Call Center e digitalizzazione: nuove sfide

Yunes: “Ora miglioriamo e digitalizziamo i call center italiani”

Oltre 1,5 milioni di euro investiti per realizzare una piattaforma che consentirà ai call center di digitalizzarsi ed accogliere con positività le sfide del mercato

Napoli. Quattro anni di sviluppo, oltre 54 mila ore di lavoro ed un investimento di circa 1,5 milioni di euro. Questo è Yunes, il nuovo software realizzato da Swissvoip e Tekmind per spingere nella digitalizzazione delle imprese del settore call center.

In uno dei momenti più difficili per l’economia italiana la sfida è dare un nuovo strumento alle aziende per consentire loro di avere tutte le informazioni necessarie in un’unica piattaforma e dirigere al meglio la loro attività vincendo le sfide imposte dal mercato. La piattaforma è stata realizzata collaborando con esperti di GDPR e sicurezza al fine di creare un prodotto compatibile con la normativa vigente.

Yunes nasce per soddisfare le esigenze di sicurezza e scalabilità di ogni azienda

“Il nostro desiderio è sempre stato quello di sviluppare una piattaforma flessibile e scalabile che potesse ridurre i tempi di realizzazione delle richieste del cliente oltre ad avere tutte le funzionalità a portata di mano in un unico software – dichiara Marino D’Ignazio di Swissvoip – Yunes è l’unico prodotto nel suo settore in grado di soddisfare le esigenze di sicurezza, scalabilità e nuove funzionalità che un professionista nel mercato dei call center vorrebbe avere”.

In effetti l’interfaccia di Yunes visibile ad un operatore appare semplice, intuitiva ed essenziale. I call center sono aziende in cui vi è molto turnover e con le caratteristiche di questa nuova piattaforma anche l’operatore che ha iniziato da poco non avrà difficoltà ad imparare velocemente uno strumento semplice.

D’altro canto gli sviluppatori che hanno lavorato al progetto hanno semplificato notevolmente il processo di importazione delle liste dei nominativi al punto che è Yunes che si adatta alla lista e non viceversa.

Con Yunes le aziende hanno a disposizione un Crm integrato che consente all’operatore di inserire il contratto dalla sua postazione. Così si evitano frodi a tutela del call center, e del consumatore. L’operatore può trasferire la chiamata direttamente al backoffice per la registrazione consentendo una finalizzazione più rapida a beneficio del cliente e dell’azienda.

“Ci siamo catapultati in un progetto ambizioso, abbiamo scelto di intraprendere questa strada con Swissvoip e crediamo che nel prossimo futuro la digitalizzazione farà la differenza nel settore dei call center – dichiarano Domenico Iorio e Christian Sica, titolari di Tekmind – Entriamo in una fase bella ed avvincente e con i consigli giusti, grazie alla tecnologia a disposizione, le aziende potranno ottenere benefici nel breve e medio termine”.

Cento tipi di report basati su dati “tipizzati” provenienti dalle liste per fornire una bussola indispensabile all’imprenditore

Molte ore di lavoro sono state investite nella generazione delle statistiche che diventano la bussola dell’imprenditore che saprà orientarsi meglio nel mercato. Circa 100 tipi di report diversi basati su dati “tipizzati” provenienti dalle liste. Con Yunes gli imprenditori avranno a disposizione un sistema di intelligenza artificiale che può anche evidenziare in quali zone geografiche, in quali ore o fasce d’età c’è più risposta o predisposizione all’ascolto.

Informazioni senz’altro utilissime che consentiranno alle aziende di dirottare le chiamate in base alle statistiche migliori.

Chi ha ideato Yunes ha pensato di creare una piattaforma in grado di evidenziare i punti di forza e di debolezza di una struttura in modo da enfatizzare i primi e ridurre i secondi. Swissvoip e Tekmind non hanno dubbi che così facendo si creerà inevitabilmente una crescita del cliente che diventa una naturale conseguenza dell’applicazione di queste regole.

Yunes consente ad una piccola realtà con 20 postazioni di crescere esponenzialmente a 100 postazioni ed oltre. La nuova piattaforma non vincola il cliente ad un server. Grazie ad un sistema automatico di bilanciamento che distribuisce il carico di chiamate su tutte le macchine disponibili. Se in un’azienda dovesse riscontrarsi una crescita improvvisa da 20 a 200 operatori basterà aggiungere un server, tempo stimato per realizzare il tutto 5 minuti.




LETTERA APERTA AL PROSSIMO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Avevo in programma un incontro con il Dr. Antonio Ballarin, esperto in Fisica Quantistica – è anche Visiting Professor alla University Canada West di Vancouver – per raccogliere le sue impressioni in merito ad un prestigioso riconoscimento che gli è stato attribuito da un’autorevole organizzazione internazionale per i suoi studi nel campo dell’Intelligenza Artificiale – nomina a Senior Member della International Neural Network Society, USA -.

Per una strana coincidenza, ci siamo trovati a riflettere insieme su alcune fasi della Storia d’Italia dell’immediato dopoguerra ovvero degli ultimi periodi del secondo conflitto mondiale, nelle terre al confine con la Jugoslavia.

Da tempo desidero produrre degli approfondimenti storico-documentali sulla ‘Strage di Vergarolla’ del 18 Agosto 1946, ancora avvolta nelle nebbie di una anomala vaghezza: ma, pur nella consapevolezza che esista congrua documentazione che possa giovare a porre nella giusta evidenza quel pessimo, crudele, evento, trovo un muro di forti difficoltà e persino delle reticenze che non mi consentono di procedere nella direzione auspicata.

E proprio il colloquio con il Dr. Antonio Ballarin, mi avrebbe forse aiutato in ciò.

Per quelle strane coincidenze offerte dalla quotidianità, ho appreso dall’intervistato che poche ore prima aveva diramato, una pubblica Lettera indirizzata – attraverso i mezzi di informazione – al prossimo Presidente del Consiglio dei Ministri, la cui designazione potrebbe essere imminente, e intesa a richiamarne l’attenzione circa “Il rispetto dei diritti degli Esuli istriani, fiumani e dalmati”.

Accantonati i miei intendimenti precedenti, che potrò riprendere in altro momento, ritengo di elevato significato – per i contenuti espressi – riprendere subito tale enunciato – impersonale, nell’indirizzo -, porgendolo ai miei Lettori.

IL RISPETTO DEI DIRITTI DEGLI ESULI ISTRIANI, FIUMANI E DALMATI

Egregio Signor Presidente.

Da italiani, sia per scelta sia per nascita, non possiamo che essere contenti per l’esercizio di democrazia registrato con le elezioni dello scorso 25 settembre.

Finalmente saremo guidati da un Governo espressione del voto popolare e non da uno maturato da accordi di Palazzo, come accaduto negli ultimi anni.

Abbiamo ascoltato con grande interesse, in questi giorni, le dichiarazioni degli esponenti della maggioranza appena eletta e che Lei, signor Presidente, avrà l’onore e l’onere di guidare.

Da tali esponenti, in queste ore, è stato espresso ripetutamente un concetto che ci sentiamo di condividere totalmente: uno Stato è tanto più credibile ed è tanto più considerato, quanto più onora e rispetta i Trattati internazionali che esso stesso ha sottoscritto.

Noi crediamo che sia arrivato, alfine, il momento di rispettare quei Trattati che non sono stati ottemperati fino ad oggi, provocando, in tal modo, un grave danno al mondo dell’Esodo Giuliano-Dalmata.

Ci riferiamo al Trattato di Pace di Parigi del 1947 il quale, al punto 9 dell’allegato XIV, stabilisce che: “I beni degli italiani residenti nei Territori ceduti […] non potranno essere trattenuti o liquidati […], ma dovranno essere restituiti ai rispettivi proprietari”.

Come sappiamo a tale Trattato, ampiamente disatteso, seguirono diversi accordi bilaterali tra Italia e Jugoslavia – accordi del 23/05/1949, 23/12/1950, 18/12/1954 – tutti poi tramutati in Leggi attuative, che in sintesi sancivano il pagamento dei debiti di guerra dell’Italia nei confronti delle Jugoslavia utilizzando i beni degli Esuli a fronte dell’impegno dello Stato italiano di un successivo risarcimento per l’esproprio perpetrato.

Ebbene, gli Esuli istriani, fiumani e dalmati ed i loro discendenti, sono ancora in attesa di un “equo indennizzo”, avendo percepito solo una minima parte di quanto promesso.

Si tratta di un indennizzo che, secondo i nostri calcoli, si aggira intorno ai 4,5 miliardi di euro.

Una cifra che sembra enorme, ma che se confrontata con l’attuale debito pubblico (ad oggi pari a circa 2770 miliardi) rappresenta l’1,6 per mille.

Quanto fin qui non è solo una questione di vile danaro, si tratta, piuttosto, di un’espressione di civiltà attesa da lunghi decenni da un intero popolo.

Gli Esuli ed i loro discendenti si sono rifatti una vita in Patria, eppure resta l’insopportabile retrogusto amaro nella consapevolezza di essere stati ignobilmente usati per questioni geopolitiche giocate sulla propria pelle.

La vita della nostra Gente è stata tutta in salita per troppo tempo, anche dal punto di vista culturale. Sempre a dover giustificare la propria identità, sentendosi dire che la sofferenza patita era il giusto scotto per colpe di altri.

Il giustificazionismo è un concetto terribile che porta allo stupro della ragione, definendo accettabile l’eliminazione di un qualcosa o qualcuno – magari per mezzo di una foiba -, su cui far ricadere i misfatti di qualcun altro.

Per questi motivi auspichiamo anche l’emendamento della Legge 167/2017 che punisce la propaganda, l’istigazione e l’incitamento al razzismo e chiediamo l’inserimento di una menzione specifica al negazionismo e giustificazionismo per i crimini commessi in Istria, Fiume e Dalmazia in merito alla persecuzione anti-italiana avvenuta a guerra finita.

Così come auspichiamo che possa essere emendata la Legge 178/1951 che disciplina il conferimento delle onorificenze al Merito della Repubblica, senza la quale non è possibile la revoca del cavalierato assegnato al Maresciallo Tito, causa di dolore e sofferenza non solo per la nostra Gente, ma per centinaia di migliaia di persone che si opponevano alla dittatura comunista jugoslava.

A tale proposito vogliamo ricordare il pronunciamento del 19 settembre 2019 in cui il Parlamento Europeo – presieduto da David Sassoli – approvò a larghissima maggioranza (89%) la risoluzione: “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, che condanna tutti i totalitarismi del XX secolo, equiparando in tal modo il comunismo al nazismo.

L’attuale maggioranza, così come maturata il 25 Settembre, ha dimostrato nel tempo grande sensibilità ai temi qui riportati.

Confidiamo nella sua futura opera.

Antonio Ballarin

Esule di seconda generazione, nato al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma nel ’59                                              Past-President FederEsuli – Federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati                    Vicepresidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia    Consigliere Associazioni Dalmati Italiani nel Mondo  Fondatore MondoEsuli – Movimento per la memoria e la promozione di Istria, Quarnaro e Dalmazia.

Certamente uno scritto di elevato spessore e di contenuti precisi e tali da lasciare poco margine alle interpretazioni: nella consapevolezza, che – se la questione si è trascinata fino ad oggi, restando irrisolta, al di là di ogni assicurazione potuta o voluta offrire da parte della Politica – basterebbe solo un minimo di buona volontà per porre fine a una vicenda che, decisamente, si è trascinata per troppo tempo.

Un ‘grazie’ di cuore al Dr. Ballarin per l’attenzione che ha inteso rivolgermi, dandoci appuntamento per un prossimo incontro, questa volta nel segno della Scienza.

 




DANTE

Oggi parliamo tanto di fan, di influencer, tifosi, di popolo dei social, ma nulla di tutto questo è paragonabile alla grandezza, all’assoluta impronta nella storia, alla innegabile e sconfinata bellezza intellettuale di Dante.

Boccaccio, forse il primo vero fan della storia, colui che, credo pochi sanno, aggiunse l’aggettivo divina all’opera di Dante, che inizialmente si chiamava solo Commedia.

Firenze, la città intellettuale per eccellenza, la culla della cultura rinascimentale, una sorta di brodo culturale primordiale che favorì la nascita dell’italico idioma e fu asilo delle più grandi opere rinascimentali.

Questi sono i tre personaggi in cerca di autore che Pupi Avati ha voluto fare suoi per raccontare quel Dante che pochi di noi hanno nel cuore.

Il film Dante è bello, ottimo, con qualche libertà nella regia, ma forte, di impatto, ma allora, direte voi, corriamo a vederlo; ed invece qui si apre una prima nota critica, che non vuol essere una colpa, ma piuttosto una riflessione.

Il film è, a nostro avviso, una favola letteraria raccontata magistralmente, ma richiede allo spettatore una buona conoscenza delle basi del mondo che racconta.

Ma è Dante, direte voi, tutti lo conoscono!

E no cari amici, non basta citare “nel mezzo di cammin di nostra vita” per poter dire di conoscere le basi per apprezzare questo lavoro.

Questo è un film a strati e si resta affascinati solo quando si arriva al quinto strato, o meglio, quando si riesce ad arrivare al quinto strato, in quel momento il film diventa una sorta di dimensione poetica che ci avvolge, ci culla, richiama alla nostra mente emozioni scritte nel nostro DNA culturale, ci riporta nella nostra identità culturale facendoci attraversare una foresta endecasillaba, ebbra di ricordi intellettuali del nostro passato e carica di ombre della nostra attuale cultura, persa nella giovanile piattezza aritmica.

Chi vedrà questo film lo apprezzerà, qualcuno lo boccerà, ma sicuramente chi lo capirà non potrà non amarlo, profondamente, pienamente consapevole che la ricchezza della nostra storia culturale è il più grande patrimonio italiano.

Boccaccio, nel suo viaggio per ritrovare la figlia dell’Alighieri e darle una sorta di ricompensa per l’esilio da Firenze del Padre, ripercorre le tappe salienti della vita di Dante, come frammenti di ricordi delle persone che lo hanno incontrato, lasciando allo spettatore il compito di ricucire il vuoto tra un quadro e l’altro, come se ci fosse un filo tra un ricordo ed un altro che lo spettatore deve tenere perché suo, perché implicito nell’essere italiano.

IO mi sono identificato in quel Boccaccio sullo schermo che ricercava lo sguardo puro, la bellezza di quella figura che “sapeva i nomi di tutte le stelle”, mi sono ritrovato in quella necessaria completezza della poesia e della lingua, in quel grande sapere, IO mi sono ritrovato nel sentimento più puro che in poche parole semplici DANTE ha reso immortale “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio”, amicizia, amore, lealtà, patria, tutto in un solo incipit “Guido, i’vorrei…”.

Dante si strugge per la sua Firenze, centro fermo dei mille disii, a cui assegna un valore simbolico, universale, a cui sembra voler dedicare la sua opera, come se tutto da lui fosse stato scritto per poter tornare nel grembo materno dalla sua città.

Chi lo capirà trarrà da questo film un’esperienza profonda, emotiva, insuperabile.

IO sono rimasto in sala dieci minuti dopo la fine, quasi a non volermi staccare da quel momento, e ricordavo continuamente mio nonno che nel suo studio mi raccontava di Dante, Petrarca, Boccaccio, Cavalcanti,  Guinizzelli, e di molti altri che, ora mi rendo conto, sono il mio DNA culturale da italiano.

 




La bellezza può davvero salvare il mondo?

È possibile spiegare la bellezza attraverso le parole?

No, perché la bellezza è ineffabile: non può essere descritta attraverso le parole.

Le parole, però, possono aiutarci a capire la bellezza mostrando cosa i popoli intendevano per bellezza quando usano una parola piuttosto che un’altra.

Questo è stato il tema dell’intervento di Chiara Sparacio, caporedattore di Betapress.it all’interno dell’VIII edizione dell’Ischia e Napoli festival internazionale di filosofia: la Filosofia, il Castello e la Torre.

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Il festival, ideato e diretto da Raffaele Mirelli, è uno straordinario evento culturale che ogni anno, sempre più, coinvolge realtà importanti del panorama nazionale ed estero.

Lo scopo del festival internazionale della filosofia di Ischia

Lo scopo del festival, ci spiega Mirelli, è

“far uscire il filosofo dalle sue roccaforti, dalle Torri e di metterlo in dialogo con il pubblico.

La filosofia dovrebbe iniziare a ripensare sé stessa in modo sostanziale: smettendo di essere uno studio a sé stante ma accompagnando tutte le altre discipline universitarie.

La filosofia, la sua istituzione, ha bisogno di rimodellarsi per restare nel presente e creare reali possibilità di lavoro per chi la sceglie”.

Il festival è un evento grande e articolato che ogni anno, da otto anni a questa parte, dona nuova luce alla già bellissima isola di Ischia proponendo per ogni edizione un tema diverso e coinvolgendo realtà culturali sempre più ampie.

Ad oggi sono state intessute relazioni l’università di Toronto, l’Università di Bonn, l’Università degli studi di Palermo e tantissimi altri poli culturali che seguono e sostengono il progetto con lo scopo di modellare quello che sarà l’approccio disciplinare nel futuro.

Se quest’anno si è parlato della Bellezza e ci si è chiesti se davvero può salvare il mondo, nel corso delle precedenti edizioni si è parlato de gli Universi, il tempo, dio, la natura umana, i Valori, l’utilità della Filosofia…

Il tema del 2023

Il tema del 2023 sarà il desiderio:

“Un tema di rilievo per le nuove generazioni che del desiderio esperiscono una mancanza tenace e duratura. Sarà un modo per riflettere sull’impatto che i social media operano sul nostro essere umani”

ci dice Mirelli.

Chi vorrà partecipare alla prossima edizione potrà visitare il sito del festival e seguire le indicazioni.

Cosa è il festival internazionale di filosofia La Filosofia, il Castello, la Torre

Nel corso delle edizioni, il festival ha preso sempre più spazio fisico e temporale arrivando ad un intero mese di eventi suddivisi per intenzione e pubblico ecco come oggi è il festival internazionale di filosofia di Ischia

Come è articolato il festival.

Ecco le sezioni del festival

Young Thinkers festival: Il festival dei giovani.

È la parte il festival che mette a confronto filosofi junior e senior: si tratta di un evento nell’evento che vede la partecipazione di diverse scuole italiane in cui i ragazzi sono chiamati in prima persona a tenere conferenze.

Quest’anno sono arrivati ad Ischia circa 1500 studenti da tutta Italia.

Summer school of humanities:

tre giorni di formazione e scambio critico per un approfondimento teorico assieme a studiosi affermati.

Eticit(t)à:

una serie di campagne di carattere etico volte alla sensibilizzazione sociale che, dice Raffaele Mirelli è “un modo di vedere un’isola differente che per noi assurge a filosofia pratica, a una rivolta verso il consumismo odierno”.

Un esempio è il mese del senso civico all’interno del quale sono state organizzate le domeniche di stop motori che trasformano le vie principali in vere e proprie piazze di interazione dove tantissime persone si riversano per partecipare alle numerose attività proposte dalle associazioni del terzo settore coinvolte.

Oppure la mostra Il Corpo del reato che espone le opere vincitrici del contest fotografico che ha coinvolto i ragazzi dei licei facendoli riflettere sul rapporto col corpo imparando ad amarsi al di là delle apparenze.

Serate al castello:

un ciclo di lectiones magistrales che quest’anno ha ospitato Benedetta Barzini docente presso l’università di Urbino; Stefano Zecchi, filosofo e scrittore; Milovan Farronato docente presso l’università di Urbino.

Talk:

conversazioni e relazioni di più di 150 studiosi tra professori, filosofi, linguisti, fisici, architetti, esperti in comunicazione, artisti, storici, psicologi e psicanalisti dall’Italia e dall’estero.

Mostre e concerti:

attività che rendono palpitanti i luoghi più suggestivi dell’isola come il Castello Aragonese, i Giardini La Mortella, Torre Guevara, la biblioteca antoniana, la chiesa di santo spirito…

Ricordiamo tra le mostre Matateli di Marco Cecchi e tra i concerti quello del duo façade Jole Barbarini e Antonio Coiana e del Coro polifonico della Pietrasanta

 

Le persone che rendono possibile il festival

Ideatore e direttore Scientifico: Raffaele Mirelli

Condirettore: Andrea Le Moli

Direzione in loco evento: Sara Trani, Marco Ciarlone

Direttori di sessione: Francesco Impagliazzo, Ramon Rispoli, Giulia Castagliuolo, Graziano Petrucci, Giorgio Espugnatore

Interviste: Mariafrancesca De Martino

Fotografe: Melania Buonomano, Caterina Castaldi, Livia Pacera

Assistenti in loco: Carmine Stornaiuolo, Angelica Lo Gatto, Angela Mazzella, Marianna Castaldi

Direzione mese del senso civico: Adriano Mattera

Accoglienza; Felicetta Ammirati

Video: Eleonora Sarracino, Emanuele Rontino – the Motherfactory

Ufficio Stampa: Pasquale Raicaldo




Brava Giorgia, adesso occhio allo spoils system!

Dopo una vittoria così netta, almeno per fratelli d’Italia, verrebbe facile lasciarsi andare alla più sfrenata gioia, ebri di una ubriacatura da potere acquisito.

E’ successo a tanti, a quasi tutti, e spesso questa “ubriacatura” era accompagnata dalla convinzione che avendo vinto si era pronti a fare tutto ed a gestire tutto.

Ebbene il passato ci insegna che non è così!

Come abbiamo già avuto modo di ricordare in precedenti articoli (i partiti … ed i rimasti), l’Italia è un paese dalla difficile governabilità, e l’unico modo ora di governare correttamente per la destra è essere impopolare.

Lo so, non piace a nessuno, ma la prima operazione a cui stare attenti oggi è il cosiddetto spoils system; ma non quello incardinato nella Legge n.145 del 15 luglio 2002, ma bensì nella più ampia gestione delle posizioni della media ed alta dirigenza della pubblica amministrazione, in cui inevitabilmente risiede la macchina organizzativa del nostro governo.

Come dicevo prima, l’errore che si compie è quello di pensare di saper gestire una macchina organizzativa come lo stato italiano, complesso ed imperfetto come pochi altri, e di conseguenza non fare caso ai “manovratori”, ovvero a quel sottobosco di dirigenti che in realtà muovono e decidono i processi organizzativi.

Proprio all’interno di quella fascia dirigenziale si muovono, appunto, i meccanismi operativi delle scelte politiche e proprio quella fascia dirigenziale ha il potere di rallentare qualsiasi scelta che l’organismo politico faccia.

O, anche, se non peggio di trasformare qualche piccolo cavillo in ostacolo insormontabile.

Cari lettori voi ora vi starete chiedendo “ma possibile che politici navigati non stanno attenti a questa cosa?”, ma ci stanno attenti benissimo, e ci sono stati attenti per anni, ma stranamente quando la destra prende il potere questo aspetto lo sottovaluta.

Lo sottovalutò Berlusconi, come altri, ma soprattutto a differenza della sinistra, la destra, quando anche è riuscita a prestarvi attenzione, ha sempre considerato lo spoils system come un sistema di remunerazione degli amici, lasciando così posizioni importanti in mano a persone inesperte sia tecnicamente che “politicamente”.

In effetti in quella fascia di controllo dello stato l’ideale sarebbe mettere tecnici con esperienza operativa, leali, e comunque non influenzabili, cosa non facile effettivamente, ma quello serve.

Sarebbe necessario creare un think tank, ovvero un’importante laboratorio di idee e di soluzioni, pescando a mani basse dal mondo dell’accademia, dei manager, dei tecnici, possibilmente persone che abbiano dimostrato lealtà all’idea e non le solite banderuole che si adattano a chi c’è, al fine di non restare senza teste valide da mettere nelle posizioni chiave, e soprattutto sarebbe necessario avere l’umiltà di capire chi mettere rispetto all’obiettivo, che è quello di riuscire a governare il paese.

Non tutti quelli candidati nei collegi sono poi adatti a ricoprire ruoli tecnici, questo sarebbe un passo importante da metabolizzare al fine di non sbagliare questo momento importante.

Ricordo di un noto politico che aveva formato un gruppo di coordinamento dei capi di gabinetto di tutti i ministeri, controllando in questo modo una grossa fetta dell’attività dello stato.

Ne parleremo in altro articolo.

In ogni caso complimenti ancora, Giorgia, ma occhio allo “spoils system”.

 

 




Puppet-show: lo spettacolo continua.

Un’era tanto moderna (per la rapida ascesa e caduta di innovazioni non sempre all’altezza dell’umano) ma nello stesso tempo tanto d’impronta antica (per il ricondurci a epoche di sacrifici, alla miseria e alla corruzione umana e materiale, alla privazione di diritti anche fondamentali, alla povertà d’animo e all’ignoranza più retrive: tipiche di un nuovo medioevo, dove anche le nobili tradizioni del clero appaiono spente e opache), non si era mai vista.

Uniche, ma affatto trascurabili novità di questi ultimi giorni, in un contesto dove la perdurante incomprensione dell’est da parte di un occidente (rimasto al Vietnam, all’Afghanistan, o al rude e spietato bombardamento di Belgrado) che tuttora si auto-valuta con troppa generosità, è sorretta dalla ormai dichiarata e ribadita volontà di ‘spianare’ la Russia, immiserendola e radendola al suolo con le belle macchine volanti che consentono di bombardare in ogni parte del mondo standosene comodamente in ciabatte a casa propria, aizzando alla guerra ma facendo togliere le castagne dal fuoco ad altri.               

Qualcuno, sostiene che lo stile assomigli a quello cosiddetto ‘mafioso’: mamma comanda e i picciotti vanno e fanno (ossia, eseguono gli ordini senza discutere e fanno il lavoro sporco); per parte mia non intendo offendere alcuno, anche se il paragone è possibile ma non so quanto probabile.              

Di certo c’è una parte che sostiene il (proprio) diritto a dettare le (proprie) regole, disconoscendo che anche altri possano avere similare diritto: ma qui entra in ballo il Marchese del Grillo della situazione, che non esita a far capire che “io so’ io e voi nun contate un caxxo”.

Odio per la Pace, odio per l’Essere Umano, smania di arricchimento e potere, si contendono la testa del potere: una testa, ovvero la forma di una testa, belluina tanto simile a quella di cui alle corna di capro che, a Washington, rabbi Schneider ha consegnato a testimonianza di un premio concesso a Draghi qualificandolo come ‘statista’.                                

Tante strane situazioni e tutte nelle stesse ore.

Strane, ma che seguono una loro logica, poiché un filo comune le lega, anche se all’apparenza possono sembrare conflittuali tra di loro.

A Londra, si spegne – con un peggioramento dal rapido finis – Elisabetta II°, Regina d’Inghilterra e Capo del Commonwealth.

Termina un’epoca durata oltre 70 anni di regno: ovviamente con i suoi chiaroscuri.

Certamente la fine di un’epoca, segnata proprio dal voluto scandire delle tradizioni.

Simboli forti, scanditi dal ritmo degli scarponi dei militari in tenuta solenne: ma già pronti a scattare se il Comandante in Capo desse loro l’ordine.

Non si percepisce se potrà essere anche l’inizio di una lenta fine: ma gli inglesi hanno il senso della Patria e sanno stringersi l’un l’altro nei momenti di difficoltà e crisi.

Certo, non c’è più la voce e la presenza della Regina nei club economico-finanziari che contano e che comandano il mondo: ma, per prassi, anche se cambia il soggetto prima presente, chi subentra non perde la battuta    né il posto.                                                                                           

Da poche ore il Presidente Putin ha parlato alla Russia: come previsto, di cose molto serie, che ancora qui ignoriamo nella loro complessità e di cui forse non riusciremo a comprenderne la reale portata (teso com’è, l’occidente, a voler ignorare la pratica della diplomazia nonché a sostenere l’eliminazione a ogni costo del leader russo, anche stimolando e foraggiandone la protesta interna).

Una guerra praticamente dichiarata per interposta persona dagli USA – con il codazzo di yes-men ai suoi ordini, targati più o meno NATO – alla Russia.

Che ormai non fa che rispondere colpo su colpo alla evoluzione imposta da ovest. Un male creato dal 2014 da un Occidente indifferente e sordo ai richiami, e inadempiente agli obblighi assunti.

 Altrove si svolgono cerimonie e mosse di un puppet-show che prevede mance, gratifiche e passerelle a chi obbedisce ai comandi impartiti: uno show che, a poche ore dalla comune convergenza a Londra per l’ultimo saluto alla Regina d’Inghilterra, ha visto convergere in sede ONU il gotha della politica.

Persino in eccessiva evidenza nel sostenere il ruolo del “siam tutti qui, siam tutti d’accordo, siam tutti uniti, continuiamo tutti insieme”. 

Al solenne momento londinese, a distanza di ore, si contrappone l’usuale bla-bla-bla di un contesto per i più troppo segnato dai sospetti di ingenti finanziamenti ricevuti da parte di chi è troppo invischiato in questioni economico-finanziarie.

Certo, la meno rappresentativa è proprio l’Europa: una volta culla della diplomazia e ora mestamente sottomessa agli altrui voleri.

Voleri che hanno consentito al dollaro di recuperare con forza sull’euro, deprimendolo e quindi deprimendo l’economia e la finanza della stessa area euro: ma ottenendo anche il risultato di fermare la propria curva di inflazione e il pericolo depressione, scaricandone tutto il peso su un’Europa sottomessa, tutta impegnata a indossare abiti civettuoli o T-shirt con i colori giallo-blu.

Mi ha colpito una non-coincidenza (vista l’attenzione che viene data alle scenografie di Bruxelles): in una posa ieratica di madonna fiorentina una testa bionda è posta visivamente al centro di uno sfondo dominato dal cerchio delle stelle della UE; uno sfondo blu con stelle gialle, con al centro un soggetto in delizioso contrasto cromatico quanto in perfetta simbiosi, tale da far quasi gridare ‘al miracolo’ facendo prostrare i presenti in ginocchio, così accreditando una favola, un’apparizione celestiale. 

Ma, a proposito delle corna di caprio assegnate all’italico leader – e che taluno, tout-court, ha sentenziato essere un sorta di bonus-aziendale per servizi resi (mah! Ma a chi?) – v’è da dire che chi utilizzi certe espressioni non dovrebbe mai confondere la meritoria attività di un vero statista (vocabolario: un uomo di stato il cui contributo alla vita politica ha rivestito o riveste una importanza di grande rilievo o addirittura storico) con le attività tipiche della camarilla (vocabolario: un gruppetto di persone che si muove per la difesa di interessi particolari, influenzando l’azione di un governo).

In questo caso: una banale, volgare, cricca: una consorteria che pensa solo agli affari, per arricchirsi, distorcendo a proprio vantaggio la politica, ovvero ogni occasione che possa derivare attraverso la politica.

Peraltro, come non concordare con le parole del Presidente Biden che ha lodato il premiato di turno “Mario Draghi è stato una voce potente nel promuovere tolleranza e giustizia…”: è un buon segno notare che c’è chi sembra ben conoscere che esistono tolleranza e giustizia.

Occorre vedere i mezzi con cui si perseguono, e il senso con cui si opera.

Diversamente, quando la prospettiva è del tutto personale e persino discutibile, tutto è deviato e ‘sembra’ solo vero: sono solo ricche, fulgide parole, pronunciate e sciupate in un attimo, nella cornice del solito bla-bla-bla.

In Europa, una serie di appuntamenti elettorali segna la vita politica di molte nazioni: ma solo in Italia tutti i pretendenti al trono confessano la propria scarsezza di idee e della propria vis politica, allorché indicano di voler proseguire nelle azioni previste dalla c.d. ‘agenda Draghi’ (in verità, un’agenda parte di una sua relazione al G30 – Gruppo dei Trenta, dai contenuti più distruttivi che costruttivi: in sintesi, per innovare occorre distruggere).

Un’agenda che, punto di riferimento di chi ha esordito con “mi avete chiamato, sono venuto” e con un reiterato “voi italiani” ha indicato fin da subito da che parte era, attuando – ma sarà stato un caso – proprio quello che era indicato in quella relazione.

La popolazione Italiana è stata impoverita; il settore energetico è in tilt (peraltro, previsto con ampio anticipo e affrontato con altrettanta ampia incapacità: quando di guerra in territorio ukraino neanche se ne parlava); la produzione soffre e le aziende, impossibilitate a fronteggiare i costi spropositati dell’energia e dell’approvvigionamento di materia prima, stanno serrando i battenti una dopo l’altro, spostando il costo sociale della crisi sulla CIG e sull’INPS (ma per quanto tempo sarà possibile?) già ridotta in difficoltà da anni di cattiva gestione, dove è stata il bankomat di menti ideologicamente sconvolte; i dati sul PIL, presunta crescita inclusa, non si sa quanto possano essere attendibili; in area EURO, la moneta si è deprezzata, poiché attaccata dal dollaro di cui ora è utile scudiera, assorbendone i contraccolpi negativi (è un dato di fatto: l’inflazione USA ha avuto uno stop grazie alle politiche della FED e al forte impulso della produzione pesante, mentre l’inflazione in Europa (certamente non quella dei dati ufficiali) sta sottoponendo a erosione tutto il tessuto produttivo, i risparmi, le finanze, e – in Italia – anche la stagnazione è un dato di fatto.

E che dire della ridda di mance e mancette temporanee date sotto forma di bonus?

Questo non è fare corretta politica finanziaria: reddito di cittadinanza e tutta una serie di aiutini vanno completamente rivisti e rimodulati, ivi incluso il barrage del dagto ISEE che privilegi solo alcuni, discriminando.

Cero, ci sarà chi soffre più intensamente, ma si soffre tutti: anche perché il reddito minimo ISEE può celare benissimo extra guadagni non fiscalmente percepibili.

La BCE non segue una propria politica, né assume misure pro-Europa: più semplicemente è a ricasco delle decisioni della Federal Reserve, decidendo di non decidere, con la conseguenza che nessuna misura di stimolo per il lavoro e l’industri è stata assunta; nessuno – Italia compresa, anzi ne è leader – esplicita il giusto rapporto: la possibilità di lavoro è direttamente proporzionale alla presenza di imprese, di aziende, di società che possano produrre, distribuire e vendere i propri prodotti, ricavandone un margine di guadagno che possa consentire di coprire i costi, lasciando margini per il riacquisto di materie prime idonee a riproporre un nuovo ciclo produttivo e così mantenendo i livelli di occupazione.                                              

I fattori della produzione restano sempre quelli che l’economia classica ha fissato da decine e decine di lustri: lavoro, natura (beni naturali), capitale e organizzazione, ai quali la mia Prof. di Economia Politica Bianca Turbati – un ‘mito’ per competenza e bravura – ci ricordava di aggiungerne sempre un quinto, ossia l’uomo (il fattore umano); senza il quale nulla è possibile.

Oggi, più di uno è tentato di ‘eliminare’ l’uomo per posizionarci (pericolosissimi) sistemi di Intelligenza Artificiale: nessuno dei quali potrà sostituire la scintilla divina della determinazione del pensiero, dello scaturire dei sentimenti, della coscienza.

La macchina, i robot, potranno essere un aiuto ma mai una sostituzione, potranno avere una ‘consapevolezza di sé’ come test di prova dei propri circuiti e degli elementi inseriti nei loro chip di memoria.

Null’altro di più.

Scusate se mi sono dilungato: so che queste cose le insegnano fin dal primo anno alle scuole superiori, ma sembra che il bagaglio dei politici ne sia fortemente sprovvisto.                             

Oggi, in questo preciso momento, una ridda di notizie insegue i fatti: ma non costituisce una verità, bensì un insieme di mezze verità corredate da una marea di menzogne, ovvero di false notizie.

Ma ritengo che nessuno possa gioire, anche chi ha avuto apparenti vantaggi scaricando gli oneri bellici su altri, deve cominciare a prendere atto che le sole manovre sui tassi stanno contraendo drammaticamente i consumi.

Nessuno sa con esattezza i costi enormi della macchina bellica USA, ma per certo si sa che per sopperirvi non si può proseguire a stampare carta moneta.

Dati che filtrano dagli USA e pubblicati su molti siti, danno un quadro più che allarmante, anzi pessimo, solo tenuamente alleggerito dalla sbandierata sensazione di ‘far male alla Russia’.

Vengono segnalate richieste di disoccupazione per circa 38 milioni di lavoratori, pari a ca. il 25% della massa lavorativa costituita da 160.000.000 di lavoratori.

E senza reddito, la domanda dei consumatori si contrae drasticamente e l’economia tutta, senza denaro circolante che produca nuova ricchezza, soffre.

D’altronde, i dati che vengono rilasciati dalle Camere di Commercio USA, indicano una serie impressionante di fallimenti mentre altre realtà commerciali e produttive hanno preavvisato drastiche riduzioni di personale.

Del segno che, se l’economia ha imparato a muoversi in modo globale, spalmando su tale globalità tanto le forze che le sue debolezze, è evidente che le contrazioni, gli spasmi, si espandono altrettanto rapidamente, non escludendo il grande capitale, che non sempre può riposizionarsi secondo il proprio solo volere. 

Zara ha chiuso 1.200 punti vendita; Victoria’s Secret ha dichiarato bancarotta;  La Chapelle si è ritirata da oltre  4.300 negozi; Chanel ha cessato ogni attività diretta, al pari di Hermes – a testimonianza che anche l’industria del lusso sta soffrendo pesantemente -; Nike, appesantita dalle sofferenze, sta approntando una seconda fase di licenziamenti; il fondatore di AirBnb ha dichiarato che, a causa della pandemia, 12 anni di sforzi sono stati distrutti in 6 settimane; Starbucks ha annunciato la chiusura definitiva di 400 negozi; la Hertz, proprietaria anche di altre catene di vetture a noleggio, ha dichiarato bancarotta; la più grande società di autotrasporti (Comcar, che ha 4.000 autocarri) ha presentato istanza di fallimento; J.C. Penny, la più antica catena di vendita al dettaglio, ha dichiarato bancarotta (l’acquisterà Amazon per una manciata di dollari); Warren Buffet e la stessa BlackRock – colosso di investimenti del mondo, con una gestione di oltre 7 trilioni di USA$ –  stanno segnalando un disastro nell’economia mondiale…

Ma decine di altri importanti nomi di quello che è il ‘commercio vitale’ negli USA sono in sofferenza acuta: segno che qualcuno è scivolato sulla più classica delle bucce di banana, ossia ‘ha fatto i conti senza l’oste’.

           

Non passi avanti fatti calzando scarponi militari e imbracciando armi, possono recare miglioramenti!         

 Non lo scoppio di altre guerre ma solo lo scoppio della Pace, possono salvare il Mondo!                     

Una Pace fatta non di bombe, cannoni, aerei da combattimento, portaerei e missili supersonici, o virus manipolati per uccidere; una Pace fatta da nuovi uomini in grado di ragionare con mente aperta e con nuovi e diversi presupposti (il più importante è che se distruggo te, anche tu distruggerai me), perché le guerre a eliminazione, di stampo medievale non sono più praticabili.

Anche questo dovrebbero rammentare gli elettori che in Europa si apprestano a entrare nelle cabine elettorali: oggi hanno la possibilità di influenzare scelte sicuramente coraggiose, ma decisamente più sane e intelligenti, lasciando a casa soggetti che praticano della politica deteriore, fine a sé stessa, senza arte né parte, maldestra e persino ridicola, tesa all’arricchimento stolto di pochi.

E questo si potrà raggiungere solo esprimendo il proprio voto.

E la Svezia se ne è rapidamente accorta: con una straordinaria affluenza alle urne, l’84%, ha ribaltato la propria attesa di Governo, gettando alle ortiche quegli ideologi che le hanno causato tanti danni.

Solo la Pace, potrà salvarci: ne usciremo con le ossa rotte, ma il Mondo ha in sé la forza di poter produrre la ‘giusta medicina’, una ‘medicina’ che non può fare a meno dell’Uomo, del Bene, della Solidarietà dei Popoli, della Tolleranza delle Genti e – in particolar modo – della Libertà.

Abbiamo toccato con mano l’inutilità di chi sosteneva e sostiene che ‘libertà e democrazia’ siano esportabili, come fossero degli oggetti inanimati da collocare su una mensola. I livelli di ‘libertà e democrazia’ non possono prescindere dalla diversa sensibilità, storia e cultura di Popoli e Genti.

Va individuato, e quindi condiviso, un nuovo modello di vita, più equilibrato quanto certamente riconducibile a una Nuova Armonia Universale, grati a Chi possa aver dato la possibilità all’Uomo di esistere.

Aristotele – filosofo, scienziato e logico della Grecia antica, ritenuto una delle menti più universali, innovative e prolifiche di tutti i tempi, tanto per la vastità del suo sapere che per la profondità dei campi di conoscenza – sintetizzava così il proprio pensiero politico: ogni popolo ha il governo che si merita.            

Non so altrove, ma in Italia meritiamo qualcosa di più e di meglio: se ne accorgerà il Popolo?

Spero proprio di sì: e andare alle urne, depositare il proprio voto, potrà esserne valida testimonianza.




Perché l’integrazione è ancora solo un riempitivo nelle bocche dei politici

E’ inutile girarci intorno: la scuola italiana non è preparata ad accogliere i ragazzi stranieri.

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Ormai da diverso tempo numerosi ragazzi , provenienti da vari paesi, vengono gettati nelle classi in base alla propria età anagrafica, senza nemmeno tentare di capire chi sono, cosa hanno fatto fino a quel momento.

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Abbandonati al buon cuore degli insegnanti, dei dirigenti, di chi tenta di occuparsi di loro, sfruttando le poche risorse che il ministero concede.

E allora che si fa? Immaginatevi per un attimo nei panni di uno di questi ragazzi, diciamo un africano, magari senegalese, che magari non ha frequentato altro che la scuola coranica, dove si impara a scrivere e leggere l’arabo e poco altro.

Immaginatevi di arrivare in una città che non è la vostra, dove si parla una lingua che non è la vostra, in mezzo a ragazzi che non vi capiscono e che non capite.

Immaginatevi di dover stare seduti ad ascoltare una lingua che non comprendete, materie che non capite per 5/6 ore ogni mattina dal lunedì al sabato.

Immaginate che il docente vi rivolga la parola, vi chieda di scrivere e voi non ne siete capaci, immaginate che vi trattino con disprezzo perché non capite quello che vi viene detto, oppure che vi diano pagine da leggere, ma voi non sapete leggere quei segni grafici così diversi da quelli che siete abituati a decodificare. 

Immaginatevi tutto questo e chiedetevi: è giusto?

No non lo è, per loro, per noi.

Solo il governo Letta si è occupato un po’ di questo aspetto, che però è un fenomeno in crescita, verso il quale dobbiamo focalizzare il nostro sguardo.

Non possiamo affidarci al buon cuore di qualche insegnante che, nelle ore buche, nelle ore di sostegno, aiuta questi ragazzi a progredire, neppure possiamo aspettarci che , dirigenti illuminati, mettano a disposizione le risorse scarse che hanno per colmare le lacune di un ministero che guarda oltre e mai in profondità.

Dobbiamo seriamente riflettere sulle opportunità da offrire a questi ragazzi, che hanno bisogno in primis di apprendere la nostra lingua per poter socializzare con gli altri e imparare qualcosa della nostra civiltà.

Invece per il nostro ministero essi sono pari a studenti italiofoni e come tali devono affrontare ad esempio le prove invalsi, il tema di italiano, lo scritto di matematica.

E’ giusto? No non lo è.

Arrivano in fondo alle medie?

Di solito si perché i docenti si spendono perché possano conseguire il titolo. 

Che fine fanno dopo?

Dato che l’obbligo scolastico è sino ai 16 anni, bivaccano abbandonati in qualche scuola professionale, fino al compimento dei 16 anni, poi non so, ma temo che spendano male la loro vita.

Certo non sono tutti così, qualcuno, dotato di grande e pronta intelligenza, con molta voglia di fare, con genitori che comprendono la necessità dell’istruzione, riesce, nonostante l’oblio del ministero, a farsi strada a recuperare almeno in parte i fondamenti dell’istruzione, ma sono pochi e rari.

La maggior parte si trova a disagio, un disagio che viene alimentato talvolta purtroppo anche dalla scuola, dai compagni, dai docenti, e poi si perde…

E’ chiaro che questi ragazzi di 12, 13 anni non possono essere inseriti in una classe di prima elementare, dove potrebbero apprendere la scrittura, l’aritmetica, ma si dovrebbe cominciare a pensare a un tempo scuola articolato in modo diverso, fatto di molte ore di lingua italiana e matematica e qualche ora di socializzazione in classe  magari durante materie più pratiche, come scienze motorie o musica.

Si dovrebbe pensare ad accogliere questi ragazzi e dare loro una vera opportunità di integrazione, perché non possiamo continuare a girarci dall’altra parte e sperare che qualcosa arrivi, che qualcosa cambi.

 

Paola Delibra

Cronista Freelance




I Partiti … ed i Rimasti.

Fratelli d’Italia al 27%, PD al 20,4%, Lega al 12,1%, Azione Italia Viva al 7,5%, Forza Italia al 6,7%, 5stelle 12,8% e siamo già al 86,5%, il restante 14,2% % se lo dividono i minoritari.

Questi i numeri dei sondaggi che, ovviamente, non hanno chiesto agli intervistati se poi andranno a votare davvero.

Infatti credo che il problema di questa tornata elettorale potrebbe essere l’affluenza al voto.

Rischiamo che pochi decidano per molti.

A parte questo siamo di fronte al mondo delle meteore, la famosa trasmissione degli ex famosi che in batter d’occhio sono tornati nell’oblio della normalità.

Non voglio portarvi alla facile riflessione che chi era al 30 ora è al 10 e chi era al 10 ora è al 30, nemmeno vorrei farvi notare come rispetto a 30 anni fa sono spariti alcuni partiti, il simbolo più eclatante è la Democrazia Cristiana ma non è la sola, ma mi piacerebbe farvi vedere come le persone sono sempre le stesse ed addirittura non sono più nel partito da cui erano partiti (scusate il facile gioco di parole).

Voglio farvi vedere questa tabella che racconta quanti governi abbiamo avuto in Italia fino ad oggi: 67 e sono messi in ordine di durata.

N. Giorni in carica Giorni effettivi Governo Periodo in carica Data di termine
1. 1412 1409 Governo Berlusconi II 11 giugno 2001 – 23 aprile 2005 20 aprile 2005
2. 1287 1283 Governo Berlusconi IV 8 maggio 2008 – 16 novembre 2011 12 novembre 2011
3. 1093 1058 Governo Craxi I 4 agosto 1983 – 1 agosto 1986 27 giugno 1986
4. 1024 1019 Governo Renzi 22 febbraio 2014 – 12 dicembre 2016 7 dicembre 2016
5. 886 874 Governo Prodi I 18 maggio 1996 – 21 ottobre 1998 9 ottobre 1998
6. 852 832 Governo Moro III 24 febbraio 1966 – 25 giugno 1968 5 giugno 1968
7. 722 617 Governo Prodi II 17 maggio 2006 – 8 maggio 2008 24 gennaio 2008
8. 721 704 Governo De Gasperi VII 26 luglio 1951 – 16 luglio 1953 29 giugno 1953
9. 684 670 Governo Segni I 6 luglio 1955 – 20 maggio 1957 6 maggio 1957
10. 629 614 Governo Andreotti VI 23 luglio 1989 – 13 aprile 1991 29 marzo 1991
11. 613 598 Governo De Gasperi V 24 maggio 1948 – 27 gennaio 1950 12 gennaio 1950
12. 591 535 Governo Andreotti III 30 luglio 1976 – 13 marzo 1978 16 gennaio 1978
13. 581 547 Governo Moro II 23 luglio 1964 – 24 febbraio 1966 21 gennaio 1966
14. 577[4] 523 Governo Draghi 13 febbraio 2021 – in carica 21 luglio 2022
15. 575 555 Governo Fanfani III 27 luglio 1960 – 22 febbraio 1962 2 febbraio 1962
16. 561 527 Governo Colombo 6 agosto 1970 – 18 febbraio 1972 15 gennaio 1972
17. 545 535 Governo De Gasperi VI 27 gennaio 1950 – 26 luglio 1951 16 luglio 1951
18. 536 467 Governo Gentiloni 12 dicembre 2016 – 1 giugno 2018 24 marzo 2018
19. 529 401 Governo Monti 16 novembre 2011 – 28 aprile 2013 21 dicembre 2012
20. 527 509 Governo Conte II 5 settembre 2019 – 13 febbraio 2021 26 gennaio 2021
21. 511 497 Governo Scelba 10 febbraio 1954 – 6 luglio 1955 22 giugno 1955
22. 487 359 Governo Dini 17 gennaio 1995 – 18 maggio 1996 11 gennaio 1996
23. 485 448 Governo Fanfani IV 22 febbraio 1962 – 22 giugno 1963 16 maggio 1963
24. 466 401 Governo De Mita 13 aprile 1988 – 23 luglio 1989 19 maggio 1989
25. 461 445 Governo Conte I 1 giugno 2018 – 5 settembre 2019 20 agosto 2019
26. 446 410 Governo Moro IV 23 novembre 1974 – 12 febbraio 1976 7 gennaio 1976
27. 442 377 Governo Andreotti VII 13 aprile 1991 – 28 giugno 1992 24 aprile 1992
28. 427 423 Governo D’Alema I 21 ottobre 1998 – 22 dicembre 1999 18 dicembre 1999
29. 421 405 Governo Spadolini I 28 giugno 1981 – 23 agosto 1982 7 agosto 1982
30. 411 400 Governo Amato II 26 aprile 2000 – 11 giugno 2001 31 maggio 2001
31. 408 395 Governo Zoli 20 maggio 1957 – 2 luglio 1958 19 giugno 1958
32. 404 373 Governo Segni II 16 febbraio 1959 – 26 marzo 1960 24 febbraio 1960
33. 389 374 Governo Berlusconi III 23 aprile 2005 – 17 maggio 2006 2 maggio 2006
34. 377 351 Governo Andreotti II 26 giugno 1972 – 8 luglio 1973 12 giugno 1973
35. 377 259 Governo Ciampi 29 aprile 1993 – 11 maggio 1994 13 gennaio 1994
36. 373 324 Governo Andreotti IV 13 marzo 1978 – 21 marzo 1979 31 gennaio 1979
37. 358 346 Governo De Gasperi IV 1 giugno 1947 – 24 maggio 1948 12 maggio 1948
38. 305 298 Governo Amato I 28 giugno 1992 – 29 aprile 1993 22 aprile 1993
39. 300 292 Governo Letta 28 aprile 2013 – 22 febbraio 2014 14 febbraio 2014
40. 260 214 Governo Craxi II 1 agosto 1986 – 18 aprile 1987 3 marzo 1987
41. 259 226 Governo Goria 29 luglio 1987 – 13 aprile 1988 11 marzo 1988
42. 253 220 Governo Forlani 18 ottobre 1980 – 28 giugno 1981 26 maggio 1981
43. 253 202 Governo Rumor V 15 marzo 1974 – 23 novembre 1974 3 ottobre 1974
44. 251 225 Governo Berlusconi I 11 maggio 1994 – 17 gennaio 1995 22 dicembre 1994
45. 250 237 Governo Rumor IV 8 luglio 1973 – 15 marzo 1974 2 marzo 1974
46. 246 149 Governo Fanfani V 1 dicembre 1982 – 4 agosto 1983 29 aprile 1983
47. 243 227 Governo Cossiga I 5 agosto 1979 – 4 aprile 1980 19 marzo 1980
48. 236 204 Governo Rumor I 13 dicembre 1968 – 6 agosto 1969 5 luglio 1969
49. 234 185 Governo Rumor II 6 agosto 1969 – 28 marzo 1970 7 febbraio 1970
50. 231 204 Governo Moro I 5 dicembre 1963 – 23 luglio 1964 26 giugno 1964
51. 229 208 Governo Fanfani II 2 luglio 1958 – 16 febbraio 1959 26 gennaio 1959
52. 203 190 Governo De Gasperi II 14 luglio 1946 – 2 febbraio 1947 20 gennaio 1947
53. 197 177 Governo Cossiga II 4 aprile 1980 – 18 ottobre 1980 28 settembre 1980
54. 171 147 Governo Leone II 25 giugno 1968 – 13 dicembre 1968 19 novembre 1968
55. 169 78 Governo Moro V 12 febbraio 1976 – 30 luglio 1976 30 aprile 1976
56. 166 136 Governo Leone I 22 giugno 1963 – 5 dicembre 1963 5 novembre 1963
57. 155 141 Governo Pella 17 agosto 1953 – 19 gennaio 1954 5 gennaio 1954
58. 137 10[5] Governo Andreotti V 21 marzo 1979 – 5 agosto 1979 31 marzo 1979
59. 131 100 Governo Rumor III 28 marzo 1970 – 6 agosto 1970 6 luglio 1970
60. 129 8[5] Governo Andreotti I 18 febbraio 1972 – 26 giugno 1972 26 febbraio 1972
61. 126 119 Governo D’Alema II 22 dicembre 1999 – 26 aprile 2000 19 aprile 2000
62. 123 115 Governo Tambroni 26 marzo 1960 – 27 luglio 1960 19 luglio 1960
63. 119 100 Governo De Gasperi III 2 febbraio 1947 – 1 giugno 1947 13 maggio 1947
64. 102 10[5] Governo Fanfani VI 18 aprile 1987 – 29 luglio 1987 28 aprile 1987
65. 100 82 Governo Spadolini II 23 agosto 1982 – 1 dicembre 1982 13 novembre 1982
66. 32 12[5] Governo De Gasperi VIII 16 luglio 1953 – 17 agosto 1953 28 luglio 1953
67. 22 11[5] Governo Fanfani I 19 gennaio 1954 – 10 febbraio 1954 30 gennaio 1954

Sapete da quanto esiste la nostra repubblica?

Dal 1948, data in cui entrò in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana.

Pertanto la nostra Repubblica può vantare 74 anni, il che significa 74/67  = 1,1 durata media di un governo italiano.

In Germania per esempio la durata media di un governo è 9 anni, mentre in Francia è di 4.

Ma quello che credo sia importante notare è che la durata dei governi è direttamente collegata al numero di partiti presente, maggiori i partiti minore la durata del GOVERNO.

Tornando a noi, ma vi invito a riflettere sul dato che vi ho appena esposto, il nostro paese ha una volatilità di governo talmente alta da fare invidia ad un paese rivoluzionario del Sudamerica.

Lo sapete poi che De Gasperi ha guidato ben otto governi ed Andreotti sette?

E lo sapete che il governo che è durato di più è il governo Berlusconi due?

Pensate un poco a questo scenario e poi andate a votare.

Io credo che questa classe politica vada fermata, io sono convinto che occorre dare un segnale importante che faccia capire a questi “signori” che ci siamo decisamente rotti gli zebedei e non siamo più disposti a farci prendere per i fondelli.

Io non voglio farvi cambiare idea su chi votare, io voglio rendervi consapevoli dell’importanza del vostro voto, perché, cari amici, con il vostro voto Voi avete rovinato l’Italia (nel voi ci sono anch’io ovviamente).

IO vorrei che questa situazione che vi ho raccontato, i 3000 miliardi di debito pubblico, la situazione di crisi pari solo a quella dopo la prima guerra mondiale, l’incapacità dell’Italia di mantenersi i suoi tesori sia industriali che artistici che intellettuali, non vi facciano dormire la notte, vorrei che ritrovaste davvero dentro di Voi il valore del voto come strumento anche di protesta, ma soprattutto, che siate in grado di analizzare i danni che hanno fatto quelli che avete votato prima.

La colpa è nostra, di tutti noi, per anni abbiamo buttato via il nostro voto per motivi stupidi, a volte per interesse personale, spesso per motivi ideologici senza fondamento, lo abbiamo dato a persone inaffidabili, delinquenti esperti e consumati nell’arte del raggiro che ancora oggi ci raccontano cazzate immani con la presunzione assoluta che noi, sprovveduti popolani, abbiamo il dovere di crederci, spesso lo abbiamo adagiato tra le braccia di imbonitori di bassa lega che facevano promesse che nessuno sano di mente avrebbe nemmeno ascoltato, ed invece noi ci abbiamo creduto, illudendoci di costruire un futuro per i nostri figli, figli che sono cresciuti in un mondo falso da noi stessi creato, spesso abbiamo votato per disperazione, magari chi ci diceva “tranquilli io sono diverso” per poi accorgerci che la diversità stava solo nel fatto di essere peggio di quelli di prima.

Ed ora cari amici quelli rimasti con il cerino in mano siamo noi, illusi sprovveduti amanti delle favole, bambini raggirati da lupi del bosco, novelli Hansel e Gretel intrappolati dalla casetta di marzapane (che poi, ragazzi, il marzapane nemmeno è quella gran cosa), siamo talmente tristi ed infelici che abbiamo perso persino la voglia di incazzarci e ci nascondiamo dietro la frase “non voto tanto non serve ad una mazza”, NO, NO, NO, ragazzi miei, votiamo facciamo vedere a questi staticidi che Noi ci siamo, diamoglielo un calcio nel culo con il nostro voto!

Certo mi direte voi, chi votare?, ebbene vi dico io esercitiamo il diritto di votare ma scriviamo tutti quanti sulla scheda:

Siamo troppo incazzati con tutti voi, ridateci il nostro paese!

Certo se lo facessimo tutti, ma proprio tutti, sai che botta che gli daremmo a sti quattro ladri di polli!!!




Di male in peggio? Oppure…

Già, “Oppure…”.

In questa piccola congiunzione – alternativa quanto rafforzativa di ‘o’ – c’è depositato il destino pratico della tornata elettorale del 25 Settembre.

Una data in cui una gran parte di Cittadini ha riversato una valenza da ‘ultima spiaggia’, sperando di poter contribuire a un cambiamento radicale, quasi uno stravolgimento; ma anche una data da altri affrontata in modo possibilista quanto disincantato, all’insegna del “sì…vado a votare, ma penso che difficilmente possa cambiare qualcosa”; una data, infine, in cui il voto popolare potrebbe non essere espresso per protesta verso quanti, incapaci di distaccarsi seriamente dal ‘sistema’ nel corso delle proposte espresse in campagna elettorale, potrebbero indulgere nel ripetere gli errori fatti in precedenza: c’è chi lo chiama ‘astensionismo’, ma corre nelle ultime settimane l’utilizzo del termine ‘sottrazione del consenso’ (nel senso di ‘disconoscimento’ e ‘delegittimazione’ del ‘sistema’, perché ‘folle’ e ‘disumano’: così come recitano le informazioni date) anche verso chi sembra non avere preso decise distanze dallo stesso.

“Oppure…”. Ossia non riporre aperta fiducia nel meccanismo elettorale e in ciò che potrebbe scaturirne – in termine di consensi/dissensi preferenze/bocciature -, ma fare affidamento nella speranza che alfine possa accadere l’insperato.

Nella strana scelta temporale, che ha dettato i tempi attraverso la determinazione della data delle elezioni, è riposto il coacervo di elementi che hanno costretto i partiti a concentrare in poco tempo la propria campagna, ma anche i motivi veri che possano sottostare a tale decisione. 

Una serie di elementi, quali la prosecuzione di una certa attività di governo nonostante questo sia abilitato solo al ‘disbrigo degli affari correnti’ (leggasi ‘ordinaria amministrazione’), la carenza di misure reali atte a spezzare l’abominevole spirale rialzista di tariffe e prezzi al consumo, l’assenza di misure immediate per contrastare inflazione e stagnazione, l’assenza pratica di misure per salvaguardare il ciclo produttivo, le aziende, le imprese, nonché per stimolare con decisione l’offerta di lavoro.

Che sicuramente non potrà concretamente avvenire se prima non si arresta la morte – persino ‘preannunciata’ – di aziende e imprese di ogni dimensione.

A nulla valgono le momentanee panacee costituite da una pioggia di ‘bonus’, che tanto assomigliano a ‘toppe’ apposte là dove i ‘buchi’ sono enormi: e mai nessuno che dica “ho sbagliato!”, “abbiamo fatto male il nostro lavoro, non abbiamo previsto bene, ci dimettiamo, oppure faremo di tutto per correggere le conseguenze dei nostri errori”.

Mai che qualcuno, con onestà, abbia usato queste parole! E il bello – anzi, il ‘brutto’ – è che anche nell’ambito di quella sacca di potere rappresentata da Bruxelles – e quindi dalla UE, ossia da quel contesto che ‘dirige l’orchestra’ imponendo ogni giorno misure tra loro persino disaggregate e conflittuali – gente peraltro remunerata profumatamente mai trova l’umiltà di dire “abbiamo sbagliato”.

Dicevo dei ‘bonus’: ove applicati, hanno avuto il pregio di far lievitare il prezzo dei beni e quindi il costo complessivo: bonus sui condizionatori?

Aumento dei loro prezzi. Sui lavori per il rifacimento di facciate, consolidamento antisismico, efficienza termica, caldaie a gas?

Aumento esponenziale dei prezzi: il materiale da costruzione è arrivato a prezzi incredibili. Che dire di tutta quella serie di ‘aiuti’ e ‘aiutini’ (a carico di chi lavora e paga le tasse) vanno a chi non viene minimamente stimolato alla ricerca di un lavoro (in ogni caso, difficile da trovare)?

Che dire dei prezzi dei generi alimentari, anche di prima necessità?

Esplosi, con incrementi pressocché quotidiani: senza che il governo – dei ‘migliori’ o dei ‘peggiori’ – abbia mosso un dito, per controllare/calmierare/amministrare i prezzi e la loro dinamica! Una questione che addirittura fa parte delle proposte elettorali di un partito con elevata valenza nel nord: votateci e metteremo mano a questo ‘scempio’ sociale ed economico!

Assurdo! E poi ci si riempie la bocca con paroloni tipo ‘transizione’, ‘intelligenza artificiale’ o ‘resilienza’ o – in altro settore, ugualmente deficitario – ‘fragili’…

Ma se a occuparsi di intelligenza artificiale sono persone incompetenti, trasferiranno nell’artificiale la loro modesta preparazione.

E questa modesta preparazione individuale dei nostri amministratori, questa loro assenza di capacità programmatica (ovvero: ‘tirare a campare’ di giorno in giorno), questo utilizzo con estrema leggerezza delle risorse finanziarie pubbliche (dai banchi con le rotelle alle mascherine, dalle scorte incredibili di vaccini al depauperamento dei quadri costituenti il sistema sanitario nazionale, dalla gestione della problematica covid alla cessione di asset del patrimonio produttivo ed economico-finanziario nazionale alla cattiva gestione delle crisi occupazionali, e tanto altro ancora.

Liberiamo la Corte dei conti dai lacci e lacciuoli rappresentati da quelle norme che impediscono ricognizioni, indagini, procedimenti e sanzioni, dando così la possibilità di ritrovare una funzione sanzionatoria attente e rigorosa.  

Aboliamo quelle aree assolutamente opache delle salvaguardie (leggasi non responsabilità ovvero non punibilità) richieste da taluno nell’accettare un incarico: hai paura di sbagliare, sei incompetente?

Non accettare l’incarico e vai a lavorare da altre parti; diversamente, assumiti tutte le tue responsabilità, e non guardare solo ai (troppi) onori e alle (più che ricche) prebende!

 Nell’attuale campagna elettorale, ricca di omologazioni e persino banali sovrapposizioni, specie nei programmi ora di questo ora di quel candidato, ora di questo ora di quel partito, è mancato il coagulo di tutte quelle energie profuse – tra proteste, incontri, adunate nelle piazze – nell’area della contestazione e dell’aperto,  plateale, dissenso verso un ‘sistema’ ormai autoreferenziale e lontano dai problemi e dalla voce dei cittadini, senza più un dialogo corretto e lungi da quei preziosi equilibri pur sanciti dalla nostra Costituzione.

E’ mancata la volontà di ‘fare gruppo’, cedendo alla tentazione di fare corsa a sé: con quali prospettive, e con quali reali finalità non è dato sapere; ma la più parte dei cittadini si è trovata spiazzata nell’aver aderito a contesti che, ai sensi di norme elettorali da rivedere e correggere, si sono trovati senza rappresentanza, senza un partito che potesse accedere alla competizione, tanto per la Camera che per il Senato, e in tutte le Regioni.

Sono state sciupate preziose energie, persino vitali e ricche di umori: cosa poi possa eventualmente nascondersi dietro le scelte di ‘capi’ e ‘capetti’ che hanno preferito correre in solitario, forse lo sapremo tra qualche tempo.

Certamente, la situazione non è delle migliori: anzi, tutt’altro. Siamo presi in una morsa feroce: tra UE, NATO, speculazione e aumenti del costo dei prodotti energetici: gas in testa ed energia elettrica (che è stata maldestramente legata al costo del gas) a seguire.

Tutta la stampa e la rete sono ormai percorse da una verità: cattive e castranti politiche energetiche (nel tempo); errata scelta politica di non affidarsi alla possibilità di libera contrattazione, ma di fare riferimento alla piazza (dire speculativa, è un eufemismo) di Amsterdam (gestita da una società… americana) per il mercato del gas, e a quella di Lipsia (per l’energia elettrica): la strana situazione italiana con l’ENI che moltiplica in progressione geometrica i propri utili, facendo pagare agli utenti prezzi di mercato mentre l’ente acquista a prezzi contrattuali minimi (non so quale tipo di reato possa essere… ma lo è), ente di cui l’Italia detiene oltre il 30% del pacchetto azionario (che grande errore fu cedere la maggioranza ai fondi americani!).

Ma non c’è traccia di un intervento governativo, se non per ideare dei ‘bonus’ (aiutini a imprese e famiglie), senza però rimuovere le cause degli aumenti subiti per colpa della speculazione.

Eppure, pur di fronte a deficienze operative e gestionali di tale calibro da parte del governo e di chi lo sostiene in Parlamento, la controparte – ossia, l’opposizione o l’oppofinzione come ripetutamente ormai viene definita – cosa sta facendo, di concreto?

Domanda retorica, risposta non pervenuta.

Agenda Draghi fallita? Riproponiamola.

Governo Draghi sfiduciato? Riproponiamolo.

Molti errori fatti dal governo Draghi? Riproponiamolo. Anzi no.

Governo allargato a tutte le forze politiche con Draghi a capo in una qualche veste.

Sospendiamo la campagna elettorale, Calenda dixit, e andiamo avanti ‘sempre con’ Draghi.

Sinceramente non credevo che vedove e orfanelli di Draghi – ma non sono gli stessi che lo hanno sfiduciato? – ne patissero l’assenza in maniera tanto acuta: sembrerebbe che ora tutti abbiamo timore di prendere in mano una situazione certamente bollente, con la UE che preme per stringerci al collo il cappio del MES (ora camuffato da aiuto per il gap energetico: ma si tratta pur sempre di prestito a titolo oneroso, e gli interessi sono salati anziché no) Non c’è l’agenda, ma c’è il di lui programma, stilato qualche tempo fa nell’ambito di associazioni (sovranazionali? Segrete?) dei trenta o dei centrotrenta o dei quattrocento o vattelapesca…  

Senza Monti, non si andava avanti…

senza Draghi, non si va avanti… (eppure qualche controindicazione c’era e c’è: i conflitti di interesse pur esistono).

Quindi: in Italia non c’è un pur minimo soggetto degno di occupare ‘quel’ posto perché eletto, perché parte di un partito politico, perché capace e preparato?

Mah! Mistero e misteri misteriosi che, non misteriosamente, ci pongono di fronte alla realtà delle realtà: la destra, la sinistra, i partiti politici (almeno, così come li conosceva chi oggi ha dai 35 anni in su) non esistono più: esistono combinazioni che a loro volta si intersecano e si avvitano con altre combinazioni, in un circolo poco virtuoso sempre più rapido.

Sono atlantista, ma ho poca tolleranza per chi dica ‘devi fare così perché lo dico io’ oppure ‘devi dare ragione a tizio e non a caio, perché te lo ordino’.

Oppure ‘tizio ha ragione, è una vittima.

Perché?

Perché lo dico io!’.

Peraltro, ritengo che il nostro ‘debito’ verso i liberatori alleati, lo abbiamo regolato da molto tempo.

Sono pacifista, amo il dettato della Costituzione dove espressamente prevede che ‘l’Italia ripudia la guerra’: ma che ripudio è se mi schiero a favore o a sfavore di qualcuno in un teatro bellico non coperto da patti specifici di alleanza, se vendo armi, se vendo armi che so che verranno adoperate ‘per’ o ‘contro’ qualcuno, se aderisco a sanzioni o altro?

Già, le sanzioni: ci stanno massacrando, e stanno massacrando l’Europa: eccetto la Norvegia e con grande profitto degli USA, che le impongono, ma non ne subiscono le conseguenze di ritorno.

E mi dite poi che l’Italia ripudia la guerra? Guerra non è solo quella fatta con le armi, è anche quella economico-finanziaria, quella energetica, quella che può tagliare fonti di approvvigionamento primarie.

Gli USA stanno vendendo armi in quantità, con una programmazione che frutterà dollari/euro in quantità per molti anni, grazie al riarmo e alle maggiori spese militari imposte all’Europa.

Stanno investendo enormi risorse (stampando nuova moneta) ma nel contempo stanno drenando liquidità immessa in precedenza nel sistema, sostituendola con carta commerciale vera.

Quanto al gas, poiché ci vogliono bene, ce ne forniranno in sostituzione dell’odiato gas naturale russo: piccolo particolare, costa molto di più.

Nel gioco del ‘chi ci guadagna’ e ‘chi ci perde’, l’Italia è certamente perdente, e a caro prezzo: specie se, per motivi ignoti ai suoi Cittadini, è in una condizione di vulnerabilità per chissà cosa.

    Leggo la commediola semiseria che si sta recitando attorno al ‘tetto al prezzo del gas’ (e, indirettamente, anche dell’energia elettrica?) sempre motivato da propositi buonisti verso le popolazioni (tartassate, ma non in maniera uniforme: quindi sussistono già delle disparità a livello UE) e il tessuto produttivo-commerciale delle stesse. È una cosa buona?

È il tentativo della governance UE di mettere una qualche toppa al proprio tardivo intervento?

O è l’ultimo ipotetico ‘favore’ che potrebbe essere fatto alla speculazione, definendo un price-cap, un tetto, troppo alto rispetto alla fase discendente dei prezzi, che andrebbero tutelati da un reale, autentico, libero mercato?

A mio avviso, di questo tetto non se ne sente bisogno: anche per non creare un’altra dinamica dove Bruxelles viene delegata di un qualcosa.

Ormai, Bruxelles ha assunto connotazione che la identificano a una centrale-acquisti che si occupa di tutto (ovvero: che sottopone ipotesi pre-confezionate agli stati aderenti, nel segno di ‘ci penso io, tu vota a favore’).

Aiutini di Stato o risolvere il problema a monte?

Vedere morire l’Italia e gli Italiani, in un’Europa comunque fallimentare, o assumere finalmente misure strategiche e funzionali?

L’Italia deve ritrovare il suo respiro, il proprio margine di autonomia decisionale e operativo, una pur minima sovranità utile a superare – secondo i parametri propri delle esigenze dei propri Cittadini e non (o ‘non solo’) perché ‘ce lo chiede l’Europa’! – eventuali tematiche o problematiche.

A proposito di Cittadini: dai vertici all’ultimo uscire della PA, si sente sostenere in continuazione che ‘mancano infermieri’, ‘mancano medici’, ‘manca personale ausiliario di elevato profilo’; già mancano.

Ma il pensiero va a tutti coloro che sono stati costretti a lasciare il posto di lavoro perché – liberamente, ai sensi della nostra Costituzione – non hanno voluto cedere al ricatto vaccinale, agli aut-aut imposti mediante la creazione di un obbligo tale da scavalcare ogni diritto individuale, personale.

Mancano, quindi. Eppure, a ogni inizio di anno accademico, si procede a una selezione mediante quiz, utile a mantenere un ‘numero chiuso’: incapacità di gestire, di vedere oltre la punta del proprio naso?

Quiz, come gli ultimi di poche settimane fa, estremamente discutibili nella formulazione e nella stessa qualità: Einstein avrebbe rischiato l’esclusione, così come ha dimostrato un noto Medico, prestatosi a sostenere tale pre-selezione, dimostrandone la scarsa utilità e la deficitaria propensione a una reale scrematura, selezione.

Mancano?

Ma negli ultimi anni, la politica al governo ha falciato 111 ospedali e chiuso 113 pronto-soccorso, con un abbattimento di almeno 35.000 posti-letto e aumento dei tempi di attesa per visite e interventi anche esiziali (chi ne ha beneficiato? Forse il sistema privatistico?).

Tra poco, saremo in autunno, e avremo una recrudescenza di raffreddori, bronchiti e infiammazioni ai polmoni, oltre a quella che ‘c’era una volta’ veniva chiamata influenza!

E non è improbabile che a patirne di più potrebbero essere proprio i pluri-vaccinati, stante le loro accertate minori difese immunitarie (ormai, la nomenclatura ufficiale è amplissima).

Vogliamo aprire un concorso?

Con quale nome – nella stagione 2022/2023 – sarà ribattezzata la normale sindrome influenzale? L’EMA, e di conseguenza l’AIFA, hanno dato recentissimo via libera alle somministrazioni di c.d. vaccini (sperimentali anche questi?) bivalenti (dicono che contenga elementi dell’originario Wuhan più elementi dell’Omicron: tutti e due, però superati dal continuo mutare del corona): ma l’EMA – che per l’80% è finanziato proprio da BigPharma – può dirsi imparziale e attendibile nelle sue disamine, nei suoi accertamenti? E l’OMS?

Bruxelles, dopo la svolta imposta con i veicoli elettrici, si sta accorgendo di quanto possa inquinare tale svolta: altro che green! Stessa sorte sta toccando alla tassa sulla CO2: a prescindere dai costi dimostratisi insopportabili che si dovrebbero sostenere, una serie di ricerche scientifiche recentemente presentate da un gruppo di oltre 1000 Scienziati (con la ‘S’ maiuscola) internazionali, ha del tutto ribaltato l’assioma CO”=inquinamento=danni al pianeta, dimostrando l’utilità in Natura anche del CO2.

Cosa dire poi della svolta impressa dal team di amministratori europei presieduto dalla Sig.ra Von der Leyen che vuole imporre la chiusura delle aziende zootecniche, l’abbattimento dei capi al 90% e la parallella diffusione di schifezze ‘inventate’ dal trattamento di scarafaggi, formiche, blatte.

Altre aziende chiuse, altra povertà, altra disoccupazione!

Tutto in nome del green e dei supposti benefici che ne deriverebbero all’ambiente.

Sicuri?

Proprio sicuri, lì a Bruxelles, o c’è da agevolare qualche altra linea produttiva?

Ma sanno questi Signori che il corpo umano soffrirebbe enormemente dall’utilizzo di queste ‘prelibatezze’?

A me, e non da oggi, sembra che l’Unione Europea – soddisfatte ma non esaurite le pulsioni avverse alla Grecia – abbia ora come obiettivo l’Italia.

Distruggendone, in un modo o in un altro, il tessuto produttivo, il lavoro, le consuetudini alimentari (e tutta la relativa produzione ed esportazione), l’economia, la finanza (ormai è fuori da ogni dubbio che la Lira sia stata uccisa, e con lei tutto l’impianto che ruotava attorno alla nostra bella, storica, valuta.

Chi ricorda quando vinse l’oscar con Guido Carli alla guida di Bankitalia?).

Obblighi, e imposizioni dominano ormai il rapporto, così che l’Italia – a parte le tante belle parole e le tante pacche sulle spalle – subisce, e non poco.

Quindi, elezioni il prossimo 25 Settembre. “Oppure…” già dal 24 un novello uomo-forte e senza contraddittorio potrà aver assunto poteri straordinari, speciali?

(questo il senso di uno dei soliti DPCM-Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – e non decreto legge – a firma Draghi, datato 1° Agosto 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 Settembre 2022 e che entrerà in vigore il 24 Settembre 2022: tutti distratti, a ogni livello?

O è quel cavallo di Troia, che giustifica i volti sorridenti e radiosi di taluno?).

Come e chi votare? “Oppure…” perché non votare? Ma Cetto Laqualunque in che partito sta?

Ciascuno agisca secondo coscienza, senza subire suggestioni: perché la scelta potrebbe essere tra poter ancora guardare a un futuro possibile o non avere più alcuna prospettiva, né prossima né futura.

Per sé stessi e per i propri figli.

 

 

 




Il destino dell’aquilotto romano: Napoleone II

 

Il 22 luglio di 190 anni fa moriva Napoleone II, figlio di Napoleone I, imperatore di Francia, e Maria Luisa d’Austria.

Edmond Rostand lo definì “l’aquilotto” poiché in vita era stato il Re di Roma e, com’è noto, l’aquila fu simbolo dell’Impero Romano.

Tante le aspettative verso l’infante ma infausto il suo destino.

Nonostante tutto, fu oggetto di popolarità tra i nostalgici del defunto padre, e quando morì divenne il leggendario Napoleone II l’aquilotto romano.

La nascita del re di Roma

“La colpa dei padri ricade sui figli”, insegna l’Antigone di Sofocle, e su questa scia si muove la vicenda storica del piccolo Napoleone.

Il suo sarebbe dovuto essere un destino di luce, ciò trova conferma nel nome tanto glorioso, ossia Napoleone Francesco Giuseppe Carlo Bonaparte: Napoleone come il padre- il grande imperatore-, Francesco come il nonno materno, Giuseppe come il fratello di Napoleone I, ossia Giuseppe Bonaparte, e Carlo come il nonno paterno.

Napoleone II nacque il 20 marzo 1811 dopo ore di paura e dolore per un parto difficile.

Quando venne al mondo, gli fu conferito il titolo di Re di Roma alla presenza di Eugenio di Beauharnais e del granduca di Wurzburg, lo zio di Maria Luisa.

«Sua Maestà l’Imperatore e Re ci ha dichiarato essere sua intenzione che il re di Roma riceva i nomi di Napoléon, François, Joseph, Charles.»

La Francia e l’Impero tutto conobbero la gioia della nascita dell’Imperatore dei Francesi grazie ai centouno colpi di cannone che furono sparati (infatti, Napoleone aveva previsto che in caso di erede maschio sarebbero stati sparati centouno colpi, mentre nel caso di una femmina soltanto ventuno).

Per festeggiare la venuta al mondo del bambino, durante quella notte le lucerne illuminarono in via straordinaria tutte le strade di Parigi, furono improvvisati spettacoli, e numerosi furono i componimenti scritti nell’occasione.

Si trattò di un evento eccezionale, infatti Napoleone sognava un erede al suo trono imperiale sin dal suo primo matrimonio con la moglie Giuseppina di Beauharnais, dalla quale divorziò poiché questa, essendo in età avanzata, non gli aveva dato alla luce figli; decise, poi, di sposare Maria Luisa d’Austria con la speranza di realizzare il suo desiderio e obiettivo (e cioè portare avanti la sua corona).

Il 18 maggio 1804 il Senato proclamò Napoleone I imperatore della Repubblica Francese e riconobbe il titolo di Principe imperiale al figlio maggiore dell’Imperatore, nonché quello di Principe Francese a tutti gli altri figli non primogeniti.

 

 

Napoleone II re di Roma

“ROMA CAPUT MUNDI”: governare Roma significava avere un potere centralizzato, e Napoleone lo sapeva molto bene. Infatti, decise di riconoscere al piccolo principe il titolo di Re di Roma e ciò fu avallato dall’art. 9 della Costituzione Francese.

Il titolo di Re di Roma era certamente un titolo prestigioso per il piccolo Napoleone II, ma comportava anche un grande peso simbolico da portare per tutta la sua vita.

Infatti, il titolo avrebbe dovuto palesare che Pio VII, il papa-re di Roma, non era più sovrano dello Stato Pontificio, poiché tale territorio faceva parte dei 130 dipartimenti francesi.

Mettere le mani su Roma significava due cose: spodestare il Papa, e continuità con il Sacro Romano Impero.

 

Durante l’epoca dei grandi Principi Elettori era stata istituita una prassi molto particolare: il sovrano poteva designare il suo erede conferendogli il titolo di Re dei Romani.

Dunque, con tale nomina, Napoleone I aveva evidenziato un legame fortissimo con la tradizione del Sacro Romano Impero, in più aveva rappresentato a tutti i sovrani delle potenze nemiche la sua forza.

Difatti, la forza di un re o imperatore non si manifesta nel numero di cannoni o di soldati, oppure con quanti territori governa, ma nella possibilità di tramandare il proprio potere a un erede legittimo.

Del resto- come già esposto precedentemente- questo era stato il motivo che aveva spinto l’Imperatore dei Francesi a divorziare con la prima moglie, la quale, non avendo generato

figli, aveva reso Napoleone I vittima delle maldicenze delle corti europee; di qui la scelta di sposare Maria Luisa d’Austria. Tale scelta, almeno fino a un certo punto, si rivelò vincente sotto tutti i punti di vista: infatti, in questo modo, Napoleone non soltanto aveva ottenuto il tanto amato e desiderato erede al trono, ma si era addirittura imparentato con l’imperatore d’Austria, uno dei suoi più grandi nemici.

Così, in Napoleone si accese la convinzione che mai l’Imperatore Francesco I avrebbe attaccato la Francia dal momento in cui la propria figlia e il proprio nipote facevano parte della famiglia imperiale; inoltre, egli credette che Francesco I avrebbe convinto l’Inghilterra a non muovere guerra alla Francia, garantendo un periodo di stabilità e pace sempre più forte.

Ma la sua era soltanto una labile illusione.

In Guerra e Pace Tolstoj racconta un episodio interpretato come presagio dell’infausto destino comune al padre e al figlio: Napoleone, prima di partire per la Campagna di Russia, volle portare con sé il ritratto del figlio, ma, ahimè, durante la ritirata, esso fu smarrito.

Napoleone II dopo la caduta dell’Impero

L’alleanza austriaca, russa e inglese evidenziò il fallimento del piano dell’Imperatore dei Francesi; nemmeno le nozze con Maria Luisa d’Austria avevano smussato l’odio verso Napoleone I.

Dopo aver perso diverse battaglie tra il 1813 e 1814, il 4 aprile 1814 Napoleone, con il trattato di Fontainebleau, abdicò, e il piccolo divenne Napoleone II, imperatore di Francia.

Dopo due giorni, il 6 aprile 1814, Napoleone dovette rinunciare per sé e per tutta la sua discendenza alla corona Imperiale.

Con il trattato di Fontainebleau Maria Luisa aveva ricevuto Parma, Piacenza e Guastalla. Il 9 aprile Maria Luisa e Napoleone II partirono per Orléans, ma il primo ministro austriaco Metternich deviò la rotta e li portò a Rambouillet. Secondo gli ordini impartiti, l’ex imperatrice di Francia e l’ex re di Roma giunsero il 23 aprile a Vienna, mentre Napoleone I partiva per l’isola d’Elba per un destino da esule.

Napoleone II era stato re di Roma, imperatore dei Francesi per due giorni, e duca di Parma e Piacenza.

Tuttavia, con il congresso di Vienna del 9 giugno 1815, e in particolar modo con l’art. 99, furono eliminati titoli, vitalizi e diritti per il figlio dell’Imperatore di Francia.

Inoltre, poiché il Papa non aveva annullato il matrimonio tra Napoleone e Giuseppina, il piccolo Napoleone II fu considerato figlio illegittimo, e Maria Luisa dovette abbandonarlo a Vienna.

Nonostante il bambino fosse prigioniero degli Austriaci, Napoleone I, al ritorno dall’Elba, gli conferì il titolo di Principe imperiale e, con l’abdicazione del 22 giugno 1815, lo nominava imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone II.

 

Dal canto suo, l’imperatore Francesco I temeva che il figlio dell’ “usurpatore” (come veniva definito Napoleone I dal nuovo sovrano francese) potesse continuare l’opera di conquista del padre; per tale ragione, decise di tenerlo a Vienna sotto sorveglianza: dopo avergli conferito il titolo di Duca di Reichstadt,  il  4  dicembre  1817  Francesco  I  gli  conferì  delle  terre  in  Boemia.

 

Napoleone II ricevette l’educazione severa che veniva impartita a tutti i prìncipi austriaci e gli furono insegnati le tradizioni e i valori austro-ungarici. Un chiaro e schiacciante segno di ripudio verso il ricordo francese fu l’uso del nome: infatti, il bambino veniva chiamato Franz e non Napoleone. Franz amava l’arte militare e vestiva in uniforme; a 12 anni divenne cadetto dell’esercito austriaco.

Questa sua passione fece sì che crescesse il timore delle monarchie europee che egli potesse riprendere le ambizioni del padre; tuttavia, Napoleone II non ebbe mai la possibilità di partecipare alla vita politica dell’Austria.

Nel 1831 Napoleone II, ottenne il comando militare di un commando austriaco ma soltanto formalmente poiché gli fu impedito di combattere sul campo di battaglia.

Il ricordo dell’Imperatore di Francia era ancora vivo nel cuore dei francesi e non solo.

Infatti, nel 1830 in Francia vi fu una rivolta che indusse Carlo X ad abdicare. I moti furono caratterizzati dalle urla della popolazione che invocava «Vive Napoléon II».

Questi episodi si verificarono anche in Belgio e in Polonia, ove i movimenti indipendentisti chiedevano Napoleone II come futuro sovrano.

 

Purtroppo, nel 1832 Napoleone II si ammalò di polmonite e morì di tisi il 22 luglio dello stesso anno a Vienna.

 

SALVATORE SAMO