insegnamenti cristiani che dicono che certe cose sono “peccato” e che invece il mondo woke e progressista non vuole sentire….
Stesso discorso si potrebbe fare sull’economia e sul desiderio di Trump di rappresentare le classi lavoratrici più povere dell’America degli stati centrali, con lo slogan “Make America great again”, rispetto ai democratici della Harris che invece sono i portabandiera del potere della finanza internazionale globalista e materialista, concentrata sulle due sponde degli Usa.
Quindi, per concludere: pur con tutte le contraddizioni umane che un personaggio come Trump può avere (pensiamo al suo analogo in Italia: Silvio Berlusconi), ancora una volta si prefigura la scelta etica e anche “religiosa” tra votare un uomo e un mondo (quello di Trump) dove non tutti sono perfetti ma almeno puntano a leggi giuste e rispettose della morale naturale e dei valori religiosi. Oppure votare dall’altro lato (così come da noi in Italia col Pd e similari), lo schieramento della Harris che punta su globalismo, centralismo e umiliazione dei livelli intermedi, limitazione delle libertà personali in campo sanitario, culturale e di libertà del pensiero, immigrazione incontrollata e distruttiva, rinnegamento del passato e della storia profonda dei popoli.
Speriamo che gli americani sappiano scegliere bene, puntando sui valori sani della conservazione e della difesa di vita, famiglia e della società pluralistica, libera e – perché no? – anche religiosa.

Il Credente

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