Banche offshore? rogatorie internazionali? e chi li becca più (i mafiosi ovviamente)?

Un nostro amico collaboratore si è trovato invischiato in qualcosa di più grande di lui, di cui abbiamo già accennato link e di cui vi parleremo più avanti grazie anche alla collaborazione di CCEditore, ma oggi vi vogliamo anticipare qualcosa che sembra la trama di un film.

Le banche sono sempre state oggetti interessanti per la mafia e comunque per qualsiasi sistema di criminalità organizzata, il perché è molto semplice, spostano masse economiche, coprono movimenti di denaro, facilitano il riciclaggio di denaro, permettono la creazione di lobby di interesse tra molte categorie (imprenditori, politici, faccendieri, etc.); non ci sembri strano che da sempre le banche sono state l’oggetto del desiderio di tutti i boss mafiosi, criminali o politici che siano.

Non se la prendano i politici onesti, almeno quei pochi che ci sono, ma accettino tutti la realtà dei fatti, che, peraltro, loro sanno benissimo.

Sarebbe inutile ora ripercorrere i ben noti, ai nostri lettori e comunque a tutto il popolo italiano, scandali  dei nostri ultimi decenni, inutile veramente, può invece essere utile raccontare alcuni fatti in modo nuovo e più collegato, interlacciato, senza aver la pretesa di indovinare tutto subito, ma come diceva qualcuno, ” a pensar male si fa peccato ma la si imbrocca…”.

Gli investigatori, soprattutto quelli americani, hanno come motto “segui i soldi” e seguendo questa idea hanno ottenuto validi successi, ma se il motto vero fosse invece “segui chi controlla”?

Non è che la criminalità organizzata negli ultimi decenni è passata da cliente privilegiato delle banche internazionali a proprietaria o comunque controllante delle banche stesse?

Dite di No?

Ritenete che non sia possibile?

Noi crediamo invece che sia possibile e che sia successo, più volte di quello che pensiamo.

Pensateci, controllare una banca, possederla, quale criminale non vorrebbe realizzare un sogno del genere?

Ma a volte è sufficiente mettere nelle posizioni di vertice uomini controllabili e senza scrupoli (direttori generali e presidenti), basta controllare quelli, e nelle banche italiane non è poi stato un caso così raro.

Ebbene a questo film daremo il titolo di MUS Mafia United System inc. dove per mafia si può intendere l’acronimo di qualsiasi organizzazione criminale, una rete organizzata che controlla le banche del mondo, e forse arriva anche alle banche centrali, in effetti altrimenti certi accadimenti non si spiegherebbero.

Dal piccolo Direttore di banca regionale affiliato al politico importante di turno, al cda della banca internazionale sotto il controllo di un fondo monetario influenzato dai poteri mafiosi.

Questo scenario vi pare troppo da film?

Ebbene lo vedremo.

 

 




Perché puntare su una didattica per competenze?

Ho iniziato a insegnare nel 1986, ho visto generazioni di studenti formarsi sui banchi di scuola e diventare affermati professionisti.

Ho dedicato tempo e passione, ricerca, metodo e innovazione e ritengo non sia possibile mettere a bando le conoscenze dichiarative per puntare solo sulle competenze.

La “didattica per competenze” non ha alcun fondamento teorico, scientifico, epistemologico e allora perché tanta enfasi sulle competenze?

Perché anche in campo educativo la globalizzazione ha condotto ad una omologazione dei processi della formazione per farli diventare funzionali ai processi della produzione.

Non è importante formare “cittadini”, ma “lavoratori”.

E allora la “didattica per competenze” si muove lungo la direttrice di processi orientati al mercato del lavoro.

In quest’ottica le prove standardizzate internazionali OCSE-PISA, puntando sulle competenze, impongono solo processi addestrativi dettati dal mondo dell’economia e non a caso l’OCSE è l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.

Ma l’attenzione esasperata al mondo del lavoro, non è tra l’altro giustificata dalla repentinità dei suoi cambiamenti, che proprio per questo richiederebbe, al contrario, una formazione più tarata sulle conoscenze dichiarative e logico-critiche.

Inoltre spostare il baricentro delle attività didattiche sul concetto di “competenza” mette profondamente in discussione la scuola basata su presupposti per alcuni superati, come la lezione frontale, la classe, l’aula.

E a questo considerato vecchiume da rottamare si contrappongono una serie di misure moderne, spacciate come più efficaci: la flipped classroom, la scomposizione del gruppo classe, la Lim, il notebook e in generale le nuove tecnologie informatiche.

Si disprezza tanto la lezione frontale, solo trasmissiva, ma per esperienza, può essere molto coinvolgente, se il docente è capace di sviluppare empatia, consentendo a tutti gli studenti, bravi e turbolenti, di partecipare con successo al dialogo educativo.

Così facendo, la lezione frontale, che molti pedagogisti vorrebbero abolire, è invece essenziale, perchè è essenziale prima presentare l’argomento e poi eventualmente approfondirlo con uno studio-ricerca da parte degli studenti anche autonomo.

Chi può negare questa riflessione?

Non è vero che la lezione frontale è noiosa.

Non è la didattica frontale che non appassiona, bensì la modalità e la finalità con le quali viene proposta.
Ma ritorniamo alle “competenze”.

La “marcia sulle competenze” parte da molto lontano, dal mondo anglosassone nel campo dell’organizzazione del lavoro con mansioni e compiti predefiniti in senso fordista e taylorista e poi sfocia nel capitalismo contemporaneo, di quella che viene definita la quarta rivoluzione industriale o industria 4.0, che ha trasformato la scuola in una fetta di mercato e con l’autonomia scolastica in un’azienda e il preside nel suo amministratore delegato.

Quindi non bisogna perdere tempo con la cultura, con la letteratura, con la scienza o con l’arte, ma promuovere competenze.

Non è il “saper fare” che ciascuno di noi deve perseguire quotidianamente con i propri studenti.

Non è il “sapere procedurale” che accompagna nelle nostre attività didattiche l’approccio teorico, fondamento induttivo o deduttivo di ogni esperienza culturale, laboratoriale e non, cognitiva e metacognitiva.

È, piuttosto, il “saper essere” esecutori, lavoratori “ammaestrati” a competenze elementari, come le 8 competenze chiave di cittadinanza prescritte dall’UE. Così si vuole garantire il life long learning?

Non si educa più alla convivenza, alla condivisione, alla solidarietà, al rispetto attraverso percorsi di conoscenza di ampio respiro, bensì si “addestrano” giovani a compiti specifici, basati sulla performance, sul risultato, sul traguardo, sull’affermazione di sé sull’altro.

Alla centralità del pensare, viene sostituita la centralità dell’agire.

Le competenze diventano allora un insieme di esecuzioni, di prestazioni, pratiche, individuali e sociali, tutte orientate al lavoro e all’occupabilità, intese come finalità fondamentali dell’istruzione.

Ma la scuola, a dispetto di un mondo che sempre più privilegia istintività, immediatezza, disintermediazione, spontaneità acritica, superficialità (e che ha trovato nei social network la perfetta espressione di questa nuova, pervasiva dimensione dell’esistenza), deve mantenere il valore della conoscenza, della cultura, del pensiero, della ricerca, dell’indagine, della comprensione della complessità.

E si continua a parlare con eccessiva enfasi di competenze, anche nel primo ciclo di istruzione, senza che i nostri ragazzi apprendano conoscenze certe.

Si dimenticano le quattro abilità di base linguistiche (saper ascoltare, saper parlare, saper leggere e saper scrivere) insieme alle quattro operazioni della matematica, quando invece occorrerebbe tornare allo studio dei contenuti disciplinari e forse riusciremo a raggiungere adeguati risultati anche nelle tanto criticate prove INVALSI.

 

[Pio Mirra, ds IISS Pavoncelli, Cerignola – FG]




La giustizia muore ogni giorno, poco a poco. Le Banche vere sono morte già da anni.

Che in Italia parlare di giustizia sia difficile lo sanno tutti, che in Italia la giustizia sia facilmente utilizzata come bomba ad orologeria è fatto noto, che in Italia i poteri forti ed i soldi agevolino l’uso strumentale della giustizia è sotto gli occhi di tutti, ma ci piace riprendere da linkedin questo breve post di un nostro collaboratore che la dice lunga su molti temi legati all’argomento e che riprenderemo a breve per approfondirlo ulteriormente.

 

Oggi è un giorno triste.

Si è consumata un’altra occasione per giustiziare la Giustizia, sotto gli occhi consapevoli di chi dovrebbe praticarla e garantirla.

Ho perso in appello contro il mio ex Datore di lavoro bancario.

Sullo sfondo una vicenda di #Riciclaggiointernazionale, #camorra #banca e sua #fiduciariaitaliana per la quale venni processato e assolto con formula piena nel 2015 durante la mia permanenza professionale nel Principato di Monaco, dove lavoravo come Dirigente dipendente di un Istituto Bancario italiano.

La mia estraneità ai fatti, in un Paese libero, sarebbe stata provata in 10 minuti, non più.

Non fu così.

Fui assolto ma il Datore di Lavoro non venne, nonostante le prove e la prassi, neanche indagato per #ResponsabilitàAmministrativaex231.

Ora che ho perso l’appello su una causa per danni, dove in primo grado avevo avuto una CTU richiesta dal Giudice, quindi successivamente… completamente disattesa…, capisco sempre di più il paradosso di questa italietta chiusa tra #politica e #massoneria.

Difendere l’istituzione Bancaria oltre ogni ragionevole dubbio è il Mantra.

Ma mi chiedo: è possibile riuscirci ancora quando dirigenti apicali muoiono cadendo da una finestra, oppure quando funzionari della #Bancaditalia vengono sospesi per aver smascherato le truffe coperte dietro operazioni finanziarie opache legate al traffico dei #diamanti, o quando #giornalisti spariscono dal mezzo televisivo per cause non note.

Emergono, in queste vicende, le punte di Iceberg che cominciano, però ad avvicinarsi, gli uni agli altri, aprendo le porte a vicende che potrebbero collegare affari di #ndrangheta a #omicidi, al #riciclaggiointernazionale.

Scriverò molto presto su questo argomento dando spazio a fatti inediti che parlano della vendita di una Banca off shore a personaggi, in odore di criminalità organizzata, avvenuti tra il 2011 ed il 2014 dei quali avevo, perso, memoria.

Collegare i fatti diventa un imperativo morale per l’amore che deve legarci al nostro Paese.

 

#carlobertini

#offshore

#davidrossi

#redazioneleiene

#report

#gabbanelli

#massimogiletti

#vincenzobrunelli

#luccaindiretta

#carolinaorlandi

#carlaruocco

#ProcuratoredellaRepubblicadiCatanzaroNicolaGratteri




Salone del Libro di Torino: la cultura come amica.

Apre oggi il salone del libro di Torino, importante evento, baluardo di difesa culturale tra gli ultimi rimasti.

La manifestazione attira ogni anno lettori da tutt’Italia e non solo, lasciandoci sperare che non tutto sia perduto.

Oggi la presenza vede tutte le età, giovani e meno giovani, alla ricerca di un momento di ricerca di senso, di profondità che la società moderna ha perso.

“Cerchiamo il senso del tempo” ci dice Giovanna, studentessa di quinta liceo “e io spero di trovarlo nella gioiosa lentezza del girare una pagina”.

Forse questo è proprio il senso del salone, ritrovarsi con un giusto tempo per la riflessione, la cultura che ritrova il suo tempo per esserci amica.

Molti gli stand, sembra un mercatino veneziano, tante le offerte presenti sui banconi degli editori, di certo possono sembrare anche troppe, gli studenti girano per gli stand con mappe ed indicazioni preparate per loro dai loro professori, forse per non farli perdere nei meandri delle viuzze tra uno stand e l’altro, qualcuno sbocconcella un panino ed ingurgita una bibita seduto per terra.

Oggi noi invece ci siamo presi il tempo per osservare, sedendoci a turno in mezzo agli stand, botteghe moderne di sogni, ed abbiamo davvero osservato, intristendoci per un mondo che cambia come non vorremmo, per la perdita di un’amica, la fantasia.

I ragazzi passano veloci tra le botteghe, qualche domanda distratta, qualche sbuffo, dando l’idea di dover timbrare una sorta di  cartellino, una corsa per raggiungere tutti gli stand indicati nel loro ruolino di viaggio.

Noi siamo seduti in alto sul loggione e guardiamo, sperando che la consapevolezza di un bisogno di tempo mentale per capire ritorni fra noi, ritorni in quei ragazzi che vediamo muoversi come formiche in uno scenario atomizzato.

Siamo sull’orlo di cedere alle macchine l’ultima nostra caacità, quella di sognare.




La DC smentisce la DC

Riceviamo e pubblichiamo:

DEMOCRAZIA CRISTIANA

IL SEGRETARIO NAZIONALE

PROF. NINO LUCIANI

Oggetto: Notizia in merito a LUPO MIGLIACCIO di San Felice, residente in Roms, via di Roccencia 315

Leggo “notizia” da voi pubblicata oggi ( di nomina LUPO MIGLIACCIO Segretario Nazionale DEMOCRAZIA CRISTIANA).

Congresso XXesimo mai convocato, in base allo Statuto.

La notizia, se riferita alla DC storica di cui sono Segretario, è totalmente falsa.
Non so nulla di convocazione del congresso per nomina degli Organi.
Inoltre Migliaccio non è socio, dal 1 gen 2023, per non avere rinnovato la iscrizione nel 2022 come da statuto allegato, entro i termini di statut..

Anche decaduto da membro cooptatp del CN per non avervi partecipato per tre volte consecutive senza giustificazione.<

Allego statuto, art. 4.
Saluti. Luciani




Il ghiaccio che non dimentica: una carota ricorda i test nucleari

Il ghiaccio che non dimentica: una carota ricorda i test nucleari.

Nel ghiaccio antartico tracce dei test nucleari del passato

È coordinata dall’Università di Firenze la ricerca che ha documentato e misurato in una carota di ghiaccio (un cilindro di ghiaccio perforato a partire dalla superficie di un ghiacciaio) la presenza di plutonio, dovuta agli esperimenti a partire dagli anni ’50.

La carota di ghiaccio estratta in Antartide dal gruppo di ricerca dell’Università di Firenze si è rivelata un vero e proprio “archivio ambientale”.

Il lavoro del team

Il team coordinato da Mirko Severi, Rita Traversi e Silvia Becagli, è riuscito a misurare tracce di plutonio-239, risalenti a test nucleari condotti molti decenni fa.

carota di ghiaccio appena estratta dal carotiere durante le fasi di misurazione e logging
carota di ghiaccio appena estratta dal carotiere durante le fasi di misurazione e logging

La ricerca è avvenuta grazie alle attività di perforazione, estrazione e analisi di un cilindro di ghiaccio perforato a partire dalla superficie di un ghiacciaio (altrimenti detto “carota” ed è stata pubblicata sulla rivista scientifica  Chemosphere.

“Il plutonio-239 è un marker specifico per valutare gli effetti sull’ambiente dei test nucleari iniziati negli anni ‘50 e condotti fino agli anni ‘80″

Spiega Mirko Severi, associato di Chimica analitica dell’Ateneo fiorentino.

“Si tratta, infatti, dell’isotopo fissile primario utilizzato per la produzione di armi nucleari.

Il suo ritrovamento, in primo luogo, è utile per determinare una datazione accurata degli strati nevosi: dal punto di vista glaciologico, la presenza di plutonio-239 nelle carote di ghiaccio permette, infatti, di attribuire i campioni agli anni in cui venivano condotti i test sulle armi nucleari”.

il campo di Little-Dome C (Antartide) allestito per la perforazione profonda nell'ambito del progetto Beyond EPICA.
il campo di Little-Dome C (Antartide) allestito per la perforazione profonda nell’ambito del progetto Beyond EPICA.

A partire dal 1952, infatti, sono stati eseguiti numerosissimi test con ordigni nucleari.

In particolare, durante i primi esperimenti venivano fatti esplodere in atmosfera e la radioattività sprigionata poteva arrivare anche in posti remoti e lontani dall’esplosione, come l’Altopiano Antartico, dove il team dell’Università di Firenze ha eseguito il carotaggio.

I commenti

Il commento di Rita Traversi, associata di Chimica analitica Unifi:

“L’esistenza di tale materiale radioattivo in un posto così isolato, nella parte centro-orientale del continente a oltre 3mila metri di altitudine, dovrebbe indurre a riflettere su quanto l’azione dell’uomo impatti sul nostro pianeta.

I tempi di permanenza nell’ambiente del plutonio-239 sono lunghissimi, la sua concentrazione si dimezza in 24mila anni”.

Le attività del team sono frutto di un’esperienza avviata negli anni ’90 – nell’ambito del progetto EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica) – con progetti di ricerca in Antartide tuttora in esecuzione.

Nello specifico, la ricerca pubblicata su Chemosphere si basa su una carota della lunghezza di circa 120 metri, prelevata tra il 2016 e il 2017 e poi trasportata e analizzata nei laboratori Unifi del polo scientifico di Sesto Fiorentino.

la fase di estrazione dal carotiere
la fase di estrazione dal carotiere

Il commento di Silvia Becagli, tecnica del gruppo di ricerca:

“A differenza degli studi precedenti basati su tecniche di misurazione della radioattività che necessitavano di grandi quantità di campioni (qualche chilo di ghiaccio)  le analisi condotte nei laboratori Unifi hanno permesso di raggiungere risultati soddisfacenti con campioni dal volume molto più ridotto. 

Tale ‘snellimento’ è un vantaggio importante poiché generalmente i campioni da analizzare vengono suddivisi tra vari gruppi di ricerca; quindi, a una minore necessità di materiale per condurre le ricerche corrisponde una maggiore possibilità di eseguire ulteriori tipi di analisi”.




Lupo Migliaccio Segretario nazionale della Democrazia Cristiana

Si è appena concluso il XX congresso della Democrazia Cristiana, l’unica legalmente valida, che ha visto l’avvicendamento del vecchio segretario, il Professore Nino Luciani, che è stato sostituito dall’Avvocato Lupo Migliaccio di San Felice, che da oggi guiderà il partito già di Zaccagnini, Moro, Andreotti e compagni (forse compagni non è molto adatto).

Alla Presidenza riconfermato Gabriele Pazienza, che è stato il motore di questo cambiamento.

Un DC rediviva, che negli ultimi anni non ha certo brillato per chiarezza e messaggi, basti pensare che ci sono ancora sette DC, o che almeno si dichiarano tali, in Italia.

Quella del Segretario Migliaccio sembra però l’unica che legalmente può dire di essere la discendente o la continuazione della Democrazia Cristiana scudo crociato.

“Il nostro programma non è complicato, perché questo paese non ha bisogno di cose roboanti, ha bisogno di ritrovare se stesso e di costruire un futuro più a misura di cittadino; dobbiamo tornare indietro per andare avanti” così esordisce il nuovo Segretario “scuola, lavoro, tasse, queste cose le dicono sempre tutti, ma poi nessuno fa nulla. Noi vogliamo rimettere al centro dell’azione politica i diritti del cittadino, così come li sancisce la costituzione, senza ma e senza se. Vediamo chi sarà capace di ostacolarci, vediamo chi vorrà rimboccarsi le maniche”

Betapress: come vede il futuro di questo paese?

Migliaccio: “Oggi questo paese non ha un futuro, ha solo un presente tenuto insieme dal fil di ferro! Non è questione di destra o sinistra, ma nemmeno di centro se vogliamo, è questione di cuore e passione.”

Betapress: Quindi non è questione di soldi o di potere?

Migliaccio: “I soldi servono ed il potere è necessario per avviare i cambiamenti, chi dice il contrario è uno sprovveduto, quello che conta è chi deve esercitare la gestione di entrambi. Abbiamo lasciato in mano il paese prima a coloro che ormai erano in politica da 40 anni, poi ai ragazzini sprovveduti, adesso a chi è stato all’opposizione da sempre. Ora non servono dei professionisti, servono dei veri Italiani che agiscano come il buon padre di famiglia, quindi con competenza e con cuore.”

Betapress: Ma la DC non è stata quella che ha, in fondo, generato questi mostri che Lei cita?

Migliaccio: “In parte, nessuno è senza colpa, a partire da chi ha votato sempre con una mano sugli occhi. La DC infatti è stata nella sua tana a leccarsi le ferite per molti anni, ha lasciato (sbagliando) che i suoi spazi venissero presi da forze politiche che non avevano nel loro midollo la stessa spina dorsale che ha avuto la DC, anche quando poi si è polverizzata davanti ai propri errori.”

Betapress: ed oggi cosa ci sarebbe di differente dagli altri?

Migliaccio: “Una grande consapevolezza dei bisogni del Paese, la capacità di riconoscere i propri errori, l’umiltà di non pensare di avere tutte le ricette in tasca, ma soprattutto la certezza di non aver bisogno di ricoprire posti politici. Nelle nostre fila ci sono personaggi di alta levatura professionale, accademica, umana, etica, di ogni età, accomunati da una fede incrollabile nel paese. In questo momento non ci interessa acquisire poltrone, ci interessa molto di più fare opinione, risvegliare la coscienza degli italiani, in modo che nel voto ritrovino la propria parola e la propria capacità di dare un futuro alla nazione.”

Betapress: In pratica state “tornando” per essere la coscienza del paese?

Migliaccio: “Non speriamo tanto. Vorremmo solo poter essere quella vocina che riesce a dire le cose che gli italiani solo pensano.”

Betapress: ultima domanda, ma come la mettiamo con le sette DC?

Migliaccio: “Non esistono sette DC, ne esiste solo una, che sarà ben lieta di accogliere tutti quelli che oggi dicono di essere, sbagliando, la DC. Se chi lo dice ci crede è ben accetto, altrimenti partiremo a difendere l’unità che ci contraddistingue, al fine di far capire chi siamo.”

 

 




NATURA AMICA

 

La Collega Dr.ssa Fiorella Ialongo, mi ha messo a parte di una bella iniziativa fiorita – è il caso di dire – a Campoverde di Aprilia (nella fertile e alacre terra Pontina): una iniziativa che premia il lavoro e l’intraprendenza di Imprese e singoli usi alla massima laboriosità e – sotto il profilo squisitamente merceologico –  posti ai vertici di quella piramide che, oltre che coinvolgere il mondo del lavoro e della produzione, coinvolge il complesso delle stesse filiere dell’agro-alimentare e della zootecnia.                  Il mio interesse a questo bell’evento – rammentando che senza la cura della Natura e dei suoi frutti, l’essere umano non potrebbe certo alimentarsi di surrogati impropri, peraltro trattati ampiamente in modo chimico, per essere definiti seriamente ‘prodotti alimentari’ – trova origine nel particolare momento che vive l’Italia.                        

Assistere un giorno sì e l’altro pure al fiorire (fiori del male?) di idee o iniziative tese a influire pesantissimamente sulla zootecnica o sulla produttività agricola italiane, è come assistere ai tiri di prova di un plotone d’esecuzione, prima che – aggiustato il tiro – procedano a giustiziare una parte enorme del made in Italy, della produzione, della qualità di comparti da sempre fiore all’occhiello tanto dei produttori che dell’Italia stessa.

Non parliamo poi del devastante impatto che si avrebbe sul mondo del lavoro, se queste filiere subissero attacchi rovinosi per mano di Bruxelles.    

C’è poco da girarci attorno: l’Italia è da anni al centro di attacchi concentrici che l’hanno via via spogliata di aziende prestigiose, o hanno visto entrare in vigore normative tali da riverberarsi negativamente sulla nostra produttività come pure sui nostri prodotti.  Prodotti di eccellenza, che, tra ‘semafori’ e mille pseudo-motivazioni, hanno il fine di mortificare produzione, vendita e lavoro.                                                         

Quando entro in un supermercato, mi sorgono mille domande: carni (di cui non è dato conoscere con precisione la filiera, che non si sa quanto pregiate o come e quanto trattate possano essere) in vendita e provenienti da Francia, Olanda, Austria, Belgio: così che trovare delle carni italiane (sappiamo quanto rigorosi siano gli standard produttivi e di controllo di questo prodotto) è diventato raro.

Lo stesso dicasi per tanti altri prodotti, riguardo ai quali resto persino diffidente. Non parliamo poi di ‘insetti’, ‘vermi’, blatte’ o quant’altro: il cui cibarsi lascio certamente ad altri pellegrini del cibo, ma che – vi assicuro – non trova riscontri nelle altre nazioni, così come vogliono farci credere (ci sarà chi possa utilizzare qualcuno di questi materiali, ma sono soggetti in zone estremamente povere, o personalmente in tale condizione). 

Motivo che, unito alle altre recentissime notizie, mi porta a ritenere che sì, c’è gente (odiatori dell’Italia e degli Italiani? Del genere umano?) che, con grande costanza, si adopera per depauperare tutto ciò che sia espressione della creatività, dell’imprenditorialità, delle peculiarità produttive, dell’Italia.     

Sono anni che, tutto ciò che è italiano, e che rappresenta l’italianità (ossia, vanto per l’Italia) è sotto assedio, suscitando bramosie di conquista: in ordine di tempo, le ultime nostre peculiarità a essere seriamente minacciate sono salute, libertà (vedasi ‘sistema (cinese) dei crediti’, e spersonalizzazione: ciascuno di noi non sarà più ‘persona’ ma solo un numero, un codice, un input) e risparmio (si pensi: se tutta questa mole andasse a far parte di un sistema di cryptovaluta, le posizioni di ciascuno – ancorché ancorate al nome – sarebbero ancorate al soggetto e a tutto ciò che risulta alla base della sua schedatura; così che lo stesso denaro che, se depositato in una banca non è più suo (sotto il profilo della ‘proprietà’), se confluente in una massa indistinta non sarà suo doppiamente, e basterà un click perché il gestore del tutto gli possa impedire di avere accesso a ciò che (un tempo che fu) era ‘suo’.                                                         

Un plauso quindi agli organizzatori e ai partecipanti di questa interessante kermesse di Campoverde, esaltazione della nostra capacità produttiva, della nostra cura per la Natura, della nostra passione per il cibo sano e gustoso, della nostra stessa ‘inventiva’: tutte condizioni premianti, a fronte delle quali saremo al loro fianco nel sostenerne le scelte, l’amore che ripongono nel loro lavoro, e la volontà di proseguire nell’opera.                                                                                     Complimenti a tutti!                                                                                                                     Giuseppe Bellantonio

Di seguito, l’articolo sopra citato, a firma della Dott.ssa Fiorella Ialongo, da cui abbiamo tratto gradito spunto per l’intervento.                      

Solo l’agricoltura, che senza dubbio è molto vicina e quasi consanguinea alla sapienza, è priva tanto di scolari che di maestri” (‘De Re Rustica’, Lucio Giunio Moderato Columella)

Prendendo spunto dalla precedente citazione, in occasione del ponte del 1° maggio, potrebbe essere interessante trascorrere una giornata di intrattenimento ed informazione, di aggregazione sociale e di incontro con i professionisti dell’agricoltura. Senza dimenticare la possibilità di gustare specialità enogastronomiche a km. ‘zero’ e provare esperienze dal gusto antico ma sempre attuali.                                                                                    Il riferimento è alla XXXVI° Mostra Agricola di Campoverde che terminerà il primo Maggio, e si tiene presso l’Area Fiere di Campoverde ad Aprilia (LT).                      

I dati che ci sono giunti dai primi giorni dell’evento sono molto confortanti: sono andati sold-out i ca. 350 stand dedicati ad agricoltura, floricultura, innovazione, enogastronomia, bestiame, macchine ed attrezzature agrozooalimentari.                              

Di sicuro interesse anche gli spettacoli in programma quali, ad esempio, le prove di abilità di attacchi carrozze curate dalla Fitetrec Ante, il Western Show, i convegni, gli eventi curati da giornalisti specializzati nel settore come Tiziana Briguglio e Roberto Ambrogi dell’ARGA Lazio.                        

Detto diversamente, la Mostra Agricola di Campoverde ha visto crescere nel tempo la propria importanza. Si tratta di un risultato che premia sia l’impegno degli organizzatori, sia le finalità della manifestazione. Essa, infatti, ha tra i suoi fini quello di mettere in contatto, attraverso gli stand, i consumatori con i produttori. I secondi possono far conoscere ai primi la qualità del proprio marchio a un prezzo competitivo: contatto rafforzato dal piacere di una stretta di mano e di un sorriso, recuperando anche l’aspetto relazionale, troppo spesso punito dagli acquisti on-line.            

Fiorella Ialongo

(Maggiori dettagli sul sito: https://www.mostraagricola.it/ )

 




“Spegni la TV, riaccendi la speranza”

Triennio 2020-2022: responsabilità di istituzioni e media nel sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A quanto pare, le restrizioni adottate e una cattiva gestione dell’informazione hanno influito in modo significativo sul benessere mentale delle persone più fragili, specialmente se intolleranti all’incertezza, o con disagio mentale preesistente.

In Italia, si assiste tuttora a un sensibile aumento dei casi di ansia, depressione e stress.

A confermarlo sono i risultati di ricerche scientifiche e studi condotti dall’ISS e dall’OMS, di cui condivido i link per chi volesse approfondire l’argomento.

Il fattore determinante è la paura

Raggiungo a Milano la dott.ssa Elena Pagliacci Cipriani, psicanalista dal 1982 e Consigliere Nazionale della Lega Italiana di Igiene Mentale, per fare il punto della situazione.

Le chiedo quale sia, a suo avviso, il fattore determinante. “Nel 90% dei casi è la paura. Prima eravamo abituati all’idea di poter fare qualsiasi cosa, come se la morte non esistesse o fosse una lontanissima probabilità, che comunque non accade mai a noi. Improvvisamente siamo stati colti dalla paura di morire. Ed è questa paura ad aver schierato le persone in fazioni, alimentando divisioni e discriminazione.”

 

Le categorie più fragili

In base all’esperienza dell’intervistata, ad essere più colpiti sono gli adolescenti, molti dei quali manifestano forme di fobia patologica a tutto.

“La paura della morte è primordiale e ne siamo tutti più o meno toccati. Da ragazzi ci crediamo immortali. Col passar del tempo, si fa sempre più vicina. Il grande dramma al quale assisto nel mio lavoro è che il 90% dei miei giovani pazienti, alla domanda ‘Come va?’, risponde ‘Boh’. In generale sembra non abbiano più parole per ‘documentare’ ciò che provano, chi sono. L’unica parola che riescono a dire è ‘Boh’. I giovani d’oggi crescono senza conoscere se stessi” prosegue “E questo vale per tutti noi: non ci conosciamo più. ‘Grazie’ al computer e più in generale alla tecnologia, è come se viaggiassimo con un bigino in tasca della vita. Non abbiamo più una vita ‘vera’ dove incontrare le persone, conoscerle, capirle, confrontarci con loro sui fatti della vita. Molti di noi  – continua – tendono a chiudersi in ‘bolle’ in cui tutto va bene, tutto è perfetto …  Ma non è vero: sembrano ‘cadaveri’ che camminano. Non c’è la voglia di conoscersi, di ascoltarsi: ci si interrompe continuamente. Gli ascoltatori sono circa il 10%. Troppo pochi.” 

Riguardo alla donna, la Dott.ssa Pagliacci Cipriani non concorda con i risultati degli studi che ne evidenzierebbero una maggiore vulnerabilità. Pur essendo più sensibile al cambiamento, infatti, la donna ha sempre dimostrato una maggiore forza e resistenza rispetto all’uomo. Quest’ultimo, per sua natura, tenderebbe all’ipocondria, sottoponendosi a mille esami e analisi per accertare l’eventuale presenza di una malattia. Comunque l’uomo, più abitudinario rispetto alla donna, farebbe più fatica ad accettare e gestire il cambiamento.  

Per quanto attiene alla categoria sociale più colpita, la dott.ssa Pagliacci individua nella classe più abbiente una maggiore vulnerabilità alla sofferenza provocata dall’idea della morte, non più vista come lontanissima probabilità ma come qualcosa che può accadere da un momento all’altro. Di qui la corsa al vaccino vissuto come qualcosa di taumaturgico, in grado di salvarti la vita. Senza tener conto del fatto che, essendo in fase sperimentale, le conseguenze del suo utilizzo non erano e non sono tuttora pienamente prevedibili. 

Le fasce sociali media e bassa invece, più abituate alla “sofferenza”, hanno a suo avviso reagito molto meglio rispetto alla classe “alta”.

 

Il ruolo delle Istituzioni

Alla mia domanda sul modo in cui le restrizioni imposte abbiano influito sull’aumento degli individui colpiti da ansia, depressione e stress, la Psicanalista risponde che a tutt’oggi, nonostante non sia più obbligatorio, in ambiente ospedaliero rimane l’imprinting di indossare le mascherine. Questo, ovviamente, mantiene vivo il ricordo dei peggiori momenti del triennio trascorso, alimentando ulteriormente l’ansia.

E qui la dottoressa, che premette di odiare le etichette “pro vax” / “no vax” e i protocolli*, racconta un episodio della sua vita personale. Il fratello aveva avuto un tumore al polmone. Era stato operato e l’intervento era andato benissimo. Stava bene. Tuttavia il protocollo esigeva per lui la somministrazione di più dosi di vaccino. “È morto in ospedale in seguito a questi protocolli” conclude la Dottoressa Pagliacci Cipriani, convinta che se fosse rimasto a casa, curato da un medico “come quelli di una volta” che ti guardavano e capivano subito quello che avevi, e avesse preso le sue medicine, molto probabilmente oggi sarebbe ancora in vita.  

 

Il ruolo dei giornalisti e dei Media

Su quale sia la responsabilità dei giornalisti e dei media riguardo alla diffusione della paura, l’intervistata non ha dubbi: “È immensa: l’informazione trasmessa da radio e televisione nell’arco del triennio è tutta all’insegna della paura. Rare sono le persone che si azzardano a dire: ‘Tranquilli …’ e quei pochi vengono additati come quelli della contro informazione. 

“Quando muore qualcuno – prosegue –  tu stai bene al momento. È dopo che viene fuori il lutto. La stessa cosa è successa con il Covid. All’inizio si sono avuti dei drammi reali. È in un secondo tempo che sono emersi tutto l’immaginario e una scenografia deleteria: l’informazione aveva minato alla base tutto ciò in cui credevi. Accendevi la tv e sentivi, una dopo l’altra, centomila cose deleterie. In meno di un anno si è arrivati a non avere più fiducia in niente, soprattutto nei riguardi dei media e delle istituzioni. Dal patriottismo sanitario del ‘volemose bene’ – bandiera alla finestra, ‘Evviva l’Italia’, ‘Siamo tutti uniti’, ‘Che bello, siamo insieme’ – si è passati, nel giro di pochi mesi, a ‘Basta (cattive notizie ndr), non ce la faccio più’. Alla stanchezza e a un generale senso di impotenza si sono aggiunte, nel tempo, le fazioni. Senza ahimè comprendere che nelle guerre non ci sono mai né vinti, né vincitori. Gli schieramenti hanno generato incomprensioni, che hanno messo fine a rapporti di amicizia e di amore. Da un giorno all’altro, persone che credono di conoscersi da una vita si ritrovano improvvisamente ‘nemiche’. Anche quando dici di conoscere qualcuno, infatti, in realtà non lo conosci affatto. È solo nei momenti più drammatici che puoi conoscere davvero una persona: nelle malattie, nella lotta per la vita, nelle difficoltà economiche. Allora ti rendi conto che l’altro è simile a te non perché ne condividi per forza le idee, ma perché le manifesta con la stessa libertà con cui tu esprimi le tue.”

 

L’elaborazione del lutto

Affrontiamo ora il tema del dolore emotivo e della sua metabolizzazione.

“Nel primo periodo si sono avute molte morti in terapia intensiva, causate dal sovradosaggio di ossigeno che ha distrutto i polmoni dei pazienti”, dice l’intervistata, che entra nel merito del tipo di dolore affrontato. “Il dolore causato dal dramma vissuto dai parenti è quello di chi perde un proprio caro non in seguito a una lunga malattia, ma da un momento all’altro, a causa di un incidente. Nel primo caso c’è tutto il tempo per abituarsi all’idea della morte. Nel secondo si vive un ‘dramma’, e si cerca un colpevole da accusare. L’informazione, diffondendo un minestrone di idee contrastanti, non ha certo aiutato le persone a reggere il dolore per l’improvvisa, inaspettata perdita dei propri cari. A tutto questo si aggiunge la scarsità o l’assenza addirittura di iniziative, da parte delle istituzioni, tese a offrire un sostegno di carattere psicologico al maggior numero possibile di persone.”

 

La nuova normalità

Oggi si parla tanto di “nuova normalità”. Ma che cos’è e quanto ci costa, a livello mentale, accettare e adattarci a questa nuova normalità?

“Non è una nuova normalità – risponde la Dott.ssa Pagliacci Cipriani – è convivere con il pensiero che, dietro alla porta, possa sempre capitare qualcosa. Guarda caso, subito dopo il Covid c’è stata la guerra: è un continuum. E questo pensiero è comune in tutte le fasce d’età. Anche i giovani, interrogati sui loro progetti e sul loro futuro, non sanno più cosa rispondere. È forse questa la ‘nuova normalità’ di cui tanto si parla? Certamente no. È una ‘sopravvivenza’ aspettando qualcosa che magari non arriverà mai più e che se arriva, è un qualcosa che stavi comunque aspettando. È bruttissimo.”

 

Il miglior antidoto alla paura

Per concludere chiedo alla Psicanalista quale sia, a suo parere, il miglior antidoto alla paura. “La speranza. Se nutri speranza, per esempio riguardo a un progetto, puoi ancora pensare che ogni cosa si risolverà. Ma se la speranza viene a mancare, soggiogata dai ‘Boh’, c’è poco da fare. Dovrebbe però, a mio parere, rinascere in una forma nuova, all’insegna del ‘basta con l’apparenza’. Non ne possiamo più dell’apparenza!”

 

Il modus operandi

“La scuola americana cognitivo comportamentista dice: ‘Cosa hai fatto? Ti spiego’. Io sono assolutamente certa che se tu non hai capito cosa precede il cosa è successo e poi vediamo cosa fare, non potrai mai guarire davvero. Perché sarà un cerotto. Quello che vedo, tra molti dei miei colleghi, è una superficialità ormai così forte per cui ciò che interessa è innanzitutto il guadagnare … Sono pochissimi i colleghi che si rendono conto che il paziente non ha neanche gli occhi per piangere. Oggi c’è: quanto ti deve dare, cosa deve fare … Anche qui parliamo di protocollo. Non parliamo di umanità, è come se l’umanità fosse scomparsa. Perché? Perché non si guarda oltre all’apparenza: quello che è ricco, quello che conta … ma chi se ne frega? Io devo guardare quello che c’è dentro. Devo aiutare questi ragazzi che urlano in silenzio.”

 

Le fonti

Dai risultati di uno studio condotto dall’ISS e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Padova, pubblicata dalla rivista accademica Bmj Open, si apprende che in Italia, durante il lockdown, l’88,6% delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50% di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio.  

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/id/6898844

https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2022-04-26/covid-iss-il-lockdown-e-aumentata-depressione-soprattutto-giovani-160507.php?uuid=AE6GUTUB

L’OMS, nel testo della sua Costituzione firmata a New York il 22 luglio 1946, dà della salute questa definizione: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità». Eppure, nel Survey pubblicato il 5 ottobre 2020, il Direttore Generale Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus, ammette che il “COVID-19 ha interrotto i servizi essenziali di salute mentale in tutto il mondo proprio quando erano più necessari. I leader mondiali – continua – devono muoversi in modo rapido e deciso per investire di più in programmi di salute mentale salvavita, durante la pandemia e oltre”. 

https://www.who.int/news/item/05-10-2020-covid-19-disrupting-mental-health-services-in-most-countries-who-survey#:~:text=Bereavement%2C%20isolation%2C%20loss,outcomes%20and%20even%20death

Sul sito del Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite si legge un riassunto del documento emesso dall’OMS il 10 marzo 2022: “Covid-19 aumenta del 25% i casi di ansia e depressione”. L’articolo mette in evidenza chi è stato maggiormente colpito e riassume l’effetto che la pandemia ha avuto sulla disponibilità dei servizi di salute mentale e su come questi siano cambiati durante il triennio.

https://unric.org/it/oms-covid-19-aumenta-del-25-i-casi-di-ansia-e-depressione/

 

 




Graffi … gasati

Tra le tante notizie tra il serio e il faceto, quella dello scoop del NYT.

Fonti (poco intelligenti) dell’intelligence (quale?) asserirebbero che indagini tedesche avrebbero trovato un battello con traccia di esplosivi a bordo che sarebbe stato noleggiato da un (misteriosissimo) gruppo di militari/paramilitari ucraini per compiere l’attentato di Settembre al gasdotto del Nord Stream 1 e 2.

Considerando i controlli in zona, l’abbondante presenza della ricognizione occidentale, anche a mezzo dei satelliti militari, è del tutto inverosimile questa (tardiva) scoperta.

Il tutto assomiglia a una patacca creata ad arte, subito dopo che il giornalista d’inchiesta americano Hersh ha pubblicato una dettagliatissima ricostruzione (sostenuta da elementi certi, e non smentita).

In questa si attribuiva la responsabilità dell’attentato a incursori/guastatori del blocco occidentale, al fine di far cessare gli approvvigionamenti di gas dalla Russia attraverso quella via, ma soprattutto stroncare ogni remora della Germania a schierarsi apertamente e militarmente con gli USA+NATO+UE.

Evviva l’Occidente progredito, liberale e democratico!