“Progetto lettura” … e comunque le buone maniere iniziano sempre in famiglia

Giovani e meno giovani continuamente immersi in un mondo virtuale parallelo con diversi tipi di dispositivi digitali.

In sala d’attesa, in autobus, in treno non c’è chi legge un libro o un quotidiano, ormai sulla via dell’estinzione.

Tutti a digitare su un onnipresente schermo.

E i più piccoli?

Abbandonati soldatini, bambole e automobiline, occhi puntati rigidamente sul display del cellulare di papà o mamma … almeno è tranquillo!
Tutti per un motivo o per un altro, tra WhatsApp, Instagram e Telegram, rapiti dal cellulare.

Il tempo per una buona lettura non c’è più.

Eppure la cultura, i valori di una società sono trasmessi in gran parte attraverso i libri.

Perché la lettura stimola una forte immaginazione per creare significato alle varie vicende.

Storie di personaggi reali o inventati danno la possibilità al lettore di decifrare un contesto di vita o immedesimarsi in un’esperienza non ancora vissuta.

Tutto questo arricchisce il bagaglio personale ed emozionale di ciascuno e sviluppa empatia ossia la capacità di percepire i vari stati d’animo: leggere, analizzare, capirne il messaggio o significato che l’autore vuole trasmettere, sentirne l’utilità e sopratutto discuterne insieme.

La lettura inoltre favorisce un discorso interiore per arricchire i propri valori.

Perché saper leggere significa soprattutto comprendere lo stato d’animo dei protagonisti del racconto, perché è su questo che si basa la loro capacità di scelta e decisione.

Ciò che avviene mentre si legge è la capacità di rendersi più consapevoli di chi siamo, cosa desideriamo, cosa ci addolora e cosa ci rende felici.

L’esperienza appresa attraverso i vari brani permette di originare un senso critico per le scelte fatte o che si andranno a fare.

E allora, mentre dilagano le persone con lo smartphone perennemente tra le mani, promuoviamo la lettura a casa e a scuola, perché leggere apre la mente a nuovi modi di pensare e agire, permette di staccare i pensieri dai propri problemi per qualche ora e crea uno stato di rilassamento mentale.

Allora prendiamo un libro, e dedichiamo qualche ora a noi stessi.

 

Pio Mirra, Ds IISS Pavoncelli Cerignola (FG)




Lo spione: una commissione a favore dei whistleblower

Una delle traduzioni che internet suggerisce per il termine whistleblower è lo spione, ma anche il fischiatore, il suggeritore, l’informatore.
In America il whistleblower (neologismo introdotto dall’inglese americano) viene anche associato, in certi casi, alla figura di gola profonda (deep throat), ovvero colui che denuncia o riferisce alle autorità, pubblicamente o segretamente, attività illecite o fraudolente nel governo, in un’organizzazione pubblica o in un ente privato.
L’istituto del c.d. whistleblowing è disciplinato dall’art. 54 bis “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti” del decreto legislativo n. 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall’art.1, c.1, della legge 30 novembre 2017, n. 179, il quale prevede una tutela rafforzata per il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile delle condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro.
Whistleblower comunque ha una connotazione semantica positiva che in italiano non esiste, anzi molto spesso viene confuso con il termine delatore che ha invece connotazioni negative.
Questo la dice lunga sull’abitudine italiana di rispettare la persona che denuncia attività scorrette nella propria azienda, sia essa pubblica o privata, e di tutelarla.
A partire dal sottoscritto, l’amico Fabio Delibra, ma fino ad arrivare a Carlo Bertini ex dipendente di Bankit che denunciò il famoso caso diamanti, nel nostro paese chi denuncia non viene visto come un eroe o solo un cittadino corretto, ma come un rompicoglioni da allontanare da qualsiasi cosa ed a qualsiasi costo, anche a distanza di decenni.
Peggio ancora nei confronti di queste figure viene avviata una macchina del fango che non ha eguali, se non addirittura una macchina fatta dall’uso fuorviato dei tribunali, che comunque poi si conclude sempre con un nulla di fatto, ma fa guadagnare tempo al “segnalato” e comunque permette di screditare i poveri whistleblowers.
L’uso improprio della giustizia ha anche un altro effetto, quello di costringere il denunciatore ad un significativo dispendio economico, mettendolo comunque in difficoltà.
Cose peraltro già successe e già vissute in prima persona dal sottoscritto, ma anche da tutti quelli che si sono trovati a voler correggere cose sbagliate.
Dobbiamo renderci conto che il nostro sistema italiano ha ormai più sovrastrutture ideologiche e lobbistiche che funzioni oggettive.
Gli apparentamenti politici oggi incatenano il nostro paese, giustizia compresa, e ne minano alla radice il senso etico e di conseguenza l’operatività morale.
Il quadro pertanto legato ai temi del cosiddetto “whistleblower” è abbastanza deludente: denunciare oggi il datore di lavoro sembra essere un’impresa rischiosa, che porta danno solo al lavoratore e ne mina anche salute e finanze.
Vero, è occorre dirlo, che in una piccola percentuale ci sono stati anche casi in cui chi ha denunciato ha avuto il giusto riconoscimento, ma comunque anche nei casi che sono andati a buon fine, meno del due per cento, sono passati anni di sofferenza.
Non abbiamo speranza che in questo paese le persone oneste vengano rispettate.
Comunque faccio una proposta:
Propongo la creazione di una commissione indipendente esterna alla politica ed alla amministrazione, formata da chi ha subito le ritorsioni ed ha perso la sua posizione, giornalisti non legati a movimenti politici e non influenzabili, che sia a disposizione di chi denuncia ancor prima di farlo o ha già denunciato ed è stato stritolato dalla morsa del potere, per tutelarli ed accompagnarli.
Questa commissione dovrebbe avere un budget di spesa per aiutare chi denuncia e per poter svolgere indagini preventive.
Forse questo organismo affiancato ad una norma giusta potrebbe risolvere qualche enorme intoppo oggi presente e favorire chi vuole migliorare il paese.
Fin da ora mi candido a farne parte.
Ma credo che nessuno raccoglierà questa mia proposta, soprattutto nessun politico, perché il BLA BLA BLA elettorale lo sanno fare tutti, ma mettere in atto cose scomode… 
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Ricostruzione Ucraina: Angelo Sinisi.

 Oggi, intervistiamo l’Ing. Angelo Sinisi, esperto Economista, Manager di ’’Tales of Angels” (asociatiatalesofangels.com), Confindustria Romania Associative Development  (https://confindustria.ro/), PhD Profesor Asociat Selisun University https://www.uniselinus.education/, da molti anni residente in Romania, anche lì conosciuto e apprezzato per le sue doti professionali e le sue qualità umane, nonché punto di riferimento per molti connazionali della comunità Italiana in Romania.                                  

Abbiamo avuto la possibilità di porgli qualche domanda, maturata nel corso di una gradita chiacchierata, e qui di seguito riportiamo le relative sue considerazioni, con focus su quella che potrà essere il processo di ricostruzione in Ucraina, una volta che le devastazioni della guerra potranno aver termine.                                 

La prospettiva di una ricostruzione in Ucraina è un argomento di grande rilevanza, e il parere di un consulente Ingegnere ed Economista internazionale come il dott. Angelo Sinisi, impegnato in progetti a livello internazionale, è certamente interessante, e utile da considerare oggi come per il futuro.                      

La ricostruzione di un paese devastato com’è oggi l’Ucraina, sostiene con autorevolezza l’Ing. Sinisi,  rappresenterebbe un’opportunità per la sua ripresa economica e potrebbe anche avere impatti significativi a livello europeo.                                                                                          

Iniziamo esaminando gli aspetti economici.

È innegabile che una massiccia ricostruzione in Ucraina richiederebbe una vasta quantità di risorse: dalla costruzione di infrastrutture all’approvvigionamento di materiali da costruzione, all’impiego di manodopera specializzata.

Ciò  certamente porterebbe a livello europeo a un rilevante incremento della domanda di tali risorse, con il potenziale rafforzamento di un rialzo dei prezzi.

L’Europa potrebbe vedere un’esplosione dei prezzi dovuti alla crescente domanda di materiali da costruzione come acciaio e cemento, così come, conseguentemente, potrebbe esserci una pressione al rialzo sui salari dei lavoratori qualificati.

Questo determinerebbe di per sé un riallineamento, con un aumento dei costi per le imprese europee, influendo sull’inflazione.

Inoltre, un prevedibile export aggressivo in Ucraina potrebbe causare carenza di prodotti in Europa, poiché le risorse disponibili, in attesa di essere nuovamente calibrate per soddisfare l’incremento improvviso della domanda, al subentrare dell’auspicata azione di pacificazione, verrebbero dirottate verso il mercato ucraino.

Ciò potrebbe creare un ulteriore impatto sui prezzi e sulla disponibilità di beni.                                                       

Dal punto di vista immobiliare, è possibile che la domanda di materiali da costruzione sia così elevata da far aumentare notevolmente i prezzi, rendendo la costruzione onerosa.   

Tuttavia, è importante notare che questo scenario dipenderebbe dalla dimensione e dalla portata della ricostruzione in Ucraina: con tutta evidenza, variabile oggi non disponibile.  

Riguardo alle distanze, l’Ucraina non è così lontana dall’Italia, ma la logistica e il trasporto dei materiali ed eventualmente della manodopera non dovrebbero comunque costituire un serio problema, tenendo peraltro presente le incertezze del trasporto marittimo che  potrebbe subire ulteriori complicazioni dovute a questioni geopolitiche. 

Per quanto riguarda l’Italia, potrebbe essere esposta a una crescente pressione sui prezzi e ad una carenza di materiali da costruzione: tali da poter influenzare negativamente il settore edilizio e altri settori ad esso collegati. 

In generale, è importante considerare che questa è una prospettiva al momento teorica e molte variabili potrebbero influire sugli sviluppi futuri: così che la ricostruzione in Ucraina potrebbe effettivamente avere un impatto sull’Europa, la cui portata, natura e durata, dipenderanno da molti fattori, tra cui la dimensione della ricostruzione, la disponibilità di risorse e la capacità di gestire l’incremento della domanda, ha sottolineato l’Ing. Angelo Sinisi. 

Il tutto, tenendo in evidenza l’indeterminatezza attuale dei possibili costi prevedibili per tali opere. 

Elementi e commenti molto utili, quelli di cui sopra, e per i quali abbiamo ringraziato l’Ing. Sinisi anche a nome dei Lettori di BETAPRESS, ripromettendoci di tornare con lui sul tema allorché la situazione inizierà a palesare segnali certi e affidabili di miglioramento.

 




ho visto lei che odia lui che odia lei che odia me…

L’odio in rete è un fenomeno complesso e multi-dimensionale, influenzato da una serie di fattori, e questi fattori sono tutti agevolati dalla tecnicità dello strumento che viene utilizzato, ovvero la rete.

In estrema sintesi riportiamo i punti principali:

1. Anonimato: La possibilità di rimanere anonimi online consente a molte persone di esprimere liberamente le proprie opinioni senza il timore delle conseguenze. Questo anonimato può portare a un comportamento più impulsivo e aggressivo, alimentando l’odio.

2. Disinibizione online: La disinibizione online si riferisce alla tendenza delle persone a comportarsi in modo più estremo o aggressivo rispetto a quanto farebbero nella vita reale. Questo fenomeno può essere amplificato dalla separazione fisica e dalla mancanza di contatti diretti con le persone colpite.

3. Filtri a bolle: I social media e gli algoritmi di raccomandazione spesso mostrano alle persone contenuti che confermano le loro convinzioni preesistenti. Questo può portare all’isolamento in “bolla informativa” e rafforzare le convinzioni estremiste, contribuendo all’odio.

4. Effetto da tastiera: La distanza fisica tra mittente e destinatario online può sfumare l’empatia e la comprensione reciproca. Le persone possono dimenticare che ci sono esseri umani dall’altra parte dello schermo, incoraggiando comportamenti più aggressivi.

5. Problemi sociali: L’odio in rete spesso riflette tensioni sociali più ampie, come il razzismo, il sessismo, l’omofobia o le divisioni politiche. Le piattaforme online possono fungere da sfogo per le frustrazioni e le paure delle persone.

6. Effetto d’onda: Quando un utente pubblica contenuti odiosi e riceve una reazione positiva da parte di altri, ciò può rafforzare il comportamento. Questo può creare una spirale di odio e radicalizzazione.

7. Mancanza di regolamentazione efficace: Molte piattaforme online hanno difficoltà a regolamentare i contenuti odiosi a causa delle dimensioni e della complessità del web. La moderazione dei contenuti può essere imperfetta o soggettiva, il che rende difficile combattere l’odio in rete in modo efficace.

8. Frustrazioni personali: Le persone possono riversare le proprie frustrazioni e insoddisfazioni personali online, spesso prendendosela con altri utenti in modo non costruttivo.

9. Tendenze di gruppo: L’appartenenza a gruppi online che promuovono l’odio può portare le persone a conformarsi alle norme del gruppo, anche se queste norme sono odiose.

In sintesi, l’odio in rete è una manifestazione complessa di diversi fattori, tra cui l’anonimato, la disinibizione, le bolle informative e le tensioni sociali.

Per combattere questo fenomeno, è necessaria una combinazione di misure tecnologiche, educative e legislative, che spesso sono ostacolate da una serie di fattori chiave tra cui annoveriamo:

1. Libertà di espressione: Uno dei principi fondamentali delle società democratiche è la libertà di espressione. Regolare il discorso online in modo troppo severo potrebbe sollevare preoccupazioni sulla censura e la limitazione della libertà di espressione. Le sfide emergono quando si cerca di bilanciare la protezione contro l’odio online con la tutela di questa libertà.

2. Ambito globale e confini sfumati: Internet è un ambiente globale e decentralizzato. Le leggi nazionali variano ampiamente, e le piattaforme online spesso superano i confini nazionali. Ciò rende difficile applicare regolamenti uniformi e coerenti contro l’odio in rete.

3. Moderazione soggettiva: La moderazione dei contenuti è spesso una sfida soggettiva. Determinare cosa costituisce “odio” o “discorso offensivo” può essere aperto a interpretazioni diverse. Le piattaforme online devono affrontare la sfida di applicare politiche di moderazione in modo equo ed efficace.

4. Volume e scala: Internet ospita enormi quantità di contenuti ogni giorno. La moderazione manuale di tutto il contenuto sarebbe sovraumana e costosa. Le piattaforme si affidano spesso a algoritmi di moderazione, ma questi possono commettere errori e non essere in grado di valutare il contesto in modo efficace.

5. Evoluzione delle tattiche: Gli autori di contenuti odiosi sono spesso abili nel modificare le loro tattiche per eludere le misure di moderazione. Questo richiede un costante adattamento delle strategie di contrasto.

6. Anonimato e pseudonimi: L’anonimato online consente alle persone di nascondere la loro identità, rendendo difficile l’attribuzione di responsabilità per contenuti odiosi.

7. Bilanciare la privacy: La lotta all’odio in rete può portare a una maggiore sorveglianza online, il che può minacciare la privacy degli utenti. La sfida è trovare un equilibrio tra la sicurezza e la protezione della privacy.

8. Regolamentazione internazionale: Le questioni relative alla regolamentazione dell’odio in rete spesso richiedono una cooperazione internazionale. Gli sforzi per sviluppare standard globali sono complessi e richiedono tempo.

9. Cultura e istruzione: L’odio in rete è spesso radicato in questioni culturali e sociali più ampie. Affrontare l’odio richiede un cambiamento culturale a lungo termine e una maggiore istruzione sulla civiltà digitale.

Appare evidente quindi che gestire l’odio in rete ha delle complessità notevoli, che potrebbero essere superate dalla semplice educazione dei cittadini di ogni parte del mondo, cosa alquanto utopica se si pensa che molte culture fanno dell’odio un collante interno per la loro sopravvivenza.

Cosa fare quindi?

Di certo occorre una “ferma moderazione” che deve essere applicata dai parlamenti sfruttando il percorso di crescita formativa della nazione.

In Italia è stato fatto?

No, ma speriamo che si cominci…




Terrorismo ∈ Islam

Nelle ultime settimane abbiamo vissuto l’esperienza mediatica di un’altra guerra in diretta.

L’aggressione di Hamas ai danni d’Israele, tralasciando i dettagli orribili, deve far riflettere.

Il terrorismo antisionista e antioccidentale è tornato a colpire con una violenza senza precedenti che riporta al rango di attualità la drammatica apologia della Soluzione Finale per il popolo d’Israele postulata dai nazisti.

Il terrorismo, oggi, ha una matrice islamica.

È impossibile negarlo e, forse, dispiace ricordare, decontestualizzate, le parole di Oriana Fallaci.

Dispiace ricordarne la crudezza, il suono brusco del sillogismo, ahimé, non confutabile né mai confutato, fondato su un approccio unico e binario.

“…Se è vero che non tutti i mussulmani sono terroristi, è altresì vero che tutti i terroristi sono mussulmani…” (cit non testuale).

L’immigrazione fuori controllo lascia le porte aperte ai terroristi, ai criminali che spacciano, violentano le donne, uccidono, spalancano la via alla collera facilmente manipolabile ed alla polarizzazione delle ragioni.

Crimini commessi da individui di ogni religione ma che l’immigrazione ha contribuito ad aumentare.

Nel buddhismo ogni squilibrio porta ad un effetto latente e ad un effetto manifesto.

L’ingiustizia pone cause alle quali seguono effetti e oggi siamo al “deinde philosophari”.

Non è sufficiente trincerarsi dietro frasi di circostanza.

La povertà genera squilibri sociali che possono sfociare nella radicalizzazione e nella collera sociale.

La gestione dei flussi migratori e delle politiche d’integrazione non possono essere lasciate ad un fine Tuning autoalimentato e fondato sulla civiltà e sulla democrazia.

Occorre investite nei paesi africani a monte e nella integrazione degli immigrati a valle.

Può non piacere a tutti ma è un’opzione non più negoziabile.

foto: I terroristi di Hamas durante una parata (foto LaPresse)




Gaza è l’invasione.

Gaza #Israele #war #vietnam #ONU #Gutierrez #netanyau

In questi giorni siamo tutti con il fiato sospeso per l’imminente invasione di Gaza da parte delle Truppe speciali di Israele.

Un’opzione che evidenzia due asimmetrie concettuali di notevole importanza.

La prima, l’idea che una guerra possa essere proclamatanell’assurdo obiettivo di cancellare l’avversario.

La seconda guerra mondiale è stata combattuta con questo ideale .

La distruzione del nazismo è stato il cemento della coalizione vincitrice del conflitto ma oggi sappiamo che le guerre convenzionali non esistono più. 

Le rappresaglie militari dovrebbero servire alla missione più nobile di una pace duratura.

Israele non sembra inseguire questa strada.

Na c’è di più. La seconda asimmetria, strategica e tattica allo stesso tempo.

L’ opzione militare incentrata sulla invasione di Gaza  potrebbe rivelarsi catastrofica perché nessuna forza speciale, oggi, può essere attrezzata alla guerra “non di superficie” combattuta con tecniche di guerriglia, trappole primitive e ribilanciamento della superiorità numerica.

Nel 2020 durante una mia visita nei tunnel di Cu Chi a 200 km circa da Ho Chi Minh ex Saigon in Vietnam ebbi modo di comprendere la drammaticità di una guerriglia sotterranea. I tunnel vennero utilizzati dai Viet Minh nella Guerra di Indocina e poi dai Viet Cong durante la Guerra del Vietnam. Nei cunicoli scavati, anche a 6 metri di terra, c’erano villaggi interi nei quali si viveva, si combatteva e si moriva. 

Gli spari di sottofondo provengono dal poligono allestito accanto ai cunicoli. Un’attrazione, ormai, che crea un’atmosfera cupa caratterizzata dall’odore di polvere di sparo e morte che i luoghi hanno reso un monumento alla Pace.

Rivedendo quelle immagini credo che i negoziati dovrebbero prendere il posto della collera e rilanciare l’idea di due Paesi per due popoli.

Il cessate il fuoco è indispensabile e la pace un’opzione non più negoziabile.




C’È CHI DELLA PACE NON SA CHE FARSENE…

 

In Medio Oriente le peggiori previsioni prendono corpo.

Soliti giochi di chi difende solo i propri interessi, colpendo nazioni sovrane.

Alla faccia di concetti, quali libertà e democrazia, scritti non su pergamene, ma su carta straccia.

Scatterà ora anche l’ora dei compari?

Intanto il coordinamento delle operazioni belliche, in Israele, è sotto osservazione e ‘consigliato’, ‘sostenuto’.

Quindi, mano a mano che il cumulo di macerie aumenterà e il sangue versato arrosserà la terra e le acque, di chi saranno le colpe?

Delle fiamme?

Di chi ha gettato un fiammifero sulle polveri?

O di maldestri pompieri che per fare prima vogliono spegnere le fiamme con le bombe?

E tutto questo ci lascia ulteriormente pensare, razionalizzando una sensazione che nasce proprio dalle riflessioni sulla guerra!

Amministratori a fine mandato dovrebbero essere privati di poteri esecutivi, per evitare che possano seminare odio e cupidigia repressi.

Vale per tutti e ovunque, poiché oggi ci sono mille modi di innescare e alimentare contrasti e conflitti.

Io buono tu cattivo, non regge più la prova dei tempi, essendo diventato “tu amico e complice mio?

Buono! Non amico né complice? Allora, cattivo.

Ma chi decide? Io.

Con quali regole? Le mie.

Quali sono? Fidati.




Finlandia C/ Italia … trova le differenze

La Finlandia è da anni nella top ten dei migliori sistemi scolastici del mondo.
Test a scelta multipla, lezioni teoriche, compiti a casa sono prassi abbandonate.
La conoscenza olistica prevale su quella specialistica.
Non esistono scuole di serie A e di serie B, la didattica è personalizzata per valorizzare talenti e capacità.
La scuola è uno strumento di uguaglianza sociale e le famiglie non sostengono nessuna spesa per il materiale didattico, mensa e trasporti.
I docenti hanno un’età media inferiore ai 50 anni e un gran numero di docenti è under 30 con conseguente sensibile riduzione del gap generazionale con gli studenti.
La formazione in ingresso del corpo docenti è di elevata qualità. Tutti i docenti devono avere una laurea specialistica per accedere alla professione e i percorsi formativi sono molto selettivi. Questo porta ad un elevato riconoscimento sociale del ruolo di docente.
La scuola inizia più tardi rispetto agli altri paesi europei e gli anni obbligatori sono nove da 7 a 16 anni in un ciclo unico.
Se al termine del percorso gli studenti non hanno ancora le idee chiare sulla scelta futura, possono frequentare un decimo anno supplementare e concludere l’istruzione di base a 17 anni, per avere maggior tempo per la scelta dell’indirizzo loro più adatto.
Al termine del primo ciclo lo studente deve far domanda per la scuola secondaria superiore, infatti la frequenza è obbligatoria fino a 18 anni.
Si può scegliere la
“Scuola generale” della durata di 3 anni e non qualifica gli studenti per una particolare occupazione. Si conclude con l’esame nazionale di maturità che permette di accedere all’università. Oppure si sceglie la “Scuola professionale” con percorsi specifici e anche con ricorso all’apprendistato.
La scuola si conclude con una qualifica specialistica.
In classe si impara a cooperare e non a competere e un
grande aiuto è dato dai consulenti specializzati nell’orientamento scolastico, dagli psicologi e dagli assistenti sociali presenti nelle scuole e infine anche dai docenti che tengono corsi di recupero dopo le lezioni.
Nelle aule gli studenti hanno a loro disposizione armadietti personali e i laboratori sono dotati di strumentazioni all’avanguardia. Sono presenti sale destinate alla musica con diversi strumenti musicali e le palestre dispongono di attrezzature necessarie per fare tutti gli sport. Anche i docenti hanno spazi personali attrezzati per il lavoro individuale.
Quando entri in una scuola in Finlandia respiri un clima sereno, la sala docenti è un luogo di relazione, c’è anche la cucina e tra una tisana e un tramezzino si parla della quotidianità e non delle note disciplinari inflitte ai turbolenti o dei cattivi risultati conseguiti dagli studenti all’ultima verifica.
Allora, ci sono differenze?

Pio Mirra, DS IISS Pavoncelli Cerignola (FG)




SE LA FINE DI UNA GUERRA INIZIA CON UNA PACE, PERCHÉ NON INIZIARE SUBITO CON LA PACE?

Altre navi, altri uomini, altre armi in arrivo: devono dare copertura mentre si uccide, mentre si muore.
Che triste bilancio ad oggi…
Migliaia di civili uccisi, ira, vendette, odio, uso massiccio di armi, attacchi ‘preventivi’ sul suolo di altri stati, non portano da nessuna parte: peggiorano e complicano una situazione già di per sé intricata.
Anzi, in un’epoca di macro-contraddizioni, in cui distruttori di civiltà e umanità tentano di guidarci in passaggi retrogradi verso un moderno medioevo, ci sono di sicuro attori che soffiano sul fuoco per imporre ad ogni costo sé stessi e un modello di mondo violento e prevaricatore.
Incendiari con la tuta dei pompieri.
Lontani – ma anche opposti – dagli autentici valori e criteri di libertà, democrazia, fratellanza dei popoli.
C’è bisogno assoluto di PACE, di veri, autentici, energici, operatori di PACE: non di chi nomina tale nobile concetto mentre nella pratica avversa ogni proposta di mediazione, sostenendo persino che possa non essere ‘il momento’ o che a decidere non possano essere ‘altri’.
Non è momento di ‘tifoserie’: occorre anzi freddezza e lungimiranza nel prevedere soprattutto l’imprevedibile, senza dare alcunché per scontato.
Mai dimenticando che il pianto dei bambini, degli indifesi, del lutto, è lo stesso a tutte le latitudini.
PACE! PACE! PACE!
Che le armi vengano fatte tacere!
Che sia PACE, alfine!
VERA, AUTENTICA, EQUILIBRATA ED EQUA.
DURATURA!




NÉ BOMBE NÉ ARMI, MA PACE A TUTTI I COSTI.

Salvo cecità congenite o utilitaristiche, i più hanno acquisito delle consapevolezze: la politica estera del c.d. ‘occidente’, viene decisa in Nord America anche di concerto con organismi internazionali, anche sovranazionali.
La politica economica, commerciale, finanziaria e monetaria europee, è stata ceduta nelle mani di UE e BCE. Idem per quella sanitaria.
Il mix di queste tre componenti, ha come risultante l’esclusione di quasi tutte le amministrazioni da ogni reale e concreto processo decisionale: anche in barba alle varie Carte.
Quindi, capacità di attività diplomatica da parte europea, nella realtà? Appare uguale a ‘zero’.
Oggi, si palesano tre posizioni: gli USA, che dettano la linea per loro e in nome è per conto del circuito di chi a loro legato.
Chi guerreggia, con tutti i suoi fermenti; con tutte le incognite di un ‘dopo’ del tutto sconosciuto.
Proposte di pace? Nessuna o respinte senza ‘se’ o ‘ma’. Sforzi di pace dell’occidente pro libertà, democrazia, tolleranza?
Azzerati proprio con la mobilitazione aeronavale USA nello scacchiere medio-orientale: il maggiore schieramento d’attacco di tutto i tempi nell’area, cui nessuno sembra opporsi.
E’ stata scelta la via più tragica: la guerra per la guerra, la guerra per imporsi e comandare non ‘con’ ma ‘sopra’ gli altri?
Le piazze gridano PACE.
I governi dicono di cercarla, ma operano per la GUERRA.
O per favorirla.
O per non opporvisi.
Con disprezzo per la vita, per l’umanità tutta.
La soluzione: non è nelle ARMI…
E sbaglia di grosso chi si possa sentire ‘lontano’ , ‘al sicuro’.