DSGA, lo stato bipolare.

Nelle scuole esiste la posizione di Direttore dei servizi generali ed amministrativi, in pratica il vecchio segretario che si occupa di tutta la parte amministrativo contabile dell’istituzione.

Per anni questo ruolo è stato occupato da personale con il diploma di scuola media superiore, con anni di servizio come assistente amministrativo e con una grande esperienza di tutte le procedure della scuola.

Questo perché è un ruolo in cui conta molto l’esperienza.

L’anno passato è stato fatto il concorso per il ruolo di DSGA (sigla che identifica appunto il direttore), ne abbiamo scritto, vergognoso, ma comunque il fabbisogno, anche con quel concorso non è stato soddisfatto.

Per sistemare efficacemente la situazione bastava assumere il personale facente funzione diciamo con almeno 5 anni di incarico e le cose si sarebbero sistemate.

Anche perché uno Stato serio non può sfruttare persone per anni dandogli ruolo e responsabilità ma non il giusto riconoscimento di carriera ed economico.

Ora sembra invece che il concorso che dovrebbe uscire per i facenti funzione sia solo per personale in possesso di titolo di studio equivalente ad una laurea.

Ma stiamo scherzando!!!

Tu stato fai fare questo ruolo per anni a personale senza titolo e poi, quando devi metterlo a  posto, li prendi tutti per il sedere (scusate ma è proprio così) perché dici che non hanno il titolo!!!!

Ma quando ti hanno dovuto parare il sedere, caro stato, non te ne è fregato un accidente se avevano il titolo o no!!!

Titolo che poi non sono comunque riusciti prendersi perché il lavoro a cui tu li hai adibiti è talmente pesante che non gli ha dato il tempo di prendersi una laurea.

Tempo che, invece, hanno avuto magari persone molto meno qualificate e con molta meno esperienza e che tu stato metterai al loro posto facendo un danno gravissimo a te stesso.

MA SEI VERAMENTE BIPOLARE, FATTI CURARE!!!!!!

Ma voglio proprio vedere cosa faranno i sindacati, tessere dipendenti, davanti ad un così evidente sopruso dei lavoratori!!!!

MA BASTA, E’ VERGOGNOSO ASSISTERE A QUESTE MANFRINE CHE POI SI RISOLVONO SEMPRE IN UN MAGNA MAGNA!!

STAREMO A VEDERE SE IN QUESTO CASO CHI DI DOVERE INTERVERRA’.

Volete fare il concorso, va bene allora fatelo per titoli e per esperienze, ovvero i laureati con almeno tre anni nel ruolo e i facenti funzione con almeno sei anni nel ruolo senza obbligo di titolo.

Non ci vuole molto ad essere corretti, ma di certo questo stato bipolare dirà che serve una legge per sistemare questa cosa …

E ALLORA FATELA!!!

quando vi interessa fate leggi in una notte, quando dovete tutelare persone che voi avete buttato nella mischia allora ve ne fregate???

Eh no, care testine di cavolo, fate il mestiere per cui siete pagati, sistemate le ingiustizie soprattutto quando non vi costerebbe nulla, lo potreste fare subito e fareste il bene della scuola che manterrebbe competenze ed esperienza al suo interno, pure introducendo figure nuove, come ha già fatto con il precedente concorso (anche se occorre notare che molti vincitori di concorso hanno poi subito dato le dimissioni, con che danni per lo stato?).

 

Viviamo in un paese che ormai non si vergogna più di nulla, ma noi cittadini, ancora, ci vergogniamo …

 

CONCORSO DSGA, COME SEMPRE UNA VERGOGNA ASSURDA!!!!

Concorso DSGA: note di malcostume italiano




NO COVER BAND: RAD1! INTERVISTA CON CESARE “RAD” ZANOTTI.

 Sono grato di aver potuto porre alcune domande a Cesare “Rad” Zanotti, una persona speciale, una persona vera, autentica!

Un grandissimo professionista ed un artista completo.

Ho avuto modo di vederlo in palco molte volte con i mitici RAD1 di cui è il leader storico ed è stata sempre un’esperienza travolgente… provare per credere!

Ho voluto pubblicare l’intervista per intero, senza alcun taglio perché, fidatevi, non c’è nulla fuori posto nelle considerazioni fatte da Cesare!

Stimo l’artista e stimo l’uomo e forse anche il lettore si appassionerà leggendo la sua… passione! Rock’n’Roll!

PERTH: Ciao Cesare, i nostri lettori sono amanti della Musica, come sono solito dire, con la “M” maiuscola. La domanda che si fanno in molti è: che fine farà nei prossimi anni? E non mi riferisco al tremendo periodo che stiamo vivendo ma anche ai Talent che imperversano nei media o ai Festival, Sanremo in primis.

CESARE: Ciao a te e a tutti i lettori! La domanda che mi fai è la spada di Damocle di qualsiasi musicista/cantante/appassionato di musica. Ci penso ogni giorno e ci vorrebbe un tomo della Treccani (vedi come sono “Old School”?) per esprimere il mio pensiero. Detto questo provo a riassumerlo in pochi concetti. Odio i Talent in generale, non come trovate televisive, in quel senso funzionano alla grande, li odio per come trattano la musica ed i cantanti in generale. Quando sei giovane e non vedi l’ora di diventare “ricco e famoso” firmeresti di tutto per raggiungere il tuo obiettivo ed i Talent si cibano di questa forma malata di arrivismo. I Contratti si firmano un po’ alla cieca prima ancora di sapere se andrai in onda e di fatto sono pagine di paragrafi che fondamentalmente si riassumono in “Nei prossimi X anni se piaccio al pubblico potete fare di me quello che volete”. Diciamo che Amici, Xfactor, The Voice e compagnia bella sono diventati la versione moderna del “patto col diavolo” che Robert Johnson firmò per diventare una leggenda del fingerstyle. L’unica differenza sta nel fatto che mentre R.J. vendette la sua anima per diventare BRAVO ora ci si vende per diventare FAMOSI. E’ molto diverso. Una volta bisognava necessariamente essere BRAVI per diventare famosi oggi invece… beh… è lì da vedere. Tuttavia non credo che né i Talent né Sanremo siano la causa del cambiamento epocale che sta subendo il modo di fare musica. Per esempio: nonostante Sanremo esista da prima dei PINK FLOYD, i PINK FLOYD hanno potuto fare dischi e ancora oggi ascoltiamo in tutto il mondo capolavori tipo “Dark Side of the Moon”, non credi? Il problema vero è un altro e si chiama internet, ovvero il consumo veloce e sconclusionato di musica mista ad immagini, la sensazione di avere tutto a disposizione con un click, la possibilità di skippare traccia dopo pochi secondi, la coscienza che la musica non abbia valore… E qui devo chiedere scusa. Devo scusarmi con un musicista che ho odiato tantissimo (fu facile, lo odiavano tutti!) che risponde al nome di Lars Urlich (batterista dei METALLICA; n.d.a.). Per quanto ancora oggi non brilli né di simpatia né di “altro” beh… sulla questione NAPSTER aveva ragione. L’avvento del peer to peer fu davvero l’inizio della fine. La cosa peggiore fu l’estinzione dei “negozietti” di vinili (Musicassette, CD etc…) e con essa la scomparsa dell’amico al bancone verso il quale si nutriva rispetto e fiducia, l’uomo che ti consigliava le uscite migliori. Si è estinto il rito del: “risparmio, lo compro, me lo porto a casa e lo ascolto”. Il fatto è che doveva andare così. Non c’erano alternative. Di fatto da allora è cambiato tutto.

PERTH: Come e quando è nata in te la passione per la Musica? Ci racconti brevemente la tua storia?

CESARE: Parto col dire che sono l’unico della famiglia con questa passione. I miei genitori non erano musicisti anzi, la loro musica preferita era una canzone che continuavano a cantare a squarciagola e faceva più o meno così: “PIANTALAAAAAAA!!!! ABBASSA QUELL’AMPLIFICATOREEEEEE!!!!” ma quando la scintilla c’è non ci sono ostacoli che tengano, solo il gusto di buttarli giù. Trovo però corretto dire che nel tempo si sono assolutamente redenti e sono diventati miei sostenitori. Avevo sette anni quando mio Zio Cesare (si chiamava come me) mi chiese: “Per il compleanno vuoi una chitarra o un violino?”, ancora prima di dire “chitarra” avevo la mano destra alzata col simbolo delle corna. :-D. Mi iscrissero subito alla scuola di musica di Pavia (Conservatorio “Franco Vittadini”) e il resto è storia. Studiavo musica classica ed ascoltavo i BLACK SABBATH. Non male per un bimbo che frequentava le scuole elementari e per giunta dalle Suore Salesiane. Se ci ripenso mi viene da ridere. Quando ero ragazzo avevo degli amici speciali. Tutti ottimi musicisti e tutti più bravi di me. Nel mio oratorio ce n’erano tantissimi, ma mica bau bau micio micio, gente a mio avviso superdotata fra cui ad esempio colui che diventò poi Jantoman, il tastierista di ELIO E LE STORIE TESE, giusto per citarne uno, ma potrei nominarne almeno venti, tutti mostruosi. E’ stata una benedizione dal cielo, mi bastava sentire loro per migliorare, figuriamoci quando poi ho avuto il privilegio di suonare insieme a loro. In seguito da adolescente fui “obbligato” a cantare in una delle mie prime band, cominciai allora a studiare come un pazzo la voce perché, detto inter nos, ero veramente una pippa. Non ero convinto di fare il cantante fino a quando vidi il tour di Operation: Mindcrime dei QUEENSRYCHE, uscii da quel concerto totalmente cambiato. Avevo ben chiaro che DOVEVO fare quella roba lì. Quando conobbi Geoff Tate (voce dei QUEENSRYCHE) dopo diversi anni glielo dissi: “Io faccio il cantante per causa tua!” e lui: “Che responsabilità! Spero che ti vada bene!” ed io: “Certo non sono il cantante dei QUEENSRYCHE ma non mi lamento!” e scoppiammo in una sonora risata. Comunque il percorso che consiglio anche ai giovani è sempre il solito: scuole, ricerca di insegnanti validi, esperienze formanti e tanta tanta sala prove. Nel mio percorso ho cambiato diverse scuole fino al giorno in cui incontrai Gloria Rusch, corista di STEVIE WONDER, la persona che mi ha ribaltato come un calzino, una vocal coach incredibile, quella che curò tutte le voci dei Mr.BIG nel capolavoro “Lean to it”. Mi prese in simpatia e mi fece capire quando la voce abbia un lato artistico e uno tecnico\fisico senza il quale potresti essere il più grande artista del mondo ma fallire miseramente nell’impresa di essere “cantante”.

PERTH: Il DNA dei RAD1, la Band che guidi da molti anni, si è affermato realizzando brani rivisitati di altri artisti, ci vuoi dire cosa significa NO COVER BAND?

CESARE: Quella definizione ci fu incollata addosso dal gestore di un noto superclub live italiano. Abbiamo sempre cercato (col massimo rispetto) di rendere più “nostre” le canzoni che suonavamo live. Si chiama EGOISMO oppure SUPERBIA, scegli tu (ride). Di fatto venivo da cinque anni di tour ininterrotto coi MISTER X, unica mia esperienza di “cover band” coi quali feci diverse centinaia di concerti. Mi trovavo in un punto di non ritorno per cui il mio “lavoro” era quello di intrattenitore live sebbene io avessi avuto sempre il bisogno di scrivere brani originali. Ho lasciato quella band per inseguire quel sogno: “sopravvivere” di inediti. Si, sopravvivere, non ero desideroso di fama, mi sarebbe bastato placare la fame. :-D. I RAD1 nascono da un progetto di inediti che avevo composto io e che dovevano essere proposti live all’interno di uno spettacolo di cover “sui generis”. Spesso però le cose non vanno come dovrebbero. Non è colpa di nessuno (si, sto mentendo in favore del politically correct) e con un contratto in mano, davvero in mano, ce l’ho ancora… abbiamo gettato alle ortiche il progetto di inediti per continuare nel remaking che però dopo anni è diventato di gran moda. Siamo stati a nostro modo dei precursori… un premio di consolazione. Comunque poco male. Alcuni di quei brani che avevo scritto sono usciti per altri artisti e forse hanno venduto più di quanto potevano vendere con noi… altro premio di consolazione. 😀

PERTH: C’è una “Cover” che non faresti mai neanche ri-arrangiata in chiave RAD1?

CESARE: No. Non credo. Anzi: potremmo lanciare una sfida! Diteci quale secondo voi è il brano più brutto del mondo che lo riarrangiamo e lo facciamo diventare fighissimo! 😀 La musica è un gioco, se non si gioca che musica è?

PERTH: Le tracce del vostro album Chiavichesuonano mi accompagnano da anni soprattutto in auto. E’ un disco che rappresenta a pieno i RAD1?

CESARE: INNANZITUTTO GRAZIE! Mi fa piacere!!! Quel disco Rappresenta i RAD1 del 2001 e con questo non voglio non riconoscerne l’indubbio valore personale e della band, so come è nato e cosa c’è dietro ma io sono essenzialmente un tipo crossover. La musica mi piace TUTTA e non smetto mai di evolvermi quindi chissà cosa succederà domani! Potrei lanciarmi in un progetto progressive-liscio, chi lo sa? In Chiavichesuonano c’erano Rock, Pop, Jazz, Canto a cappella, Heavy… quindi potrebbe succedere tutto.

PERTH: Credo che la passione per la musica porti alla fine ad esprimere delle composizioni originali… hai in parte risposto ma puoi specificare meglio?

CESARE: Il sogno è quello di arrivare agli inediti coi RAD1. Sarebbe facile buttare fuori roba a caso, avremmo già una discografia enorme sulle spalle ma sarebbe spazzatura come la maggior parte della musica inedita degli ultimi anni. Io non so se mai ce la faremo, ma se lo faremo sarà speciale. Almeno per noi. È una promessa… anzi, un giuramento!

PERTH: Credo che un artista debba portare i giovani (e non solo) ad amare l’arte e tu lo fai dal palco ed anche con la RAD1 Music Factory, ce ne parli?

CESARE: : La Factory era nella mia testa già dal 2001. Credo che siano proprio i musicisti con un certo tipo di esperienza e di trasporto emotivo che dovrebbero aprirsi alle nuove leve e raccontare il proprio mestiere con la mano tesa. Purtroppo le realtà che io ho “subito” da allievo (Gloria Rusch esclusa) sono state di musicisti frustrati che non avevano voglia di raccontare la musica agli allievi. Provavano noia nell’insegnare ai meno dotati e “paura” nell’insegnare a quelli che avrebbero potuto diventare loro concorrenti. Ovviamente io appartenevo alla prima categoria. La mia insegnante di chitarra non mi sopportava… cercava di insegnarmi “Asturias” dedicandomi si e no un quarto d’ora in luogo dell’ora che avremmo dovuto fare e si arrabbiava perché nei minuti in cui lei si dedicava ad altro io strimpellavo “Paranoid” (dei BLACK SABBATH). Ecco: quella roba lì non è insegnare. Invece ricordo con gioia e stima il Maestro Gatta che mi ha fatto amare la teoria e i dettati. Ho iniziato a studiare musica prima di imparare le frazioni a scuola, immaginate anche solo la difficoltà di capire cosa mai volesse dire quattro quarti? Notate con che classe ho nominato il Maestro bravo e non ho fatto il nome della Maestra Vangelista… (OPS!). Comunque la Factory è una realtà bellissima, siamo a Pavia, Monza, Piacenza, Casteggio, Cava Manara e forse presto conquisteremo la terza regione che forse i tuoi lettori conoscono bene… Abbiamo Sale Prova e Studi di Registrazione a disposizione degli allievi e insegnanti davvero preparati con un sacco di passione. Si chiama RAD1 Music Factory ma ovviamente non ci insegnano solo i RAD1. Voglio ricordare il mio socio storico senza il quale sarei durato un mese, uno dei miei allievi più validi ed un insegnante impeccabile: Mauro Maggi e l’altra mia socia senza la quale Mauro sarebbe impazzito, la bravissima batterista Verdiana Gariboldi. Non nomino tutto il corpo docente per questioni di spazio ma sono egualmente eccezionali.

PERTH: C’è un’evidente storia della Musica che va onorata ed il Rock è il giusto leitmotiv delle vostre performances live. Come riuscite ad attrarre i ragazzi, abituati alla “superficie” dei vari Mahamod, Lazza, Nitro?

CESARE: Semplice. Li prendiamo a calci nel culo! Ehm… no, forse è un termine un po’ forte se tradotto letteralmente ma gli americani dicono così: “Kick Ass”. In realtà, battute a parte, siamo felici di fare quello che facciamo e forse la gente lo sente, lo vede e lo vive. Nei nostri concerti non mancano mai l’ironia e il sorriso, non ci prendiamo troppo sul serio ma facciamo le cose seriamente. Ecco: diciamo che facciamo seriamente gli scemi che fanno i seri… Ehm.. Boh… No, non lo so. Mi arrendo. Bandiera Bianca. BATTIATO (R.I.P.; n.d.a.)…Cover… Ecco le nostre idee nascono più o meno così. Siamo pazzi. 😀

PERTH: So che sei molto amico di Nillo (il tastierista dei RAD1) e si nota un’unità veramente straordinaria tra voi nei live. Negli anni si sono succeduti diversi artisti al tuo fianco… che rapporto hai oggi con gli altri membri della Band?

CESARE: Dipende. Siamo esseri umani, con i nostri pregi e i nostri difetti. Con qualcuno sono rimasto davvero in rapporti di fratellanza nonostante alcune visioni differenti, con altri meno. Io sono di natura come il “Mio Cuggino” di ELIO E LE STORIE TESE, ovvero “amico di tutti” ma non è che posso convincere a sberloni chi non vuole esserlo con me, sarebbe una contraddizione troppo evidente. Gli “ex” sono sempre ben ritrovati o “mai persi” a livello di amicizia da parte mia. Dai RAD1 nessuno, dico NESSUNO è stato mai mandato via, (tranne un unico caso di cui ovviamente non parlerò) e a chi se ne è andato di sua iniziativa dedico il brano di VASCO: “Eh… Già”. 🙂

PERTH: So che tuo figlio è un vero rocker. Cosa vorresti ricordasse di te quando sarà grande?

CESARE: Beh… Claudio per me è tutto. Darei qualsiasi cosa, farei qualsiasi sacrificio, come ogni padre credo… quando ha compiuto un anno sono caduto nel trabocchetto in cui sono caduti tutti i musicisti e come gli altri ho scritto un brano che però non ho mai pubblicato perché a differenza di qualcuno il mio obiettivo non è “vendere” le mie emozioni. Mi piace condividere i sorrisi, l’amore, le risate, l’energia… ma non venderli. L’ho scritto per Claudio e lo hanno sentito solo la sua mamma e pochissimi parenti che mi hanno implorato di pubblicarlo ma non l’ho mai fatto. In quel brano una frase dice: “Sarò l’uomo del tuo angolo solo se tu me lo chiedi…” ecco, vorrei essere questo per lui. Vorrei fosse libero di inseguire i suoi sogni e vorrei che percepisse la mia presenza quando ne avrà bisogno indipendentemente se io condivida o meno le sue passioni, fossero l’Heavy Metal o la Danza Classica.

PERTH: Hai suonato con Frate Cesare (Bonizzi) in arte FRATELLO METALLO: un mito! Ci racconti questa esperienza e qualche aneddoto?

CESARE: Amo quell’uomo. Ha un coraggio disumano. Per questo ho accettato di salire sul palco al suo fianco… Cioè suonare al Gods of Metal prima dei JUDAS col Frate che growla “Sexus, sexus, sexus! MASTURBATOR INSANAE!!!” non ha prezzo. Ha lo stesso valore di una Crociata in Terra Santa alla ricerca del Santo Graal! :-D. E non è che io sia un cattolico modello… ma mi piacciono le cose pure e vere, per me l’essenza di Dio è quella, non certo la messa domenicale e i sacerdoti in alta uniforme. Quando la cronista dell’ANSA gli chiese durante un’intervista perché facesse Heavy Metal lui rispose: “Ma scusi… la scena di Gesù Cristo in croce, con mani e piedi trapassati dai chiodi, flagellato, con la corona di spine e il costato trafitto da una lancia… lei cosa ci sente sotto? I Canti gregoriani? Io ci sento l’Heavy Metal!” E niente il fratone lì ha vinto tutto e Rob Halford (leader dei JUDAS PRIEST; n.d.a.) …MUTO! :-D. A parte gli scherzi: lo adoro davvero. Ho fatto anche un disco di musica cristiana “tradizionale” con lui. L’ho cantato io e i cori li hanno fatti i miei allievi della Factory. L’ho fatto davvero volentieri.

PERTH: Ci racconti (liberamente!) cosa vuol dire per te essere vocal coach di Fedez?

CESARE: Un vocal coach ha un compito: permettere all’artista di raggiungere i suoi obiettivi e di farlo in tranquillità e in salute, un po’ come un allenatore sportivo, non importa di quale sport si tratti. A parte le battute devo dire che Fedez è stato l’unico artista famoso che ha voluto dire ai fans: “Ho dei limiti e studio” e non solo, ha voluto che io partecipassi al suo film/reality ed ha fatto riprendere le lezioni in cui… ehm… non è che fosse proprio un cardellino diciamo. Non hai idea di quanti accordi di riservatezza ho firmato nella mia carriera di vocal coach perché “quelli famosi” non vogliono far sapere che studiano canto o vanno da un coach. In questo Federico ha davvero fatto molto per la nostra categoria almeno fino a quando non ha dedicato il suo tempo anche ad altro rispetto alla sua musica. Ho sempre sperato che potesse un giorno fare un disco “punk rock” visto che è grande fan di BLINK, GREEN DAY etc… ma mi sa che ormai… Peccato! Avrei portato un suo CD in macchina con me per la prima volta! 🙂

PERTH: Un’ultima domanda: Cesare… il Rock è morto?

CESARE: Sincero? NO. Il Rock non è morto ma ti dirò di più: esisteva prima che la corrente elettrica desse volume alle chitarre. BEETHOVEN non era forse Rock? La musica è da sempre un pugno nello stomaco, una bordata di emozioni e per me il rock è quella roba lì… Non è il Rock ad essere morto ma le nuove generazioni non sanno più cosa voglia dire sudare per ottenere qualcosa. Tramite i Social Network sono tutti convinti di essere quello che credono fino a che non ci sbattono il muso. Sono pornostar in amore, atleti pazzeschi nello sport, grandi opinionisti su qualsiasi argomento, esperti in qualsiasi cosa e grandi pop star nel campo della musica… Poi c’è la vita reale che prima o poi capita a tutti. E si pigliano le mazzate… Booom!  Così dal nulla non saranno più quelle grandi cose che credevano di essere e si accorgeranno che il loro pisellino sembrava un menhir solo ai loro occhi. Cosa devo dirti? Io sono un cinquantenne con quasi quattromila concerti nello zaino e mi fa male vedere come viene trattata la musica e come i giovani si trattino male. Speriamo in una rinascita delle menti, in una ripresa delle emozioni vere. Quando succederà il Rock sarà lì ad aspettarli pronto a prenderli a calci nel culo (nel senso inglese e positivo del termine). Forse non si farà più nello stesso modo, forse cambieranno gli strumenti… ma il Rock sarà sempre Rock. Con qualsiasi mezzo venga fatto… il Rock vivrà sempre, ne sono certo. Anche Pete Townsend (chitarrista degli WHO; n.d.a.) diceva che il Rock’n’Roll era trasportare enormi amplificatori in giro per il paese, già con l’avvento dei Kemper e degli ampli digitali il Rock aveva cambiato forma e definizione… chissà cosa sarà domani… Ciao a tutti e grazie per essere arrivati fino a qui. Vi mando un grosso abbraccio!

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ANPE: Laurea in pedagogia inutile, cancelliamola!

                                                             

 

COMUNICATO STAMPA del 20.05.2021

 

Con i recenti provvedimenti, ultimo dei quali è il Decreto Sostegni bis, approvato il 20 maggio 2021, la necessità di un intervento primariamente pedagogico, per cercare le soluzioni al disagio giovanile, è stata ulteriormente ignorata dal Governo ed in particolare dal Ministero dell’Istruzione, con il quale nell’agosto scorso le associazioni rappresentative dei pedagogisti e degli educatori socio-pedagogici, ha sottoscritto un apposito Protocollo d’intesa.

Il recente stanziamento di venti milioni di euro a sostegno dei servizi di psicologia, fondi che si aggiungono a quanto stanziato già in precedenza, indica come la “sanitarizzazione” sia impropriamente ritenuta dalla classe politica la via elettiva per la soluzione dei problemi educativi e formativi che vengono espressi nei vari contesti, in particolare nella scuola.

Di fatto, con tali provvedimenti, la pedagogia ed i pedagogisti vengono estromessi dalla società e dalla scuola, quest’ultima sempre ritenuta il loro àmbito elettivo.

Questo peraltro significa che le lauree magistrali in scienze dell’educazione e della formazione sono pressoché inutili, in quanto le opportunità lavorative indicate dai piani di studio universitari nella realtà sono concesse ad altri professionisti, privi delle necessarie competenze. Quindi, i corsi di laurea magistrale in scienze dell’educazione e della formazione perdono la loro ragione di essere e il perdurare di tale situazione induce a proporne la cessazione.

Va inoltre sottolineato come a tale punto si sia giunti anche “grazie” al disinteresse, al silenzio e all’accondiscendenza da parte di molti docenti universitari, alcuni dei quali peraltro privi di laurea in Pedagogia o Scienze dell’Educazione.

Disattenzione in alcuni casi millantata come fattivo interesse al riconoscimento della professione di Pedagogista, quando unico atto utile e necessario dovrebbe essere il suo ordinamento mediante la costituzione dell’Ordine e del relativo Albo.

Le risorse e la capacità di resilienza dell’essere umano indicano che i processi educativi e formativi non possono e non devono essere considerati alla stregua di meri eventi patologici e dimostrano che la strada da seguire non è quella imboccata.

 

La Presidente nazionale ANPE

Maria Angela Grassi

 




I Malvoluti: provocazione allo stato puro con Nessuno

I Malvoluti, un nuovo complesso di giovani studenti universitari bolognesi, sta spopolando sul  Darkweb con Nessuno, un pezzo di provocazione allo stato puro, formato da un motivetto musicale che potrebbe essere il nuovo tormentone estivo.

Il testo parte quasi in sordina con una forte provocazione sull’omosessualità fino ad arrivare alle molestie clericali.

Semplice ed efficace, ogni strofa tira un forte colpo al perbenismo che circola oggi, arrivando dritta al cuore con ogni ritornello dove siamo tutti pronti a parlare di accoglienza ma alla fine … nessuno vuole un negro in casa

Basta con questa facciata in cui tutti parlano e sbraitano, in cui tutti credono che a parole si risolvano le cose, non è così, occorre essere coerenti, decisi, certi e coscienti.

Nessuno raccoglie in poche strofe alcuni dei principali motivi di malvagità del mondo, buttando in faccia ai finti buonisti la verità: parole tante fatti pochi.

Troppo comodo parlare di accoglienza ma non accogliere nessuno, di malattie ma di non curare, di diversità ostentandola come se fosse un traguardo mentre invece è una partenza.

Bravi Malvoluti, avete dimostrato che basta una canzone per dare messaggi chiari e spesso nascosti dietro a fiumi di parole.

Occorre pensare ad un nuovo modo di ragionare sia sulle diversità che sull’accoglienza, non si può in continuazione pensare a risorse infinite, non è possibile continuare a buttare soldi senza ottenere risultati, fomentando spettri di razzismo quando qualcuno osserva che in un tavolo da dieci non ci si può stare in cento.

 

E poi, diciamolo, questo paese non è venuto dal nulla, ma dalla fatica di generazioni di Italiani, che peraltro hanno costruito anche altri paesi, mica solo questo, ed ora pensiamo che tutti ne hanno diritto, così, semplicemente perché esistono?

Ma non si pensi che in questo modo aiutiamo gli altri, se distruggiamo quello che c’è perché lo disperdiamo in modo indiscriminato, facciamo il male di tutti, anche dei non italiani.

La canzone dei Malvoluti ci è piaciuta molto perché rappresenta la fiaba del re nudo, nessuno lo dice tutti lo sanno molti fingono i Malvoluti NO.

Bravi.

 

 

 

Nessuno – I Malvoluti – CCEditore musical edition




TUTTO IN UN PURCHE’, DDL ZAN E DINTORNI…

Art. 4.
(Pluralismo delle idee e libertà delle scelte)

1. Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte,

purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.

 

Il DDL ZAN è tutto qui, tutto nell’articolo 4, la sua vera assoluta pericolosità è solo in questo articolo.

Gli altri articoli in pratica non fanno altro che inserire nel codice di procedure penale art. 604 bis e ter  dopo la parola religioso le parole “oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.”.

Chi oggi, nella nostra società pluralista, potrebbe non essere consapevole che non può esserci più discriminazione razziale, religiosa o sessuale?

Frange impazzite, destre idiote, assurdi retrogradi ormai ai limiti del patologico, forse loro, ma certo in una società equilibrata no, non è più pensabile discriminare qualcuno per differenze di qualsiasi natura esse siano.

Ovvio che poi non deve essere accettato l’estremo da nessuna parte, lo sviluppo del pensiero deve essere adeguato all’età dai fanciulli agli adulti e quindi deve esistere una correttezza etica che tutela chi ancora deve crescere nello sviluppo mentale ed “ideologico”.

Detto tutto questo la pericolosità vera del ddl zan è tutta scritta in una sola parola: “purché”.

Le persone intelligenti mi hanno già capito, inutile per esempio citare i maiali di Orwell o i capponi di Renzo, quel purché diviene la nuova spada di Damocle in una socialdemocrazia virtuale.

Certamente chi ha scritto quel DDL non voleva mettere nelle mani di un giudicante la libertà di opinione, ma così ha fatto, perché Bruto è un uomo d’onore, e quel purché così realizza, messo in mezzo come se fosse un divisorio tra il giusto e lo sbagliato, come uno spartiacque tra i buoni ed i cattivi, già identificati, già conosciuti, già certi.

Ma Bruto è uomo d’onore.

Ma il fatto ancora più grave è che oggi il vento delle convinzioni è sottile come quello della calunnia, inesistente e labile come ghiaccio al sole, oggi l’opinione pubblica è sempre scritta al plurale.

Come è possibile allora inserire quel purché, sulla fiducia di quale organismo giudicante, di quale illuminata mente giuridica?

Ma poi da quando la magistratura interpreta la morale? e anche volendo su quali parametri stabilisce cosa è quel purché?

Voglio ricordare il bellissimo film di Alberto Sordi e la divertente canzone di Buscaglione che posto a fine articolo, ma non posso non stigmatizzare questo punto del DDLZAN perché è su questo punto che si poteva dire qualcosa al concerto del primo maggio, ma di questo ne parleremo in altro articolo.

Pertanto possiamo solo sperare che cessi qualsiasi forma di discriminazione purché rimanga la liberta di opinione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MORALISTA

Due vite
Vivo perché
Due voci
Io sento in me

Se ti parlo di ideali
Se ti parlo di virtù
Non mi credere
Sono frottole
Parole e nulla più!

Non ti fidare di me
Perché, perché ti ingannerò
Moralista, mi sa dire la morale che cos’è?
È una favola per i semplici
Ma non è fatta per me!

Polemizzo
Stigmatizzo
E condanno
Il mondo inter!
(Oh, che scandalo davver!)

Non ti fidare di me
Perché, perché ti ingannerò
Moralista, mi sa dire la morale che cos’è?
È una favola per i semplici
Ma non è fatta per me!
No, no, no, no, no, no, non è fatta per me!

FRED BUSCAGLIONE

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=SU5dFHExHL8&w=640&h=480]

https://www.youtube.com/watch?v=O9UB-NKBPN8




LA FOLLA

Il tema della folla è sempre stato ampiamente trattato dagli scrittori di tutti i tempi.

Seneca riteneva che la folla provocasse un turbamento nell’uomo.

Manzoni vedeva la folla come qualcosa di negativo per i comportamenti irrazionali messi in atto e, a questo proposito, così si esprimeva: “Ne’ tumulti popolari c’è sempre un certo numero d’uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio, propongono o promuovono i più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a illanguidire: non è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tumulto avesse né fine né misura”.

Anche in Verga ritroviamo la folla con riferimento ad una rivolta contadina poi repressa dall’esercito di Garibaldi.     

Secondo lo studioso Le Bon, pioniere della psicologia delle folle, “l’uomo della folla ridiventa primitivo” e l’individuo immerso nella folla non è più se stesso.  

Possiamo osservare che la persona, nel momento in cui si unisce alla folla, subisce un cambiamento in quanto percepisce un senso di potenza ed assume – come afferma Le Bon – comportamenti simili a quelli di un individuo ipnotizzato ed irresponsabile.

Anche Freud si è occupato di psicologia delle masse, approfondendo la tematica della coesione sociale, e concordava con Le Bon sul fatto che le folle fossero più disinibite dei singoli individui.

Freud riteneva che le folle e i gruppi fossero tenuti insieme dalla libido e spiegava come l’individuo che si immerge nella massa si liberi di tutte le sue inibizioni.

Una dimostrazione di ciò è data, ad esempio, dalla folla che ha festeggiato il 2 maggio 2021 per la vincita dello scudetto da parte dell’Inter, riversandosi in Piazza Duomo e violando le regole del distanziamento sociale previste per il Covid.

Le immagini che abbiamo visto dei tifosi che si accalcavano in Piazza Duomo ci riportano indietro nel tempo, anche se in questo caso c’è una differenza perché si tratta di una folla che esprime felicità e non rabbia come quella di svariati autori del passato.

La folla dei tifosi dell’Inter, in una situazione non problematica sul piano sanitario, sarebbe stata vista in senso positivo perché rappresentativa di un’unica anima espressione di unità e di gioia. Il contesto situazionale condizionato dal Covid ha capovolto il senso di tale evento, trasformando la folla in una specie di mostro.

Si nota, per altro, una significativa perdita del controllo da parte di questa folla: i tifosi dell’Inter si sono riversati per le vie del centro di Milano mettendo in scena comportamenti disinibiti quali ad esempio il togliersi le mascherine e l’ostacolare il distanziamento sociale.

Questo ci fa riflettere su come la folla, che si riunisce con intenti positivi per festeggiare un evento, possa assumere connotazioni negative.

Potremmo parlare, a questo proposito, di una “patologia della folla” che genera negli individui una mancata percezione delle possibili conseguenze delle azioni messe in atto e spesso anche una violenza incontrollabile.

 




GIOVENTU’ INVISIBILE, SCUOLA E PROMESSE…

              PROSPETTIVE SERIE O SI VA VERSO IL PRECIPIZIO?

La Scuola riprende (o ‘dovrebbe riprendere’) quasi a pieno ritmo, consentendo un parziale ritorno di studenti e docenti nelle aule, così riprendendo la didattica in presenza, pur se con una certa alternanza. Questo, ad ascoltare i proclami lanciati dai compartimenti interessati.

Ma i dubbi sulla concretezza pratica delle misure adottate, non sono pochi: anche perché le perplessità e le voci di contrappunto sono molte e peraltro prossime, quando non interne, proprio a detti compartimenti. Ne faccio un elenco sommario: “sì, si riprenderà di presenza, ma la DAD (didattica a distanza) non sarà accantonata”; “sì, però potrebbero esserci problemi con l’affollamento dei mezzi di trasporto”; “sì, ma i docenti chiedono assicurazioni ai Dirigenti Scolastici: vogliono garanzie perché hanno paura temendo il contagio dagli studenti”; “sì, ma gli studenti hanno paura, temono le ‘verifiche’ dopo tanti mesi a casa e pensano che il rientro possa rappresentare un vero e proprio trauma”.

Notate le ultime due dichiarazioni: sono state rese da un rappresentante sindacale (esistono ancora i sindacati? E gli interessi di chi sostengono?), e sono state dominate dall’utilizzo della parola – e quindi – del concetto di ‘paura’.

Parola e concetto distruttivi, quello della ‘paura’, che vanno a incidere principalmente su studenti già seriamente provati da una DAD priva di contenuti di rilievo e di quella energia propria delle aule scolastiche, e segnati da una limitazione delle proprie libertà personali: di espressione, di socialità, di incontro con i coetanei, di confronto, di critica e di contraddittorio.

E soprattutto una macroscopica menomazione di quei diritti che fanno capo alla Costituzione della nostra Repubblica: diritto allo studio in primis, al pari di altri diritti fondamentali menomati da una ‘emergenza’ sanitaria che, in vigore da oltre 15 mesi, non è più ‘emergenza’ (ossia: situazione negativa improvvisa cui si deve far fronte in modo immediato) ma condizione patologica e sofferta, peraltro marchiata da tesi e antitesi sempre più contrastate, profonde e laceranti, e atroci dubbi sempre più vividi.

E – a distanza di più di 15 mesi – insegnanti, famiglie e studenti ancora una volta devono assistere al teatrino di chi accampa l’alibi dei ‘trasporti’ e dei presunti timori, di fronte a una certa qual ripresa della normalità? Evocare ancora una volta allarmismi e patemi, facendo leva sul facile refrain dell’emergenza, insistere sul nero tasto della paura, è da furbastri ed è cartina di tornasole di quel pernicioso scaricabarile che da troppo tempo segna la PA! Incredibile e persino intollerabile, proprio per la gravità della situazione contingente.

Ma questo non è il solo punto dolente: oggi, le esigenze legate all’insegnamento – da un lato – e all’apprendimento – dall’altro – sono radicalmente mutate, e ritengo che ci sia una forte, e fors’anche interessata, miopia al riguardo.

Lo scenario di tipo pandemico ha messo a nudo discrasie, insufficienze, lacune concettuali e programmatiche, umane e tecniche, il prevalere di pulsioni ideologiche (anche devastanti: quali l’imposizione dell’ideologia gender nelle scuole, con letture e tecniche consone più alla pornografia che alle aule scolastiche) su quella che è sempre stata la corretta missione dell’insegnamento: anche perché il ‘nuovo che avanza’ non sempre è degno di ciò che lo abbia preceduto.

Il problema non è tanto riaprire e iniziare con energia a ripristinare i circuiti virtuosi dell’istruzione, quanto il dover prendere atto che gli studenti hanno perso in termini di apprendimento due anni scolastici, e che quel che avevano appreso prima – non alimentato e incrementato da successivi, progressivi, apprendimenti – ha subìto un notevole depauperamento.

Quindi, fin da subito va impostato a tutti i livelli un programma complessivo che – anche con tempistiche serrate, anche chiedendo aiuto a quegli insegnanti in pensione che sentono di poter ancora mettere a disposizione le loro competenze – possa consentire un consolidamento delle basi pregresse, cucendole ai successivi livelli.

Ma vi è anche un aspetto squisitamente sanitario: in ogni plesso scolastico, e a lungo, dovrà intervenire uno psicologo che incontri tutti i giovani al fine di accertare se la situazione abbia segnato qualcuno, disturbandone la psiche e la personalità specie nella percezione della realtà.

Ovviamente, questo potrà essere fatto nel corso del prossimo anno scolastico, che, con idonei interventi del legislatore, potrebbe coincidere con il prolungamento di un anno di tutti i corsi di studio, di ogni ordine e grado: sempreché si voglia dare seguito allo spirito e alla lettera della Costituzione.

Diversamente, queste generazioni di studenti subiranno danni profondi al loro percorso di acculturamento e crescita.

Ma occorre intervenire subito, perché oggi è già domani.

Già il recuperare giusti e consapevoli livelli di attenzione e di concentrazione, non sarà questione risolvibile con un colpo di bacchetta magica, e anche gli insegnanti – pur mobilitatisi al loro meglio – devono riconvertire ritmi e presenze alla ritrovata ‘normalità’, alle nuove esigenze: anche se per fare ciò dovessero approfondire il loro bagaglio professionale.

Peraltro, si tratta di una ‘normalità’ o pseudo tale che non si sa se e quanto potrà durare, se dovessimo continuare a essere imbottigliati nell’attuale girone infernale, preda di un meccanismo perverso cui pare non volersi dare definitiva soluzione.

Se è vero che la politica intende investire nella ‘transizione ecologica’ (un termine caramelloso e pomposo: ma per ora abbiamo solo un nuovo colossale inquinamento derivato da tutti i supporti sanitari e tecnici adoperati per affrontare la c.d. pandemia, cui segue il nuovo, pesante, inquinamento derivato dalla svolta green nel settore dell’energia e dell’autotrazione, al netto dei milioni e milioni di tonnellate di rifiuti urbani che continuano ad ammucchiarsi),  e nella ‘digitalizzazione’ (altro oggetto misterioso: come si può pensare di digitalizzare – sinonimo di ‘progresso’ – il sistema della PA, che annaspa nei mille lacci e lacciuoli di un procedere farraginoso e sedimentato, e di una burocrazia persino sfrontata arrogante nella propria pachidermica lentezza e inefficienza; prima occorre riformare, disincrostare, eliminare, snellire, rendere agile ed efficace un sistema oggi feudale e incongruo.

Dopo, e solo dopo, si potrà procedere alla digitalizzazione del nuovo, snello ed efficace sistema: diversamente sarà come digitalizzare i pittogrammi rupestri dell’epoca preistorica con gli stessi strumenti che ci consentono di andare sulla Luna o su Marte.

Avremmo una preistoria ammantata di modernità, che farà diventare ferrovecchio anche la modernità stessa); se è vero che si deve investire nella sanità pubblica per recuperare il tempo e l’efficienza perduti (altro non-sense: proprio i distruttori della sanità pubblica, coloro che hanno eseguito gli ordini della UE di chiudere ospedali e ridurre posti letto, vogliono gestire i fondi di tali investimenti…), è altrettanto vero che si deve investire anche in tutti i livelli del comparto dell’istruzione (ma di questo, salvo vaghe enunciazioni, non se ne parla proprio: così che il comparto scuola pare destinato a patire l’ennesimo gap, andando a costituire ulteriore elemento discriminante tra i nostri studenti e gli studenti di altre nazioni), al fine di mettere i nostri giovani in reali condizioni di poter apprendere, di poter acquisire solide basi culturali e tecniche, di poter aspirare a inserimenti nel mondo del lavoro dignitosi e tali da consentire di alimentare quel circuito virtuoso che si chiama ‘progresso sociale ed economico’ di una Nazione, e soprattutto in grado di poter reggere il confronto con i loro coetanei negli altri Stati del mondo.

I giovani, che stanno vivendo lo sfascio – a ogni livello: umano, morale e sociale, economico e finanziario – loro e delle loro famiglie; che sono sottoposti ancor più – essendo ‘lavagne bianche’ – a pressioni e ad un virale, martellante, costante, soffocante e non casuale ‘lavaggio del cervello’; che ascoltano preoccupati e inermi i discorsi preoccupati dei genitori; che non hanno la possibilità oltreché le capacità per poter formulare una pur minima programmazione, avviluppati anch’essi nei tempi scanditi da quelle complesse, indecifrabili, bizzarre, contraddittorie decretazioni che consentono una pseudo-vita con tappe quindicinali o mensili; che si sono visto negare di poter pensare al loro futuro, d’esercitare la fantasie e di sognare senza incubi;  i giovani, dunque, oggi non vedono elementi utili a incoraggiarli, anzi pensano a un futuro colmo di incognite  (il che è proprio l’opposto alla loro indole di ‘giovani’ cui è la Natura stessa a delegare il ruolo generazionale di ‘futuro’ prossimo venturo).

Giovani persi nelle mille pieghe di giochini elettronici perlopiù pericolosi e dove la violenza/il cruento la fa’ da padrone, giovani i cui insegnanti colmi di ideologie e carenti di ideali non sono stati capaci di insegnare come si regge correttamente una penna, di come si debba ‘leggere’, di ‘scrivere’, di ‘come si studia’ stimolando l’attenzione, approfondendo e ricercando attraverso la consultazione di libri, così stimolando la curiosità e l’apprendimento indirizzandolo verso la lettura e l’approfondimento.

Gli insegnanti, in nome di concetti simil-liberali, in realtà da anni hanno lasciato i giovani a sé stessi non insegnando loro un ‘metodo di studio’.

E Internet, direte? Internet è un ottimo strumento di ricerca e quindi di approfondimento, cui poter attingere per rendere più completo e significativo ciò di cui già si abbia nozione. Studiare in rete abbandonando il cartaceo, invece, ha altri e diversi presupposti e mette in ballo altre capacità, di cui la più parte degli studenti è carente.

Loro guardano e copiano ciò che trovano, senza porsi molti problemi: 10 minuti e il compito è fatto, 10 minuti e la ‘ricerca’ è completata! Assurdo!!!

Oggi c’è bisogno di veri professori con esperienza e soprattutto ‘voglia’ di insegnare, dedicando tempo e passione: non un occupato, un impiegato statale.

L’insegnante del dopo-caos deve avere la capacità di informare ed educare allo studio, deve saper incuriosire, affascinare e stimolare con le sue spiegazioni di scienze e conoscenze.

Si deve insegnare ai ragazzi a volare alto, a non avere paura (la paura non esiste; si impossessa solo di chi è insicuro e timoroso anche di sé stesso), a non obbedire a regole di un idealismo coercitivo, ad amare la propria intelligenza perché tramite essa assorbono la cultura nel senso più nobile della sua accezione e tramite la cultura ameranno il mondo: e così se stessi, e così gli altri.

Ricevere un’educazione passa dalle famiglie e dalle scuole: ma mentre la scuola può parzialmente sopperire alle carenze famigliari – sempre che lo studente abbia la volontà di istruirsi, di guardare al futuro -, la famiglia non ha armi per sopperire alle carenze della scuola (salvo il farsi carico di altri oneri oggi difficilmente sopportabili).

I giovani di oggi, sottoposti a limiti inimmaginabili solo un anno fa, sono fragili e impreparati, delusi, confusi, scarsamente motivati allo studio, appiattiti da una cultura monca, da un vocabolario approssimativo e modesto e da una grammatica superficiale non hanno né cercano lavoro (con il cattivo esempio di uno stato che con mance e paghette stimola più l’inoperosità che non la ricerca di un lavoro).

Ma l’equazione è perdente, poiché più sono mantenuti, più accantonano l’idea di cercarsi – o almeno tentare di cercarsi – un (sicuramente più faticoso) posto di lavoro.

I teen agers sono sfiduciati e demotivati, hanno paura di diventare adulti e rimandano le decisioni importanti, quelle che prevedono l’assunzione di una qualche responsabilità; nella migliore delle ipotesi il loro futuro sarà segnato dal precariato, sempre più dilagante, consegnandoli a una vita fatta di incertezze.

Giovani che si ritengono sconfitti già in partenza, carenti di una cultura di base (frammentaria, priva di un quadro organico sulla cui base poter formare un qualche valido costrutto, una qualche loro personale idea, incapaci di partecipare a una cultura collettiva e quindi sociale, carenti della cultura comportamentale e morale (assistono al cattivo esempio di un palese permessivismo e di una sempre più scarsa cultura familiare).

Giovani da recuperare, da stimolare, da incentivare, da non far smarrire e da non consegnare al piattume esistenziale: cui far ritrovare interesse alla vita per poter diventare cittadini, membri di un consorzio civile vivo e pulsante, da sottrarre alla massa degli invisibili.

Una gioventù invisibile – quella dei giovani tra i 15 ed i 29 anni, nullafacenti – che in Italia coinvolge milioni di soggetti e che è destinata a crescere, moltiplicandosi in modo esponenziale, se sono vere le tragiche stime che la crisi sanitario-economico-produttiva lascia intravedere.

Quanto pessimismo, potrà dire il Lettore. No, crudo realismo: mi permetto di sostenere; il male, per poterlo combattere, va chiamato con il suo nome e guardandolo, sfidandolo.

E nel sostenerlo, rendo onore a tutto quel corpo docente che quotidianamente, con competenza, abnegazione e anche sacrificio, svolge con competenza e puntualità la propria missione, il proprio compito.

Vi sarà capitato di leggere dei NEET, ossia, riferito alla popolazione giovane, dei not (engaged) in education, employment or training. Termine che si riferisce a quella massa di giovani (dai 15 ai 29 anni: ormai un vero e proprio esercito di invisibili), improduttiva: c’è chi ha abbandonato qualsiasi tipo di educazione scolastica o universitaria, chi non lavora né cerca lavoro né è inserito in un corso di formazione.

Ma il neologismo anglosassone (in Italia ribattezzato con l’onomatopeico ‘Né-Né’ – né questo, né quello – non fotografa un qualche ‘nuovo fenomeno’: costituisce un semplice trucco dialettico per reinventarsi il concetto di ‘disoccupazione giovanile’, quasi che dandole un nome esotico il problema si edulcorasse!

Tutti costoro sono stati posti su un patibolo dove sarà per loro difficile chiedere clemenza a un possibile giustiziere senza volto. Troppe generazioni hanno subito e subiscono le crisi, spesso piegate su sé stesse e preda di uno sconforto profondo che purtroppo – per pudore o inesperienza – spesso non riesce a superare l’uscio di casa, se non quando esplode in forme di aggressivo autolesionismo o rabbiosa violenza.

Tutto il peso di una società dalle molteplici e lampanti incapacità amministrative e gestionali di vertice sta ricadendo sui veri soggetti più fragili: i giovani e gli anziani, due soggetti che rappresentano il passato e il futuro di una nazione.

Due soggetti senza i quali esisterebbe solo un ‘presente’ grigio e vuoto, dove i peggiori incubi si perderebbero nelle grida mute delle anime urlanti.

È il momento del fare senza attendere che ‘qualcuno’ possa o debba fare: è il momento dei fatti, piuttosto che non delle tante parole, giova una vera e propria ‘rivoluzione interiore’ che liberi la mente e consenta all’animo di risollevarsi.

Dobbiamo far sentire socialmente importanti e seguiti i giovani, dobbiamo accudire il nostro stesso futuro, consegnando loro una ‘casa’ pulita e degna di essere abitata; una casa con un solido tetto e dalle quattro solide mura: FAMIGLIA, GIUSTIZIA, SCUOLA e LAVORO, con al centro il più solido dei pilastri di sostegno, senza il quale tutto sarebbe traballante e incerto.  La LIBERTA’!

Roma, 25 Aprile 2021                                                                                Giuseppe Bellantonio

 




BADFLOWER: STRAPPO O CONTINUITA’?

Mi sono svegliato con una domanda stamani: come si è evoluta la musica negli ultimi anni? Ho pensato poi: per un discografico ha maggior valore scovare nuove tendenze oppure nuove “continuità”?

Un amico mi ha proposto il nuovo singolo dei BADFLOWER: F*ck the world ed ho avuto la risposta.

Già da tempo sostengo che la Musica in generale ed il Rock in particolare siano attenti a non perdere “posizioni” rispetto agli ultimi due decenni.

Seguendo Band come DIRTY HONEY, GRETA VAN FLEET e BADFLOWER ho la matematica certezza che si può emulare in modo innovativo senza per forza inventarsi uno strappo con il passato.

I BADFLOWER, combo californiano nato all’ombra degli Angeli formato da Josh Katz (voce e chitarra), Joey Morrow (chitarra), Alex Espiritu (basso) ed Anthony Sonetti (batteria), stanno solcando l’alveo dell’Alternative Rock e del Post Grunge con una personalità disarmante.

Attivi dal 2013 i BADFLOWER sono considerati dalla critica una delle più interessanti band emergenti degli ultimi anni, hanno raggiunto il successo nel 2019 con OK, I’m sick, album che ho conosciuto per i “passaggi” in Radio.

Mi aveva colpito molto la splendida ballata Ghost che ha conquistato posti di rilievo nelle Top Ten di importanti classifiche quali Mediabase Active Rock Radio, Mainstream Rock Song, Billboard etc.

I temi trattati dalla Band sono attuali e si riferiscono al complicato universo adolescenziale. Le Tracks di OK, I’m sick  trattano di suicidio, di depressione e molti altri temi, quali ansia e attacchi di panico, che riguardano proprio il frontman Josh Katz.

I BADFLOWER dal vivo sprigionano una carica che affascina, il sottofondo musicale alle tematiche trattate nei testi è duro e crepuscolare: forse sono vivo perché non volevo davvero morire (…), passaggio della sopracitata Ghost, è un grido incessante.

L’ansia della vita ed il vuoto imperante non sfociano in un edonismo tipicamente italiano (vedi trap nostrana), ma nell’invocazione di una Bellezza, anche se solo accennata!

Non avendo il dilemma dei “soldi” per dirla alla MAHAMOOD, i BADFLOWER cercano una risposta vera alla fragilità del nostro tempo. “(…) perseguiterò tutte le vite che si sono prese cura di me”, citano i BADFLOWER… che domanda!

Io non la so la risposta!

Ma sicuramente capisco che è un tentativo! Quasi un manifesto, un appello di aiuto, che noi “adulti” dovremmo accogliere!

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PERTH

 

 

 

MA DAI! IL ROCK E’ MORTO?




Giovanna Boda: sbatti il mostro in prima pagina!

E ci risiamo!

Girolimoni, ancora non ha insegnato nulla!

Diritto di cronaca? Tutela del cittadino? Libertà di stampa?

E’ ormai notizia passata il caso di Giovanna Boda, dirigente del Ministero dell’Istruzione, stimata e rispettata, che in seguito di indagini della magistratura sul suo operato, ha tentato di togliersi la vita con un salto nel vuoto.

Noi di Betapress lo sapevamo già, avevamo avuto già la cosiddetta soffiata, ma non ne abbiamo parlato subito perché il nostro giornale non fa del sensazionalismo il suo stile, ne cerca a tutti i costi di sollecitare pruriginosi interessi sulle notizie, ma piuttosto ama fare delle riflessioni che servano ai lettori per vedere o trarre spunti dai fatti, e soprattutto noi non scriviamo mai se non abbiamo le prove di quello che scriviamo.

I fatti: Giovanna Boda è un alto dirigente del Ministero dell’Istruzione, stimato e rispettato, io stesso lo posso dire visto che nel passato ormai remoto ho avuto modo di conoscerla.

I fatti: un’indagine della magistratura la coinvolge per un sospetto caso di corruzione che la vedrebbe parte di un pericoloso liaison tra lei e Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta, rappresentante legale dell’istituto italiano di ortofonologia ed amministratore della Come – Comunicazione & editori, ossia l’agenzia Dire, che avrebbe corrotto la Boda.

I fatti: la finanza ha perquisito la casa e gli uffici della dirigente, che non reggendo ha poi tentato il suicidio gettandosi dal terrazzo del palazzo del suo avvocato.

I fatti: siamo ancora in fase di indagini, non c’è stata nessuna condanna nemmeno in primo grado.

Eppure la stampa ha scritto la notizia con nome e cognome, foto e tutta la sua vita privata marito compreso.

Ecco la nostra riflessione: cui prodest?

per i lettori dove poteva essere l’interesse vero nella notizia?

A nostro avviso l’unico interesse che ci poteva essere in questa notizia era che la magistratura stava indagando e che il cittadino poteva stare tranquillo proprio perché gli organi di giustizia funzionano.

quindi il titolo che avevamo predisposto noi era:

Ministero dell’Istruzione: la magistratura indaga su casi di corruzione.

all’interno di indagini della magistratura sembra trovare spazio l’ipotesi che un alto funzionario del Ministero possa essere implicato in una rete di favori incrociati con delle ditte per la fornitura di servizi e la partecipazione a bandi pilotati. La finanza continua nella sua opera di analisi e verifiche anche con ispezioni presso gli stessi uffici del ministero.

Notizia data, cittadino tranquillo, nessuno accusato prima di essere colpevole.

Certo, forse in questo modo le migliaia di click che invece gli altri articoli hanno ricevuto non ci sarebbero stati, certo, forse gli inserzionisti del giornale sarebbero stati meno contenti, ma la nostra linea è questa.

Ma forse ora Giovanna avrebbe avuto il tempo ed il diritto di difendersi.

Il giustizialismo mediatico è a nostro avviso un atto criminoso, vile ed indegno di una società civile, così come l’utilizzo della magistratura ad orologeria.

Ma poi dove sono finiti i vecchi nome punto cognome punto? e perché mettere la foto, a che serve?

Ci siamo passati anche noi, ed infatti ci rimane un sottofondo di dubbio, un amaro presentimento che tutta questa faccenda in realtà nasconda giri politici al ministero, intrighi nelle nomine e nei poteri, intrallazzi bassi e spregevoli così caratteristici di quei palazzi dove la politica diventa una strisciante linea di pensiero del sotterfugio e del più bieco utilitarismo personale.

Noi sappiamo per certo di un Dirigente miur che con i suoi progetti fece guadagnare oltre 80 milioni di euro alle scuole e fu invece trattato come la povera Giovanna.

Il Linciaggio, anche mediatico, è per sua stessa definizione un atto illecito.

E non dite, ma anche voi adesso avete messo nome e cognome, si vero ma lo abbiamo fatto apposta adesso, proprio per cercare di essere a sostegno di una persona che anche ammesso che risultasse colpevole, non meritava certo questo modo di fare giornalismo.

E continueremo a farlo, anche se nessuno ci inviterà mai in televisione a dire la nostra, anche se nessuno comprerà mai pubblicità sul nostro giornale, continueremo a difendere il diritto dei lettori di sapere la verità ed il diritto degli innocenti di essere tutelati dalla liberta di stampa.

Giovanna Girolimoni Boda, anche se tra qualche anno dovessi essere condannata per quanto adesso ti stanno scaricando addosso, la tua condanna l’hai già scontata in questi ultimi cinque giorni, e comunque per noi e per tutti quelli che ti hanno conosciuto resterai la persona gentile e premurosa che eri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La libertà di stampa

 




MA VAFFAN DAD …

Dad fallimento o insegnamento?

Da domani, tutti in classe, almeno per le medie.

Bene, riprendendo gli spunti di riflessione di Paolo Crepet, sul coraggio e sulla fatica di educare, sia come genitori che come docenti, dopo un anno di Dad a singhiozzo, traiamo qualche indicazione di percorso efficace.

Perché, non so voi, ma io ne posso più di perder tempo.

Se, come diceva Dante “Perder tempo, a chi più sa, più spiace”, è evidente, visto che di tempo ne abbiamo sprecato parecchio, almeno adesso, diamoci una mossa.

Dunque, proviamo a fare il punto, post Dad o Did che dir si voglia.

Primo.

L’educazione non è democratica.

I figli non contano quanto i genitori e gli studenti non sono al pari dei professori.

Genitori ed insegnanti devono svolgere il proprio ruolo, autorevole, di capitano, non sottomettersi ai ricatti dei figli e degli allievi, pensando di farli felici.

Secondo.

Nel pieno dell’epoca della digitalizzazione bisogna porsi il tema di come tenere insieme innovazione ed educazione.

Bisogna discernere ciò che rende la tecnologia e il digitale noioso e tenere ciò che è creativo e gioioso, tipo Google.

Per insegnare ad essere donne e uomini del futuro bisogna spiegare che Google è un bosco incantato, una meraviglia.

Dentro c’è tutto, molto più dell’insegnamento del maestro.

E’ un rimando alla realtà del mondo e del pianeta che ti permette di fare ricerca attraverso la tecnologia del digitale.

Ma Google non deve essere usato per fare un copia incolla dei dati, senza né selezione, né rielaborazione.

L’overdose di dati presenti nei motori di ricerca, implica analisi degli stessi, capacità di sintesi, atteggiamento critico e spirito riflessivo.

Inoltre, bisogna far capire ai minori, ai nativi digitali del terzo millennio, che Google non sono i social, i social sono una selva oscura, un pericolo per coloro che li confondono con il bosco incantato di cui parlavamo prima.

Terzo.

Uso ed abuso dei social = noia.

I social fanno vivere tutti i ragazzi in una bolla psicologica nella quale non esistono né il tempo, né lo spazio.

Ma, sono le coordinate spazio temporali, l’hic e il nunc, i parametri esistenziali.

Senza la durata del tempo trascorso insieme e lo spazio condiviso in presenza, resta la noia.

Quarto.

La Dad ha fallito perché ha scimmiottato la didattica in presenza, ma senza tensione, né novità.

Ma l’elemento della noia, si sa, porta alla nausea.

Ed ecco che la didattica a distanza ha fatto la fine che ha fatto, producendo danni in termini cognitivi comportamentali, perché si è nutrita di noia.

Quinto.

Ricordiamoci la lezione dei giovani non ascoltati dalle istituzioni.

Con i ragazzi che sono scesi in piazza per manifestare a favore di un ritorno a scuola.

Ma ci rendiamo conto? Una cosa mai vista.

Un tempo, far stare un ragazzo in casa con i genitori, era una punizione esemplare, viceversa, perdere scuola era una piacevole novità.

Adesso, per i geni della politica, abbinare queste due cose è stata una condizione necessaria e a tratti auspicabile.

Ma per i giovani non è stato così.

Passata l’euforia dei primi tempi, stare sempre a casa, senza amici, a perdere tempo, facendo una finta scuola, svuotata di senso, relazione ed umanità, è stata una punizione ad oltranza, altro che festa.

Traiamone la morale: qualsiasi cosa che viene trasformata in quotidianità, diventa evidente, ma al tempo stesso diventa scontata, perdente.

E, generalmente, quando le cose si fanno per lungo tempo, senza rinnovamento e si ripetono monotone, ne emerge sempre il loro difetto, raramente il loro pregio.

Le ripetizioni portano all’annientamento del tempo e alla perdita di senso.

Sesto.

Finale a sorpresa.

I geni della politica, non l’avevano calcolato, ma sono riusciti in un capolavoro: allontanare i giovani dagli strumenti digitali, dimostrando che la scuola di persona è un grande allenamento sensoriale.

Un ragazzo ha bisogno di socialità, di essere lodato, sgridato.

E, soprattutto i più piccoli imparano sviluppando tutti i cinque sensi, non solo le abilità visive o uditive.

Bisogna soprattutto insegnare a riabilitare i bambini alla manualità.

Perché, sempre secondo Crepet,” un bambino con il pongo é di gran lunga più fortunato di un bambino con l’iPad”.

Dunque, speriamo che la Dad, non sia stata solo un fallimento, ma che sia anche una fonte di insegnamento.

Io, da eterna adolescente e da inguaribile romantica, ci spero ancora dopo 55 anni di vita (di cui 49 passati a scuola, prima come discente e poi come docente), che l’esperienza è maestra di vita.

E, mai come questa volta, mi auguro di tornare in classe, in presenza, mettendo a frutto la lezione della Dad, perché, spesso, nella vita come nella scuola, si impara dagli errori compiuti, sempre che non li si ripetano all’infinito!…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Disastro DAD: docenti e personale ATA fanno ricorso