Il punto di vista di Barbablu

Quelli come me tagliano carne ed ossa.

C’è chi dice persino che certe notti ululiamo alla luna
ma non vi dirò se questa diceria sia vera o no.

Una cosa però non potremmo negare né dissimuleremo mai, neppure se lo volessimo: 

siamo predatori e del predatore portiamo il segno.

Quelli come me hanno fatto la guerra e praticato la magia.

Dalla guerra abbiamo preso il gusto del sangue, 

a causa della magia ci è cresciuta la barba blu.

La nostra razza l’abbiamo scritta in faccia.

La barba ci rende riconoscibili e racconta i nostri segreti.

In guerra abbiamo imparato che il compagno è l’unico del quale ci possiamo fidare e che senza di lui che ci guarda le spalle, saremo spacciati.

Dalla magia abbiamo imparato la potenza della parola e come essa possa costruire, se ben usata, e distruggere, se abusata.

Non siamo persone raccomandabili e a prima vista non piaciamo a nessuno.

Siamo sinistri, inquietanti, scontrosi, silenziosi e predatori;

brutti, offensivi, efferati e furiosi.

E anche noi abbiamo bisogno di amare.

Anche noi sentiamo il bisogno di una compagna.

Una piccola creatura da amare, di cui prenderci cura e da fare ricca.

Qualcuno in grado di prendere e dare e non distrarsi in altre cose.

Cercavo anche io qualcuna che si fidasse di me e non mi tradisse 

qualcuna dalla parola sincera 

qualcuna a cui la mia barba non sembrasse poi così blu…

L’ho cercata 

e l’ho trovata.

Sono entrato nei salotti e mi sono fatto civile, ho corteggiato un fiore e l’ho sposato.

Portai la mia giovane sposa nel mio palazzo dalle infinite stanze.

Le ho dato le chiavi di tutte le porte e del mio cuore e mi sono fidato di lei.

Le ho permesso di aprire tutte le porte tranne una.

Era una buona prova: anche Dio l’aveva usata con Adamo ed Eva.

E lei non l’ha superata.

Mia sposa amara,

sono uscito dal castello, ti ho lasciata libera e mi hai tradito.

Ti è sembrata troppo bella la vita con me da cercare un segreto che ti avevo detto di non violare.

Mi conoscevi quando hai accettato la promessa e, nella sincerità del tuo cuore, non potrai dire che non te lo aspettavi.

Mi hai mentito, hai negato e vuoi dare a me la colpa

Ma io ora soffro 

e per colpa tua, 

mia vecchia amata, 

dovrò ucciderti.

—–

Simbolico dialogo interno, personale e opinabile del Signor Barbablu tradito e ferito dalla sposa scelta e amata.

Dedicato a chi crede di riconoscersi.




Qui “comando” io…

La leadership del DS nella gestione dei conflitti

La gestione del conflitto attiene allo stile di leadership assunto dal Dirigente Scolastico.

Nell’intento di promuovere , creare e diffondere senso ( Weick – senso e significato delle organizzazioni 1997);  il senso è un processo sociale , continuo, retrospettivo, fondato sulla costruzione dell’identità, guidato dalle informazioni selezionate e dalla plausibilità che istituisce ambienti dotati di senso.

Si ritiene che a tal proposito risulti particolarmente produttiva una leadership situazionale ossia che adatti la leadership alle situazioni.

Nelle organizzazioni, microcosmi sociali, i conflitti sono fisiologici mutuando prospettive  e approcci teorici derivanti dalla psicologia delle organizzazioni e del lavoro.

Occorre fare una distinzione fra i conflitti che si creano per il mantenimento del funzionamento esistente e i conflitti provocati dal cambiamento. Soltanto se le persone riescono a concretizzare una visione del futuro migliore del presente, il cambiamento è possibile. Gestire il conflitto non implica la soppressione dello stesso, ma attiene alla capacità del leader, del negoziatore di trasformarlo in un conflitto costruttivo.

Caratteristiche del conflitto costruttivo sono la cooperazione, l’attenzione agli obiettivi dei compiti  e gli obiettivi come vantaggio comune; clima aperto, ossia il saper accogliere suggerimenti, proposte, critiche; comunicazione supportiva: le persone si ascoltano con empatia; orientamento al cambiamento .

Il sottolineare un leader negoziatore con competenze di leadership partecipativa è un dispositivo che occorre inserire costantemente nei processi organizzativi come possibilità gestionale per prevenire i conflitti e non solo per risolverli.

I comportamenti adeguati di una leadership, attenta al processo negoziale si possono così sintetizzare: saper coinvolgere, mettere a disposizione le proprie competenze, prendere le distanze emotive, richiamare ai principi e valori comuni, ma soprattutto guardare ai bisogni degli attori che possono essere ricondotti al “ comune senso” agli eventi e ai propri bisogni personali .

Il consenso, infatti, soddisfa tutti, perché tutti raggiungono i propri obiettivi anche se non sono più gli stessi (modalità vincente/vincente).

La leadership con la sua centratura sul cambiamento , con il riconoscimento della valenza e significatività del singolo si pone come un riferimento efficace.

 

Prof.ssa Concetta Giannino

Dirigente Scolastico

Istituto di Istruzione Superiore Basile D’Aleo

Monreale Palermo




Frida: l’amore sopra tutto.

Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderon, meglio conosciuta come Frida Kahlo è una delle pittrici più famose al mondo.
La vita tormentata, la sofferenza, il coraggio di non abbattersi di fronte alle ingiustizie, hanno fatto di Frida un modello di ispirazione che ancora ai nostri giorni desta un successo non indifferente.
La solitudine fu sua compagna e l’arte l’unica finestra sul mondo, fu in grado di non passare alla storia con l’etichetta dell’artista disabile quanto piuttosto della pittrice in grado di riprodurre attraverso i dipinti la sua interiorità; i suoi scritti rappresentano un inno alla vita, un messaggio di speranza, quasi fosse un grido che invoca a non mollare anche quando tutto attorno sembra perduto.
Migliaia di pagine sono state dedicate alla paradigmatica pittrice e all’osservazione di ogni fase della sua vita, ma spesso demarcata resta l’attenzione posta su Diego Rivera.
Ho avuto due grandi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego”, così esordiva Frida Kahlo quando raccontava del suo più grande amore.
La loro storia è passata agli annali sia per l’intensità di questo rapporto che per le stravaganze.
Frida e Diego convolarono a nozze per due volte; pur consapevole di avere accanto un uomo che mai sarebbe stato completamente suo, nel 1929 decise di sposarlo.
Il loro rapporto fu vessato dai tradimenti a causa dei quali, appena dieci anni dopo la loro unione, la Kalho lo lasciò dopo aver scoperto l’ennesima infedeltà (Diego l’aveva tradita con la sorella Cristina).
Diego fece ritorno da Frida un anno dopo: disse che malgrado i tradimenti non aveva mai smesso di amarla, le fece una nuova proposta di matrimonio e lei accettò.
Senza dubbio il loro fu un’amore a prima vista, la stessa pittrice a lui dedicava gran parte delle sue poesie “È lecito inventare verbi nuovi? Voglio regalartene uno: «io ti cielo», così che le mie ali possano distendersi smisuratamente, per amarti senza confini.”
È stata la storia più tormentata dell’arte caratterizzata da battaglie, liti che fanno scappare e ti amo che fanno ritornare laddove si è lasciata l’anima.
La vita di Frida è stata breve ma intensa e seppur crudele sotto tanti punti di vista la grandezza della sua arte, la capacità di amare senza limiti ha sovrastato qualsiasi pregiudizio e qualunque etichetta, riuscendo a trasformare la sua sofferenza in arte, il suo coraggio in esempio; come quando prese consapevolezza di dover andare e affidò il suo ultimo pensiero al suo diario:
“spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”.




Vivere naturalmente in due nuovi libri

È boom di vendite per 2 nuovi libri, freschi di stampa che danno consigli su come star bene in modo naturale, anche tramite l’alimentazione. Si tratta di ‘Dall’alba al tramonto di E. Gambacciani (CCEditore, 2018) e di ‘Vivere secondo natura. Alimentazione, stili di vita, felicità (CCEditore, 2018) di A. Angeleri, C. De Luca e A. Rossiello, scritto dai membri del team di Evolutamente, il più autorevole e noto blog italiano relativo alla salute e al benessere.

Nato come un’appendice dello storico forum www.lazonalibera.it, in cinque anni di vita il blog di Evolutamente ha raggiunto 2 milioni di visualizzazioni e settecentomila utenti diversi, grazie alla dedizione dei suoi membri, Angelo Rossiello, fondatore, proprietario ed editore del blog, Chiara De Luca, che si occupa della sezione “ricette” del blog e collabora con la realizzazione dei menù negli eventi organizzati dalla SIMNESocietà Italiana di Medicina e Nutrizione Evoluzionistica, Alessio Angeleri, functional trainer e biohacker, socio fondatore e membro del comitato scientifico della SIMNE  ed Emanuele Gambacciani, biologo,  nutrizionista e profondo conoscitore della dieta definita “paleolitica”.

Attualmente il blog vanta quasi 2000 articoli pubblicati e rappresenta una vera e propria enciclopedia degli stili di vita in Italia.

Il grande successo dei due libri è testimoniato non solo dal numero considerevole di copie vendute attraverso i canali di distribuzione online e offline, ma anche dalle numerose recensioni positive rilasciate da lettori e utenti sul web.

Attraverso la lettura di queste stesse recensioni si evince che la caratteristica maggiormente apprezzata per quanto concerne Dall’alba al tramonto e Vivere secondo natura è la capacità degli autori di affrontare tematiche di matrice scientifica adoperando un linguaggio semplice e scorrevole, per nulla reso ostico dall’uso di tecnicismi e di un lessico specialistico.

L’obiettivo principale degli autori, infatti, è stato quello di coinvolgere i lettori nell’esplorazione di un argomento di interesse comune, ovvero l’alimentazione e il benessere psicosomatico, particolarmente sentito nella nostra società, rendendo accessibili e fruibili a tutti i consigli consapevoli degli esperti, sorretti e sostanziati da una serie di riferimenti scientifici.

Molti lettori hanno altre sì affermato di aver tratto giovamento dai precetti scientifici contenuti all’interno dei due libri e di aver conseguito, tramite la lettura del testo e l’alimentazione di tipo evoluzionistico, la risoluzione definitiva o l’alleviamento di alcune patologie come disturbi gastrointestinali, intolleranze alimentari, ipercolesterolemia e ipertensione e di aver migliorato il proprio stile di vita raggiungendo un soddisfacente e salutare stato di benessere psico-fisico, empiricamente confermato dal netto miglioramento dei parametri del sangue.




Il nuovo ruolo della truffa per cuori solitari le app di incontri.

Siamo ormai nel 2018 ma il mondo dei single è ancora inquieto.

Sei solo, vuoi trovare la tua  o il tuo compagno di vita?

Usa questa chat, vedrai cosa troverai …

La redazione di Betapress ha deciso di fare un piccolo viaggio all’interno del mondo delle app per single e vi posso dire che abbiamo trovato veramente il regno della truffa.

Abbiamo sperimentato molte app per single e quello che abbiamo trovato è solo truffa, truffa, truffa.

Per aiutarci in questa ricerca ci hanno aiutato Giovanni Aietta e Federica Bonini, i due nostri infiltrati speciali che si sono iscritti a tutte queste presunte app di incontri.

 

Come primo dato vi diciamo che abbiamo sperimentato 23 chat o app di incontri in circa 4 mesi ed il solo risultato che possiamo confermare è di aver speso per entrambi oltre 200 euro.

risultati validi nessuno.

 Ecco un piccolo schema:

contatti ricevuti giovanni 1486 federica 8900.

contatti falsi giovanni 1486 federica 2000.

In pratica il povero Giovanni è stato continuamente tempestato da bot di intelligenza artificiale che hanno solo prosciugato il suo conto continuando a tirarlo in conversazioni inutili, non fornendo mai contatti esterni alla app in cui giovanni era iscritto.

Per Federica sorte leggermente migliore perché qualche contatto era reale, ma poi rivelatosi pericolosamente insano di mente o dedito esclusivamente alla ricerca di sesso.

Alla fine i due nostri amici in realtà altro non erano che la nostra redazione che ha cercato di capirci qualcosa, due contatti falsi dietro i quali c’eravamo noi di betapress.

Non si preoccupino tutti gli sposati che hanno contattato Federica, ci faremo i fatti nostri e non divulgheremo l’elenco di tutti quelli che poi dalle nostre ricerche (quasi tutti) sono risultati sposati, ma pure incapaci di usare identità mascherate visto che poi da una banale ricerca sul web li abbiamo trovati quasi tutti.

Unica cosa che ci sentiamo di dire agli amici che cercano l’anima gemella: risparmiate i soldi, non usate nessun programma di incontri, sono truffe ben organizzate.

Se poi continuerete a farlo vuol dire che avete soldi da buttare.

Agli sposati che si mettono in mano a queste chat non abbiamo consigli da dare se non quello di fare attenzione perché dietro a queste chat spesso ci sono anche dei ricattatori.

A tutti comunque una considerazione: in questa società odierna il vuoto delle nostre anime sembra essere veramente insopportabile.

 

 

 

Le Chat: estensioni della fuga dal matrimonio…

 

Il mondo delle chat come espressione di vero dramma della solitudine

 

 




L’Opinione

Quel “ fare finta di fare finta…..”, dove tutti sanno ma dove tutti fanno finta di non vedere, di non sentire, di non capire, una caratteristica tipicamente “italiana”.

Tutti sapevano, da anni si diceva, si documentava, si denunciava …. ( oggi tutti ne parlano…) ma come nostro “costume” tutto diventava “nulla”.

L’Assioma del “fare finta di fare finta” una finzione doppia quindi, è quello che per oltre 50 anni “ L’Italia che s’è desta….” ha utilizzato e ha continuato a praticare in tante forme e in tutti i campi, dalla politica alle istituzioni, dalle grandi aziende ai grandi delle finanze. Oggi giornata di lutto per i morti del ponte ”Morandi” ( sarebbe interessante sapere anche come questo “grande” ingegnere abbia ottenuto quegli incarichi ) di Genova, ieri per i morti di … domani per i morti di … quasi sempre cronache di tragedie annunciate, di malaffare, di ingiustizie, di corruzione!

Davanti a queste tragedie tutti piangono, tutti ne parlano, tutti, tutti scrivono, dietro messaggi ben confezionati ( con tanta musica come colonna sonora ) o tutti a fare cose che sanno più di “rappresentazioni” che di vera consapevolezza ! Tragedie rimaste nel vuoto…. come le vittime dei terremoti,  morti non per i terremoti ( che è un evento del tutto naturale )  ma per le incompetenze dei tanti “ ing. Morandi” ( ce ne sono ancora tanti in giro ) che hanno costruito case e palazzi ….da crollo e le ditte che nelle “mazzette” navigano sicuri nell’oceano.

Poi ci sono anche quelle tragedie “invisibili” quelle che uccidono pian piano, che non fanno notizie da copertina… sono quelle stragi quotidiane che si consumano tra indifferenze e rassegnazione ( come il Petrolchimico di Siracusa o l’Ilva di Taranto… tanto per fare due esempi ); poi ci sono anche dei media, o programmi TV, son quelli che cercano di “ non fanno finta di fare finta…..” denunciando, presentando fatti, misfatti e oltre…… come Le Iene o  Report…..( tanto per fare solo due esempi…) ma che sempre più spesso restano solo “spettacoli” di prima serata perché quell’Italia che s’è desta…” non ha voglia di farli propri!

Ma oggi … tutti uniti per l’ennesima “tragedia annunciata” !

Sento da ieri sera “Genova nel cuore” … musiche e parole “emozionanti” ma fino a ieri dov’era?

Ipocrisia e finzione, tra segnalati e raccomandati, all’uomo di tizio o di caio … basta con le doppie finzioni, la “dignità” inizia da una giustizia “giusta”, dalla trasparenza, dall’autenticità e dal cambiamento … in tutti i luoghi e in tutte le forme! Un pensiero per Rita Borsellino….., che senso ha piangere sulla sua bara se ad oggi ancora non si vogliono conoscere quelle verità “ oscurate “?

Facciamo “finta di fare finta……” fa bene a tutti!

Prof. Renzo Menga

 

 

 

 




“O Capitano, mio Capitano “

Esattamente quattro anni fa, Robin Williams si è tolto la vita, lasciando il mondo del cinema, e non solo, sconvolto per la scelta di farla finita.

Innumerevoli ed indimenticabili sono le interpretazioni che hanno reso eterno il valore di quest’attore, nato da una famiglia più che benestante (il padre era un alto dirigente della Ford ). Studente mancato in Scienze Politiche, Robin aveva preferito seguire i corsi della scuola d’arte Juillard di New York, e, per mantenersi agli studi, si era improvvisato mimo.

La sua partecipazione al famoso telefilm “Happy Days”, con il personaggio di Mork, ha decretato il suo successo. Il pubblico era talmente entusiasta per il suo ruolo, che il produttore, Gerry Marshall, ha deciso di dedicare un’intera serie al personaggio. Così, con “Mork e Mindy”, iniziata nel 1978, è arrivato il Golden Globe per Robin, come migliore attore televisivo.

Negli anni Ottanta, però, l’attore ha dovuto affrontare seri problemi di droga ed un matrimonio fallito. Dopo il divorzio dalla prima moglie, si è risposato con Marsha Garces, tata del primogenito, che gli ha dato due altri figli.

Intanto, è continuata l’ascesa dell’attore, passando per “Popeye” di Robert Altman del 1980, ma soprattutto “Good Morning, Vietnam” del 1987, per il quale Robin ha ricevuto la sua prima nomination all’Oscar (1991). Per “L’attimo fuggente”(1989) e “La leggenda del Re Pescatore” (1992) egli ha ottenuto due altre nominations, ma è solo nel 1997, con ” Will Hunting – Genio ribelle”, che si è aggiudicato il premio. Dopo questo successo, l’attore ha continuato a cimentarsi in film che hanno accontentano sia la critica che il grande pubblico, come “Patch Adams” (1998), “Al di là dei sogni”(1998) e “L’uomo bicentenario” (1999), costellando una serie di successi cinematografici che suoneranno ancor più stridenti di fronte alla sua depressione esistenziale.

Come insegnante, vorrei soffermarmi sul film “L’Attimo fuggente”, perché è uno dei film più amati dagli studenti di tutto il mondo, ma anche perché il personaggio del professore interpretato da Robin, coincide con la figura mitica dell’Insegnante, proprio con la I maiuscola. Il film di Peter Weir, datato 1989, propone l’eterno dilemma scolastico tra autorità ed autorevolezza, tra accademismo ed innovazione, tra studio e passione.

Robin Williams è l’indimenticabile professore Joan Keating che sconvolge le regole di una prestigiosa accademia americana degli anni cinquanta. Professore di letteratura inglese, ed ex allievo anch’egli della stessa scuola, Keating preferisce affrontare la materia in modo creativo, con spirito libero, attento alle esigenze dei suoi studenti. Il suo metodo consiste nell’ abbandonare i dogmatismi didattici ed inventare le lezioni, con e per, i suoi alunni.

Esilarante è la scena in cui invita gli alunni a salire sui banchi per vedere il mondo da una nuova prospettiva, nonché il momento in cui strappa le pagine di un libro che pretendeva di analizzare una poesia come se fosse una formula chimica.

Keating rappresenta il vero educatore, colui che e-duce da ogni allievo quanto di più magico e meraviglioso ci possa essere. Rappresenta il professore che accoglie la sfida di “iniziare” i suoi alunni al piacere proibito di un rapporto seducente con la materia. Le sue lezioni di letteratura classica diventeranno sempre più l’introduzione in un nuovo ambito intellettuale ed emotivo.

Gli alunni riconosceranno ben presto in lui il vero Maestro, colui che trascina i discenti nell’avventura della conoscenza.

Il professore Keating è il pioniere del cambiamento trasgressivo, ma costruttivo, l’insegnante che ha il coraggio di uscire dal solco del dejà-vu accademico per trascinare gli alunni nella passione per la lettura e per l’interpretazione dei classici. Solo così, sedotti dal professore carismatico ed innovativo, i ragazzi coltiveranno le loro passioni, e, per esempio, l’alunno Neil deciderà di riportare in vita la Setta dei Poeti Estinti (Dead Poets Society è il titolo originale del film), un gruppo dedito alla poesia di cui era stato membro Keating stesso.

Come però ancor oggi succede, il sistema è restio ad accogliere il cambiamento, le nuove idee restano schiacciate dalla burocrazia.

Nel film, il preside infatti non vuole che i vecchi metodi siano messi in dubbio, e quando Charlie, un altro studente, pubblica un duro articolo di denuncia contro la scuola, verrà punito con una punizione “esemplare”. (Per fortuna, in questo, le cose sono cambiate nella scuola dei nostri giorni, niente più punizioni corporali, ma lavori socialmente utili!!!)

La situazione però crolla quando Neil, consigliato da Keating, decide di iscriversi a un corso di teatro, nonostante il parere contrario del padre, che lo vorrebbe studente di medicina. Durante la serata di debutto dello spettacolo il padre fa una scenata, annunciandogli di volerlo iscrivere a una scuola militare, cosa che causa una crisi di panico in Neil che lo porta al suicidio.

Il preside non può fare altro che avviare un’indagine sull’incidente, venendo così a conoscenza di quanto accaduto tra Keating e i suoi ragazzi. Il professore viene ritenuto responsabile e licenziato e i membri della Setta dei Poeti Estinti puniti.

Il film però si conclude con l’indimenticabile scena della reazione degli alunni che salgono in piedi sui banchi.

Uno dopo l’altro, al ritmo della frase “O Capitano, o mio capitano” formulano il loro saluto commosso all’insegnante, testimoniando che niente è andato perduto, che il suo incoraggiamento a non abbandonare i loro sogni, ha già fatto la differenza, che la Cultura è Libertà, e che niente più sarà come prima.

Infine, vorrei concludere con un paio di citazioni, principalmente tratte dalle battute di Keating, che possono servire come spunto di riflessione per alunni e per docenti in primis, ma per chiunque sia appassionato alla conoscenza.

    “C’è un tempo per osare e uno per essere cauti, e l’uomo saggio comprende a quale è chiamato”.

“Non leggiamo e scriviamo poesia perché è carina. Leggiamo e scriviamo poesia perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena di passione”.

E, per ultimo, un consiglio per gli acquisti, a chi ancora crede nella seduzione mentale…Durante una lezione, Keating interroga un alunno. “Il linguaggio è stato inventato per un unico scopo… qual è, Mr Anderson?” “Comunicare?” “No, per corteggiare le donne”.

Antonella Ferrari

 

 

 




Sproloquio ergo sum

CARTESIO 2018.

Non me ne vogliano i prof di filosofia, e, pace all’anima sua, povero Cartesio, se c’è chi lo disturba per un dubbio metodico, ma anche iperbolico… 

COGITO ERGO SUM, ovvero penso dunque sono, o, anche, penso dunque esisto.

Chi di noi non ha mai citato questa frase?

L’ha detta Cartesio, al secolo René Descartes, vissuto tra il 1596 e il 1650.

Ma, spesso è impiegata con leggerezza, semplicemente per definire l’uomo come soggetto pensante.

In realtà, ha un significato più profondo di quello che può sembrare.

Nel suo Discorso sul metodo, pubblicato nel 1637, all’età di 41 anni, Cartesio si proponeva infatti il compito di trovare una verità fondamentale e solida.

La scienza, il sapere umano avevano bisogno di fondamenta in grado di reggere a qualsiasi urto, anche a quelli della sua epoca, in cui il tribunale dell’Inquisizione, solo quattro anni prima, aveva processato Galileo, portandolo ad abiurare le nuove conoscenze astronomiche.

Per Cartesio, la conoscenza, al pari di una casa, doveva essere in grado di resistere ai colpi avversi. Nel caso del ragionamento, i colpi avversi erano quelli portati dal dubbio.

Per questo motivo Cartesio si propose un unico scopo: provare a mettere in dubbio tutto. Se una qualche verità avesse davvero resistito ai colpi del dubbio, allora sarebbe stata abbastanza solida da costruirci sopra una scienza.

Se invece avesse ceduto, sarebbe stata da scartare.

Dunque, il dubbio metodico era per il filosofo francese il principale metodo d’indagine della realtà, ed il famoso uomo di Cartesio, più che soggetto pensante era un soggetto dubitante.

Insomma, l’uomo, per essere ingannato dai sensi o dagli dei, doveva per forza esistere.

 Scusandomi preventivamente per aver cosi banalmente ridotto il pensiero cartesiano, mi permetto solo di applicarlo a Facebook. Giusto il tempo di un articolo, per qualche considerazione “virtualmente reale”.

Vorrei riproporre ai nostri giorni le quattro regole di conoscenza di Cartesio, quelle valide per tutte le discipline, perché, per lui, morale, geometria, politica, matematica, fisica ed arte erano solo rami diversi di un unico sapere.

E forse esisteva uno stesso metodo, uno stesso insieme di regole, per indagare ciascuno di questi ambiti.

 Prima di tutto, la Regola dell’evidenza, cioè” non prendere mai niente per vero, se non ciò che io avessi chiaramente riconosciuto come tale, ovvero, evitare accuratamente la fretta e il pregiudizio”.

 Che meraviglia! Applicare ogni giorno, che dico, ogni istante, un salutare dubbio nei confronti delle manipolazioni della realtà proposte nei post di Facebook, nonché applicare una salutare perplessità verso i profili Instagram…

Come sarebbe più facile evitare di ingozzarsi di vacuità virtuali, cioè “non comprendere nel mio giudizio, niente di più di quello che si fosse presentato alla mia mente così chiaramente e distintamente da escludere ogni possibilità di dubbio”.

Avremmo finito di confondere il reale con il virtuale, ma avremmo anche finito di vivere nel nulla, perché, sui social, l’apparenza è l’esistenza.

Seconda regola, quella dell’analisi, cioè “dividere ognuna delle difficoltà sotto esame nel maggior numero di parti possibile, e per quanto fosse necessario per un’adeguata soluzione”.

Anche qui, è proprio l’esatto contrario di quanto avviene ogni giorno nel mondo dei social. Di fronte a qualunque problema, anziché scomporlo, tutti sanno tutto. 

I navigatori virtuali s’improvvisano esperti di salute, psicologia e diritto, sparano sentenze e propongono soluzioni, ma, soprattutto si affrettano, in tempo reale, a totalizzare la realtà in un magma di like.

Altro che frazionare la realtà per conoscerla, su Facebook ed Instagram esiste solo un caleidoscopio di dati e d’immagini volti a frullare la realtà.

In una galleria di specchi virtuali, la realtà è sì ridotta in polvere, ma non per essere conosciuta, quanto per essere omogeneizzata.

Terza regola, quella della sintesi, cioè” di condurre i miei pensieri in un ordine tale che, cominciando con oggetti semplici e facili da conoscere, potessi salire poco alla volta, e come per gradini, alla conoscenza di oggetti più complessi; assegnando nel pensiero un certo ordine anche a quegli oggetti che nella loro natura non stanno in una relazione di antecedenza e conseguenza”.

Ma quando mai?!? Sui social esiste una vera compulsione alla banalizzazione, in un vortice mediatico si pretende di comprendere tutto, in tempi immediati, livellando i consigli estetici ai valori etici, parlando della cellulite come dell’eutanasia. In un’ossessione oculo-manuale, non esiste un ordine logico della conoscenza, anzi della pseudo- conoscenza.

Non esiste neanche una consequenzialità dei dati, perché il nostro Ulisse del terzo millennio, rischia di pensare che il riciclo dei rifiuti possa essere antecedente al ritrovamento dei cadaveri, che smacchiare i tessuti possa venire prima di allestire un campo profughi…

E per ultimo, è sempre il caro buon Cartesio che parla,” di fare in ogni caso delle enumerazioni così complete, e delle sintesi così generali, da poter essere sicuro di non aver tralasciato nulla”.

E qui, scopriamo l’acqua calda o l’uovo di Colombo!!! Per noi, l’America è il gossip, il Nuovo Mondo è il buco della serratura del profilo del vicino.

Siamo così capaci di inventariare i fatti altrui, che confondiamo la conoscenza con il voyeurismo, la consapevolezza con l’esibizionismo, la sintesi di un percorso con la generalizzazione di un caso.

Ma, soprattutto, non ci sorge mai il dubbio di conoscere noi stessi, ma questa è un’altra storia…

 

Antonella Ferrari

 

 




Educare la Mente, il Corpo e lo Spirito, oggi qualcuno ne è ancora capace?

ANCODIS ci invia uno dei suoi significativi comunicati stampa che Noi di Betapress pubblichiamo sempre volentieri perché ci da modo di fare alcune riflessioni sul tema.

Educare, in generale, promuovere con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo delle facoltà intellettuali, estetiche, e delle qualità morali di una persona, specialmente di giovane età, tipicamente i figli.

Ma oggi chi è in grado ancora di farlo? Diciamo che gli ultimi esempi riportati dai quotidiani non sono certo edificanti, ma confidiamo anche nel fatto che la notizia cattiva è una parte delle notizie buone che comunque i quotidiani non riportano.

Eppure un peggioramento dell’educazione c’è, è evidente nelle strade, nelle voci dei giovani, nel gergo spesso sboccato e volgare, nei comportamenti incivili e bifolchi dei ragazzi e delle ragazze, nella sguaiatezza degli atteggiamenti e nella palese ignoranza, non forse aneddotica, ma certamente metodologica.

Eppure noi ci meravigliamo ancora dei ragazzi maleducati, ci chiediamo come sia possibile che si possa essere così maleducati

Tutto questo accade per colpa dell’incapacità generazionale di reggere il cambiamento, il senso di inadeguatezza genitoriale di fronte alla richiesta di chiarimenti dei figli, ed anche al senso di colpa per il distacco tra essere padri e madri ed essere lavoratori, che questo paese ha subito begli ultimi trent’anni.

Un crollo dello spazio famiglia che prima era contenitore valoriale ed oggi invece è campo di contese spesso non solo dialettiche, spazio famiglia che prima conteneva valori di generazioni differenti, con i relativi confronti, oggi è solo centro di esplosione e saturazione di mefitici veleni genitoriali.

Separazioni, diatribe portate sui figli quasi come scusante della mancanza di capacità genitoriali, televisione utilizzata come anestetico giovanile, poca voglia di confrontarsi…

La Scuola sempre più in difficoltà, troppo carica di amenicoli amministrativi, formazioni su argomenti più o meno utili, PON, sigle assurde, sindacati inadatti al loro ruolo, ed ora anche genitori in cerca di riscossa con i loro figli, quasi che scatenarsi contro i professori sia ormai l’unico modo per farsi riconoscere il ruolo genitoriale dai figli.

Figli, che non essendo del tutto cretini, ma maleducati, si approfittano di questa debolezza genitoriale per scappare dalle loro responsabilità, dimostrando ancora di più la stupidità dei loro genitori.

A questo punto per maleducati e stupidi è fin troppo facile prendersela con i professori, perché, ricordiamo che fra un intelligente ed uno stupido vincerà sempre lo stupido, perché l’intelligente si pone sempre in discussione, lo stupido no.

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ANCODIS lancia la petizione contro la violenza verso i docenti da parte di alunni e genitori.

Il quotidiano ripetersi delle azioni e l’aggravarsi delle forme di violenza fisica e verbale nei confronti dei docenti impone alle Istituzioni la massima attenzione.

I docenti sembrano essere diventati ormai da alcuni anni l’anello debole del sistema scolastico: alunni e genitori ormai non ne riconosco più il ruolo sociale e quotidianamente registriamo azioni violente, intimidazioni, fino ad arrivare alle riprese video che poi vengono diffuse nei social media. Dobbiamo porre un freno a tutto questo degrado!

Non possiamo continuare a parlare di scuola quale luogo di formazione e di educazione e poi registrare quotidianamente oltraggi e volgari attacchi all’Istituzione ed ai suoi operatori (collaboratori scolastici, docenti, Collaboratori dei Ds).

Sembra ormai essere divenuta una “normalità” sentire/leggere attraverso gli organi di stampa il ripetersi di violenze fisiche o intimidazioni verso docenti che appaiono deboli, impotenti e indifesi di fronte ad alunni e genitori che ritengono di affrontare e risolvere le situazioni problematiche con la violenza piuttosto che con la forza del confronto e del dialogo.

Purtroppo, non esistono più aree franche: c’è la quotidiana sensazione di lavorare in un ambiente nel quale l’aggressione verbale degli alunni è quotidiana routine mentre è da mettere tra le possibilità quella fisica di genitori ed alunni.

E non possiamo non rilevare come in questo ultimo decennio l’Istituzione Scolastica è stata indebolita da attacchi (fuoco amico!) fondati su volgari pregiudizi che hanno scardinato il ruolo educativo e formativo proprio di una comunità scolastica.

Per questo ANCODIS avanza una proposta che si preoccupa sia della tutela di chi – nei diversi ruoli – presta il proprio servizio in favore dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti sia alla tutela dell’Istituzione stessa.

E’ ormai stato raggiunto il livello di guardia!

Siamo davvero preoccupati di quanto leggiamo quotidianamente e, dunque, sottoponiamo ai rappresentanti delle Istituzioni, ai DS, agli operatori scolastici la seguente petizione che vuole provare ad alzare un argine alla crescente sensazione di insicurezza e dare un segnale di massima attenzione a livello giuridico.

PETIZIONE

ANCODIS – per le suddette considerazioni – chiede ai Rappresentanti di tutte le Istituzioni di:

  1. Rendere più grave il reato di oltraggio a pubblico ufficiale nella scuola proprio per la sua specificità (luogo di formazione e di educazione) e per la presenza di minori (spesso queste aggressioni avvengono in presenza di minori che subiscono turbamenti psicologici);

  2. Risarcire il docente vittima di aggressione fisica – sulla base dei danni biologico e morale rilevati – con una specifica indennità economica ed un riconoscimento giuridico da valere nella progressione di carriera;

  3. Risarcire l’Istituzione Scolastica – anch’essa vittima dell’aggressione – sulla base del danno cagionato alla sua immagine;

  4. Determinare una forma di “D.A.SCO.” (Divieto di Accedere alle manifestazioni SCOlastiche) temporaneo per alunni e permanente per i genitori violenti a tutela della serenità dell’ambiente scolastico;

  5. Obbligare alla costituzione di parte civile per legge del MIUR e dell’Istituzione Scolastica in sede di processo penale;

  6. Prevedere – nel caso di gravi violenze verbali da parte di un alunno – il temporaneo affidamento ad Enti di volontariato riconosciuti e presenti nel territorio per favorire un processo di riflessione e di recupero educativo.

Non possiamo più aspettare: si rischia una deriva sociale che toglie dignità ai docenti, sottrae autorevolezza alle istituzioni scolastiche, favorisce il misconoscimento del valore educativo del sistema scolastico italiano.

Rosolino Cicero, Presidente ANCODIS Palermo

Renato Marino, Presidente ANCODIS Siracusa

Silvia Zuffanelli, Presidente ANCODIS Firenze

Cristina Picchi, Presidente ANCODIS Pisa

Mara Degiorgis, Presidente ANCODIS Cuneo

Antonella D’Agostino, Presidente ANCODIS Catania

Carla Federica Spoleti, Presidente ANCODIS Roma




Sulle ALI dell’autoironia: Io mi libro di Alessandro Pagani

Per il suo nuovo libro, Alessandro Pagani non avrebbe potuto scegliere un titolo più emblematico: Io mi libro (96, rue de-La-Fontaine, Torino 2017, pp. 78) è una raccolta di 500 freddure, battute umoristiche, modi di dire, doppi sensi e giochi di parole che, con delicata ironia, scherniscono la nostra piccola epica quotidiana, insistendo sulle situazioni più comiche e grottesche in cui spesso capita di imbattersi.

Alessandro Pagani, con un procedimento formale che ricorda il fulmen in clausulam  degli epigrammi di Marziale, adopera la scrittura aforismatica come strumento attraverso cui condurre il lettore a un’autoironica riflessione su se stesso, sui propri limiti e sui lati più bizzarri e tragicomici della propria esistenza, al fine di esorcizzarli e superarli con la leggerezza tipica del riso, necessaria e vitale per non lasciarsi sopraffare dalla tristezza, per svincolarsi temporaneamente da quell’eccessiva serietà con cui l’uomo ha condizionato se stesso e la propria natura, soffocandone il lato più vivace, spensierato e frizzante.

Io mi libro è una critica originale e pungente alla tendenza che tutti noi abbiamo a prenderci troppo sul serio, a lasciarci travolgere dal pessimismo e dalla negatività e, soprattutto, a ingigantire ogni singolo problema, anche il più minuscolo, perché incapaci di riderci su, di pensarlo con la leggerezza dell’autoironia e di perdonare i nostri errori.

L’approccio di Pagani al riso si condensa in una profonda e rispettosa consapevolezza dello straordinario potere insito in questo sentimento, e si inserisce nel solco tracciato dai grandi maestri della filosofia e della letteratura moderna e contemporanea, come Leopardi, Bergson e Pirandello, tutti e tre accomunati dalla convinzione che non vi sia «nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano» e che il riso sia una prerogativa esclusiva dell’essere umano, perché il solo dotato di ragione tra gli esseri viventi.

Il riso, infatti, si concretizza come il risultato di una riflessione, talvolta amara, sulla propria condizione e su quella altrui e la grandezza del suo potere consiste nell’ottenimento, a seguito di questa riflessione, di una maggiore consapevolezza della vanità dell’esistenza e delle cose, dei limiti della natura umana, della sua perfettibilità e imperfezione, della sua delicatezza, con la conseguente sensazione di sentirsi parte di una grande famiglia di individui che sbagliano, inciampano in situazioni imbarazzanti, vengono travolti dai problemi, ma trovano sempre il coraggio di sdrammatizzare, di ridere delle proprie fragilità, di superare ogni situazione tragica o comica che sia, con leggerezza e autoironia.

Gli strumenti adottati da Alessandro Pagani per far luce sui paradossi della nostra vita sono i paradossi della nostra lingua: ossimori, giochi di parole, doppi sensi, casi di omografia, omofonia e omonimia linguistiche, vengono adoperati dall’autore per schernire la modernità e le sue peculiari passioni, come quella per i programmi di cucina e per i cuochi, rappresentanti di una nuova generazione di artisti nell’epoca del divismo minore di massa, in cui in tutto il mondo la filosofia, la pittura e la letteratura stanno cedendo il posto alla gastronomia («Decine e decine di aspiranti chef in tv: il pressa-cuochismo»); oppure quella per i talent show e per i reality, sempre più trash e volgari, in una società che ha un’insaziabile ‘fame di fama’, direbbe Pagani, ossessionata dalla voglia di farsi notare e accaparrarsi i celeberrimi quindici minuti di celebrità, anche solo virtualmente sui social network, anche se l’unico talento che si possiede è quello di essere figlio di una personaggio talentuoso («Nuovo contest in arrivo che vedrà sfidarsi figli d’arte. Talent padre, talent figlio»; CHIESA SOCIAL: Scambiatevi un segno: ? mi piace).

Ci sono, poi, frasi che giocano con le parole e frasi che giocano con proverbi e modi di dire tipici della nostra lingua.

Tra le pagine di Io mi libro, l’autore sperimenta l’infinita produttività del linguaggio verbale umano, combinando le parole con la stessa creatività di un musicista che combina le note musicali per ottenere le più svariate e originali melodie o di un pittore che miscela i colori per creare nuove sfumature.

Giocando con grande maestria con il significato letterale e quello metaforico delle parole, Pagani allestisce un carosello linguistico attraverso cui esplorare l’enorme complessità della lingua italiana e le diverse sfaccettature dei suoi lemmi, sfruttando i paradossi linguistici come gli ossimori e gli omonimi per fare il verso ai paradossi quotidiani.

Come a chiudere il cerchio, Alessandro Pagani decide di collocare alla fine di un lavoro intitolato Io mi libro, un breve testo di kafkiana memoria, dal titolo Piccolo racconto onirico, in cui racconta di aver sognato di librarsi in volo, sfruttando il candido e folto piumaggio delle ali di cui, a seguito di una metamorfosi notturna, si ritrova dotato.

Volteggiando tra le nuvole sui tetti di Firenze e sui luoghi della sua giovinezza, Pagani s’interroga sul perché, da sempre, l’uomo sogna di volare: forse per osservare il mondo dall’alto, per alleggerire la propria esistenza osservando le cose da un altro punto di vista e dimenticarsi per un attimo di essere così prevedibili e attaccati alle cose terrene, così pesanti e seriosi.

Pagani accompagna il lettore sino all’uscio del racconto, disseminando tra le pagine del libro una serie di curiosi e accattivanti indizi linguistici, sotto forma di allitterazioni e anafore dello stesso gruppo sillabico, “ALI”, segnalato graficamente in tondo maiuscolo (ad es. ‘reALI’, verbALI’, ‘ALIbi’ e così via).

Una volta varcata la soglia, il lettore si sentirà in grado di continuare da solo la restante parte del viaggio, per approdare all’ultima pagina del racconto con la consapevolezza di aver trovato in quel gruppo sillabico in maiuscolo che volteggia come un uccello tra le pagine del libro, l’ultimo elemento necessario a completare il significato del lavoro di Alessandro Pagani: Io mi libro è un omaggio delicato e brillante allo straordinario potere della lettura che consente all’uomo che sogna di volare, di librarsi in volo anche senza ali.